"<Andò a sedersi sul letamaio> (Gb 2,8). Sedersi sul letamaio significa avere di sé un sentimento vile e spregevole (In sterquilinio quippe sedere est vilia de se quempiam et abiecta sentire). Per noi, sedere sul letamaio significa riportare gli occhi dello spirito a ciò che di male abbiamo commesso, pentendoci (in sterquilinio nobis sedere est ad ea quae illicite gessimus mentis oculis paenitendo reducere), affinché, mentre vediamo davanti a noi lo sterco dei peccati, abbassiamo ogni moto di superbia che sorge nell'animo. Giace sul letamaio colui che prontamente vede la propria debolezza e non si inorgoglisce dei beni che per grazia ha ricevuto (et sese de bonis quae per gratiam perceperit, non extollit)"
Commento morale a Giobbe, I, III, 60. Città Nuova Editrice/1, Roma 1992, p. 295.
"Coloro che intendono raggiungere sinceramente la vetta di una vita virtuosa, quando sentono parlare delle colpe degli altri, pensano subito alle proprie e giudicano quelle degli altri tanto più rettamente quanto più deplorano sinceramente le proprie. E, dal momento che ogni eletto si concentra sulla considerazione della propria debolezza, è giusto dire che un santo siede sempre dolente sul letamaio (dicatur recte quod vir sanctus in sterquilinio dolens sedet) come il beato Giobbe".
Commento morale a Giobbe, I, III, 61. Città Nuova Editrice/1, Roma 1992, p. 297.
"Giobbe significa <il Sofferente>. Egli è figura autentica del Servo sofferente descritto dal profeta (Iob...dolens veraciter per figuram dicitur), di Colui cioè che si è caricato dei nostri dolori (qui portare dolores nostros propheta attestante perhibetur)....Egli è giustamente chiamato Servo, perché non disdegnò di assumere la condizione di schiavo. E, assumendo l'umiltà della carne, non sminuì la propria maestà, perché assumendo ciò che voleva salvare e conservando ciò che era, l'umanità non sminuì la divinità né la divinità assorbì l'umanità (nec divina humanitate minuit, nec humana divinitate consupsit)".