00 09/06/2014 18:30

VI


NIEGOWIC: UNA PARROCCHIA DI CAMPAGNA



Appena giunto a Cracovia, trovai nella Curia metropolitana il primo «incarico di lavoro», la cosiddetta «aplikata». L'Arcivescovo era allora a Roma, ma aveva lasciato per iscritto la sua volontà. Accettai la destinazione con gioia. Mi informai subito come giungere a Niegowic e mi detti da fare per essere là nel giorno stabilito. Andai da Cracovia a Gdów in autobus, da lì un contadino mi diede un passaggio con il carretto verso la campagna di Marszowice, dopo di che mi consigliò di prendere a piedi una scorciatoia attraverso i campi. Scorgevo già in lontananza la chiesa di Niegowic. Era il tempo della mietitura. Camminavo tra campi di grano con le messi in parte già mietute, in parte ancora ondeggianti al vento. Quando giunsi finalmente nel territorio della parrocchia di Niegowic, mi inginocchiai e baciai la terra. Avevo imparato questo gesto da San Giovanni M. Vianney. In chiesa sostai davanti al Santissimo Sacramento e poi mi presentai al parroco, Mons. Kazimierz Buzala, decano di Niepolomice e parroco di Niegowic, il quale mi accolse molto cordialmente e dopo un breve colloquio mi mostrò l'abitazione del vicario.


Cominciò così il lavoro pastorale nella mia prima parrocchia. Esso durò un anno e consisteva nelle mansioni tipiche di un vicario ed insegnante di religione. Mi furono affidate cinque scuole elementari nelle campagne appartenenti alla parrocchia di Niegowic. Vi venivo condotto con un carretto o con il calesse. Ricordo la cordialità degli insegnanti e dei parrocchiani. Le classi erano tra loro abbastanza diverse: alcune bene educate e tranquille, altre assai vivaci. Ancora oggi mi capita di ripensare al silenzio raccolto che regnava nelle classi, quando durante la Quaresima parlavo della passione del Signore.


In quel periodo la parrocchia di Niegowic si preparava alla celebrazione del cinquantesimo anniversario della Ordinazione sacerdotale del parroco. Poiché la vecchia chiesa risultava ormai inadeguata alle necessità pastorali, i fedeli decisero che il dono più bello per il festeggiato sarebbe stato la costruzione di un nuovo tempio. Ma io fui presto sottratto a quella bella comunità.


A San Floriano in Cracovia


Dopo un anno, infatti, fui trasferito nella parrocchia di San Floriano a Cracovia. Il parroco, Mons. Tadeusz Kurowski, mi affidò la catechesi nelle classi superiori del liceo e la cura pastorale tra gli studenti universitari. La pastorale universitaria di Cracovia aveva allora il suo centro presso la chiesa di Sant'Anna, ma con lo sviluppo di nuove facoltà si avvertì il bisogno di creare un nuovo centro proprio presso la parrocchia di San Floriano. Cominciai lì le conferenze per la gioventù universitaria; le tenevo ogni giovedì e vertevano sui problemi fondamentali riguardanti l'esistenza di Dio e la spiritualità dell'anima umana, temi di particolare impatto nel contesto dell'ateismo militante, proprio del regime comunista.


Il lavoro scientifico


Durante le vacanze del 1951, dopo due anni di lavoro nella parrocchia di San Floriano, l'Arcivescovo Eugeniusz Baziak, che era succeduto nel governo dell'Arcidiocesi di Cracovia al Cardinale Sapieha, mi indirizzò verso il lavoro scientifico. Dovetti prepararmi per l'abilitazione alla libera docenza in etica e in teologia morale. Ciò comportò una riduzione del lavoro pastorale a me tanto caro. Mi costò, ma da allora mi preoccupai sempre che la dedizione allo studio scientifico della teologia e della filosofia non mi inducesse a «dimenticarmi» di essere sacerdote; piuttosto doveva aiutarmi a diventarlo sempre di più.




VII


CHIESA CHE SEI IN POLONIA, GRAZIE!



In questa testimonianza giubilare non posso non esprimere la mia gratitudine verso tutta la Chiesa polacca, all'interno della quale è nato e maturato il mio sacerdozio. E una Chiesa con una eredità millenaria di fede; una Chiesa che ha generato lungo i secoli numerosi santi e beati, ed è affidata al patrocinio di due Santi Vescovi e Martiri – Wojciech e Stanislaw. E una Chiesa profondamente legata al popolo e alla sua cultura; una Chiesa che ha sempre sostenuto e difeso il popolo, specialmente nei momenti tragici della sua storia. Ed è una Chiesa che in questo secolo è stata duramente provata: ha dovuto sostenere una lotta drammatica per la sopravvivenza contro due sistemi totalitari: contro il regime ispirato all'ideologia nazista durante la seconda guerra mondiale; poi, nei lunghi decenni del dopoguerra, contro la dittatura comunista, ed il suo ateismo militante.


Da entrambe le prove è uscita vittoriosa, grazie al sacrificio di vescovi, di sacerdoti e di schiere di laici; grazie alla famiglia polacca «forte in Dio». Tra i vescovi del periodo bellico non posso non menzionare la figura incrollabile del Principe Metropolita di Cracovia, Adam Stefan Sapieha, e tra quelli del periodo postbellico, la figura del Servo di Dio Cardinale Stefan Wyszynski. E una Chiesa che ha difeso l'uomo, la sua dignità e i suoi diritti fondamentali, una Chiesa che ha combattuto coraggiosamente per il diritto dei fedeli alla professione della loro fede. Una Chiesa straordinariamente dinamica, malgrado le difficoltà e gli ostacoli che ne intralciavano il cammino.


In tale intenso clima spirituale si è venuta sviluppando la mia missione di sacerdote e di vescovo. I due sistemi totalitari, che hanno tragicamente segnato il nostro secolo — il nazismo, da una parte, con gli orrori della guerra e dei campi di concentramento; il comunismo, dall'altra, col suo regime di oppressione e di terrore — ho potuto conoscerli, per così dire, dall'interno. E facile quindi capire la mia sensibilità per la dignità di ogni persona umana e per il rispetto dei suoi diritti, a partire daldiritto alla vita. E una sensibilità che si è formata già nei primi anni di sacerdozio e si è rafforzata col tempo. E facile capire anche la mia preoccupazione per la famiglia e per la gioventù: tutto ciò è cresciuto in me organicamente proprio grazie a quelle drammatiche esperienze.


Il presbiterio di Cracovia


Nel cinquantesimo anniversario della mia ordinazione sacerdotale mi rivolgo col pensiero in modo particolare al presbiterio della Chiesa di Cracovia, di cui sono stato membro come sacerdote e poi capo come Arcivescovo. Mi si presentano davanti agli occhi tante figure di eminenti parroci e vicari. Sarebbe troppo lungo menzionarli uno per uno. A molti di loro mi univano e mi uniscono legami di sincera amicizia. Gli esempi della loro santità e del loro zelo pastorale mi sono stati di grande edificazione. Indubbiamente essi hanno esercitato una influenza profonda sul mio sacerdozio. Da loro ho imparato che cosa vuol dire in concreto essere pastore.


Sono profondamente convinto del ruolo decisivo che il presbiterio diocesano svolge nella vita personale di ogni sacerdote. La comunità dei sacerdoti, radicata in una vera fraternità sacramentale, costituisce un ambiente di primaria importanza per la formazione spirituale e pastorale. Il sacerdote, di regola, non può farne a meno. Lo aiuta a crescere nella santità e costituisce un appoggio sicuro nelle difficoltà. Come non esprimere, in occasione del giubileo d'oro, ai sacerdoti dell'Arcidiocesi di Cracovia la mia gratitudine per il loro contributo al mio sacerdozio?


Il dono dei laici


Penso in questi giorni anche a tutti i laici che il Signore mi ha fatto incontrare nella mia missione di sacerdote e di vescovo. Sono stati per me un dono singolare, per il quale non cesso di ringraziare la Provvidenza. Sono così numerosi che non è possibile elencarli per nome, ma li porto tutti nel cuore, perché ciascuno di loro ha offerto il proprio contributo alla realizzazione del mio sacerdozio. In qualche modo essi mi hanno indicato la strada, aiutandomi a capire meglio il mio ministero e a viverlo in pienezza. Sì, dai frequenti contatti con i laici ho sempre tratto molto profitto, ho imparato molto. C'erano tra di loro semplici operai, uomini dediti alla cultura e all'arte, grandi scienziati. Da tali incontri sono nate cordiali amicizie, delle quali molte durano ancora. Grazie a loro la mia azione pastorale si è come moltiplicata, superando barriere e penetrando in ambienti altrimenti difficilmente raggiungibili.


In realtà, mi ha accompagnato sempre la profonda consapevolezza dell'urgente bisognodell'apostolato dei laici nella Chiesa. Quando il Concilio Vaticano II parlò della vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, non potei che provare una grande gioia: ciò che il Concilio insegnava rispondeva ai convincimenti che avevano guidato la mia azione fin dai primi anni del mio ministero sacerdotale.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)