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SANT'ALFONSO: GUAI A CHI NON VUOLE ABBANDONARE IL PECCATO E PENSA «TANTO DIO È MISERICORDIOSO»

Sant'Alfonso: guai a chi non vuole abbandonare il peccato e pensa «tanto Dio è misericordioso»

di Alfonso Maria de Liguori(Apparecchio alla morte - Inganni che 'l demonio mette in mente a' peccatori)

 

«Dice: “Dio è di misericordia”. Ecco il terzo inganno comune de' peccatori, per cui moltissimi si dannano. Scrive un dotto autore che ne manda più all'inferno la misericordia di Dio, che non ne manda la giustizia; perché questi miserabili, confidano temerariamente alla misericordia, non lasciano di peccare, e così si perdono. Iddio è di misericordia, chi lo nega; ma ciò non ostante, quanti ogni giorno Dio ne manda all'inferno! Egli è misericordioso, ma è ancora giusto, e perciò è obbligato a castigare chi l'offende. Egli usa misericordia, ma a chi? A chi lo teme. “Misericordia sua super timentes se... Misertus est Dominus timentibus se” (Ps. 102. 11. 13).

Ma con chi lo disprezza e si abusa della sua misericordia per più disprezzarlo, Egli usa giustizia. E con ragione; Dio perdona il peccato, ma non può perdonare la volontà di peccare. Dice S. Agostino che chi pecca col pensiero di pentirsene dopo d'aver peccato, egli non è penitente, ma è uno schernitore di Dio: “Irrisor est, non poenitens”. Ma all'incontro ci fa sapere l'Apostolo che Dio non si fa burlare: “Nolite errare, Deus non irridetur” (Gal. 6. 7). Sarebbe un burlare Dio offenderlo come piace, e quanto piace, e poi pretendere il paradiso». 

 



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IL FALLIMENTO DELL’ARROGANTE

 
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arrogante

Uno dei più grandi Padri della storia della Chiesa, Papa San Gregorio Magno, a proposito dell’arroganza così si espresse molti secoli fa: “L’insegnamento delle persone arroganti ha questo di particolare: che esse non sanno esporre con umiltàquello che insegnano, e anche le cose giuste che conoscono non riescono a comunicarle rettamente. Quando insegnano danno l’impressione di ritenersi molto in alto e di guardare di là assai in basso verso gli ascoltatori, ai quali sembrano far giungere non tanto dei consigli, quanto dei comandi imperiosi”.

Queste sagge parole, sempre attuali, possono riguardare chiunque non sappia mostrare con umiltà le proprie competenze adombrando addirittura le cose più belle e positive che ha da testimoniare. Chi sprofonda nell’arroganza è condannato a vivere accecato da alterigia e superbia. In questo senso l’immagine simbolica del “non vedente”, inconsapevole dei propri limiti, è quella più eloquente perché riflette il comportamento di quanti non si rendono conto dei rischi, anche gravi, che si può percorrere con la supponenza.

 

L’arrogante, rivestito di ruoli dirigenziali o di responsabilità, può recare gravi danni alla società. L’atteggiamento di superiorità, fino alla “strafottenza”, che permea il suo vissuto, rischia di trascinare nel baratro coloro che sono a lui legati. Questo grave difetto, se presente in un individuo oppure in una realtà civile o religiosa, genererà soltanto l’avversione e il disappunto dei molti; le vendette, probabilmente, saranno la risposta di chi prima aveva subito e incassato silenziosamente i colpi.

Eppure il termine “arrogare”, proveniente dal latino, significava “chiedere”. In particolare, nel diritto romano, voleva dire “domandare al popolo”. Più precisamente l’adrogatio era un istituto del diritto familiare tramite il quale un cittadino poteva adottarne un altro che non fosse vincolato a un’altra potestà paterna. Le procedure di adrogatio erano controllate dai Pontefici, dai Comizi curiati e dal popolo. Forse furono proprio gli abusi e le frodi che vennero perpetrati con questa pratica a far assumere alla parola la valenza negativa che oggi le viene attribuita.

Il termine, infatti, ci richiama immediatamente a chi si pone con superioritàopponendosi a qualsiasi forma di dialettica o messa in discussione. L’arrogante è convinto di avere ragione mortificando chiunque abbia davanti; il disprezzo è la conseguenza di chi imposta la propria vita nella dinamica della prepotenza. Il crudele obiettivo dell’arrogante è sempre il solito: il raggiungimento e la conservazione del potere. La prepotenza e l’affermazione di sé a discapito degli altri sono come le più brutte malattie, quelle che contagiano e danneggiano la collettività.

Quando l’arroganza diventa cronica e virale non lascia scampo e può rovinare le persone più intelligenti, più capaci e addirittura anche le più spirituali. Gli unici “medicinali” che potrebbero attenuare una tale metastasi sono rappresentati da parole ormai quasi cadute in disuso: umiltà, ravvedimento e pentimento. I credenti – e non solo – dovrebbero far tesoro delle parole di Papa Francesco che, al n. 34 dell’enciclica Lumen Fidei, afferma: “Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti”.

Purtroppo il nostro contesto socio-politico continua a mettere in luce il senso dell’arroganza, spesso mescolata a una scaltrezza più diabolica che evangelica; anche in questi giorni, in Italia, abbiamo assistito al fallimento di un tale “modus operandi”… ma, intendiamoci, ogni riferimento è puramente casuale.


[Modificato da Caterina63 12/12/2016 18:02]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)