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4. Imparare dalla storia –

Se la storia, e anche la storia della Chiesa, non si accontenta di apparire come una raccolta di episodi più o meno edificanti, e di tanto in tanto anche divertenti o scandalosi, ma per i suoi risultati avanza anche la pretesa di una rilevanza teologica, allora occorre interrogarsi sulle conclusioni teologiche che emergono dalla disputa sul matrimonio di Lotario II appena raccontata. Non sarà però possibile tener conto di un aspetto dell’evento citato, ovvero la domanda sul tipo e sull’estensione dell’esercizio della giurisdizione papale da parte di Niccolò I.

Ci limiteremo dunque alle affermazioni che possono essere fatte riguardo alla comprensione dell’indissolubilità del matrimonio.Ernst Daßmann scrive in merito all’atteggiamento della Chiesa cristiana dei primordi su questo punto: «Una portata che difficilmente può essere sottovalutata per il configurarsi del matrimonio e della vita familiare cristiana la ebbero il divieto assoluto dell’adulterio, che valeva in egual misura per uomo e donna, nonché il diritto alla vita del bambino, anch’esso riconosciuto senza limitazioni ... Per principio era respinto anche il divorzio; tuttavia a questo riguardo il giudizio variava sul modo in cui doveva comportarsi la parte cristiana nel caso di adulterio dell’uomo o della donna e se al coniuge tradito o abbandonato dovesse essere permesso un nuovo matrimonio».

Come già detto, però, il problema si poneva solo in caso di matrimonio tra battezzati e non battezzati. Questa norma autenticamente cristiana non urtava solo contro la realtà di vita della società antica mediterranea greco-romana. Una situazione analoga risultava pure quando la comprensione sacramentale, e quindi l’esigenza di unità e di indissolubilità del matrimonio cristiano, da essa inscindibile, era messa a confronto con le strutture sociali precristiane dell’ambito culturale germanico-celtico.Ebbe così inizio anche un processo nel corso del quale il concetto cristiano di matrimonio cercò d’imporsi sulle forme e sulle norme matrimoniali precristiane tramandate dalle popolazioni ormai convertite alla fede in Cristo. Considerando la posizione sociale delle persone coinvolte nel caso preso in esame e le dimensioni del conflitto, che abbracciava sia la politica sia la Chiesa, non è esagerato considerare la disputa sul matrimonio del re franco una pietra miliare nel lungo processo di affermazione delle norme matrimoniali cristiane.

Nell’esaminare le diverse tappe di tale processo, notiamo che sotto l’aspetto fondamentale, quello teologico, non vi erano dubbi, ma erano grandi le incertezze nell’applicazione dell’insegnamento cristiano sul matrimonio a casi concreti, che continuavano a presentarsi in una situazione sociale caratterizzata dalla tradizione pagana.Di fatto, a questo proposito troviamo vescovi, sinodi, che hanno creduto di poter sciogliere matrimoni e consentirne di nuovi, proprio come è accaduto nel caso appena descritto. Quest’osservazione potrebbe portarci a ricordare una formula, forgiata dalla canonistica illuminista: Olim non erat sicun tempo non era così.Applicato al presente: un tempo esisteva il permesso di risposarsi dopo il divorzio!
C’è quindi un motivo che impedisce, nella situazione attuale e dinanzi alle difficoltà pastoralidel presente, di ritornare ad una posizione già presa in passato ed ammettere una prassi “più umana” – come si direbbe oggi – di divorzio e nuovo matrimonio?
Si pone così una domanda di grande portata teologica. La sua importanza emerge quando ricordiamo che già nell’ambito della teologia ecumenica si è argomentato in modo analogo.

Non si potrebbe – è questa la domanda in quell’ambito – convincere più facilmente l’ortodossia alla riunificazione se si ritornasse allo stato dei rapporti tra Oriente e Occidente prima delle scomuniche del 1054?Già intorno alla metà del XVII secolo, inoltre, è chiamato in causa – e più precisamente dai teologi della cosiddetta ortodossia luterana e della scuola di Helmstädt, più vicina a Melantone –, il modello di riunificazione del cosiddetto consensus quinquesaecularis: ritorno, cioè, a quella situazione della dottrina della fede e della Chiesa che vigeva nei primi cinque secoli e riguardo alla quale oggi non esistono controversie!Idee davvero affascinanti!
Ma offrono veramente una chiave per risolvere il problema?
Solo in apparenza!
Non per niente la storia li ha ignorati e la loro legittimazione teologica poggia su piedi d’argilla. La tradizione nel senso tecnico-teologico del termine non è una fiera delle antichità dove poter scegliere e acquistare determinati oggetti ambiti!La traditio-paradosis è piuttosto un processo dinamico di sviluppo organico conformemente – mi sia consentito il paragone – al codice genetico insito nella Chiesa. Si tratta però di un processo che non trova corrispettivi adeguati nella storia profana delle forme sociali umane, negli Stati, nelle dinastie e così via.
Proprio come la Chiesa stessa è un’entità sui generis priva di analogie, anche le sue scelte di vita non sono paragonabili, sic et simpliciter, con quelle di comunità puramente umane e mondane. Piuttosto, qui sono decisivi i dati della rivelazione divina.

Da questa risulta l’indefettibilità della Chiesa, ovvero il fatto che la Chiesa di Cristo, per quanto riguarda il suo patrimonio di fede, i suoi sacramenti e la sua struttura gerarchica fondata sull’istituzione divina, non può avere uno sviluppo che mette in pericolo la sua stessa identità.Ogniqualvolta si prende sul serio nella fede l’azione dello Spirito Santo, che abita nella Chiesa e che, secondo la promessa del Divin Maestro, la guiderà alla verità tutta intera, appare ovvio che il principio olim non erat sic non appartiene alla natura della Chiesa e pertanto non può essere determinante per lei!Ma se i sinodi sopramenzionati, allora, effettivamente autorizzarono Lotario II a risposarsi, non era anche quella una decisione guidata dallo Spirito Santo? Non era forse espressione della paradosis?A ciò risponde la domanda sulla forma concreta e la competenza di quei sinodi.

È vero che essi non hanno preso decisioni dottrinali, né hanno emanato leggi, tuttavia, hanno preteso di giudicare, e questo non in materia puramente giuridica, bensì sacramentale. Nel caso esaminato, però, i sinodi non erano affatto liberi, e data la pressione subita da parte del re, indubbiamente dovevano essere considerati di parte, se non addirittura corrotti. La loro dipendenza da Lotario II portò ad una accondiscendenza tale ai desideri del re, da spingere i vescovi perfino a violare il diritto ed a corrompere dei legati pontifici.Tenuto conto delle circostanze e di altre irregolarità, era evidente che questi sinodi avevano fatto tutto tranne che amministrare la giustizia. Proprio da questo genere di esperienza derivava la norma del diritto canonico che toglieva ai tribunali ecclesiastici territoriali la competenza per le cause riguardanti i detentori del massimo potere dello Stato ed indicava quale unico foro competente il tribunale del papa (can. 1405 c.i.c. 1983).
Nel caso illustrato, si aggiunge come ulteriore criterio decisivo la valutazione negativa, senza compromessi, del papa su tali sinodi, al loro modo di procedere ed al loro giudizio finale.Non si può quindi pensare neanche lontanamente che questa assemblea – ed altre similari – possa essere un luogo dove cogliere la tradizione autentica e vincolante della Chiesa.Certo, non solo i concili generali ma anche i sinodi particolari possono formulare laparadosis in modo vincolante.
Tuttavia, possono farlo solo se corrispondono essi stessi alle esigenze sia formali sia contenutistiche della tradizione autentica. Questo, però – è bene ribadirlo – non era il caso per quanto concerne le assemblee di vescovi qui esaminate.

5. Conclusione – 

Nel trarre le fila del ragionamento appena esposto, in conclusione, consentitemi di rispondere ad una possibile obiezione che taluno potrà sollevare e che corrisponde allo schema interpretativo di una “storia dei vincitori”, più vicino al pensiero storico marxista.
Con ciò s’intende dire che lo sviluppo effettivo della dottrina, del sacramento e della costituzione della Chiesa non doveva svolgersi necessariamente, ovvero per forza di cose, come di fatto si è svolto. Che altre impostazioni, forse opposte, non siano riuscite ad imporsi, è piuttosto il risultato di congiunzioni storiche, ovvero di rapporti di poteri, casuali.
Naturalmente, questo modo di considerare gli eventi della storia della Chiesa, ed i risultati degli stessi, consentirebbe di ritenere questi ultimi quali meri prodotti casuali della relatività loro propria. In altre parole, si potrebbe ribaltarli in qualsiasi momento ed imboccare altre vie.Ciò però non è possibile se alla base si pone la comprensione autenticamente cattolica della Chiesa, così come espressa da ultimo nella costituzione Lumen gentium del concilio Vaticano II.

A tal fine è necessario – come già osservato – che la Chiesa possa essere certa dell’aiuto costante dello Spirito Santo, che è il suo principio vitale più intimo, il quale garantisce ed opera la sua identità nonostante tutti i cambiamenti storici.Così, dunque, lo sviluppo effettivo del dogma, del sacramento e della gerarchia del diritto divino non sono prodotti casuali della storia, ma sono guidati e resi possibili dallo Spirito di Dio. Per questo è irreversibile e aperto solo in direzione di una comprensione più completa. La tradizione in tal senso ha pertanto carattere normativo.Nel caso esaminato, ciò significa che dal dogma dell’unità, della sacramentalità e dell’indissolubilità, radicati nel matrimonio tra due battezzati, non c’è una strada che porti indietro, se non quella – inevitabile e per questo da rigettare – del ritenerli un errore dai quali emendarsi.
Il modo di agire di Niccolò I nella disputa sul nuovo matrimonio di Lotario II, tanto consapevole dei principi quanto inflessibile ed impavido, costituisce una tappa importante sul cammino per l’affermazione dell’insegnamento sul matrimonio nell’ambito culturale germanico.
Il fatto che il papa, come anche suoi diversi successori in occasioni analoghe, si sia dimostrato avvocato della dignità della persona e della libertà dei deboli – per la maggior parte erano donne – ha fatto meritare a Niccolò I il rispetto della storiografia, la corona della santità ed il titolo di Magnus.












Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)