Le regole forse violate durante il Conclave. L’elezione di Bergoglio nulla, e la grande rinuncia di Ratzinger, che pure ha voluto restare papa emerito. L’autore cattolico ci dice tutto del suo ultimo libro. E non solo…
di Gianluca Veneziani
«Vi state sbagliando, chi avete eletto non è, non è Francesco». Si potrebbe sintetizzare così, parafrasando il verso di una celebre canzone di Lucio Battisti, il nuovo libro del giornalista e scrittore Antonio Socci (Non è Francesco. La Chiesa nella grande tempesta, Mondadori, pp. 296, euro 18), dedicato a Papa Benedetto XVI, rivolto a Papa Francesco e destinato ai tanti lettori, credenti e non, desiderosi di saperne di più sull’inedita convivenza tra due pontefici in Vaticano. Secondo l’autore, Jorge Mario Bergoglio non è Francesco in un doppio senso: atteggiamenti pastorali e scivoloni dottrinali lo tengono distante dal modello di vita e dall’ortodossia cattolica di san Francesco; e soprattutto – ed è qui lo scoop del libro – irregolarità procedurali durante il Conclave renderebbero nulla la sua elezione al pontificato, privandolo in sostanza anche del nome Francesco.
Socci, partiamo dal primo aspetto. Bergoglio – Lei sostiene nel saggio – porta il nome del fraticello d’Assisi, senza però emularne né la vicinanza agli ultimi né la fedeltà alla dottrina. Ci spieghi meglio.
In un capitolo riporto le lettere di san Francesco a governanti, magistrati, laici e sacerdoti del suo tempo e suggerisco un paragone tra i due Francesco: il semplice confronto fa percepire la diversità dei due approcci. San Francesco, ai potenti, non parlava di pace o ambiente, ma li esortava a professare la fede cattolica, per la salvezza delle loro anime e dei loro popoli. Allo stesso modo, rivolgendosi ai preti, non faceva alcun cenno alla retorica sociale di sostegno alle classi popolari, ma diceva che la cosa fondamentale era tributare il massimo onore “al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo” e amministrare bene l’Eucaristia. Questo è il san Francesco vero, non quello delle figurine, l’icona mediatica inventata nel ’900. Quanto alle frequentazioni, mi pone almeno qualche interrogativo che Bergoglio riceva costantemente Scalfari, telefoni a Pannella e trovi tempo da dedicare a Maradona, ma non accolga il capo dei Francescani dell’Immacolata – ordine di cui anzi ha deciso il commissariamento – , faccia saltare la visita all’ospedale Gemelli, con i malati in attesa sotto il sole, e non risponda agli appelli di una madre, come Asia Bibi, che marcisce in un carcere pakistano per la semplice “colpa” di essere cristiana.
Quanto al secondo significato del titolo del saggio, quali sono le ragioni che invaliderebbero l’elezione di Bergoglio?
Premetto che nel libro non intendo emettere sentenze, ma porre problemi. Non voglio decidere io chi sia il papa e chi no, perché il responso ultimo lo può dare solo la Chiesa. Mi chiedo tuttavia se, essendosi verificate alcune circostanze, si possano configurare i termini di applicazione dell’articolo 76 della Universi Dominici Gregis (la Costituzione apostolica che stabilisce le regole del Conclave, ndr), il quale afferma: “Se l’elezione fosse avvenuta altrimenti da come è prescritta nella presente Costituzione […], essa non conferisce alcun diritto alla persona eletta”. Ebbene, nel caso dell’elezione di Bergoglio, secondo me ci sono state almeno tre violazioni della procedura. Uno: la votazione precedente a quella in cui è stato eletto Bergoglio – come raccontato dalla giornalista Elisabetta Piqué e poi confermato da alcuni cardinali – è stata annullata perché un porporato aveva involontariamente deposto nell’urna due schede attaccate (una con il nome del suo prescelto e una bianca). Ebbene, quell’annullamento dello scrutinio non doveva avere luogo perché l’articolo 69 della Costituzione apostolica stabilisce che in nessun caso può essere annullata la votazione “qualora nello spoglio dei voti gli Scrutatori trovassero due schede piegate in modo da sembrare compilate da un solo elettore”. Due: durante la conta seguita a quella votazione le schede sono state aperte, al punto da scoprire un foglietto vergato e l’altro bianco. Ciò è impedito dalle norme, che prevedono che le schede vengano aperte solo durante lo scrutinio. Tre: dopo l’annullamento della suddetta votazione, quel 13 marzo 2013 si è proceduto a una quinta votazione (proprio quella in cui è stato eletto Bergoglio), laddove la Costituzione apostolica prevede che si debbano fare solo quattro votazioni al giorno, due al mattino e due al pomeriggio. Vorrei chiarire che non si tratta di semplici cavilli, ma di questioni sostanziali, che determinano la realtà, cioè l’elezione o meno di un Papa. Su queste basi fondate, mi domando: “Possiamo ritenere l’elezione di Bergoglio non valida?”. E di questa situazione, ci tengo a sottolineare, Bergoglio non ha alcuna responsabilità. Semmai ne è la parte lesa.
Alcuni commentatori, come Maurizio Crippa su “Il Foglio”, hanno attaccato il suo libro definendolo «un plot improbabile oltre i confini della decenza», e messo in discussione il capitolo sull’invalidità dell’elezione del Papa, in quanto non terrebbe conto che nella procedura dell’elezione annullata è stato seguito correttamente l’art. 68 della Costituzione apostolica. Come risponde?
Quanto a Crippa, mi pare che non abbia nemmeno letto il libro. Quanto alla sua argomentazione, non è esatta, perché l’articolo 68 – quello che lui cita – riguarda i casi generici in cui nell’urna si trova una scheda in più: allora sì, succede che “se il numero delle schede non corrisponde a quello degli elettori, bisogna bruciarle tutte e procedere subito a una nuova votazione”. La vicenda di cui sopra riguarda invece il caso specifico in cui un cardinale inserisce per sbaglio due schede attaccate nell’urna. Allora, come recita la Costituzione apostolica, in nessun caso viene annullata la votazione. L’articolo 68 e 69 non sono dunque in contraddizione: il primo serve a evitare che un cardinale voti due volte, falsando l’elezione. Il secondo scongiura invece il rischio che un cardinale saboti l’elezione, di volta in volta aggiungendo una scheda in più per annullare automaticamente lo scrutinio.
Veniamo alle critiche che Lei muove all’approccio di Bergoglio nei confronti dei fedeli e dei media. Da un lato, Le parla di un «culto della personalità» del pontefice, alimentato da telecrazia e demoscopia, fenomeno che lo stesso Papa ha definito «francescomania». Dall’altro, ricorda le parole di Bergoglio molto critiche verso «i Capi della Chiesa lusingati e malamente eccitati dai loro cortigiani». Non c’è tuttavia il pericolo che Francesco si compiaccia e divenga oggetto dell’adulazione, che lui stesso denuncia?
È lo stesso Gesù nel Vangelo a dire “Guai a voi quando tutti gli uomini diranno tutti bene di voi” e “Beati voi, quando diranno ogni sorta di male contro di voi, per causa mia”. Qualunque cristiano dovrebbe essere molto cauto, quando viene troppo acclamato dal mondo. In pochi mesi, ad esempio, l’immagine di Papa Francesco è stata lanciata su tutte le copertine di giornali laicisti e anti-cattolici. Questo dovrebbe essere un campanello d’allarme. Se un anticlericale e un antipapista come Scalfari gloria di continuo Francesco, c’è qualcosa che non va. E il pontefice dovrebbe essere in grado di rifiutare gli applausi tendenziosi di chi prova a tirargli la tonaca da una parte e dall’altra. Anche perché i primi a trovarsi a disagio sono i cattolici, che si sentono dire da anti-cattolici convinti: “Il Papa la pensa come noi”. Ciò significa lasciare il proprio gregge allo sbando. E questo un pontefice non lo può fare.
Come si possono spiegare le ripetute affermazioni incaute di Bergoglio sui temi dottrinali? Con una mancata preparazione teologica, con una leggerezza dovuta al fatto di parlare spesso a braccio o con un tentativo voluto di compiacere il mondo e le sue derive?
Probabilmente, c’è una combinazione dei primi due elementi. Quanto al terzo, di sicuro Bergoglio preferisce dire cose gradite ai media laicisti e mantenersi sul politically correct. Trovo però sorprendente, riguardo al rigore dottrinale, che lui abbia teorizzato il pensiero incompleto. Cosa voglia dire non lo so, ma mi sembra preoccupante. Gli ho sentito negare due volte la moltiplicazione dei pani e dei pesci, derubricandola a una parabola, l’ho sentito rampognare coloro che fanno discorsi ortodossi, e l’ho sentito dire perfino che “Dio non è cattolico”, un’espressione mai ascoltata in duemila anni di cristianesimo. Se così fosse, ne deriverebbe che anche il suo portavoce sulla Terra, il Papa, non è cattolico. Ma come si fa a essere Papa, se non si è cattolico?
Oltre alle parole del Papa, pesa anche il suo silenzio su alcuni argomenti scottanti. Bergoglio parla malvolentieri di etica e principi non negoziabili, accusando chi lo fa di esserne ossessionato, e tace sui cristiani perseguitati in Iraq e Siria. Questa sua reticenza si potrebbe definire un silenzio colpevole sugli innocenti (i feti uccisi, i cristiani massacrati ecc…)?
Non voglio ergermi a giudice, ma sinceramente rimango sconcertato. L’aborto fa ogni anno 50 milioni di vittime in tutto il mondo, più i 50 milioni di donne che subiscono questo trauma. Gli ultimi due papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, hanno suonato forte l’allarme su questo dramma. Vuol dire forse che sono ossessionati? Allo stesso tempo, sento dire Bergoglio che la vera piaga della Chiesa è la maldicenza delle parrocchie. Mi verrebbe da ipotizzare di conseguenza che Papa Francesco sia a sua volta ossessionato dal tema della maldicenza, che non mi sembra esattamente il primo dei mali dell’umanità. Quanto ai cristiani cacciati e condannati a morte, durante la prima offensiva dell’Isis ad agosto, Bergoglio non ha mai usato l’espressione “cristiani perseguitati”, per non urtare la suscettibilità del mondo musulmano. Anche la sua posizione sul rifiuto a prescindere dell’uso della forza non è compatibile con la realtà. I predecessori di Francesco prevedevano l’uso della forza per difendere gli inermi da un ingiusto aggressore. Non puoi andare a convincere un terrorista con un’omelia. Puoi provare magari a parlare con il Califfo, ma difficilmente riuscirai a farlo desistere dai crimini solo con il dialogo.
Lei nel libro allude anche ad alcune deviazioni liturgiche da parte di Papa Francesco: il trasformare le messe in musical, il non genuflettersi davanti al Tabernacolo. Anche qui si tratta di una rinuncia alla forma che intacca la sostanza?
Sui riti cantati e i cori da stadio, mi riferisco soprattutto alla celebrazione di Rio de Janeiro durante la Giornata Mondiale della Gioventù. Anche il non inginocchiarsi durante l’Eucaristia o il rimanere in piedi durante la celebrazione del Corpus domini sono cose che lasciano stupiti. Mi è stato detto che Bergoglio non si inginocchia perché ha problemi all’anca. Eppure in tante altre occasioni, anche meno importanti, io l’ho visto inginocchiarsi…
Ultimamente Francesco ha ripreso un’immagine di Benedetto XVI sulla Chiesa come barca che sta per affondare, sballottata dalla tempesta. E ha invitato a «remare tutti insieme sulla barca di Pietro», aggiungendo «io stesso remo». Il Papa rema come tutti i fedeli, ma non dovrebbe essere invece il timoniere della barca?
La metafora della barca risale a Paolo VI, ancor prima che a Ratzinger. Papa Montini diceva che la barca della Chiesa rischiava il naufragio per cause dottrinali, per la perdita della fede, per l’attacco del mondo. Bergoglio invece non spiega cosa voglia dire quell’espressione né quale sia la causa dell’imminente naufragio. Perciò mi chiedo: a quale tempesta Francesco fa riferimento?
Il cardinale Jorge Mario Bergoglio durante il conclave del 2013.
Bergoglio ha scelto il nome Francesco, ma ha disgregato l’ordine dei Francescani dell’Immacolata. È un gesuita, ma non si attiene al voto dei gesuiti, che rifiutano di accettare cariche ecclesiastiche. È la conferma di un atteggiamento incoerente da parte del Papa, di un suo dire che non corrisponde al fare?
Francesco, in un’omelia in Corea, ha criticato i religiosi che non rispettano il voto di povertà. Bene, ma anche lui aveva fatto voto di non accettare cariche ecclesiastiche, eppure è diventato pontefice. Infatti padre Sorge, già direttore diCiviltà cattolica, è rimasto stupito dalla sua scelta di accettare il Papato. In passato, è vero, un gesuita come il cardinal Martini aveva accolto la nomina cardinalizia, ma solo perché il Papa glielo aveva imposto per obbedienza (è questa, infatti, l’unica deroga possibile al voto). Nessuno invece ha imposto a Bergoglio di accettare la carica di Papa. Nel suo caso, dunque, quel voto che fine ha fatto?
Il suo libro si occupa anche di Ratzinger e della sua rinuncia al papato. Quali possono essere, secondo Lei, le vere cause delle sue dimissioni? Forse la minaccia – a lui paventata – di uno scisma, della nascita di una Chiesa separata da Roma?
Sinceramente non ho mai capito bene quel passaggio. Dubito che sia stata una scelta dettata solo dalla vecchiaia: Ratzinger è un uomo perfettamente in salute, se si considera che ha 86 anni, e non è certo la prima volta che un Papa raggiunge un’età come la sua…
Come spiega, invece, la decisione di Ratzinger di rimanere papa emerito, conservando il grado, il titolo di «Sua Santità», la veste bianca e perfino lo stemma? È la dimostrazione che in realtà non esistono due pontefici, ma esiste ancora solo un papa, cioè Joseph Ratzinger?
«i tratta in effetti di una decisione inedita: tutti i papi che hanno rinunciato al pontificato prima di lui sono tornati cardinali, lui è rimasto papa emerito. E questa è una novità anche a livello giuridico, visto che non esiste una figura canonica del “papa emerito”. D’altronde, è singolare anche la sua declaratio, ossia il discorso con cui ha annunciato di lasciare il soglio petrino. Alcuni canonisti hanno scoperto che, in quel discorso, Ratzinger non fa alcun riferimento all’articolo che disciplina le dimissioni dal papato. Insomma: Benedetto XVI non ha inteso rinunciare al papato, ma solo al suo esercizio attivo. Questo potrebbe significare che lui è rimasto papa a tutti gli effetti. E la stessa rinuncia, in base alla formula pronunciata, sarebbe dunque invalidata. È evidentemente un groviglio giuridico e teologico da dipanare al più presto.
Lei parla anche della possibilità che lo stesso Bergoglio si ritiri, una volta venuta fuori la storia sull’irregolarità della sua elezione. Si aspetta davvero che Francesco faccia un passo indietro e torni in Argentina?
Tale possibilità l’ha alimentata lui stesso, ad esempio con gesti significativi come il rinnovo del passaporto argentino. Questo e altri segnali hanno fatto parlare dell’ipotesi che lui a 80 anni si ritiri e, a fronte della difficoltà di condurre la Chiesa, possa romanticamente tornare a Buenos Aires. Si tratta di un’ipotesi non peregrina.
Si svolge questo mese il Sinodo sulla famiglia. Si aspetta che emerga e vinca la linea proposta dal cardinale Kasper, e secondo alcuni appoggiata da Bergoglio, sulla possibilità di accedere all’Eucaristia per i divorziati risposati?
Durante l’ultimo Concistoro, l’85% dei cardinali ha bocciato questa linea, che forse coincide anche con la posizione di Bergoglio. Dovesse ora affermarsi, sarebbe una prospettive estremamente traumatica, che smentirebbe il Vangelo, San Paolo e il magistero stesso della Chiesa.
Da ultimo, le chiedo del suo travaglio interiore nello scrivere questo libro. È pronto ad affrontare, oltre ai lupi – cioè i nemici di sempre (progressisti e tradizionalisti) – anche i gufi che magari si augurano, come lei scrive, il suo «suicidio professionale», e gli avvoltoi e gli sciacalli, che si avventeranno sul libro e sull’autore per farlo a pezzi?
Sono da sempre abituato a scrivere quello che la mia coscienza mi dice. Nel 2006 scrissi un libro sul segreto di Fatima, e mi piovvero addosso invettive, contumelie. Poi però Papa Benedetto XVI mi diede ragione. Nel 2011 preannunciai suLibero che Benedetto si sarebbe dimesso, una volta compiuti gli 85 anni. Anche in quel caso ricevetti attacchi, cattiverie. Poi però la mia anticipazione si rivelò vera. Stavolta sta succedendo la stessa cosa: mi insultano ancora prima di leggere il libro. Tra qualche tempo però, chissà…
© L’intrapedente (4 ottobre 2014)