DIFENDERE LA VERA FEDE

Extra Ecclesiam nulla salus fuori della Chiesa non c'è salvezza

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    Caterina63
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    00 28/06/2014 14:31

       

    "Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha forse cambiato la precedente dottrina sulla Chiesa ?
    Risposta: Il Concilio Ecumenico Vaticano II né ha voluto cambiare né di fatto ha cambiato tale dottrina, ma ha voluto solo svilupparla, approfondirla ed esporla più ampiamente" (CdF 2007)
    "Perciò non possono salvarsi quegli uomini, i quali, pur non ignorando che la Chiesa cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria, non vorranno entrare in essa o in essa perseverare" (Lumen Gentium)

    Scrive Sant'Agostino: "L'uomo non può aver salute se non nella Chiesa Cattolica. Fuori della Chiesa può trovare tutto, tranne la salute: può avere autorità, può anche possedere il Vangelo, può tenere e predicare la fede col nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, ma in nessun luogo, se non nella Chiesa potrà trovare salvezza"  (Sermone ad Caesariens. Eccl. prebem. n.6).

    Che nella Chiesa vi sia questa Salvezza è perciò la Carità particolare che il Signore Gesù Cristo ha voluto consegnare ad Essa.

    Le due definizioni "fuori della Chiesa non c'è salvezza" e la Chiesa "Cattolica Romana", sono oggi abbondantemente fraintese, o estremizzate, a tal punto da non offrire più quella chiarezza necessaria alla comprensione non solo delle parole che esprimiamo, ma proprio del loro contenuto dottrinale nel progetto stesso di Dio, ed essere così usate in modo conflittuale tanto da dare origine alle divisioni.

     

    1. Perché si dice che fuori della Chiesa non c'è salvezza?

     

    Fin dai primi secoli la frase veniva usata per sottolineare la posizione assunta dagli eretici i quali, fondando nuove e false dottrine, intendevano così perseguire ugualmente quella salvezza che  Nostro Signore Gesù Cristo aveva invece affidato alla Sua Chiesa nelle vesti di quella autorità Apostolica della quale Pietro ne è il garante (1).

    Già Sant' Ireneo alla fine dell'anno 100 sottolinea una "comunione dottrinale fondamentale che tutte le chiese dovevano avere con il Vescovo di Roma", e dalle Chiese di Oriente nessuno si opponeva a questo "richiamo" anzi, sostenevano spesso le decisioni ultime dottrinali che la Chiesa di Roma assumeva e difendeva contro ogni forma eretica sull'interpretazione delle Scritture e sull'uso frequente dei testi apocrifi.

     

    Come mai, possiamo chiederci, la Chiesa ritenne necessaria questa specificazione?

     

    Perché secondo le conoscenze del momento tutta la Chiesa pensava che oramai il Vangelo si fosse diffuso in tutto il mondo; di conseguenza chi non l'avesse accettato, rifiutandolo, era posto fuori della salvezza. Tale opinione è attribuita al vescovo di Ruspe nel VI sec. tale Fulgenzio.

    Infatti l'insegnamento cattolico (ossia da Oriente ad Occidente) diventato insegnamento ufficiale di tutto il mondo allora conosciuto fino al Concilio di Firenze del 1442, usava l'interpretazione di Fulgenzio: non c'è salvezza fuori della Chiesa, intendendola quale necessità urgente per la conversione a Cristo, come se una certa evangelizzazione fosse terminata con il mondo conosciuto di allora.

     

    Ma quando nel 1492 si scoprì l'America, fu sempre iniziativa della Chiesa Cattolica (Roma) a rendersi conto che il mondo non solo era più vasto di ciò che allora si credeva, ma che vi erano e vi sarebbero state milioni e milioni di persone che ancora non conoscevano Gesù.. Ed anche prima, furono santi come Francesco d'Assisi, Caterina da Siena, Brigida di Svezia, Ignazio di Lojola, Francesco Saverio e tanti altri dell'epoca a far comprendere alla Chiesa stessa che tale frase doveva essere sempre insegnata, e che la salvezza era stata certamente seminata dalla Divina Provvidenza anche oltre i confini allora conosciuti e che, dunque, si trattava ora di capire in quale modo bisognava "andarle incontro" e in quale modo la Chiesa avrebbe dovuto farvi fronte. In questo senso, tale salvezza, la si trova principalmente in quel: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” (Mc. 16,15-16).

     

    La salvezza la si acquista in quel diventare missionari del Vangelo e in quel "accogliere" il Vangelo, ossia, convertirsi, rivestirsi di Cristo, ossia, ricevere il Battesimo.

    E' per questo che la Chiesa attribuisce ai Santi il grande ruolo di veri Riformatori della Chiesa: Essi non pongono mai in dubbio la dottrina, ma lavorano sulle interpretazioni affinché siano queste a corrispondere alla Dottrina e mai il contrario.

    E' doveroso sottolineare che in quell'epoca in cui si scoprivano altri "mondi", i più restrittivi ed intolleranti divennero invece proprio i Protestanti, e tanto per fare un esempio troviamo Calvino che istituì i "Tribunali": ogni politico doveva essere riconosciuto dalla chiesa calvinista per essere "salvato"....

     

    Ed è anche in quest'epoca l'irrigidimento della Chiesa d'Oriente che iniziò a parlare di "ortodossia", sostenendo un grave errore ogni forma di cedimento dottrinale, a cominciare proprio da questa frase, perciò essi stessi richiamandosi "Ortodossi", assunsero su di loro che fuori della loro Ortodossia non vi è salvezza.

    Ma tale termine l'assunsero gli stessi protestanti, aggirando però l'ostacolo, invece di chiesa dicevano "al di fuori delle Scritture, ossia il Cristo, non c'è salvezza" da qui l'estremizzazione e perfino spaccatura  dottrinale del Sola Fidei, Solo Chisto, Sola Scriptura (2)..

    Ma questa verità indiscutibile, cioè che senza Cristo non c'è salvezza, non risolveva il problema, e peggio che in passato, si assiste ad un aumento dell'obbligo alla conversione, ma ahimè snaturando il significato stesso della Chiesa nella quale è contenuta questa Salvezza, e per la quale è necessaria la conversione.

     

    E mentre Ortodossi e Protestanti assolutizzavano a sé la sede della Salvezza, la vera ed unica Chiesa di Cristo (la Chiesa Cattolica-romana dunque), iniziò a pensare a delle distinzioni tra i membri della Chiesa "in re" di fatto (- cioè battezzati) e i membri della Chiesa "in voto" di desiderio (- cioè persone di buona volontà, dal cuore buono e pulito, ma che per qualche incomprensione rimanevano fuori della Chiesa ma non per una colpa propria), cioè non per scelta volontaria...

    Gesù rivolgendosi agli Apostoli (colonne della Chiesa) li indica come assolutamente necessari per aderire a Lui e al Padre: “Chi ascolta voi, ascolta me. Chi disprezza voi disprezza me, ma chi disprezza me disprezza il Padre che mi ha mandato” (Lc. 10,16).

     

    A Pietro dice: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,18).

    Ancora sulla necessità di accogliere e ascoltare e di aderire agli Apostoli: “Se qualcuno non vi accoglie e non ascolta le vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete via la polvere dai vostri piedi.” (Matteo 10,14).

     

    Il Concilio Vaticano II (1962-1965) riepiloga il Magistero di sempre sottolineando che: ".... si rivolge quindi prima di tutto ai fedeli cattolici. Esso, basandosi sulla sacra Scrittura e sulla tradizione, insegna che questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza. Solo il Cristo, infatti, presente in mezzo a noi nel suo corpo che è la Chiesa, è il mediatore e la via della salvezza; ora egli stesso, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cfr. Gv 3,5), ha nello stesso tempo confermato la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano per il battesimo come per una porta.

    Perciò non possono salvarsi quegli uomini, i quali, pur non ignorando che la Chiesa cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria, non vorranno entrare in essa o in essa perseverare. (..) Non si salva, però, anche se incorporato alla Chiesa, colui che, non perseverando nella carità, rimane sì in seno alla Chiesa col «corpo», ma non col «cuore». Si ricordino bene tutti i figli della Chiesa che la loro privilegiata condizione non va ascritta ai loro meriti, ma ad una speciale grazia di Cristo; per cui, se non vi corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, non solo non si salveranno, ma anzi saranno più severamente giudicati..." (Lumen Gentium, 14).

     

    Giovanni Paolo II dice: “Solo nella Chiesa c’è la Verità” (Veritatis Splendor, II, 64).

     

    Possiamo quindi affermare che la necessità di dover specificare che "fuori della Chiesa non c'è salvezza", si è sempre resa necessaria fin dai primi secoli, per far fronte alle crescenti mistificazioni della Verità e dei contenuti della Salvezza stessa, queste perplessità nascono dal fatto poi che, soprattutto oggi, siamo in piena cultura relativista (non deve esistere nessuna verità assoluta) e soggettivista (ognuno può crearsi la verità che vuole).

    Prendendo il Magistero nella sua interezza, la Chiesa si presenta come assolutamente necessaria per la salvezza di ogni uomo.

     

    La famosa frase di origine patristica che dice: “extra Ecclesiam nulla salus”, ovvero: “fuori della Chiesa non vi è salvezza”, ebbene, questa frase è un’incontestabile verità di fede,  lo è perché è stata continuamente ripetuta dai Padri e dal Magistero.

     

    Con San Cipriano (200-258) abbiamo anche la simbologia dell'arca vista come la Chiesa che fa salire, entrare al suo interno ogni specie affinché tutti si salvino dal diluvio: “Fuori dell’arca, il diluvio e la morte; fuori della Chiesa, la dannazione.” (3)

     

    Genesi 6 spiega i dettagli sul diluvio e il motivo: "Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo". Si legga anche sulla corruzione del genere umano: Es 34,15-16/ 2Cor. 6,14-18/ Sal.14,1-4/ Rm.3,10-18..

    E spiega come dovesse essere costruita l'arca, si legga anche:  Gb 22,15-17/ Os 4,1-3/ Eb 11,7/ 1Pt. 3,19-20/ Gb 22,15-17/ Os 4,1-3.

    "Ma io stabilirò il mio patto con te; tu entrerai nell'arca: tu e i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli con te.  Di tutto ciò che vive, di ogni essere vivente, fanne entrare nell'arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te; e siano maschio e femmina..." (Gn.6,18-19).

     

    Con il Nuovo Testamento abbiamo la chiave di lettura di questi fatti: Gesù Cristo è la Nuova Alleanza definitiva fra l'uomo e Dio e nel Suo Corpo, che è la Chiesa, è la nostra arca di salvezza dalle tempeste del mondo, in questo Corpo è contenuta la pienezza di questa Salvezza che s'irradia nel mondo.

    Dice San Girolamo (347-420): “So che la Chiesa è stata edificata su quella pietra (la Cattedra di Pietro). Chiunque mangi l’agnello fuori di questa casa è profano. Se qualcuno non sarà nell’arca di Noé, perirà nel diluvio.” (4)

     

    Dice infatti Gesù: “Se non vuole ascoltare nemmeno loro, và a riferire il fatto alla comunità dei credenti. Se poi non ascolterà neppure la comunità, consideralo come un pagano o un estraneo” (Mt. 18,17).

     “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto quello che io vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt. 28,19-20).

     

    Non si può dire di essere con Gesù se, volontariamente, si vuole stare fuori del Suo Corpo, o peggio, combatterlo ritenendo la santa Chiesa un pericolo per le persone.










    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 28/06/2014 14:33

      Viene ora spontanea un altra domanda: ma quante chiese abbiamo se tutte pretendono di "avere la salvezza"?


     


    Cominciamo con una onesta  distinzione perché è ovvio che non  in tutte "le Chiese" c'è salvezza dal momento che la Chiesa è "una, santa, cattolica ed apostolica", perciò è il concetto di Chiesa che va chiarito.


    Se leggiamo il N.T. osserviamo un riferimento alla "Chiesa", ma anche "alle Chiese", la distinzione dunque va fatta tra :



    1) la Chiesa Cattolica Universale (con quella Ortodossa che è separata ma non costituisce una Chiesa a parte);

    2) e le Chiese locali o "particolari" (tra le quali rientrano quelle ortodosse con propri riti ma in comunione con Pietro, e le chiese nelle varie Diocesi con il proprio Vescovo legittimo e in comunione con Pietro sparse sul terriotorio, nel mondo,  per esempio la Chiesa Ambrosiana...)

    3) le Comunità cristiane: queste non sono "chiese" e derivano dalla divisione luterana-protestante-anglicana-calvinista... si dicono "cristiane" perchè hanno conservato, in qualche modo, la medesima dottrina sulla Santissima Trinità, l'Incarnazione di Dio, morte e risurrezione di Gesù Cristo, ma non sono "chiese".

     

    A tal conferma, nel 2007, uscì un Documento della CdF che con cinque domande e 5 risposte tagliava, come si suol dire, la testa al toro, leggiamo:

     

    Primo quesito: Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha forse cambiato la precedente dottrina sulla Chiesa ?

     

    Risposta: Il Concilio Ecumenico Vaticano II né ha voluto cambiare né di fatto ha cambiato tale dottrina, ma ha voluto solo svilupparla, approfondirla ed esporla più ampiamente.

     

    Quinto quesito: Perché i testi del Concilio e del Magistero successivo non attribuiscono il titolo di "Chiesa" alle Comunità cristiane nate dalla Riforma del 16° secolo ?

     

    Risposta: Perché, secondo la dottrina cattolica, queste Comunità non hanno la successione apostolica nel sacramento dell’Ordine, e perciò sono prive di un elemento costitutivo essenziale dell’essere Chiesa. Le suddette Comunità ecclesiali, che, specialmente a causa della mancanza del sacerdozio ministeriale, non hanno conservato la genuina e integra sostanza del Mistero eucaristico, non possono, secondo la dottrina cattolica, essere chiamate "Chiese" in senso proprio.

    si legga il testo integrale qui)


    La realtà è perciò la seguente:

     

    La Chiesa Cattolica-Romana è quell'una, santa ed apostolica, da questa unica Chiesa rappresentata ininterrottamente dal Vescovo di Roma e dai Patriarchi d'Oriente fin dall'inizio in comunione con lui, esistono le "chiese locali-particolari" sulle quali vigila un Vescovo che è in comunione con "Pietro" e che da lui riceve il "mandato" per vigilare su quelle comunità, ma ahimè,  molte delle quali hanno poi dato origine alle divisioni, alle lacerazioni.

    Non dimentichiamo a tal proposito la stessa Preghiera di Gesù a favore dell'unità:

    "Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato". (Gv.17,1-25), ed anche a quella Preghiera singolare ed unica che Gesù confida di aver fatto per Pietro: "Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc.22,31-32).

     

    Alcune divisioni sono sorte proprio sulle eresie anche se oggi solo apparentemente sconfitte, altre divisioni si sono avute su questioni più prettamente territoriali e politiche....

    Se leggiamo dagli apostoli, san Paolo esprime chiaramente un aspetto fondamentale: 
    egli pur scrivendo a diverse chiese: Corinto, alle Chiese in Galazia, ai Tessalonicesi, ecc.... fa comprendere il ruolo delle "chiese locali" che però non vivevano di vita propria, ma bensì dovevano obbedire all'insegnamento degli Apostoli, fonte dell'unità.

    Queste Chiese non si fondavano assolutamente sulla falsa dottrina protestante del Sola Scriptura, ma dovevano seguire fedelmente le dottrine degli Apostoli i quali, colonne della Chiesa universale, garantivano l'unità nell'insegnamento, perciò è da essi che traevano i Sacramenti della salvezza e di conseguenza è dalla Chiesa in cui abita Pietro con i Successori degli apostoli ad essere quell'Unica Chiesa dalla quale  proviene la salvezza per sé e per le altre comunità in comunione con loro.

    Gli Apostoli, così, fanno comprendere da subito che la Chiesa certamente è formata dall'assemblea dei fedeli che si riuniscono, ma in questa Chiesa Universale si è "universali"(=cattolici) solo se vi è comunione nell'insegnamento dottrinale della Scrittura con la Tradizione, ossia con la "loro" parola alla quale devono, gioco forza, ritrovarsi tutte le Chiese "particolari", ed ogni confessione-comunità cristiana.

     

     In poche parole furono gli Apostoli che visibilmente imposero delle regole dottrinali e disciplinari per la vita delle comunità, mai lasciarono alle Chiese la libera interpretazione delle Scritture o l'invenzione di riti e liturgie.

    Perciò la Chiesa Cattolica Romana è l'unica che ancora oggi dimostra quella "universalità apostolica" dentro la quale "non esiste solo Roma", ma convivono dentro centinaia di Chiese locali e di Chiese particolari, come dimostra già nell'anno 80 d.C. san Clemente quando scrive alla Chiesa in Corinto per ricondurla all'unità dottrinale per mezzo dell'obbedienza ai presbiteri e al vescovo del luogo, da Clemente riconosciuto in comunione.


    Dice ragionevolmente la Lumen Gentium al n.26: che ognuna di queste Chiese è il Corpo di Cristo in un luogo particolare, in poche parole le Chiese non devono diventare una sorta di suddivisione territoriale amministrativa o come succursale locale di una catena di ristoranti "fast food".

    Ogni Chiesa fonda una comunità unita dalla fede e dal battesimo e che si trova in comunione mediante l'Eucarestia, mediante, dice san Paolo il "Deposito della fede" che è la viva Tradizione comune, che avviene per mezzo di ministri "confermati da Pietro", consacrati mediante l'Ordinazione sacra, ed inviati a nome di tutta la Chiesa universale per essere servizio alle comunità.

    Che si ritrovano insieme per ascoltare la Parola di Dio, commentarla, studiarla, nutrirsi del Corpo e Sangue di Gesù, attendere alle opere di carità per il sostentamento dei più deboli, per migliorare la società in attesa del ritorno del Signore Gesù, ecc..

     

    Sant'Ambrogio ferma TeodosioSant'Ambrogio ferma Teodosio

    La Chiesa Cattolica dunque non è per un capriccio che difende un primato, questo primato esiste ed è sotto gli occhi di tutti e quando si parla di "lacerazione del Corpo di Cristo", s'intende proprio parlare delle Chiese che si distaccarono dal Corpo.

    Un Corpo non puramente invisibile come molti oggi erroneamente vorrebbero la Chiesa, ma visibile come testimoniano gli apostoli quando parlano alle chiese del loro tempo.

    Ed è un primato che esercita una forma di  Carità dunque, quel praticare un atto verso gli infermi, i carcerati, gli anziani, i moribondi, gli ospiti, verso coloro nei quali avvertiamo un senso di antipatia, oppure che ci hanno offeso, una Carità volta a far conoscere il fondamento che la sostiene: Gesù Cristo.

    Seppur dovrebbe essere carità quotidiana, essa è particolare in quanto, applicandola, verrebbe ad alimentare le nostre virtù correggendo proprio i nostri peggior difetti.

     

    Così si legge in un catechismo del 1886 dalla diocesi di Trieste:

    "E' Carità particolare rivolgersi agli eretici, agli infedeli, ai pagani. Questa Carità è tipica della Santa Chiesa perché solo in Essa vi è salvezza, nessuna proposizione fu più di questa combattuta dagli eretici: la chiamano intolleranza papistica e furibondo fanatismo, ma si sbagliano.

    Questa forma di Carità è particolare perché Nostro Signore Gesù Cristo volle istituire con la Sua Chiesa un mezzo sicuro, ed efficace per trasmettere la Salvezza. Quando la Chiesa insegna questa Salvezza non intese mai dire che tutti gli altri che non appartengono alla Chiesa siano come eternamente dannati o perduti... ma solamente dice che la sola Chiesa di Gesù Cristo ha la potenza di condurre gli uomini alla certezza della salvezza. I mezzi per conseguire l'eterna salute sono quelli ordinari, ma anche quelli straordinari: i mezzi ordinari sono nelle mani della Chiesa e sono i suoi Divini Sacramenti, quelli straordinari sono nelle mani di Dio  e sono quelli che la Chiesa definisce "strade misteriose che conducono a Dio", tuttavia anche i mezzi straordinari si muovono in modo ordinato che ha nella Divina Eucaristia, la Santa Messa, il suo principio motore, e poi le Preghiere della Chiesa e dei fedeli, specialmente il santo Rosario. La Santa Chiesa vive, insegna ed applica la Carità particolare, tenendo bene a mente  tutto l'insegnamento di Gesù Cristo e non soltanto quel che torna comodo..."

     

    Ci piace concludere questi aspetti che abbiamo appena analizzato, e questa prima parte dell'argomento, con un buon articolo tratto in rete da "il settimanale di san Padre Pio":

     

    La Chiesa Cattolica, perciò,  da sempre ha affermato che chi si trova fuori della Chiesa senza colpa, non può, per questo, essere condannato.

    A riguardo di ciò si ipotizzano due possibili ignoranze: la cosiddetta dotta ignoranza e l’ignoranza invincibile.

    Per dotta ignoranza (significativa contraddizione: “dotta”/“ignoranza”) s’intende quella situazione in cui non si è mai ricevuto l’annuncio cristiano, per cui si è in uno stato d’ignoranza incolpevole, ma nello stesso tempo si desidera intimamente (ecco perché si parla d’ignoranza “dotta”) di aderire alla Verità che purtroppo non si conosce.

    Per ignoranza invincibile s’intende invece quella situazione in cui si è ricevuto l’annuncio cristiano, ma lo stato d’ignoranza è tale (invincibile appunto) che non si può superare. Per esempio, un uomo semplice completamente condizionato dal contesto ambientale e culturale e che quindi non ha la possibilità di capire dove sta la verità e dove sta l’errore.

    Queste ignoranze sono di due tipi, ma, spesso, vengono entrambe definite con l’aggettivo di “invincibili”.

    Cito un’affermazione del beato Pontefice Pio IX. L’affermazione è tratta dall’enciclica Singolari quidam del 17.3.1856 : “(…) nella Chiesa Cattolica, per il fatto che essa conserva il vero culto, vi è il santuario inviolabile della fede stessa, e il tempio di Dio, fuori del quale, salvo la scusa di una invincibile ignoranza, non si può sperare né la vita né la salvezza”.

      

    - Ma se ci si salva perché si è fuori dalla Chiesa ‘senza colpa’, allora vien meno il principio dell’ ‘extra Ecclesiam nulla salus’ (fuori della Chiesa non c’è salvezza)?

     

     - No, non c’è contraddizione.

     

    Condizione necessaria per far parte della Chiesa è ricevere il battesimo. E’ pur vero però che non esiste solo il battesimo-di-acqua (quello che viene amministrato ordinariamente), esistono anche il battesimo-di-sangue e il battesimo-di-desiderio.

    Il battesimo-di-sangue riguarda il martirio. Convertirsi da adulto significa ricevere il battesimo dopo un’adeguata preparazione; dunque, se intanto dovesse sopraggiungere il martirio, l’effusione del proprio sangue per Cristo conferisce il battesimo.

    Il battesimo-di-desiderio invece è più frequente. Un adulto è in attesa di ricevere il battesimo, ma intanto sopraggiunge improvvisamente la morte; ebbene, il desiderio di ricevere il battesimo, in questo caso, lo battezza.

    (..) In questo modo viene tanto salvaguardato il giusto principio che possano salvarsi coloro che, in buona fede, non sono cattolici, quanto il principio dell’extra Ecclesiam nulla salus.

    Riguardo il desiderio implicito, il sommo Pontefice San Pio X, nel suo celebre Catechismo, dice: “Chi, trovandosi senza sua colpa, ossia in buona fede, fuori della Chiesa, avesse ricevuto il Battesimo, o ne avesse il desiderio almeno implicito; cercasse inoltre sinceramente la verità e compisse la volontà di Dio come meglio può; benché separato dal corpo della Chiesa, sarebbe unito all’anima di lei e quindi in via di salute”.

     

    Che cosa significano anima e corpo della Chiesa?

     

    L’anima consiste in ciò che la Chiesa ha di interno e spirituale: la Fede, la Speranza, la Carità, i Doni della Grazia e tutti i tesori che si devono ai meriti di Cristo e dei Santi. Il corpo consiste invece in ciò che la Chiesa ha di visibile e di esterno: la società dei fedeli, il culto, il governo, la struttura, il ministero e l’insegnamento.

     

    Qual è il criterio che il Signore utilizza per capire se un’anima desidera davvero aderire a Lui?

     

    [...] Il criterio è lo sforzo di seguire la legge naturale.

    Scrive il beato Pio IX nell’enciclica Quanto conficiamur moerore del 10.8.1863: “A voi è assai noto che quelli i quali per ignoranza invincibile non conoscono la nostra religione, ma conoscono la legge naturale ed i suoi precetti da Dio scolpiti nei cuori di tutti e sono disposti ad ubbidire a Dio e menano una vita onesta, questi con l’aiuto della luce e della grazia divina possono conseguire la vita eterna; perchè Dio, il quale vede, scruta e conosce le menti, gli animi, i pensieri, le disposizioni di tutti, per ragione della sua somma bontà e clemenza non può assolutamente permettere che sia punito con eterni supplizi chi non sia reo di colpa volontaria”.

     

    Dunque, la legge naturale è quella legge che è conoscibile attraverso la ragione e che alberga nel cuore di ogni uomo indipendentemente dall’atto di Fede, e che se vogliamo possiamo ritrovare nei Dieci Comandamenti. Certamente per chi è cristiano, con l’aiuto della Grazia, è più facile l’individuazione e la pratica della legge naturale, ma non è impossibile per chi cristiano non è.

    Possiamo quindi dire che è sempre questa unica Chiesa Cattolica e questo Corpo visibile che nel corso dei secoli per varie circostanze volute o non volute, ha subito delle persecuzioni anche gravi, interne ed esterne al Corpo, ma nessuno di noi può dubitare delle parole del Fondatore: "e le porte degli inferi non prevarranno", se Gesù ha dato questa certezza, significa che l'ha data proprio per non lasciarci ingannare dalle false dottrine, per non lasciarci scoraggiare dalle divisioni, e per sottolineare che se esisteva un pericolo da Lui stesso fermato, esiste allora anche un luogo terreno, la Chiesa, contro la quale le potenze delle tenebre vorrebbero trionfare invadendola e annientandola, ma non ci riusciranno perché lo Sposo è fedele alle sue promesse ed ama la Sua Sposa.

     

    E per comprendere l'importanza della Chiesa e dello stare nella Chiesa, vi invitiamo a leggere : Perché sono ancora nella Chiesa, da una conferenza di Ratzinger del 1970.

     

    Due brevi parole per il termine "Cattolica Romana"

     

    Con il Protestantesimo, il termine "romana", ha iniziato ad essere usato in senso dispregiativo, persino oggi, quando le frange più radicali del protestantesimo moderno che sono i Pentecostali, per "romana" intendono la Chiesa che - secondo loro - sarebbe nata con Costantino (il Sacro Romano Impero) disconoscendo in tal senso il Primato petrino o, alla peggio, riconoscere in ciò - romana -, una denominazione fra le altre come potrebbe essere appunto: la Chiesa di Costantinopoli, in Russia, in America, in Francia e così via.

     

    Va ricordato che il  termine "Cattolica" - che vuol dire appunto universale - compare per la prima volta con Sant' Ignazio di Antiochia (I sec.) che si rivolge alla comunità di Smirne con questa espressione: «Là dove c'è Gesù Cristo ivi è la Chiesa Cattolica» (Ad Smyrnaeos, 8).

    Si noti bene la frase, non dice "Là dove c'è la Chiesa Cattolica ivi è Gesù Cristo" così da poter obiettare che la Chiesa di Cristo potrebbe trovarsi in qualunque altra confessione, o sotto altre forme, piuttosto è una affermazione questa: " Là dove c'è Gesù Cristo" che sancisce proprio quella Presenza reale nell'Eucaristia, Cuore e motore, identità della stessa Chiesa, e in questa Presenza reale esiste, vive, la Chiesa di Cristo, la "Sposa" come dice San Paolo, e universale, appunto.

    Era ovvio pertanto che questa Chiesa, che cammina ed opera nel mondo per evangelizzare, avesse avuto fin dal primo istante, un punto di riferimento altrettanto visibile e stabile (si legga in questa pagina i tre articoli dedicati a: Il Vicario di Cristo e il ruolo del Papa) verso il quale guardare.

     

    Per distinguere i Riti che si andavano diffondendo nell'uso delle due lingue principali di quei tempi (il greco e il latino) si usava distinguere la "Chiesa di rito greco" per l'Oriente e "Chiesa di rito latino" per l'Occidente.

    Quindi fin dal primo secolo questa unica  Chiesa Cattolica, che era tutta unita, ben si sapeva che alla sua guida visibile e per dipanare le questioni che sorgevano, c'era il Vescovo di Roma al quale si faceva ricorso come attestano i vari concili e sinodi.

     

    Dopo la Riforma Protestante e la Controriforma, il termine "Romana" rimase, oltre che per le questioni di governo, anche per sottolineare una forma affettiva e filiale al "Romano Pontefice" da parte dei fedeli cattolici, ossia, di tutto il mondo.

     

    Arrivederci alla seconda parte

     

    Sia lodato Gesù Cristo

    Sempre sia lodato

     

    **********

     

    NOTE

     

    1) Abbiamo già espresso in tre articoli l'essenza del papato, del ruolo petrino e di quell'essere Vicario di Cristo: prima parteseconda parte e terza parte.

     

    2) La questione di Lutero e la nascita del Protestantesimo

     

    3) San Cipriano De Unitate Ecclesiae, VI.

     

    4) San Girolamo Epistola ad Damasum, 2.




      continua la seconda parte





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 02/07/2014 22:54


    Dice ragionevolmente la Lumen Gentium al n.26: che ognuna di queste Chiese è il Corpo di Cristo in un luogo particolare, in poche parole le Chiese non devono diventare una sorta di suddivisione territoriale amministrativa o come succursale locale di una catena di ristoranti "fast food".

     

    SECONDA PARTE

     

    Se avete avuto la pazienza di leggere qui, la prima parte di questo argomento, vi chiediamo un ulteriore piccolo sforzo per raggiungere delle conclusioni.

     

    2. Che cosa è, o sarebbe, cambiato oggi nella Chiesa?

    Quale la corretta interpretazione alla svolta del Vaticano II?

     

    Ci faremo aiutare da un interessante passo riportato sulla rivista 30giorni del settembre 2000.

     

    «Si vuole riportare la Chiesa cattolica a Pio IX e al primo Concilio Vaticano» ha denunciato Hans Küng all’indomani della presentazione della Dichiarazione Dominus Jesus (5).

    E c’è stato anche chi, come Giancarlo Zizola sul Sole-24Ore, ha lasciato intendere che la Dominus Jesus abbia addirittura smentito innovazioni dottrinali appoggiate dal Papa: «Le posizioni sostenute dal documento della Congregazione per la dottrina [...] sembrano lasciare prive di sostanziali coperture, e dunque splendide nella loro solitudine, le innovazioni dottrinali appoggiate formalmente dal Papa».

     

    È lo stillicidio solito, ma non per questo meno efficace – gutta cavat lapidem –, di timori e scongiuri di fronte a un supposto ritorno a posizioni preconciliari. Si dice in sostanza: non è lecito ritornare alla dottrina precedente dopo le innovazioni introdotte dal Concilio Vaticano II (e ancora più audacemente da Giovanni Paolo II) nella dottrina della unicità e universalità salvifica di Cristo e della Chiesa.

     

    Prima di dibattere, però, se sia lecito o meno il ritorno a Pio IX logica vuole che ci si chieda se il Beato Pio IX in questa questione sia davvero rétro. 

     

    Monsignor Gérard Philips, autore della più autorevole esegesi della Lumen gentium (L’Église et son mystère, del 1967-68, che citeremo dalla traduzione in italiano della Jaca Book del 1975) commentando il numero 14 di essa, che tratta ex professo del nostro argomento, scriveva: «Certuni pensano che la Chiesa romana, che continua a considerarsi come la sola vera Chiesa, abbia però praticamente abbandonato il suo preteso monopolio di condurre gli uomini alla salvezza. Una tale asserzione non è esatta né dal punto di vista teologico né da quello storico» (p. 169).

     

    Da una parte, infatti, Philips dimostra (servendosi probabilmente di un lavoro precedente di Hugo Rahner - da non confondere con Karl) che il principio, che in prosieguo di tempo sarebbe stato espresso icasticamente con le parole extra Ecclesiam nulla salus (nessuna salvezza fuori della Chiesa), vigeva fin dall’antichità presso tutti i Padri.

    Da Ireneo a Cipriano, da Girolamo ad Agostino non c’è chi non lo abbia fatto proprio. Dall’altra, avverte che i Padri non intendono riferirsi «al fedele isolato che s’inganna in buona fede; quando questo si presenta, è oggetto della loro misericordia» (p. 172).

    Gli fa eco Henri de Lubac (in un testo dello stesso 1967, Paradoxe et mystère de l’Église): «Il celebre assioma extra Ecclesiam nulla salus non ebbe in origine presso i Padri della Chiesa quel senso generale che molti oggi pretendono; esso riguardava, in situazioni molto concrete, fautori di scismi, ribellioni, tradimenti» (pp. 152-153).

    Con questa intenzione, l’assioma sarà ripreso, in formulazioni conciliari e dogmatiche, dal Medioevo fino a Pio IX... 

    LA DISTINZIONE INTRODOTTA DAL BEATO PIO IX

     

    «Per quanto possa a prima vista stupire, è soprattutto a Pio IX e poi a Pio XII che dobbiamo un allargamento di orizzonti. Dopo aver insistito ancora una volta sull’adagio “fuori della Chiesa nessuna salvezza”, Pio IX [nella enciclica del 1863 Quanto conficiamur moerore] considera la situazione dell’uomo vittima di una ignoranza invincibile riguardo alla Rivelazione e alla Chiesa. Poiché Dio vuole la salvezza di tutti, è evidente che un tale uomo, rispettoso della legge naturale scritta da Dio nel cuore di ciascuno, può arrivare alla vita eterna» (Philips, p. 174).

     

    Pio IX introduce così la distinzione fra «gli “eretici materiali”, vale a dire uomini che in buona fede aderiscono a tesi eterodosse» (Philips, p. 175) e gli eretici o scismatici formali, cioè i nemici dell’unità, «consapevoli di strappare la tunica inconsutile rifiutando di restare nell’unica Chiesa cattolica» (Philips, p. 174). Heinrich Denzinger, nella celeberrima raccolta che porta il suo nome, commenta così questo passo fatto da Pio IX nella Quanto conficiamur moerore (DS2865-67): «È merito di Pio IX l’aver per primo introdotto esplicitamente questa distinzione nei documenti del Magistero».

     

    Pio IX innovatore? Ebbene sì.

     

    Non c’è da meravigliarsi che dalla custodia del deposito scaturisca un vero progresso religioso. Sembra venire a proposito qui quel che scriveva nel 1930 Giovanni Battista Montini, quando, giovane tra i giovani, opponeva l’amore alla Tradizione e quindi il progresso religioso all’utopia: «Guardarsi bisogna dall’utopia che la verità cercata si raggiunga per rivoluzione, piuttosto che per rinnovazione, per un amore cioè che è fedele al passato in ciò che ebbe di buono, in ciò che di grande creò e ideò, e che perciò sa aggiungere, modificare, migliorare. [...] Il protestantesimo negò la Chiesa e negò la Tradizione. Negò quindi il progresso religioso: tornò alle origini e si fissò nella lettera: incapace di restarvi, s’abbandonò ad una nuova tradizione: quella del dubbio che distrugge la fede da esso tanto magnificata. Fu una tradizione a ritroso. La Chiesa invece custodì il dogma, linea indefettibile della sua strada attraverso la storia. Custodì, come dice un suo santo dottore, Ireneo, il “depositum iuvenescens et iuvenescere faciens ipsum vas in quo est”: il deposito sempre giovane che fa ringiovanire».

     

    IL VENERABILE PIO XII DIFENDE LA DOTTRINA TRADIZIONALE DAI RIGORISTI

     

    Ma torniamo al nostro tema. Pio XII fece suo il progresso di Pio IX e distinse nella Mystici Corporis coloro che, «non appartenendo al visibile ordinamento della Chiesa» (ad adspectabilem non pertinent catholicae Ecclesiae compagem), pur tuttavia, «per un certo desiderio e un’aspirazione inconsci, sono orientati al mistico Corpo del Redentore» (inscio quodam desiderio ac voto ad mysticum Redemptoris Corpus ordinentur) da «quelli che si sono voluti separare o sono stati separati per colpe gravissime dalla compagine del Corpo» (a Corporis compage semetipsos misere separarunt vel ob gravissima admissa a legitima auctoritate seiuncti sunt): cosa che accade nel caso di scisma, eresia o apostasia (Mystici Corporis 102 e 20).

     

    Dunque, «quanto a quelli che sono nell’errore solo materialmente» commenta Philips «Pio XII è d’accordo che il loro votum basta per salvarli»(Philips, p. 178).

     

    Pio XII d’altra parte tratta la condizione di coloro che in atto non appartengono alla Chiesa come una condizione storico-esistenziale, quindi precaria, non come un’ipostasi ovvero una condizione posta una volta per tutte. È per questo che, seguendo il commento di Agostino al Vangelo di Giovanni, tiene presente l’eventuale, sempre possibile dinamica d’ingresso nell’unico ovile di Cristo di chi non vi fa parte: «È assolutamente necessario che ciò sia fatto di libera e spontanea volontà, non potendo credere se non chi lo vuole. Se alcuni non credenti vengono di fatto forzati a entrare nell’edificio della Chiesa, ad appressarsi all’altare, a ricevere i sacramenti, costoro, senza alcun dubbio, non diventano veri cristiani, poiché la fede senza la quale è impossibile piacere a Dio deve essere libero “ossequio dell’intelletto e della volontà” (Concilio Vaticano I, De fide catholica 3).

     

    E ancora continua Pio XII: - Se dunque dovesse talvolta accadere che, in contrasto con la costante dottrina di questa Sede apostolica (cfr. Leone XIII, Immortale Dei), taluno venga spinto suo malgrado ad abbracciare la fede cattolica, Noi non possiamo esimerci, per coscienza del nostro dovere, dall’esprimere la nostra riprovazione. E poiché gli uomini godono di libera volontà e possono anche, sotto l’impulso di perturbazioni d’animo e di perverse passioni, abusare della propria libertà, è perciò necessario che vengano attratti con efficacia alla verità dal Padre dei lumi per opera dello Spirito del suo diletto Figlio» (Mystici Corporis 103).

     

    Non potendo «l’attrazione efficace» essere prodotta dall’uomo, Pio XII lega finalmente il destino di salvezza di coloro che sono lontani dalla verità cattolica alla preghiera, non solo loro propria ma pure di coloro che appartengono alla visibile compagine della Chiesa (e con ciò lega anche modo Deo cognito – dirà il Vaticano II – gli uni agli altri): «Se ancora molti, purtroppo, vagano lontani dalla cattolica verità e non piegano l’animo all’afflato della grazia divina, ciò avviene perché né essi né i fedeli cristiani innalzano a Dio più ferventi preghiere a tal fine. Noi quindi vivamente e insistentemente esortiamo tutti coloro che sentono amore per la Chiesa affinché, seguendo l’esempio del divino Redentore, non cessino mai di elevare tali suppliche» (Mystici Corporis 104).

     

    Forse Pio XII era andato troppo avanti. E aveva irritato coloro che pensavano e pensano – contro Agostino che insegna che «non intratur in veritatem nisi per charitatem» (Contra Faustum 32, 18) – che per riconoscere salubriter (cfr. sempre Agostino, Sermone 68) la verità non ci sia bisogno di preghiera né di alcuna attrattiva di grazia.

     

    Infatti in contemporanea con l’uscita della Mystici Corporis si diffuse in alcuni centri di studio cattolici degli Stati Uniti un insegnamento «di una severità che nessun autore antico o medievale aveva mai sostenuto» (Philips, p. 174). Secondo tale insegnamento rigoristico i non cattolici, esclusi i catecumeni che hanno già espresso l’esplicito desiderio di entrare a far parte della Chiesa, sarebbero esclusi dalla salvezza eterna. Pertanto, in una lettera all’arcivescovo di Boston Richard J. Cushing dell’8 agosto 1949, il Sant’Uffizio ribadiva la dottrina della Mystici Corporis. Negando, da una parte, che ogni religione sia ugualmente (aequaliter) buona per salvarsi, e affermando, dall’altra, che in ordine alla salvezza eterna basta il voto implicito di aderire alla Chiesa.





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    00 02/07/2014 22:55




    IL VERO CONCILIO VATICANO II

     

    Il Concilio Vaticano II non ha operato cambiamenti in questa dottrina, ne in altre.. Al limite si potrebbe affermare che, riferendo le affermazioni di Pio IX e di Pio XII a coloro che «si sforzano di compiere con le opere la volontà di Lui conosciuta attraverso il dettame della coscienza», il numero 16 della Lumen gentium ha un po’ irrigidito i controlli alle frontiere.

    Forse è anche in relazione a tale volontarismo che l’allora professor Ratzinger scriveva nel 1969 che il desiderio implicito della Chiesa non può essere «identificato con una non ben precisata specie di buona fede e buona intenzione» (Il nuovo popolo di Dio, p. 380). Perché si finisce «poi facilmente nelle vicinanze di un pensiero pelagiano secondo il quale basterebbe in fondo la buona volontà dell’uomo per salvarlo» (ibidem).

     

    Ma il medesimo Concilio Vaticano II, nella Gaudium et spes 22, ha fatto sua, peraltro, una più umile e aperta prospettiva, rimettendo unicamente a Dio di conoscere quale sia il modo di salvare coloro che non appartengono alla Chiesa: «Poiché Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è realmente una sola, quella divina, dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo, nel modo che Dio conosce [modo Deo cognito], offra a tutti la possibilità [cunctis possibilitatem offerre] di essere associati al mistero pasquale».

    Nel De dono perseverantiae (6,12) Agostino, facendosi a sua volta discepolo di Cipriano, così che uno solo sia il Maestro, scriveva che siamo tutti più al sicuro se rimettiamo tutto nelle mani di Dio: «Tutiores vivimus si totum Deo damus».

     

    POSTILLA

     

    Ma riprendere in mano sant’Agostino in questa questione può aiutare anche a capire quale fosse e resti il centro della resistenza alla dottrina della unicità e universalità salvifica di Gesù Cristo e della sua Chiesa. E perché.

     

    Il giovane Ratzinger, in Volk und Haus Gottes in Augustins Lehre von der Kirche (citiamo dalla traduzione in italiano del 1971 Popolo e casa di Dio in Sant’Agostino), il suo primo libro, mostra che da sempre tale dottrina conosce una resistenza agguerrita presso quei «philosophi contra quorum calumnias defendimus civitatem Dei, hoc est eius Ecclesiam», come scriveva Agostino nel De civitate Dei XIII,16,1:

     

    «La purificazione dei cristiani non è un procedimento intellettuale, bensì si attua attraverso il sacramentum e la res in esso elargita; essa avviene come grazia dall’alto che prende l’uomo (cfr. Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni 26, 4-9). La più elevata ascesa dell’uomo ora si compie non altrimenti che mediante la discesa di Dio. La colpa dei filosofi è non volersi inserire in quest’ordine. Poteva rappresentare un grave problema per Agostino mantenere l’esclusività della salvezza della Chiesa anche rispetto ai filosofi. Infatti essi erano in qualche maniera giunti alla meta in quanto avevano cognizione del Dio trino [scrive Ratzinger a p. 237 nota 2, basandosi su De civitate Dei 10, 23, che «Agostino attribuiva ai neoplatonici una piena conoscenza della Trinità»].

    E l’incarnazione di Cristo e tutte le istituzioni salvifiche visibili erano solo mezzi per raggiungere tale meta (cfr. Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni 13, 4: “Per Christum hominem ad Christum Deum”).

    Si poteva forse fare obiezione a chi raggiungeva la meta senza il mezzo? A chi aveva il cuore in alto anche senza i segni esterni della Chiesa? Sì! Perché se ai filosofi non manca l’elevazione del cuore, il sursum cor, manca però il gratias agere, la risposta adeguata a Dio. “Conoscendo Dio non gli hanno dato gloria e non gli hanno reso grazie” (Rm 1, 21)» (p. 222).

     

     Per Christum hominem ad Christum Deum. Da un grazie umano reso a una realtà umana dipende la salvezza divina. Quel primo libro di Ratzinger si apriva con un grazie ai genitori che, nel percorso ad Christum Deum, a tutti fanno fare il primo passo: Meinen Eltern in Dankbarkeit zugeeignet.

     

    Per concludere

     

    La Chiesa Cattolica è necessaria per la salvezza!

     

    E possiamo dire con serenità che è dentro questa unica Chiesa, essendo "la Mistica Sposa ma anche Corpo di Cristo" che essa incarna la Presenza reale del Cristo dal quale avviene e si compie l'opera redentrice in favore di tutta l'umanità: l'Eucaristia. 
    Questa Chiesa essendo universale, prega, insegna e si esprime in concetto di universalità ed infallibilità, ma anche garante di suppliche a Dio e di Suffragi universali per i vivi e per i Defunti.

    Grazie a questa preghiera Universale che la Chiesa esprime mediante l'Eucarestia e gli altri Sacramenti, "tutte le genti" volenti o dolenti sono in qualche modo in relazione con la Chiesa Cattolica per mezzo non di meriti personali, ma per la grazia dello Spirito Santo che l'ha chiamata a questo scopo e servizio: segno visibile e strumento indispensabile per chiunque voglia accedere.

    "Chi non è contro di voi, è con voi".

    La cattolicità della Chiesa viene  affermata sin dai primi secoli del cristianesimo, soprattutto sulla scorta del Vangelo di san Giovanni.

     

    Lo stesso Papa Francesco, oggi, è ritornato più volte a ribadire gli stessi concetti che abbiamo analizzato in questo articolo, nella prima e nella seconda parte e citando Benedetto XVI ha detto:

    "Nella Chiesa non esiste il “fai da te”, non esistono “battitori liberi”. Quante volte Papa Benedetto ha descritto la Chiesa come un “noi” ecclesiale! Talvolta capita di sentire qualcuno dire: “Io credo in Dio, credo in Gesù, ma la Chiesa non m’interessa…”. Quante volte abbiamo sentito questo?

    E questo non va. 

    C’è chi ritiene di poter avere un rapporto personale, diretto, immediato con Gesù Cristo al di fuori della comunione e della mediazione della Chiesa. Sono tentazioni pericolose e dannose. Sono, come diceva il grande Paolo VI, dicotomie assurde. È vero che camminare insieme è impegnativo, e a volte può risultare faticoso: può succedere che qualche fratello o qualche sorella ci faccia problema, o ci dia scandalo…

    Ma il Signore ha affidato il suo messaggio di salvezza a delle persone umane, a tutti noi, a dei testimoni; ed è nei nostri fratelli e nelle nostre sorelle, con i loro doni e i loro limiti, che ci viene incontro e si fa riconoscere. E questo significa appartenere alla Chiesa. Ricordatevi bene: essere cristiano significa appartenenza alla Chiesa.

    Il nome è “cristiano”, il cognome è “appartenenza alla Chiesa”.

    Cari amici, chiediamo al Signore, per intercessione della Vergine Maria, Madre della Chiesa, la grazia di non cadere mai nella tentazione di pensare di poter fare a meno degli altri, di poter fare a meno della Chiesa, di poterci salvare da soli, di essere cristiani di laboratorio. Al contrario, non si può amare Dio senza amare i fratelli, non si può amare Dio fuori della Chiesa; non si può essere in comunione con Dio senza esserlo nella Chiesa..." (6)

     

    Nel V secolo san Vincenzo di Lérins definì con sapienziale  sintesi il concetto stesso di Cattolico: "Quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est" (Quel che si è creduto ovunque, sempre, da tutti gli uomini): dunque un vero e proprio universalismo spazio-temporale.

     

    Il termine Cattolico esprime un dato essenziale della rivelazione biblica: la Chiesa, fondata da Cristo, è universale perché aperta a tutti i popoli senza distinzione di razza, nazionalità, sesso e censo. "Andate ed insegnate a tutte le genti" (Mt. 28, 18). Il concetto è stato ripreso dal Concilio Vaticano II: "Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio … alla quale in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia, infine, tutti gli uomini dalla grazia di Dio chiamati alla salvezza" (Lumen gentium 2, 13).

     

    Dichiarato Doctor universalis insieme a san Tommaso d'Aquino, il vescovo sant'Alberto Magno, anch'egli domenicano, fu grande e fulgido esempio di evangelizzazione e predicazione della Verità.

     

    Per lui lo studio delle dottrine è concepito come "culto della Verità", come pratica ascetica, come perfezione umana e non come un campo di battaglia, ma piuttosto come campo di "apprendimento di tutte le virtù", sul quale combattere non contro le persone, ma per correggere i propri errori, abbandonare i vizi.

    L'errore, insegna sant'Alberto Magno, si  distrugge affrontandolo e prevenendolo, restando sommamente fedeli all'insegnamento etico e morale della santa Madre Chiesa.

    Non stiamo lavorando o vivendo per una unità in una chiesa o comunità qualsiasi, ma per giungere pienamente a quella salvezza che s'irradia dall'unica Chiesa Cattolica esistente, voluta ed abitata pienamente dal Suo Fondatore, Gesù Cristo, nostro Signore e nostro vero Dio.


    Sia lodato Gesù Cristo

    Sempre sia lodato

     

     

    NOTE

     

    1) Abbiamo già espresso in tre articoli l'essenza del papato, del ruolo petrino e di quell'essere Vicario di Cristo: prima parteseconda parte e terza parte.

     

    2) La questione di Lutero e la nascita del Protestantesimo

     

    3) San Cipriano De Unitate Ecclesiae, VI.

     

    4) San Girolamo Epistola ad Damasum, 2.

     

    seconda parte

     

    5) Benedetto XVI racconta i retroscena della Dominus Jesus

     

    6) Papa Francesco Udienza Generale del 25.6.2014

     

    Abbiamo già espresso in tre articoli l'essenza del papato, del ruolo petrino e di quell'essere Vicario di Cristo: prima parteseconda parte e terza parte.

     


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 06/02/2015 11:21

      Giovanni XXIII e i prodromi delle deviazioni operate dal Vaticano II.


     




    Il documento che segue conferma l'affermazione vaga di un lettore. Lo dobbiamo al diligente oltre che sapiente impegno di Paolo Pasqualucci; il che segna uno degli esempi più significativi della continuità e contiguità del nostro percorso di condivisione e di approfondimento sulla realtà ecclesiale che siamo chiamati a vivere. Dopo la lettera di Roncalli, preceduta dalla comunicazione che l'accompagna, pubblico quanto evidenziato dallo stesso Pasqualucci nella sua Sinossi degli errori imputati al Concilio Vaticano II, Editrice Ichthys, 2012 (pagg. 7-12) sulla Gaudet Mater Ecclesia, la famosa Allocuzione di apertura del concilio, che contiene i prodromi di quanto era già penetrato nella Chiesa attraverso il modernismo che diversi elementi confermano appartenere alle corde di colui che, forse non a caso, scelse il nome dell'ultimo papa conciliarista1... 


    Cara Maria,

     Nell'intervento successivo al mio [il quart'ultimo nella discussione in questo articolo] sulla questione dell'attesa per il 2017, di questa mattina, "Cattolico" menziona in modo vago il rifiuto di Roncalli nei confronti di un bulgaro che voleva convertirsi. La lettera che documenta l'episodio fu pubblicata anni fa da Repubblica, cui l'aveva data mons. Loris Capovilla. Essa dimostra che il rifiuto di convertire viene da lontano e che c'è continuità fra gli errori del recente passato e del presente. Siccome me l'ero a suo tempo ricopiata, ho pensato questo. Invece di inserirla io in una risposta integrativa a "Cattolico", perché non la pubblichi con il dovuto rilievo nel blog, richiamandoti alla sua attualità? Purtroppo, è attualissima. Fanno spavento soprattutto le parole finali, da me messe in corsivo, il cui concetto ritroviamo in tutta l'azione di Roncalli e nella celebre Allocuzione di apertura del Concilio. Te la invio qui in allegato.


    Lettera di A. Roncalli, 1926

    Mio caro amico,
    La sua lettera del 24 corrente mi rivela i suoi buoni sentimenti ed i desideri di mettere la sua vita a servizio del Signore.  Di ciò mi compiaccio.  Ella però è male informato circa gli scopi della mia visita in Bulgaria.  Il Santo Padre mi ha mandato qui per cooperare alla ristorazione della povera Chiesa cattolica di rito orientale in questo paese, costituita per lo più da poveri rifugiati della Tracia e della Macedonia, e per aiutare in generale i cattolici di rito orientale e di rito latino in Bulgaria.
    Una volta mi accadde di raccomandare per un istituto di carità di Torino un giovane orfano alunno del Seminario di Sofia.  Ma non mi sono mai interessato di altro.  Sono in verità molti i giovani, specialmente allievi dei Seminari ortodossi in Bulgaria, in Romania, in Jugoslavia, in Russi, che domandano di essere accolti dal Santo Padre nei Seminari di Roma.  Ma finora non fu presa alcuna decisione:  e credo che nessuna decisione si prenderà se non previe intelligenze col Santo Sinodo delle Chiese ortodosse nei vari paesi e coi Governi rispettivi. 
    Io non mi trovo quindi in condizione di corrispondere ai suoi desideri, mio caro amico. Poiché però ella me ne dà l’occasione lasci che io la inviti, come ho sempre fatto con tutti i giovani ortodossi che ebbi il bene di incontrare in Bulgaria, ad approfittare degli studi e della educazione che ella riceve nel Seminario di Sofia.  I cattolici e gli ortodossi non sono dei nemici, ma dei fratelli.  Abbiamo la stessa fede, partecipiamo agli stessi sacramenti, soprattutto alla medesima Eucaristia.  Ci separano alcuni malintesi intorno alla costituzione divina della Chiesa di Gesù Cristo.  Coloro che furono causa di questi malintesi sono morti da secoli.  Lasciamo le antiche contese, e, ciascuno nel suo campo, lavoriamo a rendere buoni i nostri fratelli, offrendo loro i nostri buoni esempi.  Ella apprenderà al Seminario molte cose, soprattutto l’amor di Gesù, lo spirito di apostolato e di sacrificio.  Più tardi, benché partiti da vie diverse ci si incontrerà nella unione delle Chiese per formare tutte insieme la vera ed unica chiesa di N.S. Gesù Cristo.
    Questo è ciò che posso dirle:  che ho detto a parecchi altri bravi giovani bulgari.  Mi dispiace di non poterle aggiungere altro, in conformità ai suoi desideri.  Teniamoci uniti colla preghiera, nel Signore.  Io le auguro di cuore ogni bene ed ogni letizia.
    Devotissimo suo
    Angelo Gius. Roncalli
    [La lettera fu passata da mons. Loris Capovilla al giornale quoditiano di sinistra “La Repubblica”, che la pubblicò in esclusiva il giorno  27 ottobre 1996.  Corsivi del relatore non dell’autore.]
    * * * *

    Errori nell'Allocuzione di apertura e nel Messaggio al mondo
    Paolo Pasqualucci, Sinossi degli errori imputati al Concilio Vaticano II, Editrice Ichthys, 2012 (pagg. 7-12) 

    Non pretendiamo che la nostra sinossi degli errori imputati al Vaticano II sia completa, tuttavia ci sembra di aver individuato un numero sufficiente di errori im­portanti, cominciando in via preliminare da quelli con­tenuti nell'allocuzione di apertura e nel messaggio del concilio al mondo del 20 ottobre 1962, testi che, pur non appartenendo formalmente al Concilio, l'hanno tuttavia indirizzato nel senso voluto dall'ala progressi­sta, cioè dai Novatori neo-modernisti.

    Allocuzione di apertura
    Il celebre discorso di apertura di Giovanni XXIII, ol­tre a diverse profezie clamorosamente smentite dai fatti ("la Provvidenza ci sta conducendo ad un nuovo ordine di rapporti umani che... si svolgono verso il compimen­to di disegni superiori e inattesi"), contiene tre veri e propri errori di dottrina.
     
    1° errore: una concezione mutila del Magistero.
    È contenuta nell'incredibile affermazione, riecheggia­ta da Paolo VI nel discorso di apertura della 2asessione del Concilio il 29 settembre 1963, secondo la quale la Santa Chiesa rinuncia a condannare gli errori: "Sempre la Chiesa si è opposta a questi errori [le false opinioni degli uomini - ndr]: spesso li ha anche condannati con la massima severità. Ora, tuttavia, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità. Essa ritiene di venire incontro ai bisogni di oggi mostrando la validità della sua dottrina, piuttosto che rinnovando condanne".
    Con questa rinuncia ad usare la propria autorità (che viene da Dio) per difendere il deposito della fede ed aiutare le anime con la condanna dell'errore che ne insidia l'eterna salute, Papa Roncalli veniva meno ai suoi doveri di Vicario di Cristo. La condanna dell'erro­re, infatti, è essenziale al mantenimento del deposito della fede (che è il primo dovere del Pontefice), dal mo­mento che essa conferma a fortiori la sana dottrina, di­mostrandone l'efficacia con una puntuale applicazione. Inoltre, la condanna dell'errore è necessaria dal punto di vista pastorale perché sorregge i fedeli, sia i colti che i meno colti, con l'autorità ineguagliabile del Magistero, della quale essi possono rivestirsi per difendersi dal­l'errore, la cui "logica" è sempre più astuta e più sottile della loro. Non solo: la condanna dell'errore può indur­re l'errante al ripensamento, mettendolo di fronte alla vera sostanza del suo pensiero: come è stato detto, la condanna dell'errore è ex sese opera di misericordia.
    Sostenere che questa condanna non debba più aver luogo, significa propugnare da un lato una concezione mutila del Magistero della Chiesa; dall'altro, sostituire al dialogo con l'errante, sempre perseguito dalla Santa Chiesa, il dialogo con l'errore. Tutto ciò configura un errore dottrinale, che nel testo di Giovanni XXIII sopra citato si manifesta nell'improprio accostamento fina­le, ove sembra alitare il pensiero che la dimostrazione della "validità della dottrina" sia incompatibile con la "rinnovazione delle condanne", come se quella validi­tà dovesse imporsi unicamente grazie alla forza della propria intrinseca logica. Ma in tal modo la fede non sarebbe più un dono di Dio, non avrebbe più bisogno né della Grazia per venire in essere e fortificarsi, né del­l'esercizio del principio di autorità, impersonato dalla Chiesa cattolica, per essere sostenuta. E questo è l'er­rore in senso proprio, nascosto nella frase di Giovanni XXIII: una forma di pelagianesimo, tipico di ogni con­cezione razionalistica della fede, pluricondannata dal Magistero.
    La dimostrazione della validità della dottrina e la condanna degli errori si sono sempre e necessariamen­te implicate a vicenda nella storia della Chiesa. E le condanne hanno riguardato non solo le eresie e gli er­rori teologici in senso stretto, ma implacabilmente ogni concezione del mondo che non fosse cristiana; non solo quelle avverse alla fede, ma anche quelle solo diverse, religiose e non, poiché "chi non raccoglie con Me, di­sperde", ha detto Nostro Signore (Mt. 12, 30).
    L'eterodossa presa di posizione di Giovanni XXIII, mantenuta dal Concilio e dal post-concilio sino ad oggi, ha fatto crollare - lo si nota già nei testi del Concilio - la tipica, ferrea armatura concettuale della Chiesa, ben presente un tempo anche ai suoi nemici e da alcuni di loro persino apprezzata: "L'impronta intellettuale della Chiesa è essenzialmente l'inflessibile rigore con cui i concetti e i giudizi di valore vengono trattati come sta­biliti, come aeterni" (Nietzsche).

    2° errore: la contaminazione della dottrina cat­tolica con il "pensiero moderno", intrinsecamente anticattolico.
    Alla proclamata rinuncia a trafiggere l'errore, a que­sta inaudita abdicazione, è connessa l'altra notissima e gravissima affermazione di Giovanni XXIII, da lui riba­dita nell'allocuzione natalizia ai Cardinali del 13 gen­naio 1963, secondo la quale la "penetrazione dottrinale" doveva aver luogo "in corrispondenza più perfetta di fedeltà all'autentica dottrina", la quale, tuttavia, doveva esser "studiata ed esposta attraverso le forme dell'inda­gine e della formulazione letteraria del pensiero mo­derno"2, poiché "altra è la sostanza dell'antica dottrina del depositum fidei ed altra è la formulazione del suo rivestimento: ed è di questo che devesi - con pazienza se occorre - tener gran conto, tutto misurando nelle forme e proposizioni di un magistero a carattere preva­lentemente pastorale".
    Questi concetti furono ripetuti espressamente dal concilio nel decreto Unitatis redintegratiosull'ecumeni­smo, art. 6 (v. infra).
    Il principio, già dei liberali e dei modernisti, che l'an­tica dottrina dovesse esser rivestita di una forma nuova, desunta dal "pensiero moderno", era già stato espres­samente condannato da S. Pio X (Pascendi 1907, § II, c; decr. Lamentabili, nn. 63 e 64 - Denz. 2064-5/3464­5) e da Pio XII (Humani Generis AAS 1950, 565-566). Papa Roncalli proponeva, perciò, una dottrina già for­malmente condannata come eretica (in quanto tipica dell'eresia modernista) dai suoi predecessori.
    Non è possibile, infatti, applicare alla dottrina cat­tolica le categorie del "pensiero moderno" il quale, in tutte le sue forme, nega a priori l'esistenza di una verità assoluta e per il quale tutto è relativo all'Uomo, unico suo valore assoluto, divinizzato in tutte le sue mani­festazioni (dall'istinto alla "coscienza di sé"). Un pen­siero, quindi, intrinsecamente avverso a tutte le verità fondamentali del Cristianesimo, a cominciare dall'idea di un Dio creatore, di un Dio vivente, che si è rivela­to ed incarnato, per finire al modo di intendere l'etica e la politica. Nel proporre una simile contaminazione, Giovanni XXIII si mostrava discepolo del "metodo" della neo-modernisticaNouvelle Théologie già condannato dal Magistero. Per esser veramente aderente ai biso­gni dei tempi, rapportati alla missione di salvezza della Chiesa cattolica, il Concilio avrebbe dovuto approfondi­re ulteriormente le condanne rivolte in passato dai Papi al pensiero moderno (da Pio IX a Pio XII) invece di dare in pasto a quest'ultimo "lo studio e l'espressione" della "autentica" e "antica" dottrina.

    3° errore: il fine della Chiesa è "l'unità del genere umano".
    Il terzo errore è nell'enunciazione dell'unità del ge­nere umano quale fine proprio della Chiesa: "Questo si propone il Concilio Ecumenico Vaticano II, il quale... quasi prepara e consolida la via verso quell'unità del genere umano, che si richiede quale necessario fonda­mento, perché la Città terrestre si componga a somi­glianza di quella celeste «in cui regna la verità, è legge la carità, l'estensione è l'eternità»" (cfr. S. Augustinus, Epist. 138, 3)».
    Qui "l'unità del genere umano" è considerata il fon­damento necessario (si noti il necessario) affinché la "città terrestre" assomigli sempre più a quella "celeste". Ma che l'espansione della Chiesa in questo mondo ne­cessitasse di quel fondamento non era mai stato in­segnato in passato, tanto più che il fine dell'unità del genere umano - unità affermata dal Papa simpliciter - è un'idea-guida della filosofia della storia elaborata, a partire del secolo XVIII, dal pensiero laico, una compo­nente essenziale della religione dell'Umanità, non della religione cattolica.
    L'errore consiste qui nel mescolare alla visione cat­tolica un'idea ad essa estranea, desunta dal pensiero laico, che ex sese la nega e la contraddice, poiché quel pensiero non mira certo ad estendere il Regno di Dio, per la parte che si attua in terra nella Chiesa visibile, ma a sostituire la Chiesa stessa con l'Umanità, convinto come è della dignità dell'uomo in quanto uomo (perché non crede al dogma del peccato originale) e dei suoi pretesi "diritti".
    Gli effetti negativi della mancata condanna degli er­rori del Secolo si fanno, dunque, sentire, quasi per una sorta di nemesi, anche nell'allocuzione che la propone, dal momento che essa degli errori del Secolo ne contie­ne almeno uno con certezza, accanto ai due più pro­priamente teologici.
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    Note di Chiesa e post concilio.
    1. Fu Baldassarre Cossa, papa negli anni (1410-1415) con una legittimità sospetta, che lo fece inserire tra gli antipapi (Giovanni XXIII), noto come esponente del cosiddetto movimento conciliare, una corrente che considerava il papa inferiore alla Chiesa universale ed anche all'autorità di un concilio.
    2. Sulla Gaudet Mater Ecclesia, vedi anche Il conflitto irrisolto di un altro valente studioso, il prof. Bernard Dumont, Direttore di Catholica. Stralcio il brano riguardante l'allocuzione di apertura del Concilio, con una mia notazione:
    [...] La missione attribuita al concilio era offrire risposte adeguate alle angosce nate da questa situazione, ma anche discernere le aspirazioni positive e dar loro una risposta in una formulazione appropriata. Tale era la ragion d'essere del carattere essenzialmente pratico di questo concilio, indicato con l'aggettivo « pastorale » ufficialmente attribuitogli. Giovanni XXIII era stato chiarissimo a questo riguardo : non si trattava di «discutere di alcuni capitoli fondamentali della dottrina della Chiesa, e dunque di ripetere con maggiore ampiezza ciò che Padri e teologi antichi e moderni hanno già detto», bensì di operare un aggiornamento (è uno dei significati della parola aggiornamento ripetuta così di frequente), un adattamento pedagogico : « È necessario che questa dottrina certa e immutabile, che dev'esser fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo da rispondere alle esigenze del nostro tempo. (Discorso d'apertura). La traduzione letterale della versione italiana comporta una variante : « [...] sia studiata ed esposta seguendo la ricerca e la presentazione usate dal pensiero moderno », formulazione ambigua, che può intendersi nel senso di una attenzione rivolta alla capacità di comprensione degli uditori oppure di un allineamento alla forme culturali dominanti dell'Occidente.*
    Ma un'ambiguità simile circonda la parola « exigence » nella versione francese. L’operazione era tanto più importante in quanto ci si trovava in presenza di un generale sconvolgimento del mondo di fronte al quale conveniva riflettere con tanta più forza quanto gli atteggiamenti adottati dopo il XIX secolo nei confronti della modernità si erano conclusi con successivi fallimenti sempre più evidenti, anche perché il discorso della Chiesa non era mai giunto ad esser formulato in termini immediatamente accessibili ai suoi destinatari.
    Perché questa intenzione pastorale non ha mai dato frutti? Perché tanti sforzi dispiegati non hanno permesso di trovare i mezzi per elaborare un modello rinnovato di comprensione della modernità, e dare un impulso decisivo ad una rinascita della cultura cristiana tale da imporre rispetto ? Ci si contenterà qui di considerare due punti : l’opzione iniziale che ha dato la sua tonalità ai lavori conciliari, e la difficoltà di comprendere l'ostinazione con cui la linea posta all'inizio non è stata modificata a dispetto della sua inefficacia.[...]
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    *[N.d.T.: Questa citazione si riferisce ad un'altra versione del testo, rispetto a quella pubblicata sul sito Vatican.va, sul quale appare la versione corrispondente a quella francese, vedi link sopra, peraltro confermata dal testo latino presente sul sito Vaticano. Non volendo, ci troviamo di fronte ad un dilemma: dello stesso discorso circolano due versioni diverse: questa* riporta la versione citata dal Prof Dumont. Non faccio commenti, ma se si confrontano le due versioni, la cosa è piuttosto intrigante]. 
    Il documento in pdf di cui al link sopra (testo originale dell'Allocuzione di Giovanni XXIII ripreso dal sito papagiovanni.com), consente di confermare la discrepanza; cito: «... studiata ed esposta attraverso le forme dell'indagine e della formulazione letteraria del pensiero moderno »]. E la cosa non finisce qui, perché il testo spagnolo presente sul sito Vatican.va conserva la formulazione riscontrata dall'originale italiano: «...estudiando ésta y exponiéndola través de las formas de investigación y de las fórmulas literarias del pensamiento moderno».
     

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)