DIFENDERE LA VERA FEDE

2014-2015 Anno dedicato ai Consacrati e Consacrate di vita attiva

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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 30/11/2014 10:43

    LETTERA APOSTOLICA 
    DEL SANTO PADRE FRANCESCO

    A TUTTI I CONSACRATI

    IN OCCASIONE DELL'ANNO DELLA VITA CONSACRATA

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    Carissime consacrate e carissimi consacrati!

    Scrivo a voi come Successore di Pietro, a cui il Signore Gesù affidò il compito di confermare nella fede i fratelli (cfr Lc 22,32), e scrivo a voi come fratello vostro, consacrato a Dio come voi.

    Ringraziamo insieme il Padre, che ci ha chiamati a seguire Gesù nell’adesione piena al suo Vangelo e nel servizio della Chiesa, e ha riversato nei nostri cuori lo Spirito Santo che ci dà gioia e ci fa rendere testimonianza al mondo intero del suo amore e della sua misericordia.

    Facendomi eco del sentire di molti di voi e della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, in occasione del 50° anniversario della Costituzione dogmatica Lumen gentium sulla Chiesa, che nel cap. VI tratta dei religiosi, come pure del Decreto Perfectae caritatis sul rinnovamento della vita religiosa, ho deciso di indire un Anno della Vita Consacrata. Avrà inizio il 30 novembre corrente, I Domenica di Avvento, e terminerà con la festa della Presentazione di Gesù al tempio il 2 febbraio 2016.

    Dopo aver ascoltato la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, ho indicato come obiettivi per questo Anno gli stessi che san Giovanni Paolo II aveva proposto alla Chiesa all'inizio del terzo millennio, riprendendo, in certo modo, quanto aveva già indicato nell’Esortazione post-sinodale Vita consecrata: «Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire! Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi»(n. 110).

    I – Gli obiettivi per l’Anno della Vita Consacrata

    1. Il primo obiettivo è guardare il passato con gratitudine. Ogni nostro Istituto viene da una ricca storia carismatica. Alle sue origini è presente l’azione di Dio che, nel suo Spirito, chiama alcune persone alla sequela ravvicinata di Cristo, a tradurre il Vangelo in una particolare forma di vita, a leggere con gli occhi della fede i segni dei tempi, a rispondere con creatività alle necessità della Chiesa. L’esperienza degli inizi è poi cresciuta e si è sviluppata, coinvolgendo altri membri in nuovi contesti geografici e culturali, dando vita a modi nuovi di attuare il carisma, a nuove iniziative ed espressioni di carità apostolica. È come il seme che diventa albero espandendo i suoi rami.

    In questo Anno sarà opportuno che ogni famiglia carismatica ricordi i suoi inizi e il suo sviluppo storico, per ringraziare Dio che ha offerto alla Chiesa così tanti doni che la rendono bella e attrezzata per ogni opera buona (cfr Lumen gentium, 12).

    Raccontare la propria storia è indispensabile per tenere viva l’identità, così come per rinsaldare l’unità della famiglia e il senso di appartenenza dei suoi membri. Non si tratta di fare dell’archeologia o di coltivare inutili nostalgie, quanto piuttosto di ripercorrere il cammino delle generazioni passate per cogliere in esso la scintilla ispiratrice, le idealità, i progetti, i valori che le hanno mosse, a iniziare dai Fondatori, dalle Fondatrici e dalle prime comunità. È un modo anche per prendere coscienza di come è stato vissuto il carisma lungo la storia, quale creatività ha sprigionato, quali difficoltà ha dovuto affrontare e come sono state superate. Si potranno scoprire incoerenze, frutto delle debolezze umane, a volte forse anche l’oblio di alcuni aspetti essenziali del carisma. Tutto è istruttivo e insieme diventa appello alla conversione. Narrare la propria storia è rendere lode a Dio e ringraziarlo per tutti i suoi doni.

    Lo ringraziamo in modo particolare per questi ultimi 50 anni seguiti al Concilio Vaticano II, che ha rappresentato una “ventata” di Spirito Santo per tutta la Chiesa. Grazie ad esso la vita consacrata ha attuato un fecondo cammino di rinnovamento che, con le sue luci e le sue ombre, è stato un tempo di grazia, segnato dalla presenza dello Spirito.

    Sia quest’Anno della Vita Consacrata un’occasione anche per confessare con umiltà, e insieme con grande confidenza in Dio Amore (cfr 1 Gv 4,8), la propria fragilità e per viverla come esperienza dell’amore misericordioso del Signore; un’occasione per gridare al mondo con forza e per testimoniare con gioia la santità e la vitalità presenti nella gran parte di coloro che sono stati chiamati a seguire Cristo nella vita consacrata.

    2. Quest’Anno ci chiama inoltre a vivere il presente con passione. La grata memoria del passato ci spinge, in ascolto attento di ciò che oggi lo Spirito dice alla Chiesa, ad attuare in maniera sempre più profonda gli aspetti costitutivi della nostra vita consacrata.

    Dagli inizi del primo monachesimo, fino alle odierne “nuove comunità”, ogni forma di vita consacrata è nata dalla chiamata dello Spirito a seguire Cristo come viene insegnato dal Vangelo (cfr Perfectae caritatis, 2). Per i Fondatori e le Fondatrici la regola in assoluto è stata il Vangelo, ogni altra regola voleva essere soltanto espressione del Vangelo e strumento per viverlo in pienezza. Il loro ideale era Cristo, aderire a lui interamente, fino a poter dire con Paolo: «Per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21); i voti avevano senso soltanto per attuare questo loro appassionato amore.

    La domanda che siamo chiamati a rivolgerci in questo Anno è se e come anche noi ci lasciamo interpellare dal Vangelo; se esso è davvero il “vademecum” per la vita di ogni giorno e per le scelte che siamo chiamati ad operare. Esso è esigente e domanda di essere vissuto con radicalità e sincerità. Non basta leggerlo (eppure lettura e studio rimangono di estrema importanza), non basta meditarlo (e lo facciamo con gioia ogni giorno). Gesù ci chiede di attuarlo, di vivere le sue parole.

    Gesù, dobbiamo domandarci ancora, è davvero il primo e l’unico amore, come ci siamo prefissi quando abbiamo professato i nostri voti? Soltanto se è tale, possiamo e dobbiamo amare nella verità e nella misericordia ogni persona che incontriamo sul nostro cammino, perché avremo appreso da Lui che cos’è l’amore e come amare: sapremo amare perché avremo il suo stesso cuore.

    I nostri Fondatori e Fondatrici hanno sentito in sé la compassione che prendeva Gesù quando vedeva le folle come pecore sbandate senza pastore. Come Gesù, mosso da questa compassione, ha donato la sua parola, ha sanato gli ammalati, ha dato il pane da mangiare, ha offerto la sua stessa vita, così anche i Fondatori si sono posti al servizio dell’umanità a cui lo Spirito li mandava, nei modi più diversi: l’intercessione, la predicazione del Vangelo, la catechesi, l’istruzione, il servizio ai poveri, agli ammalati… La fantasia della carità non ha conosciuto limiti e ha saputo aprire innumerevoli strade per portare il soffio del Vangelo nelle culture e nei più diversi ambiti sociali.

    L’Anno della Vita Consacrata ci interroga sulla fedeltà alla missione che ci è stata affidata. I nostri ministeri, le nostre opere, le nostre presenze, rispondono a quanto lo Spirito ha chiesto ai nostri Fondatori, sono adeguati a perseguirne le finalità nella società e nella Chiesa di oggi? C’è qualcosa che dobbiamo cambiare? Abbiamo la stessa passione per la nostra gente, siamo ad essa vicini fino a condividerne le gioie e i dolori, così da comprendere veramente le necessità e poter offrire il nostro contributo per rispondervi? «La stessa generosità e abnegazione che spinsero i Fondatori – chiedeva già san Giovanni Paolo II – devono muovere voi, loro figli spirituali, a mantenere vivi i carismi che, con la stessa forza dello Spirito che li ha suscitati, continuano ad arricchirsi e ad adattarsi, senza perdere il loro carattere genuino, per porsi al servizio della Chiesa e portare a pienezza l’instaurazione del suo Regno»[1].

    Nel fare memoria delle origini viene in luce una ulteriore componente del progetto di vita consacrata. Fondatori e fondatrici erano affascinati dall’unità dei Dodici attorno a Gesù, dalla comunione che contraddistingueva la prima comunità di Gerusalemme. Dando vita alla propria comunità ognuno di loro ha inteso riprodurre quei modelli evangelici, essere con un cuore solo e un’anima sola, godere della presenza del Signore (cfr Perfectae caritatis,15).

    Vivere il presente con passione significa diventare “esperti di comunione”, «testimoni e artefici di quel “progetto di comunione” che sta al vertice della storia dell’uomo secondo Dio»[2]. In una società dello scontro, della difficile convivenza tra culture diverse, della sopraffazione sui più deboli, delle disuguaglianze, siamo chiamati ad offrire un modello concreto di comunità che, attraverso il riconoscimento della dignità di ogni persona e della condivisione del dono di cui ognuno è portatore, permetta di vivere rapporti fraterni.

    Siate dunque donne e uomini di comunione, rendetevi presenti con coraggio là dove vi sono differenze e tensioni, e siate segno credibile della presenza dello Spirito che infonde nei cuori la passione perché tutti siano una sola cosa (cfr Gv 17,21). Vivete lamistica dell’incontro: «la capacità di sentire, di ascolto delle altre persone. La capacità di cercare insieme la strada, il metodo»[3], lasciandovi illuminare dalla relazione di amore che passa fra le tre Divine Persone (cfr 1 Gv 4,8) quale modello di ogni rapporto interpersonale.

    3. Abbracciare il futuro con speranza vuol essere il terzo obiettivo di questo Anno. Conosciamo le difficoltà cui va incontro la vita consacrata nelle sue varie forme: la diminuzione delle vocazioni e l’invecchiamento, soprattutto nel mondo occidentale, i problemi economici a seguito della grave crisi finanziaria mondiale, le sfide dell’internazionalità e della globalizzazione, le insidie del relativismo, l’emarginazione e l’irrilevanza sociale... Proprio in queste incertezze, che condividiamo con tanti nostri contemporanei, si attua la nostra speranza, frutto della fede nel Signore della storia che continua a ripeterci: «Non aver paura ... perché io sono con te» (Ger 1,8).

    La speranza di cui parliamo non si fonda sui numeri o sulle opere, ma su Colui nel quale abbiamo posto la nostra fiducia (cfr 2 Tm1,12) e per il quale «nulla è impossibile» (Lc 1,37). È questa la speranza che non delude e che permetterà alla vita consacrata di continuare a scrivere una grande storia nel futuro, al quale dobbiamo tenere rivolto lo sguardo, coscienti che è verso di esso che ci spinge lo Spirito Santo per continuare a fare con noi grandi cose.

    Non cedete alla tentazione dei numeri e dell’efficienza, meno ancora a quella di confidare nelle proprie forze. Scrutate gli orizzonti della vostra vita e del momento attuale in vigile veglia. Con Benedetto XVI vi ripeto: «Non unitevi ai profeti di sventura che proclamano la fine o il non senso della vita consacrata nella Chiesa dei nostri giorni; piuttosto rivestitevi di Gesù Cristo e indossate le armi della luce – come esorta san Paolo (cfr Rm 13,11-14) – restando svegli e vigilanti»[4]. Continuiamo e riprendiamo sempre il nostro cammino con la fiducia nel Signore.

    Mi rivolgo soprattutto a voi giovani. Siete il presente perché già vivete attivamente in seno ai vostri Istituti, offrendo un contributo determinante con la freschezza e la generosità della vostra scelta. Nello stesso tempo ne siete il futuro perché presto sarete chiamati a prendere nelle vostre mani la guida dell’animazione, della formazione, del servizio, della missione. Questo Anno vi vedrà protagonisti nel dialogo con la generazione che è davanti a voi. In fraterna comunione potrete arricchirvi della sua esperienza e sapienza, e nello stesso tempo potrete riproporre ad essa l’idealità che ha conosciuto al suo inizio, offrire lo slancio e la freschezza del vostro entusiasmo, così da elaborare insieme modi nuovi di vivere il Vangelo e risposte sempre più adeguate alle esigenze di testimonianza e di annuncio.

    Sono contento di sapere che avrete occasioni per radunarvi insieme tra voi giovani di differenti Istituti. Che l’incontro diventi abituale via di comunione, di mutuo sostegno, di unità.

    II – Le attese per l’Anno della Vita Consacrata

    Che cosa mi attendo in particolare da questo Anno di grazia della vita consacrata?

    1. Che sia sempre vero quello che ho detto una volta: «Dove ci sono i religiosi c’è gioia». Siamo chiamati a sperimentare e mostrare che Dio è capace di colmare il nostro cuore e di renderci felici, senza bisogno di cercare altrove la nostra felicità; che l’autentica fraternità vissuta nelle nostre comunità alimenta la nostra gioia; che il nostro dono totale nel servizio della Chiesa, delle famiglie, dei giovani, degli anziani, dei poveri ci realizza come persone e dà pienezza alla nostra vita.

    Che tra di noi non si vedano volti tristi, persone scontente e insoddisfatte, perché “una sequela triste è una triste sequela”. Anche noi, come tutti gli altri uomini e donne, proviamo difficoltà, notti dello spirito, delusioni, malattie, declino delle forze dovuto alla vecchiaia. Proprio in questo dovremmo trovare la “perfetta letizia”, imparare a riconoscere il volto di Cristo che si è fatto in tutto simile a noi e quindi provare la gioia di saperci simili a Lui che, per amore nostro, non ha ricusato di subire la croce.

    In una società che ostenta il culto dell’efficienza, del salutismo, del successo e che marginalizza i poveri ed esclude i “perdenti”, possiamo testimoniare, attraverso la nostra vita, la verità delle parole della Scrittura: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Cor 12,10).

    Possiamo ben applicare alla vita consacrata quanto ho scritto nella Esortazione apostolica Evangelii gaudium, citando un’omelia diBenedetto XVI: «La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione» (n. 14). Sì, la vita consacrata non cresce se organizziamo delle belle campagne vocazionali, ma se le giovani e i giovani che ci incontrano si sentono attratti da noi, se ci vedono uomini e donne felici! Ugualmente la sua efficacia apostolica non dipende dall’efficienza e dalla potenza dei suoi mezzi. È la vostra vita che deve parlare, una vita dalla quale traspare la gioia e la bellezza di vivere il Vangelo e di seguire Cristo.

    Ripeto anche a voi quanto ho detto nella scorsa Veglia di Pentecoste ai Movimenti ecclesiali: «Il valore della Chiesa, fondamentalmente, è vivere il Vangelo e dare testimonianza della nostra fede. La Chiesa è sale della terra, è luce del mondo, è chiamata a rendere presente nella società il lievito del Regno di Dio e lo fa prima di tutto con la sua testimonianza, la testimonianza dell’amore fraterno, della solidarietà, della condivisione» (18 maggio 2013).

    2. Mi attendo che “svegliate il mondo”, perché la nota che caratterizza la vita consacrata è la profezia. Come ho detto ai Superiori Generali «la radicalità evangelica non è solamente dei religiosi: è richiesta a tutti. Ma i religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo profetico». È questa la priorità che adesso è richiesta: «essere profeti che testimoniano come Gesù ha vissuto su questa terra … Mai un religioso deve rinunciare alla profezia» (29 novembre 2013).

    Il profeta riceve da Dio la capacità di scrutare la storia nella quale vive e di interpretare gli avvenimenti: è come una sentinella che veglia durante la notte e sa quando arriva l’aurora (cfr Is 21,11-12). Conosce Dio e conosce gli uomini e le donne suoi fratelli e sorelle. È capace di discernimento e anche di denunciare il male del peccato e le ingiustizie, perché è libero, non deve rispondere ad altri padroni se non a Dio, non ha altri interessi che quelli di Dio. Il profeta sta abitualmente dalla parte dei poveri e degli indifesi, perché sa che Dio stesso è dalla loro parte.

    Mi attendo dunque non che teniate vive delle “utopie”, ma che sappiate creare “altri luoghi”, dove si viva la logica evangelica del dono, della fraternità, dell’accoglienza della diversità, dell’amore reciproco. Monasteri, comunità, centri di spiritualità, cittadelle, scuole, ospedali, case-famiglia e tutti quei luoghi che la carità e la creatività carismatica hanno fatto nascere, e che ancora faranno nascere con ulteriore creatività, devono diventare sempre più il lievito per una società ispirata al Vangelo, la “città sul monte” che dice la verità e la potenza delle parole di Gesù.

    A volte, come accadde a Elia e a Giona, può venire la tentazione di fuggire, di sottrarsi al compito di profeta, perché troppo esigente, perché si è stanchi, delusi dai risultati. Ma il profeta sa di non essere mai solo. Anche a noi, come a Geremia, Dio assicura: «Non aver paura … perché io sono con te per proteggerti» (Ger 1,8).

    3. I religiosi e le religiose, al pari di tutte le altre persone consacrate, sono chiamati ad essere “esperti di comunione”. Mi aspetto pertanto che la “spiritualità della comunione”, indicata da san Giovanni Paolo II, diventi realtà e che voi siate in prima linea nel cogliere «la grande sfida che ci sta davanti» in questo nuovo millennio: «fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione»[5]. Sono certo che in questo Anno lavorerete con serietà perché l’ideale di fraternità perseguito dai Fondatori e dalle fondatrici cresca ai più diversi livelli, come a cerchi concentrici.

    La comunione si esercita innanzitutto all’interno delle rispettive comunità dell’Istituto. Al riguardo vi invito a rileggere i miei frequenti interventi nei quali non mi stanco di ripetere che critiche, pettegolezzi, invidie, gelosie, antagonismi sono atteggiamenti che non hanno diritto di abitare nelle nostre case. Ma, posta questa premessa, il cammino della carità che si apre davanti a noi è pressoché infinito, perché si tratta di perseguire l’accoglienza e l’attenzione reciproche, di praticare la comunione dei beni materiali e spirituali, la correzione fraterna, il rispetto per le persone più deboli… È «la “mistica” di vivere insieme», che fa della nostra vita «un santo pellegrinaggio»[6]. Dobbiamo interrogarci anche sul rapporto tra le persone di culture diverse, considerando che le nostre comunità diventano sempre più internazionali. Come consentire ad ognuno di esprimersi, di essere accolto con i suoi doni specifici, di diventare pienamente corresponsabile?

    Mi aspetto inoltre che cresca la comunione tra i membri dei diversi Istituti. Non potrebbe essere quest’Anno l’occasione per uscire con maggior coraggio dai confini del proprio Istituto per elaborare insieme, a livello locale e globale, progetti comuni di formazione, di evangelizzazione, di interventi sociali? In questo modo potrà essere offerta più efficacemente una reale testimonianza profetica. La comunione e l’incontro fra differenti carismi e vocazioni è un cammino di speranza. Nessuno costruisce il futuro isolandosi, né solo con le proprie forze, ma riconoscendosi nella verità di una comunione che sempre si apre all’incontro, al dialogo, all’ascolto, all’aiuto reciproco e ci preserva dalla malattia dell’autoreferenzialità.

    Nello stesso tempo la vita consacrata è chiamata a perseguire una sincera sinergia tra tutte le vocazioni nella Chiesa, a partire dai presbiteri e dai laici, così da «far crescere la spiritualità della comunione prima di tutto al proprio interno e poi nella stessa comunità ecclesiale e oltre i suoi confini»[7].

    4. Attendo ancora da voi quello che chiedo a tutti i membri della Chiesa: uscire da sé stessi per andare nelle periferie esistenziali. «Andate in tutto il mondo» fu l’ultima parola che Gesù rivolse ai suoi e che continua a rivolgere oggi a tutti noi (cfr Mc 16,15). C’è un’umanità intera che aspetta: persone che hanno perduto ogni speranza, famiglie in difficoltà, bambini abbandonati, giovani ai quali è precluso ogni futuro, ammalati e vecchi abbandonati, ricchi sazi di beni e con il vuoto nel cuore, uomini e donne in cerca del senso della vita, assetati di divino…

    Non ripiegatevi su voi stessi, non lasciatevi asfissiare dalle piccole beghe di casa, non rimanete prigionieri dei vostri problemi. Questi si risolveranno se andrete fuori ad aiutare gli altri a risolvere i loro problemi e ad annunciare la buona novella. Troverete la vita dando la vita, la speranza dando speranza, l’amore amando.

    Aspetto da voi gesti concreti di accoglienza dei rifugiati, di vicinanza ai poveri, di creatività nella catechesi, nell’annuncio del Vangelo, nell’iniziazione alla vita di preghiera. Di conseguenza auspico lo snellimento delle strutture, il riutilizzo delle grandi case in favore di opere più rispondenti alle attuali esigenze dell’evangelizzazione e della carità, l’adeguamento delle opere ai nuovi bisogni.

    5. Mi aspetto che ogni forma di vita consacrata si interroghi su quello che Dio e l’umanità di oggi domandano.

    I monasteri e i gruppi di orientamento contemplativo potrebbero incontrarsi tra di loro, oppure collegarsi nei modi più differenti per scambiarsi le esperienze sulla vita di preghiera, su come crescere nella comunione con tutta la Chiesa, su come sostenere i cristiani perseguitati, su come accogliere e accompagnare quanti sono in ricerca di una vita spirituale più intensa o hanno bisogno di un sostegno morale o materiale.

    Lo stesso potranno fare gli Istituti caritativi, dediti all’insegnamento, alla promozione della cultura, quelli che si lanciano nell’annuncio del Vangelo o che svolgono particolari ministeri pastorali, gli Istituti secolari nella loro capillare presenza nelle strutture sociali. La fantasia dello Spirito ha generato modi di vita e opere così diversi che non possiamo facilmente catalogarli o inserirli in schemi prefabbricati. Non mi è quindi possibile riferirmi ad ogni singola forma carismatica. Nessuno tuttavia in questo Anno dovrebbe sottrarsi ad una seria verifica sulla sua presenza nella vita della Chiesa e sul suo modo di rispondere alle continue e nuove domande che si levano attorno a noi, al grido dei poveri.

    Soltanto in questa attenzione ai bisogni del mondo e nella docilità agli impulsi dello Spirito, quest’Anno della Vita Consacrata si trasformerà in un autentico kairòs, un tempo di Dio ricco di grazie e di trasformazione.

    III – Gli orizzonti dell’Anno della Vita Consacrata

    1. Con questa mia lettera, oltre che alle persone consacrate, mi rivolgo ai laici che, con esse, condividono ideali, spirito, missione. Alcuni Istituti religiosi hanno un’antica tradizione al riguardo, altri un’esperienza più recente. Di fatto attorno ad ogni famiglia religiosa, come anche alle Società di vita apostolica e agli stessi Istituti secolari, è presente una famiglia più grande, la “famiglia carismatica”, che comprende più Istituti che si riconoscono nel medesimo carisma, e soprattutto cristiani laici che si sentono chiamati, proprio nella loro condizione laicale, a partecipare della stessa realtà carismatica.

    Incoraggio anche voi, laici, a vivere quest’Anno della Vita Consacrata come una grazia che può rendervi più consapevoli del dono ricevuto. Celebratelo con tutta la “famiglia”, per crescere e rispondere insieme alle chiamate dello Spirito nella società odierna. In alcune occasioni, quando i consacrati di diversi Istituti quest’Anno si incontreranno tra loro, fate in modo di essere presenti anche voi come espressione dell’unico dono di Dio, così da conoscere le esperienze delle altre famiglie carismatiche, degli altri gruppi laicali e di arricchirvi e sostenervi reciprocamente.

    2. L’Anno della Vita Consacrata non riguarda soltanto le persone consacrate, ma la Chiesa intera. Mi rivolgo così a tutto il popolo cristiano perché prenda sempre più consapevolezza del dono che è la presenza di tante consacrate e consacrati, eredi di grandi santi che hanno fatto la storia del cristianesimo. Cosa sarebbe la Chiesa senza san Benedetto e san Basilio, senza sant’Agostino e san Bernardo, senza san Francesco e san Domenico, senza sant’Ignazio di Loyola e santa Teresa d’Avila, senza sant’Angela Merici e san Vincenzo de Paoli. L’elenco si farebbe quasi infinito, fino a san Giovanni Bosco, alla beata Teresa di Calcutta? Il beato Paolo VI affermava: «Senza questo segno concreto, la carità che anima l’intera Chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso salvifico del vangelo di smussarsi, il “sale” della fede di diluirsi in un mondo in fase di secolarizzazione» (Evangelica testificatio, 3).

    Invito dunque tutte le comunità cristiane a vivere questo Anno anzitutto per ringraziare il Signore e fare memoria grata dei doni ricevuti e che tuttora riceviamo per mezzo della santità dei Fondatori e delle Fondatrici e della fedeltà di tanti consacrati al proprio carisma. Vi invito tutti a stringervi attorno alle persone consacrate, a gioire con loro, a condividere le loro difficoltà, a collaborare con esse, nella misura del possibile, per il perseguimento del loro ministero e della loro opera, che sono poi quelli dell’intera Chiesa. Fate sentire loro l’affetto e il calore di tutto il popolo cristiano.

    Benedico il Signore per la felice coincidenza dell'Anno della Vita Consacrata con il Sinodo sulla famiglia. Famiglia e vita consacrata sono vocazioni portatrici di ricchezza e grazia per tutti, spazi di umanizzazione nella costruzione di relazioni vitali, luoghi di evangelizzazione. Ci si può aiutare gli uni gli altri.

    3. Con questa mia lettera oso rivolgermi anche alle persone consacrate e ai membri di fraternità e comunità appartenenti a Chiese di tradizione diversa da quella cattolica. Il monachesimo è un patrimonio della Chiesa indivisa, tuttora vivissimo sia nelle Chiese ortodosse che nella Chiesa cattolica. Ad esso, come ad altre successive esperienze del tempo nel quale la Chiesa d’occidente era ancora unita, si ispirano analoghe iniziative sorte nell’ambito delle Comunità ecclesiali della Riforma, le quali hanno poi continuato a generare nel loro seno ulteriori espressioni di comunità fraterne e di servizio.

    La Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ha programmato delle iniziative per fare incontrare i membri appartenenti a esperienze di vita consacrata e fraterna delle diverse Chiese. Incoraggio caldamente questi incontri perché cresca la mutua conoscenza, la stima, la collaborazione reciproca, in modo che l’ecumenismo della vita consacrata sia di aiuto al più ampio cammino verso l’unità tra tutte le Chiese.

    4. Non possiamo poi dimenticare che il fenomeno del monachesimo e di altre espressioni di fraternità religiose è presente in tutte le grandi religioni. Non mancano esperienze, anche consolidate, di dialogo inter-monastico tra la Chiesa cattolica e alcune delle grandi tradizioni religiose. Auspico che l’Anno della Vita Consacrata sia l’occasione per valutare il cammino percorso, per sensibilizzare le persone consacrate in questo campo, per chiederci quali ulteriori passi compiere verso una reciproca conoscenza sempre più profonda e per una collaborazione in tanti ambiti comuni del servizio alla vita umana.

    Camminare insieme è sempre un arricchimento e può aprire vie nuove a rapporti tra popoli e culture che in questo periodo appaiono irti di difficoltà.

    5. Mi rivolgo infine in modo particolare ai miei fratelli nell’episcopato. Sia questo Anno un’opportunità per accogliere cordialmente e con gioia la vita consacrata come un capitale spirituale che contribuisce al bene di tutto il corpo di Cristo (cfr Lumen gentium, 43) e non solo delle famiglie religiose. «La vita consacrata è dono alla Chiesa, nasce nella Chiesa, cresce nella Chiesa, è tutta orientata alla Chiesa»[8]. Per questo, in quanto dono alla Chiesa, non è una realtà isolata o marginale, ma appartiene intimamente ad essa, sta al cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo della sua missione, in quanto esprime l'intima natura della vocazione cristiana e la tensione di tutta la Chiesa Sposa verso l'unione con l'unico Sposo; dunque «appartiene ... irremovibilmente alla sua vita e alla sua santità» (ibid., 44).

    In tale contesto, invito voi, Pastori delle Chiese particolari, a una speciale sollecitudine nel promuovere nelle vostre comunità i distinti carismi, sia quelli storici sia i nuovi carismi, sostenendo, animando, aiutando nel discernimento, facendovi vicini con tenerezza e amore alle situazioni di sofferenza e di debolezza nelle quali possano trovarsi alcuni consacrati, e soprattutto illuminando con il vostro insegnamento il popolo di Dio sul valore della vita consacrata così da farne risplendere la bellezza e la santità nella Chiesa.

    Affido a Maria, la Vergine dell’ascolto e della contemplazione, prima discepola del suo amato Figlio, questo Anno della Vita Consacrata. A Lei, figlia prediletta del Padre e rivestita di tutti i doni di grazia, guardiamo come modello insuperabile di sequela nell'amore a Dio e nel servizio al prossimo.

    Grato fin d’ora con tutti voi per i doni di grazia e di luce con i quali il Signore vorrà arricchirci, tutti vi accompagno con la Benedizione Apostolica.

    Dal Vaticano, 21 novembre 2014, Festa della Presentazione della Beata Vergine Maria.

    Francesco


    [1] Lett. ap. Los caminos del Evangelio, ai religiosi e alle religiose dell’America Latina in occasione del V centenario dell’evangelizzazione del nuovo mondo, 29 giugno 1990, 26.

    [2] Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari, Religiosi e promozione umana, 12 agosto 1980, 24: L’Osservatore Romano, Suppl. 12 nov. 1980, pp. I-VIII.

    [3] Discorso ai rettori e agli alunni dei Pontifici Collegi e Convitti di Roma, 12 maggio 2014.

    [4] Omelia nella Festa della Presentazione di Gesù al tempio, 2 febbraio 2013.

    [5] Lett. ap. Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, 43.

    [6] Esort. ap. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, 87.

    [7] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sin. Vita consecrata, 25 marzo 1996, 51.

    [8] S.E. Mons. J. M. Bergoglio, Intervento al Sinodo sulla vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo, XVI Congregazione generale, 13 ottobre 1994.

      





    URBIS ET ORBIS

    D E C R E T O
    col quale si stabilisce l’opera da compiersi per poter conseguire il dono delle Indulgenze in occasione dell’Anno della vita consacrata.

       

    Avendo l’Em.mo Cardinal Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica testé richiesto a questa Penitenzieria Apostolica che fosse debitamente determinato il requisito per poter conseguire il dono delle Indulgenze, che il Santo padre Francesco, in occasione dell’imminente Anno della vita consacrata, intende elargire per il rinnovamento degli Istituti religiosi, sempre con la massima fedeltà verso il carisma del fondatore e, per offrire ai fedeli di tutto il mondo una felice occasione di corroborare la Fede, la Speranza e la Carità, in comunione con la Santa Romana Chiesa, su specialissimo mandato del Romano Pontefice, questa Penitenzieria Apostolica volentieri concede Indulgenza plenaria, alle consuete condizioni (confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Santo Padre) a tutti i singoli membri degli istituti di vita consacrata e agli altri fedeli veramente pentiti e mossi da spirito di carità, da lucrarsi dalla prima Domenica di Avvento del corrente anno fino al 2 febbraio 2016, giorno in cui l’Anno della vita consacrata solennemente si chiude, da potersi applicare a mo’ di suffragio anche per le anime del Purgatorio:

    a) A Roma, ogni volta che parteciperanno ad Incontri internazionali e celebrazioni determinate nell’apposito calendario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, e per un congruo lasso di tempo si applicheranno in pie considerazioni, concludendo con il Padre Nostro, la Professione di fede in qualsiasi forma legittimamente approvata e pie invocazioni alla Vergine Maria;

    b) In tutte le chiese particolari, ogni volta che, nei giorni diocesani dedicati alla vita consacrata e nelle celebrazioni diocesane indette per l’Anno della vita consacrata, piamente visiteranno la cattedrale o un altro luogo sacro designato col consenso dell’Ordinario del luogo, o una chiesa conventuale o l’oratorio di un Monastero di clausura e ivi reciteranno pubblicamente la Liturgia delle Ore o per un congruo lasso di tempo si applicheranno in pie considerazioni, concludendo con il Padre Nostro, la Professione di fede in qualsiasi forma legittimamente approvata e pie invocazioni alla Beatissima Vergine Maria.

    I membri degli Istituti di vita consacrata che, per malattia o altra grave causa siano impossibilitati a visitare quei luoghi sacri, potranno ugualmente conseguire l’Indulgenza plenaria se, col completo distacco da qualsiasi peccato e con l’intenzione di poter adempiere quanto prima le tre consuete condizioni, compiano la visita spirituale con desiderio profondo ed offrano le malattie e i fastidi della propria vita a Dio misericordioso attraverso Maria, con l’aggiunta delle preghiere come sopra.

    Affinché quindi questo accesso al conseguimento della grazia divina attraverso le chiavi della Chiesa, più facilmente si compia per mezzo della carità pastorale, questa Penitenzieria prega assiduamente che i canonici penitenzieri, i capitolari, i sacerdoti degli Istituti di vita consacrata e tutti gli altri provvisti delle opportune facoltà per ascoltare le confessioni, si offrano con animo disponibile e generoso alla celebrazione del sacramento della Penitenza e amministrino spesso la Santa Comunione agli infermi.

    Il presente Decreto ha validità per l’Anno della vita consacrata. Nonostante qualsiasi disposizione contraria.

    Emesso a Roma, dalla sede Penitenzieria Apostolica, il 23 Novembre 2014, nella solennità di Cristo Re.

    Mauro Card. Piacenza 
    Penitenziere Maggiore

    Krzysztof Nykiel 
    Reggente





       altri Discorsi-Omelie del Papa agli Ordini Religiosi li trovate QUI
    mentre qui troverete il Magistero di Benedetto XVI ai Sacerdoti in generale e qui quello di Papa Francesco....


    [Modificato da Caterina63 30/11/2014 11:01]
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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 30/11/2014 10:50
           
      Dal cardinale guastafeste un tweet sulla grande crisi
     

    di Lorenzo Bertocchi29-11-2014  da LaBussolaQuotidiana

                               

     

    Lo chiamano il cardinale “twittarolo”, vista la confidenza con il cinguettio del social network da 140 caratteri alla volta. È il cardinale, nonchè frate minore, Wilfried Napier, arcivescovo di Durban in Sud Africa. È stato un protagonista del recente Sinodo sulla famiglia e recentemente è stato nominato tra i presidenti delegati del prossimo Sinodo ordinario del 2015. Un segnale interessante per il Continente africano. Ma l'ultima uscita via Twitter non riguarda direttamente il Sinodo.

    Oggi, sabato, 29 novembre, avrà luogo la cerimonia di iniziodell'Anno dedicato alla Vita Consacrata, pensato soprattutto nel contesto dei 50 anni dal Vaticano II, per «continuare il rinnovamento proposto dal Concilio» alla vita religiosa. Così disse il cardinale Braz de Aviz, presidente della Congregazione vaticana dei religiosi, lo scorso gennaio, in occasione della conferenza stampa di presentazione dell'Anno della Vita Consacrata. La raffica di tweet sparati al proposito da Napier sembra fatta apposta per rovinare un po' la festa. Innanzitutto, ha sottolineato che l'avvio di questo anno è iniziato con «le solite formalità», cioè «il report del presidente e del segretario generale e la presentazione di un documento di lavoro che espone le riflessioni per l'anno dedicato alla vita consacrata».

    Dentro queste riflessioni il cardinale sud-africano, nonché frate minore, quindi religioso, vede delle «strane omissioni». Il riferimento è «alle cause del crollo del numero di religiosi e religiose» che Napier individua nella «riduzione della dimensione delle famiglie» e in un tradimento del ruolo genitoriale con la «conseguenza del fallimento nell'incoraggiamento dei figli»alla vocazione. In poche parole (140 caratteri alla volta, of course) il cardinale Napier lega l'innegabile crisi vocazionale dei religiosi con la crisi della famiglia, cioè due temi apparentemente lontani, ma in realtà vicini. Il motivo è semplice: la famiglia è il luogo dove si viene educati, cioè dove si dovrebbero imparare le virtù, dove si diventa uomini. E se la natura non è educata, la Grazia fatica a farsi largo per donare di vivere castità, povertà e obbedienza. Ad esempio, comprendere cosa significa divenire padroni di sé nella propria vita sessuale non solo aprirebbe la porta a matrimoni più consapevoli, ma avremmo una generazione di sposi intimamente capace di apprezzare anche la scelta vocazionale religiosa.

    Sulla crisi dei matrimoni e della famiglia si sta svolgendo un Sinodo, mentre sulla crisi vocazionale dei religiosi e delle religiose si fatica a interrogarsi in profondità. Lo rilevò il professore claretiano P. Angel Pardilla nei suoi importanti studi pubblicati dalla Libreria Editrice Vaticana, il primo nel 2007, dedicato ai religiosi, e il secondo nel 2008, dedicato alle religiose. Nel periodo che va dal 1965 al 2005, gesuiti, frati minori, cappuccini, domenicani e salesiani, le principali famiglie religiose della Chiesa cattolica, hanno subito perdite numeriche da brivido: - 45% i figli di San Ignazio di Loyola, - 41% i frati minori (Ofm), - 40% i domenicani, - 30% i capuccini e - 25% i salesiani. Complessivamente tutti gli ordini religiosi maschili, dal 1965 al 2005, hanno perso qualcosa come la terza parte dei loro membri e le società di vita apostolica circa il 29%. Qua e là qualcuno è andato in controtendenza, ma il dato generale non lascia spazio ad alcuna considerazione ottimistica, anzi. 

    La situazione degli istituti femminili è addirittura peggiore, quella degli abbandoni altrettanto grave, si parla di circa 3.000 religiosi o religiose che ogni anno abbandonano l'abito (clicca qui). «Una triste ironia, twitta Napier, che la vita consacrata si trovi in profonda crisi, mentre la Chiesa celebra i cinquant'anni diPerfectae caritatis, il documento del Vaticano II che mira a ridefinire e rinnovare la vita religiosa». Poi si chiede: «Come mai Paesi un tempo ricchi di religiosi, come ad esempio Irlanda, Canada e Olanda, oggi sono al minimo? Perché?». Già, perché? Domanda interessante quella del cardinale Napier, speriamo che l'anno dedicato alla vita consacrata possa aiutarci a trovare risposte.


     


    VIDEO-MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
    PER LA VEGLIA DI PREGHIERA A S. MARIA MAGGIORE
    IN OCCASIONE DELL'APERTURA DELL'ANNO DELLA VITA CONSACRATA

    Sabato, 29 novembre 2014

    [Multimedia]




    (la beata Madre Speranza, un vero esempio dei nostri tempi per la vita Consacrata)


     

    Cari fratelli e sorelle,

    anche se lontano fisicamente a motivo del mio servizio alla Chiesa universale, mi sento intimamente unito a tutti i consacrati e le consacrate all'inizio di questo Anno che ho voluto fosse dedicato alla vita consacrata.

    Saluto con affetto tutti i membri della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, e tutti coloro che sono presenti nella Basilica di Santa Maria Maggiore, sotto il tenero sguardo della Beata Vergine Salus Populi Romani, per questa Veglia di preghiera. Con voi saluto anche tutti i consacrati e le consacrate che vivono e operano nel mondo.

    In questa occasione le mie prime parole sono di gratitudine al Signore per il dono prezioso della vita consacrata alla Chiesa e al mondo. Questo Anno della Vita Consacrata sia un'occasione affinché tutti i membri del popolo di Dio ringrazino il Signore, dal quale proviene ogni bene, per il dono della vita consacrata, valorizzandola in maniera conveniente. A voi, cari fratelli e sorelle consacrati, va ugualmente la mia gratitudine per ciò che siete e fate nella Chiesa e nel mondo: sia questo un "tempo forte" per celebrare con tutta la Chiesa il dono della vostra vocazione e per ravvivare la vostra missione profetica.

    Vi ripeto anche oggi quanto vi ho detto altre volte: «Svegliate il  mondo! Svegliate il mondo!». Come?

    Mettete Cristo al centro della vostra esistenza. Essendo norma fondamentale della vostra vita «seguire Cristo come viene insegnato dal Vangelo» (Perfectae caritatis, 2), la vita consacrata consiste essenzialmente nell'adesione personale a Lui. Cercate, cari consacrati, Cristo costantemente, cercate il suo Volto, occupi Egli il centro della vostra vita in modo da essere trasformati in «memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù, come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli» (Vita consecrata, 22). Come l'apostolo Paolo, lasciatevi conquistare da Lui, assumete i suoi sentimenti e la sua forma di vita (cfr ibid., 18); lasciatevi toccare dalla sua mano, condurre dalla sua voce, sostenere dalla sua grazia (cfr ibid., 40).

    Non è facile, lasciatevi toccare dalla sua mano, condurre dalla sua voce, sostenere dalla sua grazia.

    E con Cristo, partite sempre dal Vangelo! Assumetelo come forma di vita e traducetelo in gesti quotidiani segnati dalla semplicità e dalla coerenza, superando così la tentazione di trasformarlo in una ideologia. Il Vangelo conserverà "giovane" la vostra vita e missione, e le renderà attuali e attraenti. Sia il Vangelo il terreno solido dove avanzare con coraggio. Chiamati ad essere «esegesi vivente» del Vangelo, sia esso, cari consacrati, il fondamento e il riferimento ultimo della vostra vita e missione.

    Uscite dal vostro nido verso le periferie dell'uomo e della donna di oggi! Per questo, lasciatevi incontrare da Cristo. L'incontro con Lui vi spingerà all’incontro con gli altri e vi porterà verso i più bisognosi, i più poveri. Giungete alle periferie che attendono la luce del Vangelo (cfr Evangelii gaudium, 20). Abitate le frontiere. Questo vi chiederà vigilanza per scoprire le novità dello Spirito; lucidità per riconoscere la complessità delle nuove frontiere; discernimento per identificare i limiti e la maniera adeguata di procedere; e immersione nella realtà, «toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo» (ibid., 24).

    Cari fratelli e sorelle: di fronte a voi si presentano molte sfide, ma queste ci sono per essere superate. «Siamo realisti, ma senza perdere l'allegria, l'audacia e la dedizione piena di speranza! Non lasciamoci rubare la forza missionaria!» (ibid., 109).

    Maria, donna in contemplazione del mistero di Dio nel mondo e nella storia, donna diligente nell'aiutare con prontezza gli altri (cfr Lc 1, 39) e per questo modello di ogni discepolo-missionario, ci accompagni in questo Anno della vita consacrata che poniamo sotto il suo sguardo materno.

    A tutti voi partecipanti alla Veglia di preghiera a Santa Maria Maggiore e a tutti i consacrati e le consacrate imparto di cuore la Benedizione, e vi chiedo per favore di pregare per me.

    Il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca.




    [Modificato da Caterina63 30/11/2014 11:08]
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    00 16/12/2014 18:05
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      La vecchia suora che parla con Dio


    </header>

    Sister_Maria


    Stavo andando dove dovevo andare per Roma, vedo dal codice di percorso che il bus tarderà 35 minuti. Mi fermo allora in una chiesa là vicino la Nomentana, dove qualcuno sta celebrando. Non sapendo di andare incontro alla poesia e alla letteratura, alla mistica e al mistero del silenzioso Dio facitore di destini umani.

    Ci sono delle suore, a messa
    . All’ingresso, sulla carrozzella, una suora vecchissima, nel suo delirio pieno, ma lucidissimo, saturo di un’ironia gentile e antica. La osservo e capisco che ormai ha persino smesso di parlare con gli uomini, di rispondere per mezzo deimediatores Dei; risponde direttamente a Dio, parla con lui: è già oltre.


    La guardo e penso a Teresa D’Avila
     che combatte e si aggrappa a tutto per non essere staccata da terra durante certe liturgie, nelle quali è sospesa in aria, in levitazione: per non disturbare, per non distrarre l’attenzione delle altre dall’Unico, come se lei stesse lì sospesa per aria chissà a causa di chi.


    Osservo intensamente la vecchia
     suora in carrozzella, deve avere quasi cent’anni.

    E l’ascolto. Segue la messa ma risponde a Dio con parole sue che non sono quelle liturgiche, ma bellissime, e tutte pertinenti:
    Prete: “Ricongiungi a te, padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi
    Suora: “Io qua sto, non ti dimenticare: ti aspetto“.
    Prete: “...questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi“.
    Suora: “E questo, Cuore mio, è il mio corpo che ho offerto a te: ormai sono 70 anni


    Come si può essere così innamorate
     alla sua età, età che in genere è tanto egoistica?, sto chiedendomi. O è pazzia? Ma non è forse stato detto, dagli psicanalisti, che l’innamoramento è una nevrosi? Non è forse fonte di ogni pazzia l’amore? Ma come si può essere “nevrotizzati”  così a lungo?, ancora mi chiedo.


    E mi si ghiaccia il sangue quando il prete dice:
     “Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta“. E la vecchia suora ora ha sollevato il capo e mi guarda, ma non capisco se sta rispondendo a me o a Dio o al prete dicendo: “Cosa fa una sposa innamorata se non attendere lo sposo? Dopo viene la gioia“.


    E mi imbarazzo dinanzi a questo momento che irrompe,
     così surreale, dinanzi a queste parole sature di metafore che mi confondono. E sorride. Sorride con i suoi occhi di un azzurro ormai sfumato e stinto. Sorride la vecchissima sposa di Cristo. Sorridendo la vedo già oltre: lo Sposo sta arrivando, è alle porte, lo avverto, la sposa è piena di gioia nuziale. Freme: finalmente vedrà il Suo volto. Sono stato certamente tra gli ultimi testimoni di questa vita vissuta come “altrove”.


    Esco,
     per non turbare la loro intimità, ma sono scosso io stesso da questa “visione”, mentre mormoro il Te Deum: “In te, Domine, speravi: non confundar in aeternum”.






    e..... quelli che fanno affari illeciti e fanno bancarotta....



    Vita consacrata, s'annuncia un anno di tempesta
    di Lorenzo Bertocchi

    da la nuovabussola 22-12-2014
    Il cardinale Braz de Aviz

    L’anno dedicato alla vita consacrata purtroppo si apre con una notizia tremenda, l’ordine dei Frati Minori francescani è sull’orlo della bancarotta per operazioni finanziarie dubbie e spericolate. Il «cospicuo ammontare di debiti» in cui versa la Curia generale è stato ammesso dallo stesso Ministro Generale dell’Ordine, P. Michael A. Perry OFM, in una lunga lettera pubblica in cui viene dato conto della situazione «penosa».

    Secondo le notizie diffuse dal settimanale Panorama la procura svizzera avrebbe posto sotto sequestro decine di milioni di euro della congregazione, investiti in società finite sotto inchiesta per traffici illeciti. Gli investimenti risalirebbero al momento in cui generale dell’ordine era l’attuale segretario della Congregazione per i religiosi, monsignor Rodriguez Carballo, ma il ministro Perry fa sapere che «sembrano esserci state un certo numero di dubbie operazioni finanziarie, condotte da frati cui era stata affidata la cura del patrimonio dell’Ordine, senza la piena conoscenza e il consenso né del precedente, né dell’attuale Definitorio generale». Gli stessi frati dicono di voler fare chiarezza e per questo hanno attivato «l’intervento delle autorità civili».

    I Frati Minori, uno degli ordini religiosi più importanti della Chiesa, si stanno avviando verso il Capitolo Generale del 2015 che si preannuncia delicato. Attivi in 110 paesi con oltre 2.000 case nel mondo, contano circa 14.000 membri, una realtà amata e rispettata da tanti fedeli che hanno trovato, e trovano, in loro un punto di riferimento importantissimo per la loro vita di fede. Insomma, il rinnovamento per la vita religiosa, che si auspica con l’anno dedicato alla vita consacrata, si apre con una bella tegola, dopo che, pochi giorni fa, proprio monsignor Carballo e il cardinale prefetto Braz de Aviz avevano chiuso "positivamente" una lunga vicenda che riguardava le suore americane.

    Iniziata nel 2008, la visita apostolica alle suore statunitensi partiva con presupposti anche abbastanza pesanti, tipo l'accusa di una «certa mentalità secolarista” propagata in queste famiglie religiose e forse «anche un certo spirito femminista». Questa indagine, come sappiamo, non va confusa con un'altra che la Santa Sede sta conducendo, ed è tuttora in corso. Si tratta di quella portata avanti dalla Congregazione della Dottrina della Fede e che vede “indagata” la più vasta comunità di religiose statunitensi, la Leadership Conference of Women Religious (Lcwr)

    Quest'ultima istruttoria è talmente delicata che nel maggio scorso il cardinale Muller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, aveva indicato con precisione i problemi seri che solleva. Parlò della continua e crescente importanza che all’interno dell’Lcwr viene data al concetto di “evoluzione cosciente”. Questa teoria, insegnata dalla nota esponente del mondo new age  Bárbara Marx Hubbard, «si oppone alla rivelazione cristiana» e – diceva Muller – può condurre «ad errori fondamentali riguardanti l’Onnipotenza di Dio, l’incarnazione di Cristo, la realtà del peccato originale, il bisogno di salvezza e la finalità dell’azione salvifica di Cristo nel mistero pasquale». La teoria dell’evoluzione cosciente – sottolineava Muller –ha «privato le religiose della capacità di sentire cum ecclesia in modo autentico». 

    Qualcuno ha notato una certa diversità di vedute tra l'atteggiamento conciliante del dicastero di Braz de Aviz e quello più inflessibile di Muller, ma che il report presentato nei giorni scorsi fosse “positivo” lo si sapeva già; proprio il cardinale Braz de Aviz al mensile “Testimoni” (n° 10, ottobre 2014) dichiarava che per la conclusione dell'indagine «abbiamo voluto un testo positivo e di sostegno per tutto il bene che [le suore americane] hanno fatto e fanno alle Chiese e alla società».

    Il vento di tempesta che attraversa la vita religiosa però continua a spirare. Per rimanere in ambito di commissariamenti e visite apostoliche è ancora aperto il caso delle Suore Francescane dell'Immacolata che, insieme a quello dei Frati, rappresenta per la congregazione vaticana una situazione in cui – dice Braz de Aviz – vi sono «difficoltà». Attualmente le suore dell'Immacolata, diversamente dai frati, non sono ancora formalmente commissariate, ma probabilmente il loro futuro sarà questo. Infatti, in un'altra intervista del prefetto (alla rivista “Rogate Ergo”, n°11/2014) si dice che «riguardo ai francescani dell'Immacolata, sia nella parte maschile che in quella femminile, è in atto il commissariamento». Un lapsus? Può darsi, tuttavia sono diverse le voci che per le Suore dell'Immacolata parlano di imminente trasformazione dell'attuale visita apostolica in un vero e proprio commissariamento. Per loro il cardinale Braz de Aviz parla di un problema che nasce «dalla negazione del concilio, che non è accettabile». 

    Quindi si tratterebbe in questo caso di quello «scarso sentire cum ecclesia» che il card. Muller ha indicato per le suore americane dell'Lcwr, sebbene da presupposti molto diversi. Anche per i Frati dell’Immacolata si parlò sempre di «scarso sentire cum ecclesia». Sarebbe interessante però, così come il cardinale Muller ha fatto per le suore americane, conoscere più nel dettaglio qual è la natura degli errori compiuti dalle suore e dai frati dell'Immacolata circa la «negazione del concilio».

    Il lavoro della congregazione retta dal cardinale Braz de Aviz e monsignor Carballo si prospetta quindi molto intenso. Gli obiettivi da raggiungere per l’anno della vita consacrata, attraversato da queste tempeste, sono importanti. Li ha ricordati lo stesso prefetto alla rivista “Testimoni”: l'aggiornamento di Mutuae Relationes, il documento che riguarda i rapporti tra vescovo e religiosi, un nuovo documento sui fratelli laici e, infine, la revisione di Verbi Sponsa, ossia una riforma della vita claustrale. A riguardo di quest'ultima delicata operazione il cardinale dichiara che «è necessario un aggiornamento su tre specifici punti: l'autonomia dei monasteri, la forma della clausura e i suoi gradi, ma sopratutto la formazione». Per questi obiettivi è stato distribuito ai monasteri un questionario, un metodo ultimamente molto usato, e le risposte, dice il prefetto, sono già in arrivo. 






    [Modificato da Caterina63 22/12/2014 10:52]
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    00 31/01/2015 00:00




    SANTA MESSA PER I RELIGIOSI E LE RELIGIOSE
    NELLA FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

    GIORNATA DELLA VITA CONSACRATA

    OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

    Basilica Vaticana
    Giovedì, 2 febbraio 2006

     

    Cari fratelli e sorelle!

    L'odierna festa della Presentazione al tempio di Gesù, a quaranta giorni dalla sua nascita, pone davanti ai nostri occhi un momento particolare della vita della santa Famiglia: secondo la legge mosaica, il piccolo Gesù viene portato da Maria e Giuseppe nel tempio di Gerusalemme per essere offerto al Signore (cfr Lc 2, 22). Simeone ed Anna, ispirati da Dio, riconoscono in quel Bambino il Messia tanto atteso e profetizzano su di Lui. Siamo in presenza di un mistero, semplice e solenne al tempo stesso, nel quale la santa Chiesa celebra Cristo, il Consacrato del Padre, primogenito della nuova umanità.

    La suggestiva processione dei ceri all'inizio della nostra celebrazione ci ha fatto rivivere il maestoso ingresso, cantato nel Salmo responsoriale, di Colui che è "il re della gloria", "il Signore potente in battaglia" (Sal 23, 7.8). Ma chi è il Dio potente che entra nel tempio? È un Bambino; è il Bambino Gesù, tra le braccia di sua madre, la Vergine Maria. La santa Famiglia compie quanto prescriveva la Legge: la purificazione della madre, l'offerta del primogenito a Dio e il suo riscatto mediante un sacrificio. Nella prima Lettura la Liturgia parla dell'oracolo del profeta Malachia: "Subito entrerà nel suo tempio il Signore" (Mal 3, 1). Queste parole comunicano tutta l'intensità del desiderio che ha animato l'attesa da parte del popolo ebreo nel corso dei secoli. Entra finalmente nella sua casa "l'angelo dell'alleanza" e si sottomette alla Legge: viene a Gerusalemme per entrare in atteggiamento di obbedienza nella casa di Dio.

    Il significato di questo gesto acquista una prospettiva più ampia nel brano della Lettera agli Ebrei, proclamato oggi come seconda Lettura. Qui ci viene presentato Cristo, il mediatore che unisce Dio e l'uomo abolendo le distanze, eliminando ogni divisione e abbattendo ogni muro di separazione. Cristo viene come nuovo "sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo" (Eb 2, 17). Notiamo così che la mediazione con Dio non si attua più nella santità-separazione del sacerdozio antico, ma nella solidarietà liberante con gli uomini. Egli inizia, ancora Bambino, a camminare sulla via dell'obbedienza, che percorrerà fino in fondo. Lo pone ben in luce la Lettera agli Ebrei quando dice: "Nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche... a colui che poteva liberarlo da morte ... Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" (cfr Eb 5, 7-9).

    La prima persona che si associa a Cristo sulla via dell'obbedienza, della fede provata e del dolore condiviso è sua madre Maria. Il testo evangelico ce la mostra nell'atto di offrire il Figlio: un'offerta incondizionata che la coinvolge in prima persona: Maria è Madre di Colui che è "gloria del suo popolo Israele" e "luce per illuminare le genti", ma anche "segno di contraddizione" (cfr Lc 2, 32.34). E lei stessa, nella sua anima immacolata, dovrà essere trafitta dalla spada del dolore, mostrando così che il suo ruolo nella storia della salvezza non si esaurisce nel mistero dell'Incarnazione, ma si completa nell'amorosa e dolorosa partecipazione alla morte e alla risurrezione del Figlio suo. Portando il Figlio a Gerusalemme, la Vergine Madre lo offre a Dio come vero Agnello che toglie i peccati del mondo; lo porge a Simeone e ad Anna quale annuncio di redenzione; lo presenta a tutti come luce per un cammino sicuro sulla via della verità e dell'amore.

    Le parole che in quest'incontro affiorano sulle labbra del vecchio Simeone - "I miei occhi han visto la tua salvezza" (Lc 2, 30) - trovano eco nell'animo della profetessa Anna. Queste persone giuste e pie, avvolte dalla luce di Cristo, possono contemplare nel Bambino Gesù "il conforto d'Israele" (Lc 2, 25). La loro attesa si trasforma così in luce che rischiara la storia. Simeone è portatore di un'antica speranza e lo Spirito del Signore parla al suo cuore: per questo può contemplare colui che molti profeti e re avevano desiderato vedere, Cristo, luce che illumina le genti. In quel Bambino riconosce il Salvatore, ma intuisce nello Spirito che intorno a Lui si giocheranno i destini dell'umanità, e che dovrà soffrire molto da parte di quanti lo rifiuteranno; ne proclama l'identità e la missione di Messia con le parole che formano uno degli inni della Chiesa nascente, dal quale si sprigiona tutta l'esultanza comunitaria ed escatologica dell'attesa salvifica realizzata. L'entusiasmo è così grande che vivere e morire sono la stessa cosa, e la "luce" e la "gloria" diventano una rivelazione universale. Anna è "profetessa", donna saggia e pia che interpreta il senso profondo degli eventi storici e del messaggio di Dio in essi celato. Per questo può "lodare Dio" e parlare "del Bambino a tutti coloro che aspettavano la redenzione di Gerusalemme" (Lc 2, 38). La lunga vedovanza dedita al culto nel tempio, la fedeltà ai digiuni settimanali, la partecipazione all'attesa di quanti anelavano il riscatto d'Israele si concludono nell'incontro con il Bambino Gesù.

    Cari fratelli e sorelle, in questa festa della Presentazione del Signore la Chiesa celebra la Giornata della Vita Consacrata. Si tratta di un'opportuna occasione per lodare il Signore e ringraziarlo del dono inestimabile che la vita consacrata nelle sue differenti forme rappresenta; è al tempo stesso uno stimolo a promuovere in tutto il popolo di Dio la conoscenza e la stima per chi è totalmente consacrato a Dio. Come, infatti, la vita di Gesù, nella sua obbedienza e dedizione al Padre, è parabola vivente del "Dio con noi", così la concreta dedizione delle persone consacrate a Dio e ai fratelli diventa segno eloquente della presenza del Regno di Dio per il mondo di oggi. Il vostro modo di vivere e di operare è in grado di manifestare senza attenuazioni la piena appartenenza all'unico Signore; la vostra completa consegna nelle mani di Cristo e della Chiesa è un annuncio forte e chiaro della presenza di Dio in un linguaggio comprensibile ai nostri contemporanei. È questo il primo servizio che la vita consacrata rende alla Chiesa e al mondo. All'interno del Popolo di Dio essi sono come sentinelle che scorgono e annunciano la vita nuova già presente nella nostra storia.

    Mi rivolgo ora in modo speciale a voi, cari fratelli e sorelle che avete abbracciato la vocazione di speciale consacrazione, per salutarvi con affetto e ringraziarvi di cuore per la vostra presenza. Un saluto speciale rivolgo a Mons. Franc Rodé, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, e ai suoi collaboratori, che concelebrano con me in questa Santa Messa. Il Signore rinnovi ogni giorno in voi e in tutte le persone consacrate la risposta gioiosa al suo amore gratuito e fedele. Cari fratelli e sorelle, come ceri accesi, irradiate sempre e in ogni luogo l'amore di Cristo, luce del mondo. Maria Santissima, la Donna consacrata, vi aiuti a vivere appieno questa vostra speciale vocazione e missione nella Chiesa per la salvezza del mondo.

    Amen!





      CLICCANDO QUI TROVERETE L'INTERA RACCOLTA DEI TESTI DI BENEDETTO XVI SULLA VOCAZIONE E LA VITA CONSACRATA 







    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 02/02/2015 22:08

    FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE
    XIX GIORNATA MONDIALE DELLA VITA CONSACRATA

    OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

    Basilica Vaticana
    Domenica, 2 febbraio 2015

    [Multimedia]



     

    Teniamo davanti agli occhi della mente l’icona della Madre Maria che cammina col Bambino Gesù in braccio. Lo introduce nel tempio, lo introduce nel popolo, lo porta ad incontrare il suo popolo.

    Le braccia della Madre sono come la “scala” sulla quale il Figlio di Dio scende verso di noi, la scala dell’accondiscendenza di Dio. Lo abbiamo ascoltato nella prima Lettura, dalla Lettera agli Ebrei: Cristo si è reso «in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede» (2,17). E’ la duplice via di Gesù: Egli è sceso, si è fatto come noi, per ascendere al Padre insieme con noi, facendoci come Lui.

    Possiamo contemplare nel cuore questo movimento immaginando la scena evangelica di Maria che entra nel tempio con il Bambino in braccio. La Madonna cammina, ma è il Figlio che cammina prima di Lei. Lei lo porta, ma è Lui che porta Lei in questo cammino di Dio che viene a noi affinché noi possiamo andare a Lui.

    Gesù ha fatto la nostra stessa strada per indicare a noi il cammino nuovo, cioè la “via nuova e vivente” (cfr Eb 10,20) che è Lui stesso. E per noi, consacrati, questa è l’unica strada che, in concreto e senza alternative, dobbiamo percorrere con gioia e perseveranza.

    Il Vangelo insiste ben cinque volte sull’obbedienza di Maria e Giuseppe alla “Legge del Signore” (cfr Lc 2,22. 23. 24. 27. 39). Gesù non è venuto a fare la sua volontà, ma la volontà del Padre; e questo – ha detto – era il suo “cibo” (cfr Gv 4, 34). Così chi segue Gesù si mette nella via dell’obbedienza, imitando l’“accondiscendenza” del Signore; abbassandosi e facendo propria la volontà del Padre, anche fino all’annientamento e all’umiliazione di sé stesso (cfr Fil 2,7-8). Per un religioso, progredire significa abbassarsi nel servizio, cioè fare lo stesso cammino di Gesù, che «non ritenne un privilegio l’essere come Dio» (Fil 2,6). Abbassarsi facendosi servo per servire.

    E questa via prende la forma della regola, improntata al carisma del fondatore, senza dimenticare che la regola insostituibile, per tutti, è sempre il Vangelo. Lo Spirito Santo, poi, nella sua creatività infinita, lo traduce anche nelle diverse regole di vita consacrata che nascono tutte dalla sequela Christi, e cioè da questo cammino di abbassarsi servendo.

    Attraverso questa “legge” i consacrati possono raggiungere la sapienza, che non è un’attitudine astratta ma è opera e dono dello Spirito Santo. E segno evidente di tale sapienza è la gioia. Sì, la letizia evangelica del religioso è conseguenza del cammino di abbassamento con Gesù… E, quando siamo tristi, ci farà bene domandarci: “Come stiamo vivendo questa dimensione kenotica?”.

    Nel racconto della Presentazione di Gesù al Tempio la sapienza è rappresentata dai due anziani, Simeone e Anna: persone docili allo Spirito Santo (lo si nomina 3 volte), guidati da Lui, animati da Lui. Il Signore ha dato loro la sapienza attraverso un lungo cammino nella via dell’obbedienza alla sua legge. Obbedienza che, da una parte, umilia e annienta, però, dall’altra accende e custodisce la speranza, facendoli creativi, perché erano pieni di Spirito Santo. Essi celebrano anche una sorta di liturgia attorno al Bambino che entra nel Tempio: Simeone loda il Signore e Anna “predica” la salvezza (cfr Lc 2,28-32.38). Come nel caso di Maria, anche l’anziano Simeone prende il bambino tra le sue braccia, ma, in realtà, è il bambino che lo afferra e lo conduce. La liturgia dei primi Vespri della Festa odierna lo esprime in modo chiaro e bello: «senex puerum portabat, puer autem senem regebat». Tanto Maria, giovane madre, quanto Simeone, anziano “nonno”, portano il bambino in braccio, ma è il bambino stesso che li conduce entrambi.

    È curioso notare che in questa vicenda i creativi non sono i giovani, ma gli anziani. I giovani, come Maria e Giuseppe, seguono la legge del Signore sulla via dell’obbedienza; gli anziani, come Simeone e Anna, vedono nel bambino il compimento della Legge e delle promesse di Dio. E sono capaci di fare festa: sono creativi nella gioia, nella saggezza.

    Tuttavia, il Signore trasforma l’obbedienza in sapienza, con l’azione del suo Santo Spirito.

    A volte Dio può elargire il dono della sapienza anche a un giovane inesperto, basta che sia disponibile a percorrere la via dell’obbedienza e della docilità allo Spirito. Questa obbedienza e questa docilità non sono un fatto teorico, ma sottostanno alla logica dell’incarnazione del Verbo: docilità e obbedienza a un fondatore, docilità e obbedienza a una regola concreta, docilità e obbedienza a un superiore, docilità e obbedienza alla Chiesa. Si tratta di docilità e obbedienza concrete.

    Attraverso il cammino perseverante nell’obbedienza, matura la sapienza personale e comunitaria, e così diventa possibile ancherapportare le regole ai tempi: il vero “aggiornamento”, infatti, è opera della sapienza, forgiata nella docilità e obbedienza.

    Il rinvigorimento e il rinnovamento della vita consacrata avvengono attraverso un amore grande alla regola, e anche attraverso la capacità di contemplare e ascoltare gli anziani della Congregazione. Così il “deposito”, il carisma di ogni famiglia religiosa vienecustodito insieme dall’obbedienza e dalla saggezza. E, attraverso questo cammino, siamo preservati dal vivere la nostra consacrazione in maniera light, in maniera disincarnata, come fosse una gnosi, che ridurrebbe la vita religiosa ad una “caricatura”, una caricatura nella quale si attua una sequela senza rinuncia, una preghiera senza incontro, una vita fraterna senza comunione, un’obbedienza senza fiducia e una carità senza trascendenza.

    Anche noi, oggi, come Maria e come Simeone, vogliamo prendere in braccio Gesù perché Egli incontri il suo popolo, e certamente lo otterremo soltanto se ci lasciamo afferrare dal mistero di Cristo. Guidiamo il popolo a Gesù lasciandoci a nostra volta guidare da Lui. Questo è ciò che dobbiamo essere: guide guidate.

    Il Signore, per intercessione di Maria nostra Madre, di San Giuseppe e dei Santi Simeone e Anna, ci conceda quanto gli abbiamo domandato nell’Orazione di Colletta: di «essere presentati [a Lui] pienamente rinnovati nello spirito». Così sia.

     

    LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
    AI PRESIDENTI DELLE CONFERENZE EPISCOPALI E 
    AI SUPERIORI DEGLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA 
    CIRCA LA PONTIFICIA COMMISSIONE PER LA TUTELA DEI MINORI

    [Multimedia]



     

    Ai Presidenti delle Conferenze Episcopali 
    e ai Superiori degli Istituti di vita consacrata 
    e le Società di vita apostolica

    Nel marzo dell'anno scorso ho istituito la Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, annunciata già nel dicembre 2013, con lo scopo di offrire proposte e iniziative orientate a migliorare le norme e le procedure per la protezione di tutti i minori e degli adulti vulnerabili, e ho chiamato a farne parte personalità altamente qualificate e note per il loro impegno in questo campo.

    Nel luglio successivo, l'incontro con alcune persone che hanno subito abusi sessuali da parte di sacerdoti mi ha offerto l'occasione di essere diretto e commosso testimone dell'intensità delle loro sofferenze e della solidità della loro fede. Ciò mi ha ulteriormente confermato nella convinzione che occorre continuare a fare tutto il possibile per sradicare dalla Chiesa la piaga degli abusi sessuali sui minori e aprire una via di riconciliazione e di guarigione in favore di coloro che sono stati abusati.

    Per questi motivi, lo scorso dicembre ho aggiunto alla Commissione alcuni nuovi membri, in rappresentanza delle Chiese particolari di tutto il mondo. E fra pochi giorni, tutti i membri si incontreranno a Roma per la prima volta.

    In questo contesto, ritengo che la Commissione potrà essere un nuovo, valido ed efficace strumento per aiutarmi ad animare e a promuovere l'impegno dell'intera Chiesa — ai vari livelli: Conferenze Episcopali, Diocesi, Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica, ecc. — a mettere in atto le azioni necessarie per garantire la protezione dei minori e degli adulti vulnerabili e dare risposte di giustizia e di misericordia.

    Le famiglie devono sapere che la Chiesa non risparmia sforzi per tutelare i loro figli e hanno il diritto di rivolgersi ad essa con piena fiducia, perché è una casa sicura. Non potrà, pertanto, venire accordata priorità ad altro tipo di considerazioni, di qualunque natura esse siano, come ad esempio il desiderio di evitare lo scandalo, poiché non c'è assolutamente posto nel ministero per coloro che abusano dei minori.

    Occorre altresì vigilare con attenzione affinché si dia piena attuazione alla Lettera circolare emanata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, il 3 maggio 2011, (voluta da Benedetto XVI) per aiutare le Conferenze Episcopali nel preparare linee-guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici. E' importante che le Conferenze Episcopali si dotino di uno strumento per la revisione periodica delle norme e per la verifica del loro adempimento.

    Al Vescovo diocesano e ai Superiori maggiori spetta il compito di verificare che nelle parrocchie e nelle altre istituzioni della Chiesa venga garantita la sicurezza dei minori e degli adulti vulnerabili.  Come espressione del dovere della Chiesa di manifestare la compassione di Gesù verso coloro che hanno subito abusi sessuali e verso le loro famiglie, le Diocesi e gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica sono esortati ad individuare programmi di assistenza pastorale, che potranno avvalersi dell'apporto di servizi psicologici e spirituali. I Pastori e i responsabili delle comunità religiose siano disponibili all'incontro con le vittime e i loro cari: si tratta di occasioni preziose per ascoltare e per chiedere perdono a quanti hanno molto sofferto.

    Per tutti questi motivi, chiedo la vostra collaborazione piena e attenta con la Commissione per la Tutela dei Minori. Il lavoro che ho affidato loro comprende l'assistenza a voi e alle vostre Conferenze, attraverso il reciproco scambio di “prassi virtuose” e di programmi di educazione, formazione e istruzione per quanto riguarda la risposta da dare agli abusi sessuali.

    Il Signore Gesù infonda in ciascuno di noi, ministri della Chiesa, quell'amore e quella predilezione per i piccoli che ha caratterizzato la Sua presenza fra gli uomini e che si traduce in una speciale responsabilità per il bene dei minori e degli adulti vulnerabili. Ci aiuti Maria Santissima, Madre della tenerezza e della misericordia, a compiere con generosità e rigore il nostro dovere di riconoscere umilmente e di riparare le ingiustizie del passato e ad essere sempre fedeli al compito di proteggere coloro che Gesù predilige.

    Dal Vaticano, 2 Febbraio 2015 
    Festa della Presentazione del Signore

    Francesco








    [Modificato da Caterina63 05/02/2015 17:55]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 12/02/2015 08:23
    [SM=g1740717] Cari Amici, siamo nell'Anno dedicato alla Vita Consacrata e cade anche il Decimo anniversario dalla morte di Suor Lucia, l'ultima Veggente di Fatima, anch'essa consacrata a Dio attraverso l'intervento straordinario di Maria Santissima che sempre l'ha guidata e sostenuta: "Io non ti abbandono: il mio Cuore sarà tuo rifugio e il cammino che ti guiderà fino a Dio.."
    Forte di questo Suor Lucia ci ha lasciato un libro meraviglioso, l'unico ufficiale e perciò diffidate di altri testi a lei attribuiti che non abbiano nelle Note riferimenti a materiale autentico, ebbene in questo testo Gli appelli del Messaggio di Fatima, Suor Lucia ci spiega e ci guida dentro il cuore di queste parole venute dal Cielo.
    Qui nel video ve ne offriamo una piccolissima parte, a voi la gioia di leggere il testo integralmente.

    www.youtube.com/watch?v=_uj8n1-EYjQ




    [SM=g1740750] [SM=g1740752]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 06/03/2015 18:31

      Giovanni Paolo II ai Religiosi ed alle Religiose delle Famiglie monfortane
    Dal Vaticano, 8 dicembre 2003, Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata  Vergine Maria.

    Giovanni Paolo II ai Religiosi ed alle Religiose delle Famiglie monfortane dans Fede, morale e teologia xnf5p4
    Foto: Giovanni Paolo II in pellegrinaggio sulla tomba
    di san Luigi Maria Grignion da Montfort,
    in Vandea (Francia), il 19 settembre 1996.

    Un classico testo della spiritualità mariana
    1. Centosessant’anni or sono veniva resa pubblica un’opera destinata a diventare  un classico della spiritualità mariana. San Luigi Maria Grignion de Montfort  compose il Trattato della vera devozione alla Santa Vergine agli inizi  del 1700, ma il manoscritto rimase praticamente sconosciuto per oltre un secolo.  Quando finalmente, quasi per caso, nel 1842 fu scoperto e nel 1843 pubblicato,  ebbe un immediato successo, rivelandosi un’opera di straordinaria efficacia  nella diffusione della “vera devozione” alla Vergine Santissima. Io stesso,  negli anni della mia giovinezza, trassi un grande aiuto dalla lettura di questo  libro, nel quale “trovai la risposta alle mie perplessità” dovute al timore che  il culto per Maria, “dilatandosi eccessivamente, finisse per compromettere la  supremazia del culto dovuto a Cristo” (Dono e misterop. 38). Sotto la  guida sapiente di san Luigi Maria compresi che, se si vive il mistero di Maria  in Cristo, tale rischio non sussiste. Il pensiero mariologico del Santo,  infatti, “è radicato nel Mistero trinitario e nella verità dell’Incarnazione del  Verbo di Dio” (ibid.).
    La Chiesa, fin dalle sue origini, e specialmente nei momenti più difficili, ha  contemplato con particolare intensità uno degli avvenimenti della Passione di  Gesù Cristo riferito da san Giovanni: “Stavano presso la croce di Gesù sua  Madre, la sorella di sua Madre, Maria di Cleofa, e Maria di Magdala. Gesù  allora, vedendo la Madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla  Madre: ‘Donna, ecco il tuo figlio!’. Poi disse al discepolo: ‘Ecco la tua  Madre!’. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Gv 19,  25-27). Lungo la sua storia, il Popolo di Dio ha sperimentato questo dono fatto  da Gesù crocifisso: il dono di sua Madre. Maria Santissima è veramente Madre  nostra, che ci accompagna nel nostro pellegrinaggio di fede, speranza e carità  verso l’unione sempre più intensa con Cristo, unico salvatore e mediatore della  salvezza (cfr Cost. Lumen gentium, nn. 60 e 62).

    Com’è noto, nel mio stemma episcopale, che è l’illustrazione simbolica del testo  evangelico appena citato, il motto Totus tuus è ispirato alla dottrina di  san Luigi Maria Grignion de Montfort (cfr Dono e mistero, pp. 38-39; Rosarium Virginis Mariae, 15). Queste due parole esprimono l’appartenenza  totale a Gesù per mezzo di Maria: “Tuus totus ego sum, et omnia mea tua sunt”, scrive san Luigi Maria; e traduce: “Io sono tutto tuo, e tutto ciò che è mio  ti appartiene, mio amabile Gesù, per mezzo di Maria, tua santa Madre” (Trattato  della vera devozione, 233). La dottrina di questo Santo ha esercitato un  influsso profondo sulla devozione mariana di molti fedeli e sulla mia propria  vita. Si tratta di una dottrina vissuta, di notevole profondità ascetica  e mistica, espressa con uno stile vivo e ardente, che utilizza spesso immagini e  simboli. Dal tempo in cui visse san Luigi Maria in poi, la teologia mariana si è  tuttavia molto sviluppata, soprattutto mediante il decisivo contributo del  Concilio Vaticano II. Alla luce del Concilio va, quindi, riletta ed interpretata  oggi la dottrina monfortana, che conserva nondimeno la sua sostanziale validità.
    Nella presente Lettera vorrei condividere con voi, Religiosi e  Religiose delle  Famiglie monfortane, la meditazione di alcuni brani degli scritti di san Luigi  Maria, che ci aiutino in questi momenti difficili ad alimentare la nostra  fiducia nella mediazione materna della Madre del Signore.

    Ad Iesum per Mariam
    2. San Luigi Maria propone con singolare efficacia la contemplazione amorosa del  mistero dell’Incarnazione. La vera devozione mariana è cristocentrica. Infatti,  come ha ricordato il Concilio Vaticano II, “la Chiesa, pensando a lei (a Maria)  piamente e contemplandola alla luce del Verbo fatto uomo, penetra con  venerazione e più profondamente nell’altissimo mistero dell’Incarnazione” (Cost. Lumen gentium, 65).
    L’amore a Dio mediante l’unione a Gesù Cristo è la finalità di ogni autentica  devozione, perché – come scrive san Luigi Maria – Cristo “è il nostro unico  maestro che deve istruirci, il nostro unico Signore dal quale dobbiamo  dipendere, il nostro unico Capo al quale dobbiamo restare uniti, il nostro unico  modello al quale conformarci, il nostro unico medico che ci deve guarire, il  nostro unico pastore che ci deve nutrire, la nostra unica via che ci deve  condurre, la nostra unica verità che dobbiamo credere, la nostra unica vita che  ci deve vivificare e il nostro unico tutto, in tutte le cose, che ci deve  bastare” (Trattato della vera devozione, 61).

    3. La devozione alla Santa Vergine è un mezzo privilegiato “per trovare Gesù  Cristo perfettamente, per amarlo teneramente e servirlo fedelmente” (Trattato  della vera devozione, 62). Questo centrale desiderio di “amare teneramente”  viene subito dilatato in un’ardente preghiera a Gesù, chiedendo la grazia di  partecipare all’indicibile comunione d’amore che esiste tra Lui e sua Madre. La  totale relatività di Maria a Cristo, e in Lui alla Santissima Trinità, è  anzitutto sperimentata nella osservazione: “Ogni volta che tu pensi a Maria,  Maria pensa per te a Dio. Ogni volta che tu dai lode e onore a Maria, Maria con  te loda e onora Dio. Maria è tutta relativa a Dio, e io la chiamerei benissimo la relazione di Dio, che non esiste se non in rapporto a Dio, o l’eco  di Dio, che non dice e non ripete se non Dio. Se tu dici Maria, ella ripete  Dio. Santa Elisabetta lodò Maria e la disse beata per aver creduto. Maria -  l’eco fedele di Dio – intonò: Magnificat anima mea Dominum: l’anima mia  magnifica il Signore. Ciò che Maria fece in quell’occasione, lo ripete ogni  giorno. Quando è lodata, amata, onorata o riceve qualche cosa, Dio è lodato, Dio  è amato, Dio è onorato, Dio riceve per le mani di Maria e in Maria” (Trattato  della vera devozione, 225).
    E’ ancora nella preghiera alla Madre del Signore che san Luigi Maria esprime la  dimensione trinitaria della sua relazione con Dio: “Ti saluto, Maria, Figlia  prediletta dell’eterno Padre! Ti saluto Maria, Madre mirabile del Figlio! Ti  saluto Maria, Sposa fedelissima dello Spirito Santo!” (Segreto di Maria,  68). Questa tradizionale espressione, già usata da san Francesco d’Assisi (cfr Fonti Francescane, 281), pur contenendo livelli eterogenei di analogia, è  senza dubbio efficace per esprimere in qualche modo la peculiare partecipazione  della Madonna alla vita della Santissima Trinità.

    4. San Luigi Maria contempla tutti i misteri a partire dall’Incarnazione che si è compiuta al momento dell’Annunciazione. Così, nel Trattato della  vera devozione, Maria appare come “il vero paradiso terrestre del Nuovo  Adamo”, la “terra vergine e immacolata” da cui Egli è stato plasmato (n. 261).  Ella è anche la Nuova Eva, associata al Nuovo Adamo nell’obbedienza che ripara la disobbedienza originale dell’uomo e della donna  (cfr ibid., 53; Sant’Ireneo, Adversus haereses, III, 21, 10-22,  4). Per mezzo di quest’obbedienza, il Figlio di Dio entra nel mondo. La stessa  Croce è già misteriosamente presente nell’istante dell’Incarnazione, al momento  del concepimento di Gesù nel seno di Maria. Infatti, l’ecce venio della  Lettera agli Ebrei (cfr 10,5-9) è il primordiale atto d’obbedienza del Figlio al  Padre, già accettazione del suo Sacrificio redentore “quando entra nel mondo”.
    Tutta la nostra perfezione – scrive san Luigi Maria Grignion de Montfort  – consiste nell’essere conformi, uniti e consacrati a Gesù Cristo. Perciò  la più perfetta di tutte le devozioni è incontestabilmente quella che ci  conforma, unisce e consacra più perfettamente a Gesù Cristo. Ora, essendo Maria  la creatura più conforme a Gesù Cristo, ne segue che, tra tutte le devozioni,  quella che consacra e conforma di più un’anima a Nostro Signore è la devozione a  Maria, sua santa Madre, e che più un’anima sarà consacrata a Maria, più sarà  consacrata a Gesù Cristo” (Trattato della vera devozione, 120).  Rivolgendosi a Gesù, san Luigi Maria esprime quanto è meravigliosa l’unione tra  il Figlio e la Madre: “Ella è talmente trasformata in te dalla grazia, che non  vive più, non è più: sei solo tu, mio Gesù, che vivi e regni in lei… Ah! se si  conoscesse la gloria e l’amore che tu ricevi in questa mirabile creatura… Ella  ti è così intimamente unita… Ella infatti ti ama più ardentemente e ti  glorifica più perfettamente di tutte le altre creature insieme” (ibid.,  63).

    Maria, membro eminente del Corpo mistico e Madre della Chiesa
    5. Secondo le parole del Concilio Vaticano II, Maria “è riconosciuta quale  sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa e sua immagine ed  eccellentissimo modello nella fede e nella carità” (Cost. Lumen gentium,  53). La Madre del Redentore è anche redenta da lui, in modo unico nella sua  immacolata concezione, e ci ha preceduto in quell’ascolto credente e amante  della Parola di Dio che rende beati (cfribid., 58). Anche per questo,  Maria “è intimamente unita alla Chiesa: la Madre di Dio è la figura (typus)  della Chiesa, come già insegnava sant’Ambrogio, nell’ordine cioè della fede,  della carità e della perfetta unione con Cristo. Infatti, nel mistero della  Chiesa, la quale pure è giustamente chiamata madre e vergine, la Beata Vergine  Maria è la prima, dando in maniera eminente e singolare l’esempio della vergine  e della madre” (ibid,. 63). Lo stesso Concilio contempla Maria come Madre delle membra di Cristo (cfr ibid., 53; 62), e così Paolo VI  l’ha proclamata Madre della Chiesa. La dottrina del Corpo mistico, che  esprime nel modo più forte l’unione di Cristo con la Chiesa, è anche il  fondamento biblico di questa affermazione. “Il capo e le membra nascono da una  stessa madre” (Trattato della vera devozione, 32), ci ricorda san Luigi  Maria. In questo senso diciamo che, per opera dello Spirito Santo, le membra  sono unite e conformate a Cristo Capo, Figlio del Padre e di Maria, in modo tale  che “ogni vero figlio della Chiesa deve avere Dio per Padre e Maria per Madre” (Segreto  di Maria, 11).
    In Cristo, Figlio unigenito, siamo realmente figli del Padre e, allo stesso  tempo, figli di Maria e della Chiesa. Nella nascita verginale di Gesù, in  qualche modo è tutta l’umanità che rinasce. Alla Madre del Signore “possono  essere applicate, in modo più vero di quanto san Paolo le applichi a se stesso,  queste parole: «Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore, finché non  sia formato Cristo in voi» (Gal 4,19). Partorisco ogni giorno i figli di  Dio, fin quando in loro non sia formato Gesù Cristo, mio Figlio, nella pienezza  della sua età” (Trattato della vera devozione, 33). Questa dottrina trova  la sua più bella espressione nella preghiera: “O Spirito Santo, concedimi  una grande devozione ed una grande inclinazione verso Maria, un solido appoggio  sul suo seno materno ed un assiduo ricorso alla sua misericordia, affinché in  lei tu abbia a formare Gesù dentro di me” (Segreto di Maria, 67).
    Una delle più alte espressioni della spiritualità di san Luigi Maria Grignion de  Montfort si riferisce all’identificazione del fedele con Maria nel suo amore per  Gesù, nel suo servizio di Gesù. Meditando il noto testo di sant’Ambrogio: L’anima di Maria sia in ciascuno per glorificare il Signore, lo spirito di Maria  sia in ciascuno per esultare in Dio (Expos. in Luc., 12,26: PL 15, 1561), egli scrive: “Quanto è felice un’anima quando… è tutta posseduta e  guidata dallo spirito di Maria, che è uno spirito dolce e forte,  zelante e prudente, umile e coraggioso, puro e fecondo” (Trattato della  vera devozione, 258). L’identificazione mistica con Maria è tutta rivolta a  Gesù, come si esprime nella preghiera: “Infine, mia carissima e amatissima  Madre, fa’, se è possibile, che io non abbia altro spirito che il tuo per  conoscere Gesù Cristo e i suoi divini voleri; non abbia altra anima che la tua  per lodare e glorificare il Signore; non abbia altro cuore che il tuo per amare  Dio con carità pura e ardente come te” (Segreto di Maria, 68).

    La santità, perfezione della carità
    6. Recita ancora la Costituzione Lumen gentium: “Mentre la Chiesa ha già  raggiunto nella beatissima Vergine la perfezione che la rende senza macchia e  senza ruga (cfr Ef 5, 27), i fedeli si sforzano ancora di crescere nella  santità debellando il peccato; e per questo innalzano gli occhi a Maria, la  quale rifulge come l’esempio della virtù davanti a tutta la comunità degli  eletti” (n. 65). La santità è perfezione della carità, di quell’amore a  Dio e al prossimo che è l’oggetto del più grande comandamento di Gesù (cfr Mt 22, 38), ed è anche il più grande dono dello Spirito Santo (cfr 1 Cor 13,  13). Così, nei suoi Cantici, san Luigi Maria presenta successivamente ai  fedeli l’eccellenza della carità (Cantico 5), la luce della fede (Cantico 6) e la saldezza della speranza (Cantico 7).
    Nella spiritualità monfortana, il dinamismo della carità viene specialmente  espresso attraverso il simbolo della schiavitù d’amore a Gesùsull’esempio e con l’aiuto materno di Maria. Si tratta della piena comunione  alla kénosis di Cristo; comunione vissuta con Maria, intimamente presente  ai misteri della vita del Figlio. “Non c’è nulla fra i cristiani che faccia  appartenere in modo più assoluto a Gesù Cristo e alla sua Santa Madre quanto la  schiavitù della volontà, secondo l’esempio di Gesù Cristo stesso, che prese la  condizione di schiavo per nostro amore –formam servi accipiens -, e  della Santa Vergine, che si disse serva e schiava del Signore. L’apostolo si  onora del titolo di servus Christi. Più volte, nella Sacra Scrittura, i  cristiani sono chiamati servi Christi” (Trattato della vera devozione,  72). Infatti, il Figlio di Dio, venuto al mondo in obbedienza al Padre  nell’Incarnazione (cfr Eb 10, 7), si è poi umiliato facendosi obbediente  fino alla morte ed alla morte di Croce (cfrFil 2, 7-8). Maria ha  corrisposto alla volontà di Dio con il dono totale di se stessa, corpo e anima,  per sempre, dall’Annunciazione alla Croce, e dalla Croce all’Assunzione.  Certamente tra l’obbedienza di Cristo e l’obbedienza di Maria vi è un’asimmetria  determinata dalla differenza ontologica tra la Persona divina del Figlio  e la persona umana di Maria, da cui consegue anche l’esclusività dell’efficacia  salvifica fontale dell’obbedienza di Cristo, dalla quale la sua stessa Madre ha  ricevuto la grazia di poter obbedire in modo totale a Dio e così collaborare con  la missione del suo Figlio.
    La schiavitù d’amore va, quindi, interpretata alla luce del mirabile  scambio tra Dio e l’umanità nel mistero del Verbo incarnato. E’ un vero scambio  d’amore tra Dio e la sua creatura nella reciprocità del dono totale di sé. “Lo  spirito di questa devozione… è di rendere l’anima interiormente dipendente e  schiava della Santissima Vergine e di Gesù per mezzo di Lei” (Segreto di  Maria, 44). Paradossalmente, questo “vincolo di carità”, questa “schiavitù  d’amore”, rende l’uomo pienamente libero, con la vera libertà dei figli di Dio  (cfr Trattato della vera devozione, 169). Si tratta di consegnarsi  totalmente a Gesù, rispondendo all’Amore con cui Egli ci ha amato per primo.  Chiunque vive in tale amore può dire come san Paolo: “Non sono più io che  vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2, 20).

    La ‘peregrinazione della fede’
    7. Ho scritto nella Novo millennio ineunte che “a Gesù non si arriva  davvero che per la via della fede” (n. 19). Proprio questa fu la via seguita da  Maria durante tutta la sua vita terrena, ed è la via della Chiesa pellegrinante  fino alla fine dei tempi. Il Concilio Vaticano II ha molto insistito sulla fede  di Maria, misteriosamente condivisa dalla Chiesa, mettendo in luce l’itinerario  della Madonna dal momento dell’Annunciazione fino al momento della Passione  redentrice (cfr Cost. Lumen gentium, 57 e 67; Lett. enc. Redemptoris Mater, 25-27).

    Negli scritti di san Luigi Maria troviamo lo stesso accento sulla fede vissuta  dalla Madre di Gesù in un cammino che va dall’Incarnazione alla Croce, una fede  nella quale Maria è modello e tipo della Chiesa. San Luigi Maria lo esprime con  ricchezza di sfumature quando espone al suo lettore gli “effetti meravigliosi”  della perfetta devozione mariana: “Più dunque ti guadagnerai la benevolenza di  questa augusta Principessa e Vergine fedele, più la tua condotta di vita sarà  ispirata dalla pura fede. Una fede pura, per cui non ti preoccuperai affatto di  quanto è sensibile e straordinario. Una fede viva e animata dalla carità, che ti  farà agire solo per il motivo del puro amore. Una fede ferma e incrollabile come  roccia, che ti farà rimanere fermo e costante in mezzo ad uragani e burrasche.  Una fede operosa e penetrante che, come misteriosa polivalente chiave, ti farà  entrare in tutti i misteri di Gesù Cristo, nei fini ultimi dell’uomo e nel cuore  di Dio stesso. Una fede coraggiosa, che ti farà intraprendere e condurre a  termine senza esitazioni cose grandi per Dio e per la salvezza delle anime. Una  fede, infine, che sarà tua fiaccola ardente, tua vita divina, tuo tesoro  nascosto della divina Sapienza e tua arma onnipotente, con la quale rischiarerai  quanti stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte, infiammerai quelli che  sono tiepidi ed hanno bisogno dell’oro infuocato della carità, ridarai vita a  coloro che sono morti a causa del peccato, commuoverai e sconvolgerai con le tue  soavi e forti parole i cuori di pietra e i cedri del Libano e, infine,  resisterai al demonio e a tutti i nemici della salvezza” (Trattato della vera  devozione, 214).
    Come san Giovanni della Croce, san Luigi Maria insiste soprattutto sulla purezza  della fede e sulla sua essenziale e spesso dolorosa oscurità (cfrSegreto di  Maria, 51-52). E’ la fede contemplativa che, rinunciando alle cose sensibili  o straordinarie, penetra nelle misteriose profondità di Cristo. Così, nella sua  preghiera, san Luigi Maria si rivolge alla Madre del Signore dicendo: “Non ti  chiedo visioni o rivelazioni, né gusti o delizie anche soltanto spirituali…  Quaggiù io non voglio per mia porzione se non quello che tu hai avuto, cioè:  credere con fede pura senza nulla gustare o vedere” (ibid., 69). La Croce  è il momento culminante della fede di Maria, come scrivevo nell’Enciclica Redemptoris Mater: “Mediante questa fede Maria è perfettamente unita a  Cristo nella sua spoliazione… E’ questa forse la più profonda kénosis della fede nella storia dell’umanità” (n. 18).

    Segno di sicura speranza
    8. Lo Spirito Santo invita Maria a “riprodursi” nei suoi eletti, estendendo in  essi le radici della sua “fede invincibile”, ma anche della sua “ferma speranza”  (cfr Trattato della vera devozione, 34). Lo ha ricordato il Concilio  Vaticano II: “La Madre di Gesù, come in cielo, glorificata ormai nel corpo e  nell’anima, è l’immagine e la primizia della Chiesa che dovrà avere il suo  compimento nell’età futura, cosi sulla terra brilla come un segno di sicura  speranza e di consolazione per il Popolo di Dio in marcia, fino a quando non  verrà il giorno del Signore” (Cost. Lumen gentium, 68). Questa dimensione  escatologica è contemplata da san Luigi Maria specialmente quando parla dei  “santi degli ultimi tempi”, formati dalla Santa Vergine per portare nella Chiesa  la vittoria di Cristo sulle forze del male (cfr Trattato della vera devozione,  49-59). Non si tratta in alcun modo di una forma di “millenarismo”, ma del senso  profondo dell’indole escatologica della Chiesa, legata all’unicità e  universalità salvifica di Gesù Cristo. La Chiesa attende la venuta gloriosa di  Gesù alla fine dei tempi. Come Maria e con Maria, i santi sono nella Chiesa e  per la Chiesa, per far risplendere la sua santità, per estendere fino ai confini  del mondo e fino alla fine dei tempi l’opera di Cristo, unico Salvatore.
    Nell’antifona Salve Regina, la Chiesa chiama la Madre di Dio “Speranza  nostra”. La stessa espressione è usata da san Luigi Maria a partire da un testo  di san Giovanni Damasceno, che applica a Maria il simbolo biblico dell’àncora  (cfr Hom. Iª in Dorm. B. V. M., 14: PG 96, 719): “Noi leghiamo le  anime a te, nostra speranza, come ad un’àncora ferma. A lei maggiormente si sono  attaccati i santi che si sono salvati e hanno attaccato gli altri, perché  perseverassero nella virtù. Beati dunque, e mille volte beati i cristiani che  oggi si tengono stretti a lei fedelmente e totalmente come ad un’àncora salda” (Trattato  della vera devozione, 175). Attraverso la devozione a Maria, Gesù stesso  “allarga il cuore con una santa fiducia in Dio, facendolo guardare come Padre e  ispirando un amore tenero e filiale” (ibid., 169).
    Insieme alla Santa Vergine, con lo stesso cuore di madre, la Chiesa prega, spera  e intercede per la salvezza di tutti gli uomini. Sono le ultime parole della  Costituzione Lumen gentium: “Tutti i fedeli effondano insistenti  preghiere alla Madre di Dio e Madre degli uomini, perché Ella, che con le sue  preghiere aiutò le primizie della Chiesa, anche ora in cielo esaltata sopra  tutti i beati e gli angeli, nella Comunione di tutti i santi interceda presso il  Figlio suo, finché tutte le famiglie dei popoli, sia quelle insignite del nome  cristiano, sia quelle che ancora ignorano il loro Salvatore, nella pace e nella  concordia siano felicemente riunite in un solo Popolo di Dio, a gloria della  Santissima e indivisibile Trinità” (n. 69).
    Facendo nuovamente mio questo auspicio, che insieme con gli altri Padri  Conciliari espressi quasi quarant’anni or sono, invio all’intera Famiglia  monfortana una speciale Benedizione Apostolica.





     




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 12/03/2015 23:37

      Haiti. Violenze contro suore, marce silenziose di protesta




    Haiti. Povertà e disordini antigovernativi all'origine delle violenze contro le religiose - AP





    12/03/2015



    Organizzare marce silenziose per protestare contro le violenze subite. È quanto ha deciso lunedì scorso la Conferenza dei religiosi di Haiti riunitasi per analizzare l’ondata di violenza che da mesi investe i consacrati che lavorano nel Paese. Dal novembre 2014 fino a oggi, circa 20 comunità, soprattutto femminili, sono state derubate e le religiose aggredite. Anche il cardinale Langlois, vescovo di Les Cayes, ha condannato tali brutalità. Una missionaria brasiliana, che preferisce mantenere l’anonimato, parla di quanto accaduto al microfono di Bianca Fraccalvieri:


    R. – Em vista deste ato de violência…
    Di fronte a questo atto di violenza contro la vita religiosa ad Haiti, soprattutto femminile, la Conferenza dei religiosi ha organizzato una manifestazione di solidarietà. C’è stato, dunque, un incontro con tutte le suore provinciali e noi eravamo presenti. E’ stato deciso che tutte le diocesi organizzeranno marce silenziose con la presenza di tutte le sorelle. Questa marcia silenziosa partirà da un punto centrale, arriverà alla chiesa madre della diocesi e quindi si celebrerà la Messa in protesta. Questo sarà un gesto di solidarietà da parte della Conferenza e delle Congregazioni, che ancora non hanno subito violenza, verso le altre. Poi, la Conferenza dei vescovi sta negoziando con il governo, sollecitando degli interventi, e anche con la società civile, perché entri a collaborare con la vita religiosa, essendo le religiose a servizio del popolo.

    D. – Ci sono stati due giorni di sciopero e in questi due giorni non avete lavorato. Avete paura di lavorare in questo contesto di insicurezza?

    R. – Claro que nós estamos…
    Certamente abbiamo paura. In questa settimana, per due notti tutte noi ci siamo rinchiuse in casa, nonostante questa sia sorvegliata, solo di notte, da due o tre uomini armati. Questi gruppi, infatti, agiscono con violenza e quando entrano nelle case delle famiglie stuprano tutti, anche i ragazzi. Ma pure le sorelle hanno subito violenza e tante di loro sono sotto cure mediche, sono malate e non sono più in grado di tornare a lavorare. Loro, infatti, sono molto violenti: arrivano in bande – non sono solo uno o due – invadono le case e in genere lo fanno di notte, quando Haiti è al buio, non lo fanno di giorno. Le comunità religiose hanno il loro generatore ma non è così forte, hanno i pannelli solari ma non illuminano tutto. Ci sono state delle comunità che dopo questa mobilitazione della Conferenza dei vescovi – che sono sempre in radio a chiedere rispetto, rispetto, rispetto – sono intervenute quando una delle case stava per essere invasa, questa settimana. Hanno gridato e così hanno avuto tempo… La popolazione ha lanciato delle pietre, perché qua nessuno ha armi. E lo stesso è successo con noi questa settimana, in una casa nelle vicinanze: tutti sono scesi per strada, hanno gridato e hanno chiamato la polizia e così si è evitato che entrassero in casa. Quelle che sono più violate sono le case delle Congregazioni femminili. Ci sono sorelle che non possono più entrare nella zona.

    D. – Tra le cause di questa ondata di violenza ci sono le possibili nuove elezioni presidenziali. E’ la possibilità di un cambiamento dello scenario politico a suscitare preoccupazione, tensioni nella popolazione, vittima da decenni dell’ingiustizia sociale? Perché la situazione è così degenerata? 

    R. – É o ano que estão querendo…
    Questo è l’anno in cui vogliono cambiare il presidente e dunque entrano in guerra con la popolazione. Questo è quello che noi vediamo. Poi la fame è tanto grande, la miseria… La situazione delle famiglie è molto degradante. Noi vediamo che ci sono stati dei cambiamenti, ma la vita reale delle persone non è cambiata. Noi che siamo qua, giorno dopo giorno, vediamo quante famiglie, uomini, ragazzi, giovani, bambini siano senza prospettive.

     



    Fraternamente CaterinaLD

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    Caterina63
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    00 15/03/2015 21:29

    Il 24 giugno 2010 il Papa Benedetto XVI ha desiderato fare visita al monastero delle monache domenicane di Monte Mario, in Roma .
    Dopo il saluto della Priora il Santo Padre ha rivolto alla comunità una intensa meditazione inerente la loro vocazione specifica, quella, dice, di essere "interpreti della Chiesa Sposa, che si unisce in modo speciale con il suo Signore".


    CELEBRAZIONE DELL'ORA MEDIA
    E INCONTRO CON LE MONACHE DI CLAUSURA

    OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

    Monastero Domenicano Santa Maria del Rosario
    Giovedì, 24 giugno 2010



    Care sorelle,

    a ciascuna di voi rivolgo le parole del Salmo 124, che abbiamo appena pregato: “La tua bontà, Signore, sia con i buoni e con i retti di cuore” (v. 4). È innanzitutto con questo augurio che vi saluto: su di voi sia la bontà del Signore. In particolare, saluto la vostra Madre Priora, e la ringrazio di cuore per le gentili espressioni che mi ha indirizzato a nome della Comunità. Con grande gioia ho accolto l’invito a visitare questo Monastero, per poter sostare insieme con voi ai piedi dell’immagine della Madonna acheropita di san Sisto, già protettrice dei Monasteri Romani di Santa Maria in Tempulo e di San Sisto.

    Abbiamo pregato insieme l’Ora Media, una piccola parte di quella Preghiera Liturgica che, come claustrali, scandisce i ritmi delle vostre giornate e vi rende interpreti della Chiesa-Sposa, che si unisce, in modo speciale, con il suo Signore. Per questa preghiera corale, che trova il suo culmine nella partecipazione quotidiana al Sacrificio Eucaristico, la vostra consacrazione al Signore nel silenzio e nel nascondimento è resa feconda e ricca di frutti, non solo in ordine al cammino di santificazione e di purificazione personale, ma anche rispetto a quell’apostolato di intercessione che svolgete per la Chiesa intera, perché possa comparire pura e santa al cospetto del Signore. Voi, che ben conoscete l’efficacia della preghiera, sperimentate ogni giorno quante grazie di santificazione essa possa ottenere alla Chiesa.

    Care sorelle, la comunità che voi formate è un luogo in cui poter dimorare nel Signore; essa è per voi la nuova Gerusalemme, a cui salgono le tribù del Signore per lodare il nome del Signore (cfr Sal 121,4). Siate grate alla divina Provvidenza per il dono sublime e gratuito della vocazione monastica, a cui il Signore vi ha chiamate senza alcun vostro merito. Con Isaia potete affermare “il Signore mi ha plasmato suo servo fin dal seno materno” (Is 49,5). Prima ancora che nasceste, il Signore aveva riservato a Sé il vostro cuore per poterlo ricolmare del suo amore. Attraverso il sacramento del Battesimo avete ricevuto in voi la Grazia divina e, immerse nella sua morte e risurrezione, siete state consacrate a Gesù, per appartenerGli esclusivamente. La forma di vita contemplativa, che dalle mani di san Domenico avete ricevuto nelle modalità della clausura, vi colloca, come membra vive e vitali, nel cuore del corpo mistico del Signore, che è la Chiesa; e come il cuore fa circolare il sangue e tiene in vita il corpo intero, così la vostra esistenza nascosta con Cristo, intessuta di lavoro e di preghiera, contribuisce a sostenere la Chiesa, strumento di salvezza per ogni uomo che il Signore ha redento con il suo Sangue.

    È a questa fonte inesauribile che voi attingete con la preghiera, presentando al cospetto dell’Altissimo le necessità spirituali e materiali di tanti fratelli in difficoltà, la vita smarrita di quanti si sono allontanati dal Signore. Come non muoversi a compassione per coloro che sembrano vagare senza meta? Come non desiderare che nella loro vita avvenga l’incontro con Gesù, il solo che dà senso all’esistenza? Il santo desiderio che il Regno di Dio si instauri nel cuore di ogni uomo, si identifica con la preghiera stessa, come ci insegna sant’Agostino: “Ipsum desiderium tuum, oratio tua est; et si continuum desiderium, continua oratio”: "il tuo desiderio è la tua preghiera; e se è desiderio permanente, continuo, è anche preghiera continua" (cfr Ep. 130, 18-20); perciò, come fuoco che arde e mai si spegne, il cuore è reso desto, non smette mai di desiderare e sempre innalza a Dio l’inno della lode.

    Riconoscete perciò, care sorelle, che in tutto ciò che fate, al di là dei singoli momenti di orazione, il vostro cuore continua ad essere guidato dal desiderio di amare Dio. Con il Vescovo di Ippona, riconoscete che è il Signore ad avere messo nei vostri cuori il suo amore, desiderio che dilata il cuore, fino a renderlo capace di accogliere Dio stesso (cfr In Io. Ev. tr. 40, 10). Questo è l’orizzonte del pellegrinare terreno! Questa è la vostra meta! Per questo avete scelto di vivere nel nascondimento e nella rinuncia ai beni terreni: per desiderare sopra ogni cosa quel bene che non ha uguali, quella perla preziosa che merita la rinuncia ad ogni altro bene per entrarne in possesso.

    Possiate pronunciare ogni giorno il vostro “sì” ai disegni di Dio, con la stessa umiltà con cui ha detto il suo “sì” la Vergine Santa. Ella, che nel silenzio ha accolto la Parola di Dio, vi guidi nella vostra quotidiana consacrazione verginale, perché possiate sperimentare nel nascondimento la profonda intimità da Lei stessa vissuta con Gesù. Invocando la sua materna intercessione, insieme a quella di san Domenico, di santa Caterina da Siena e dei tanti santi e sante dell’Ordine Domenicano, imparto a tutte voi una speciale Benedizione Apostolica, che estendo volentieri alle persone che si affidano alle vostre preghiere.


    www.youtube.com/watch?v=j3j_Fc0cuGM






    [SM=g1740757]


    [SM=g1740758] Il padre domenicano Austin Dominic Litke attraversa la Grande Mela cantando un riarrangiamento di The Call ("La chiamata"), stupendo inno religioso del secolo XVII composto dal poeta inglese George Herbert (1593-1633) e poi reso famoso dal compositore inglese Ralph Vaughan Williams (1872-1958), accompagnato al piano dal frate benedettino Bob Koopman e dalla violinista Leah Sedlacek.

    www.youtube.com/watch?v=Y3SSCuSMLK4#t=13


    segue: Dominican Salve Regina and O Lumen Ecclesiae

    www.youtube.com/watch?v=xlaGTer_zW4


    ed anche: Canto Salve Regina nella Basilica di San Sisto - Suore domenicane missionarie di San Sisto.


    www.youtube.com/watch?v=GDWBR8ay9yU












    [SM=g1740733]



    San Domenico di Guzman: una vita a fumetti!

    CarismaDomenicano 10/09/2013

    Una vita di San Domenico di Guzman molto dettagliata a fumetti con splendide voci narranti.
    www.gloria.tv/media/tCRwqF65Uup

    Per conoscere di più S. Domenico e i suoi frati visita
    - www.dominicanes.it
    - www.facebook.com/fratidomenicani






    [SM=g1740738]

    Fraternamente CaterinaLD

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    Caterina63
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    00 15/03/2015 22:06
    [SM=g1740717] Verso la solennità di san Domenico visitando un monastero al giorno.
    Intervista alle Monache Claustrali Domenicane del Monastero Santo Rosario Azzano San Paolo.
    Realizzata da Padre Riccardo Barile o.p., priore provinciale della Provincia San Domenico in Italia il 7 luglio 2012.
    www.domenicaneazzano.com

    www.youtube.com/watch?v=nIUes5ZNdiE


    [SM=g1740717] Verso la solennità di san Domenico visitando un monastero al giorno.
    Intervista alle Monache Claustrali Domenicane Corpus Domini di Bergamo. Realizzata da Padre Riccardo Barile o.p., priore provinciale della Provincia San Domenico in Italia il 6 luglio 2012. Sito delle monache di Matris Domini: www.matrisdomini.org

    www.youtube.com/watch?v=mBrLzCEFWZg


    [SM=g1740717] Verso la solennità di san Domenico visitando un monastero al giorno.
    Intervista alle Monache Claustrali Domenicane del Monastero Beata Margherita di Savoia di Alba.
    Realizzata da Padre Riccardo Barile o.p., priore provinciale della Provincia San Domenico in Italia il 7 luglio 2012.

    parte 1: www.youtube.com/watch?v=KGPyuuPP0T0
    parte 2: www.youtube.com/watch?v=or2k2TbonP8


    [SM=g1740717] Verso la solennità di san Domenico visitando un monastero al giorno.
    Intervista alle Monache Claustrali Domenicane del Monastero Corpus Domini di Montefiore dell'Aso.
    Realizzata da Padre Riccardo Barile o.p., priore provinciale della Provincia San Domenico in Italia il 13 luglio 2012.

    www.youtube.com/watch?v=ZXUX-WuY2YY


    [SM=g1740720] ma anche una triste notizia:
    12PORTE - 17 gennaio 2013: E un'altra triste notizia ci viene dal mondo monastico femminile, perché da alcuni giorni è stata soppressa il monastero di clausura delle domenicane di Sant'Agnese.
    www.youtube.com/watch?v=FR3ZxUJ-9AA

    Altri video: www.youtube.com/channel/UC94JZYJMxshZAcad8vevlvg

    [SM=g1740717] Infine, per ora:
    presentazione del Monastero Corpus Domini di Macerata delle Monache Domenicane

    www.youtube.com/watch?v=cwrrKYTGkvE



















    [SM=g1740738]

    [Modificato da Caterina63 15/03/2015 22:16]
    Fraternamente CaterinaLD

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    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 17/03/2015 00:27
      IL LIBRO che farà bene a tutti i Sacerdoti ed a tutti i Consacrati.....

    Josef Toufar

     



    Cecoslovacchia 1949, una parrocchia testimone di un possibile miracolo viene presa di mira dal regime comunista. Il parroco, don Josef Toufar, accusato di aver inscenato l'evento paranormale, rifiuta di confessare la sua "colpa" e muore sotto tortura.Come se dovessimo morire oggi, storia di un miracolo e di un martirio.



    di Stefano Magni



    L’11 dicembre 1949, terza domenica di Avvento, nella parrocchia di Cihost, Cecoslovacchia centrale, il sacerdote, durante la predica, indica il Tabernacolo e dice ai fedeli: “A Natale non dobbiamo cercare Cristo chissà dove. In mezzo a voi sta uno che non conoscete. Qui nel Tabernacolo c’è Nostro Signore”. E in quel momento, di fronte a venti fedeli attoniti e spaventati, il crocefisso si muove. Si muove da solo, inclinandosi prima a sinistra poi a destra, fermandosi poi in una posizione innaturale, chinato verso il pulpito.

    Il miracolo di Cihost, di cui il giovane parroco, don Josef Toufar, è inizialmente inconsapevole (voltava le spalle alla croce), inizia ad essere sulla bocca di tutti. Prima viene inteso con angoscia e paura dai suoi fedeli, come il segno di una punizione divina. Poi inizia ad essere letto come un onore, come un segno di presenza del Signore. Attira i pellegrini dalle regioni circostanti, poi l’attenzione dei vescovi e infine del Vaticano che manda il nunzio apostolico a iniziare le indagini, con la massima discrezione possibile. Ma non sono tempi normali.
    Quella che segue non è la storia di un’indagine su un fatto soprannaturale, ma la storia di un martirio. In Cecoslovacchia, infatti, i comunisti hanno preso il potere da un anno e stanno iniziando sistematicamente a distruggere la Chiesa in tutto il Paese. Arrestano Josef Toufar, lo incarcerano senza processo e iniziano a torturarlo per venticinque giorni di fila, per spezzare la sua fede e costringerlo a dire in pubblico che quel miracolo è solo un trucco di una Chiesa ingannatrice. Finché il prete non gli muore fra le braccia, pur di non rinnegare la verità. Questi sono i fatti, meticolosamente ricostruiti attraverso diari, lettere e testimonianze, narrati da Come se dovessimo morire oggi, scritto dal poeta e scrittore ceco Milos Dolezal (ed. Itaca) con la prefazione di mons. Dominik Duka (arcivescovo di Praga) e Alessandro Vitale (Università degli Studi di Milano).

    “Come se dovessimo morire oggi” è il modo in cui il martire Toufar ha sempre vissuto la sua vita. Figlio di agricoltori, desideroso di diventare prete sin dalla prima infanzia, costretto ad attendere a realizzare la sua vocazione e indossare il suo abito talare solo dopo la morte del padre, Toufar usava due metafore per spiegare questo semplice concetto. Una fiaba persiana, in cui un uomo getta pietruzze al vento, per disfarsene. Poi scopre che sono diamanti preziosi, ma il suo pentimento non gli consente comunque di recuperarle. E una fiaba indiana, raccontata dal grande scrittore russo Lev Tolstoj, in cui un uomo, per fuggire da un drago, si getta in un dirupo, ma così può finire in bocca a un altro mostro e la sua vita rimane appesa a un cespuglio.
    Ma due topolini, uno nero (la notte) e l’altro bianco (il giorno) rosicchiano le sue radici e dunque il suo tempo è contato. Immagini surreali e angosciose, che però servono a esortare lui stesso e i suoi fedeli a non sprecare neppure un giorno da dedicare al Signore e alla salvezza. Dobbiamo vivere come se dovessimo sempre morire oggi, senza perdere tempo, senza dimenticare di essere vigili contro il male.

    La metafora di Tolstoj si rivela purtroppo molto pertinente alla realtà vissuta da don Toufar, la Cecoslovacchia occupata dai due mostri totalitari del Novecento, il nazismo prima e il comunismo poi. Don Toufar ha prima il coraggio di denunciare il nazismo dal pulpito, affermando che perderà la guerra, perché “alla fine la verità prevarrà”. Sono anni drammatici di occupazione, che sfiorano la sua parrocchia di Zahrada con retate, arresti e lutti. Ma paradossalmente la liberazione sovietica si rivela ben presto un’occupazione di gran lunga peggiore, specialmente per la Chiesa e per i suoi fedeli. Il regime che si insedia con un golpe nel 1948 inizia da subito a dividere il cattolicesimo, a creare un nucleo di “Chiesa patriottica” fedele al regime, ma non a Pio XII.
    Don Josef Toufar, con la sua fede sincera e il suo attaccamento alla verità non può rinnegare il Papa, né si tira indietro nell’organizzare la locale gioventù cattolica in un gruppo pacifico che si oppone alla gioventù comunista, già inquadrata e irreggimentata. Per ucciderlo spiritualmente, le autorità comuniste provano prima a sradicarlo, costringendo la sua diocesi a trasferirlo da Zahrada a Cihost. Ma contrariamente alle loro aspettative, la predicazione del nuovo parroco non perde affatto le sue radici, ma ne crea di nuove, nel popolo della nuova parrocchia, che si affeziona subito.

    E poi arriva il miracolo di Cihost … Con incredibile monotonia, anche gli anticlericali di oggi, settant’anni dopo, continuano a ripetere sempre le stesse cose: che la religione è l’oppio dei popoli, dunque la Chiesa è un’organizzazione di ciarlatani intenti a creare finti fenomeni paranormali ad uso e consumo delle menti deboli; che i preti sono in malafede ed essendo casti sono affetti dalle peggiori turbe sessuali, soprattutto la pedofilia.
    Sono esattamente queste le accuse che vengono rivolte a don Josef Toufar, sono queste le dichiarazioni che gli vengono sottoposte per una firma nel corso della lunga tortura fisica e psicologica. Accuse che riguardano anche tutta la sua parrocchia, perché semplici fedeli e bambini vengono di volta in volta arrestati e costretti a “testimoniare” contro di lui (non appena potranno, approfittando della Primavera di Praga del 1968, ritrarranno le loro accuse e denunceranno l’abuso subito, senza eccezioni).

    Quei venticinque giorni di tortura, nel febbraio del 1950, non rappresentano solo il martirio di un prete, che non fa altro che rifiutarsi di mentire, fino alla morte. Sono anche il tentativo furioso, quanto disperato, di un regime ateo di difendere i propri dogmi. Perché, non solo l’ammissione dell’esistenza di un miracolo, ma appena un minimo dubbio sulla sua esistenza, farebbe crollare tutti i dogmi del marxismo, secondo cui non esiste spirito, ma solo materia, non esiste amore ma solo sesso, non esiste fede ma solo soddisfazione del bisogno materiale, non esiste Dio ma solo la dialettica storica e materialista. Un singolo dubbio sulla manifestazione di Dio sulla terra farebbe crollare tutto questo. Ed è solo così che si spiega l’insistenza, la violenza, l’accanimento spesi da una squadra intera di aguzzini per cercare di strappare un atto di auto-accusa.
    Alla fine Josef Toufar muore, la sua fede resta. Il regime perde e questa sua piccola sconfitta, di cui mai più si è parlato per mezzo secolo, sarà premessa della sconfitta più grande: nonostante tutto, il popolo cecoslovacco non perde la sua fede, nonostante la repressione si libererà del regime nel novembre del 1989, senza spargere sangue, senza una guerra, come per miracolo.


     



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 12/04/2015 01:43

    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
    AI PARTECIPANTI AL RADUNO DEI FORMATORI DI CONSACRATI E CONSACRATE,
    PROMOSSO DALLA CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA

    Sabato, 11 aprile 2015

    [Multimedia]



     

    Cari fratelli e sorelle.

    M’ha detto [il Cardinale Prefetto] il vostro numero, quanti siete, e io ho detto: “Ma, con la scarsità di vocazioni che c’è, ci sono più formatori che formandi!”. Questo è un problema! Bisogna chiedere al Signore e fare di tutto perché vengano le vocazioni!

    Ringrazio il Cardinale Braz de Aviz per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti i presenti. Ringrazio anche il Segretario e gli altri collaboratori che hanno preparato il Congresso, il primo di questo livello che si celebra nella Chiesa, proprio nell’Anno dedicato alla Vita Consacrata, con formatori e formatrici di molti Istituti di tante parti del mondo.

    Desideravo avere questo incontro con voi, per quello che voi siete e rappresentate in quanto educatori e formatori, e perché dietro ciascuno di voi intravedo i vostri e nostri giovani, protagonisti di un presente vissuto con passione, e promotori di un futuro animato dalla speranza; giovani che, spinti dall’amore di Dio, cercano nella Chiesa le strade per assumerlo nella propria vita. Io li sento qui presenti e rivolgo loro un pensiero affettuoso.

    Al vedervi così numerosi non si direbbe che ci sia crisi vocazionale! Ma in realtà c’è una indubbia diminuzione quantitativa, e questo rende ancora più urgente il compito della formazione, una formazione che plasmi davvero nel cuore dei giovani il cuore di Gesù, finché abbiano i suoi stessi sentimenti (cfr Fil 2,5; Vita consecrata, 65). Sono anche convinto che non c’è crisi vocazionale là dove ci sono consacrati capaci di trasmettere, con la propria testimonianza, la bellezza della consacrazione. E la testimonianza è feconda. Se non c’è una testimonianza, se non c’è coerenza, non ci saranno vocazioni. E a questa testimonianza siete chiamati. Questo è il vostro ministero, la vostra missione. Non siete soltanto “maestri”; siete soprattutto testimoni della sequela di Cristo nel vostro proprio carisma. E questo si può fare se ogni giorno si riscopre con gioia di essere discepoli di Gesù.

    Da qui deriva anche l’esigenza di curare sempre la vostra stessa formazione personale, a partire dall’amicizia forte con l’unico Maestro. In questi giorni della Risurrezione, la parola che nella preghiera mi risuonava spesso era la “Galilea”, “là dove tutto incominciò”, dice Pietro nel suo primo discorso. Le cose accadute a Gerusalemme ma che sono incominciate in Galilea. Anche la nostra vita è incominciata in una “Galilea”: ognuno di noi ha avuto l’esperienza della Galilea, dell’incontro con il Signore, quell’incontro che non si dimentica, ma tante volte finisce coperto da cose, dal lavoro, da inquietudini e anche da peccati e mondanità. Per dare testimonianza è necessario fare spesso il pellegrinaggio alla propria Galilea, riprendere la memoria di quell’incontro, quello stupore, e da lì ripartire. Ma se non si segue questa strada della memoria c’è il pericolo di restare lì dove ci si trova e, anche, c’è il pericolo di non sapere perché ci si trova lì. Questa è una disciplina di quelli e di quelle che vogliono dare testimonianza: andare indietro alla propria Galilea, dove ho incontrato il Signore; a quel primo stupore.

    E’ bella la vita consacrata, è uno dei tesori più preziosi della Chiesa, radicato nella vocazione battesimale. E dunque è bello esserne formatori, perché è un privilegio partecipare all’opera del Padre che forma il cuore del Figlio in coloro che lo Spirito ha chiamato. A volte si può sentire questo servizio come un peso, come se ci sottraesse a qualcosa di più importante. Ma questo è un inganno, è una tentazione. È importante la missione, ma è altrettanto importante formare alla missione, formare alla passione dell’annuncio, formare a quella passione dell’andare ovunque, in ogni periferia, per dire a tutti l’amore di Gesù Cristo, specialmente ai lontani, raccontarlo ai piccoli e ai poveri, e lasciarsi anche evangelizzare da loro. Tutto questo richiede basi solide, una struttura cristiana della personalità che oggi le stesse famiglie raramente sanno dare. E questo aumenta la vostra responsabilità.

    Una delle qualità del formatore è quella di avere un cuore grande per i giovani, per formare in essi cuori grandi, capaci di accogliere tutti, cuori ricchi di misericordia, pieni di tenerezza. Voi non siete solo amici e compagni di vita consacrata di coloro che vi sono affidati, ma veri padri, vere madri, capaci di chiedere e di dare loro il massimo. Generare una vita, partorire una vita religiosa. E questo è possibile soltanto per mezzo dell’amore, l’amore di padri e di madri.
    E non è vero che i giovani di oggi siano mediocri e non generosi; ma hanno bisogno di sperimentare che «si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35), che c’è grande libertà in una vita obbediente, grande fecondità in un cuore vergine, grande ricchezza nel non possedere nulla. Da qui la necessità di essere amorosamente attenti al cammino di ognuno ed evangelicamente esigenti in ogni fase del cammino formativo, a cominciare dal discernimento vocazionale, perché l’eventuale crisi di quantità non determini una ben più grave crisi di qualità.
    E questo è il pericolo.
    Il discernimento vocazionale è importante: tutti, tutte le persone che conoscono la personalità umana – siano psicologi, padri spirituali, madri spirituali – ci dicono che i giovani che inconsciamente sentono di avere qualcosa di squilibrato o qualche problema di squilibrio o di deviazione, inconsciamente cercano strutture forti che li proteggano, per proteggersi. E lì è il discernimento: sapere dire no. Ma non cacciare via: no, no. Io ti accompagno, vai, vai, vai… E come si accompagna l’entrata, accompagnare anche l’uscita, perché lui o lei trovi la strada nella vita, con l’aiuto necessario. Non con quella difesa che è pane per oggi e fame per domani.

    La crisi di qualità… Non so se è scritto, ma adesso mi viene da dire: guardare le qualità di tanti, tanti consacrati… Ieri a pranzo c’era un gruppetto di sacerdoti che celebrava il 60° di Ordinazione sacerdotale: quella saggezza dei vecchi… Alcuni sono un po’…, ma la maggioranza dei vecchi ha saggezza! Le suore che tutti i giorni si alzano per lavorare, le suore dell’ospedale, che sono “dottoresse in umanità”: quanto dobbiamo imparare da questa consacrazione di anni e anni!… E poi muoiono. E le suore missionarie, i consacrati missionari, che vanno là e muoiono là…
    Guardare i vecchi!
    E non solo guardarli: andare a trovarli, perché conta il quarto comandamento anche nella vita religiosa, con quegli anziani nostri. Anche questi, per una istituzione religiosa, sono una “Galilea”, perché in quelli troviamo il Signore che ci parla oggi. E quanto bene fa ai giovani mandarli da loro, che si avvicinino a questi anziani e anziane consacrati, saggi: quanto bene fa! Perché i giovani hanno il fiuto per scoprire l’autenticità: questo fa bene.

    La formazione iniziale, questo discernimento, è il primo passo di un processo destinato a durare tutta la vita, e il giovane va formato alla libertà umile e intelligente di lasciarsi educare da Dio Padre ogni giorno della vita, in ogni età, nella missione come nella fraternità, nell’azione come nella contemplazione.

    Grazie, cari formatori e formatrici, del vostro servizio umile e discreto, del tempo donato all’ascolto – l’apostolato “dell’orecchio”, ascoltare – del tempo dedicato all’accompagnamento e alla cura di ogni vostro giovane. Dio ha una virtù - se si può parlare della virtù di Dio -, una qualità, della quale non si parla tanto: è la pazienza. Lui ha pazienza. Dio sa aspettare. Anche voi, imparate questo, questo atteggiamento della pazienza, che tante volte è un po’ un martirio: aspettare… E quando ti viene una tentazione di impazienza, fermati; o di curiosità…
    Penso a santa Teresa di Gesù Bambino, quando una novizia incominciava a raccontare una storia e a lei piaceva sentire come era finita, e poi la novizia andava da un’altra parte, santa Teresa non diceva niente, aspettava.
    La pazienza è una delle virtù dei formatori.

    Accompagnare: in questa missione non vanno risparmiati né tempo né energie. E non bisogna scoraggiarsi quando i risultati non corrispondono alle attese. E’ doloroso, quando viene un ragazzo, una ragazza, dopo tre, quattro anni e dice: “Ah, io non me la sento; io ho trovato un altro amore che non è contro Dio, ma non posso, me ne vado”. E’ duro questo. Ma è anche il vostro martirio. E gli insuccessi, questi insuccessi dal punto di vista del formatore possono favorire il cammino di formazione continua del formatore. E se a volte potrete avere la sensazione che il vostro lavoro non sia abbastanza apprezzato, sappiate che Gesù vi segue con amore, e la Chiesa tutta vi è grata. E sempre in questa bellezza della vita consacrata: alcuni dicono che la vita consacrata è il paradiso in terra. No. Casomai il purgatorio! Ma andare avanti con gioia, andare avanti con gioia.

    Vi auguro di vivere con gioia e nella gratitudine questo ministero, con la certezza che non c’è niente di più bello nella vita dell’appartenere per sempre e con tutto il cuore a Dio, e dare la vita al servizio dei fratelli.

    Vi chiedo per favore di pregare per me, perché Dio mi dia anche un po’ di quella virtù che Lui ha: la pazienza.

       


    [Modificato da Caterina63 12/04/2015 01:49]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 14/04/2015 13:36



    La vita consacrata è un dono di Dio per la Chiesa e per l’umanità. “Consacrato” vuol dire essere scelto da Dio per appartenergli totalmente e per essere “strumento” di una sua particolare presenza d’amore. È una vocazione che si realizza, per opera dello Spirito Santo, nella sequela radicale di Cristo casto povero e obbediente, facendo propria, per dono suo, la forma di vita che egli si scelse per sé, che propose ai suoi e che Maria, la Vergine Madre sua, abbracciò (cfr. Lumen gentium).


    Dopo l'Anno Sacerdotale indetto da Benedetto XVI (2009-2010), il successore Papa Francesco ha voluto dedicare anche un Anno alla Vita Consacrata (frati, religiosi/e, claustrali, monaci).


    In questa breve presentazione abbiamo messo tutti gli ingredienti necessari per le nostre riflessioni.


    Parole quali: consacrato, vocazione, sequela radicale, dono, castità, voti e quant'altro, sono così spesso abusate e distorte, oggi, che forse ne abbiamo dimenticato il senso più profondo ed autentico, e siamo talmente abituati a sentirli ripetere - vuoi per bene, vuoi per protesta - che forse sarebbe meglio per tutti noi ritornare alla sana origine del loro significato, sia a riguardo del Vangelo, quanto a riguardo della vita ecclesiale, due aspetti distinti ma inseparabili. Fin dal suo esordio, il Cristianesimo, sviluppa il concetto di "sequela" e subito vediamo il "gruppo delle donne" affiancarsi al gruppo degli Apostoli, i Dodici, chiamati direttamente da Gesù, tutti uomini.


    Da subito si forma spontaneamente il gruppo delle Donne associate alla presenza di Maria, la Madre di Gesù. Non abbiamo molto spazio per soffermarci sulle cronologie storiche, ma è importante partire da qui e quindi dai Vangeli.


    La vita ci offre due doni preziosi: uno è il tempo, l’altro la libertà di seguire chi vogliamo, ciò che sentiamo più prossimo a quella che, come battezzati e se cattolici praticanti per davvero, chiamiamo "vocazione". Per analogia identifichiamo qui le due vocazioni centrali: Matrimonio e Consacrazione.


    Non abbiamo ora lo spazio per specificare le forme canoniche e giuridiche delle centinaia di Famiglie di Consacrati, nella storia del Cristianesimo ad esempio sono nati prima gli Ordini Religiosi e poi, dal XVII secolo, le Congregazioni religiose, così come abbiamo prima ancora i Monaci durante il primo Millennio e, alla sorgente il Sacerdozio istituito da Cristo, ma entriamo nel cuore del tema che raggruppa e unisce quanti sono entrati nella vita consacrata.


    Tutti ricordiamo l'incontro di Gesù con il giovane: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?» (Mc 10,17-27), da allora la storia si ripete, l'uomo non ha mai smesso di chiedersi cosa potrà fare del suo tempo, ne Gesù ha mai smesso di rispondere, di chiamare, ma quanti di noi hanno risposto e rispondono come il giovane del vangelo? Oppure hanno accolto la risposta di Gesù ma, una volta messo mano all'aratro si sono voltati indietro, rinunciando: «Ti seguirò dovunque tu vada.... prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio» (Lc 9,57-62), si legga anche Matteo 19, specialmente vv.10-12.


     





    Come sappiamo, o dovremmo sapere, il Consacrato gradito al Padre è il Figlio, Gesù svolgeva l’opera del Padre (Lc.2,48–49), il quale si glorifica della e nell'opera da Lui compiuta, di rendere credibile e concreta la salvezza e la vita eterna dei Suoi figli (cfr Mosè 1,39).


    "L'obbedienza alla volontà di Dio è la strada della santità, del cristiano, cioè che il piano di Dio venga fatto, che la salvezza di Dio venga fatta”, ha spiegato Papa Francesco sull'obbedienza nell'omelia a Santa Marta del 27.1.2015. Gesù fu obbediente fino alla morte in croce.


    Chiariamo un attimo il concetto di "obbligo" perchè nessuno è "costretto o obbligato".


    In tutto il contesto biblico e nella manifestazione di Dio nell'Incarnazione Gesù non obbliga mai nessuno, ma essendo Egli la Via, la Verità e la Vita, ci dice che solo "passando attraverso di Lui" (con tutto ciò che questo comporta) noi possiamo conseguire quel premio che è il Paradiso, non c'è altra via.


    Certo, ci sono le vie "straordinarie" ma noi siamo chiamati a trattare e a percorrere le vie ordinarie e la consacrazione, per quanto ha qualcosa di certamente straordinario, fa parte dell'ordinarietà nella Chiesa: “Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, v’ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Poiché io v’ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come ho fatto io....” (Gv. 13,14–16).


    Semmai, perciò, è proprio Dio in Cristo Gesù che si è imposto un obbligo, quello della fedeltà alla Chiesa sua Sposa e fedeltà al progetto della salvezza, fedeltà ad una ininterrotta Presenza reale nella Santa Eucaristia per restare con noi fino al suo ritorno definitivo.


    "L’avvenire della Chiesa dipende dalla qualità degli Ecclesiastici", diceva San Pio X nella sua famosa Haerent animo del 1908, un monito che naturalmente vale per tutti, Consacrati e Fedeli Laici, non solo ai Sacerdoti per i quali, diceva il Papa: "A tal fine furono istituiti i Seminari: dove, se coloro che costituiscono le speranze della Chiesa devono essere educati nelle lettere e nelle scienze, nello stesso tempo, tuttavia, e più ancora lo devono essere sino dai più teneri anni ad una sincera pietà verso Dio..."


    E così spiegava Pio XII chi fosse il consacrato: "Il numero dei fedeli così consacrati a Dio, dall'origine della chiesa fino ai nostri giorni, è incalcolabile: gli uni hanno conservato intatta la loro verginità, gli altri hanno votato al Signore la loro vedovanza dopo la morte del consorte; altri, infine, hanno scelto una vita casta dopo aver fatto penitenza dei loro peccati; ma tutti hanno questo di comune tra loro: che si sono impegnati ad astenersi per sempre, per amore di Dio, dai piaceri della carne. Ciò che i santi padri hanno proclamato circa la gloria e il merito della verginità, sia a tutte queste anime consacrate di invito, di sostegno e di forza a perseverare fermamente nel sacrificio e a non sottrarre e prendere per sé una parte anche minima dell'olocausto offerto sull'altare di Dio..." (enc. Sacra verginitas).


    Non ci soffermeremo sulle infedeltà e sulle tante problematiche del nostro tempo, a livello della morale e dell'etica, del celibato tradito, e che hanno a tratti travolto e stravolto il volto santo della Chiesa, ben rispondendo con le parole di San Pio X: "E qui non possiamo non dolerci vivamente di coloro che, trascinati dal soffio di pestifere novità, non si vergognano della loro mentalità contraria alla vita interiore e reputano quasi perduta l’ora consacrata alla meditazione e alla preghiera. Funesta cecità! (...) di sovente accade ai nostri tempi che ecclesiastici si lascino a poco a poco annebbiare la mente dalle tenebre del dubbio e seguano le oblique vie del mondo, e ciò specialmente perché, negletti i sacri e divini libri, si danno ad altre letture di ogni genere di libri e giornali infetti di errori pestiferi blandamente insinuatisi. Siate guardinghi, o diletti figli, non vi fidate ciecamente della vostra provetta età, né lasciatevi illudere dal pretesto di conoscere il male e così poter meglio provvedere al bene comune..." (Haerent animo).


    Per ascoltare la viva voce del magistero pontificio sull'argomento, basta scorrere nel sito Vaticano i testi del 2 febbraio, giorno in cui la Chiesa, celebrando la Candelora per la Presentazione di Gesù al Tempio, con San Giovanni Paolo II decise di unire a questa tradizione anche quella della vita consacrata.


     





    Qui ci limiteremo ora ad alcuni riferimenti utili alle nostre riflessioni.


    "La comunione nella Chiesa non è infatti uniformità, ma dono dello Spirito che passa anche attraverso la varietà dei carismi e degli stati di vita. Questi saranno tanto più utili alla Chiesa e alla sua missione, quanto maggiore sarà il rispetto della loro identità. In effetti, ogni dono dello Spirito è concesso perché fruttifichi per il Signore nella crescita della fraternità e della missione." (S.Giovanni Paolo II Esort. apost. Vita Consacrata 25.3.1996) e dalla stessa esortazione, leggiamo questo passo davvero edificante:


    "... a voi, donne e uomini consacrati, .... vivete pienamente la vostra dedizione a Dio, per non lasciar mancare a questo mondo un raggio della divina bellezza che illumini il cammino dell'esistenza umana. I cristiani, immersi nelle occupazioni e nelle preoccupazioni di questo mondo, ma chiamati anch'essi alla santità, hanno bisogno di trovare in voi cuori purificati che nella fede «vedono» Dio, persone docili all'azione dello Spirito Santo che camminano spedite nella fedeltà al carisma della chiamata e della missione. Voi sapete bene di aver intrapreso un cammino di conversione continua, di dedizione esclusiva all'amore di Dio e dei fratelli, per testimoniare sempre più splendidamente la grazia che trasfigura l'esistenza cristiana. Il mondo e la Chiesa cercano autentici testimoni di Cristo. E la vita consacrata è un dono che Dio offre perché sia posto davanti agli occhi di tutti l'«unico necessario» (cfr Lc 10, 42). Dare testimonianza a Cristo con la vita, con le opere e con le parole è peculiare missione della vita consacrata nella Chiesa e nel mondo. Voi sapete a Chi avete creduto (cfr 2 Tm 1, 12): dategli tutto! I giovani non si lasciano ingannare: venendo a voi, essi vogliono vedere ciò che non vedono altrove. Avete un compito immenso nei confronti del domani: specialmente i giovani consacrati, testimoniando la loro consacrazione, possono indurre i loro coetanei al rinnovamento della loro vita. L'amore appassionato per Gesù Cristo è una potente attrazione per gli altri giovani, che Egli nella sua bontà chiama a seguirlo da vicino e per sempre. I nostri contemporanei vogliono vedere nelle persone consacrate la gioia che proviene dall'essere con il Signore..."


    Si resta senza parole davanti a duemila anni di santità raccolta in queste parole di un Papa altrettanto santo. In queste parole sono raccolte le sintesi delle vite di tutti i Santi Fondatori degli Ordini religiosi, Mendicanti, di vita attiva, Claustrali, c'è - come diceva la carmelitana e Dottore della Chiesa Santa Teresa del Bambin Gesù - "il cuore della Chiesa" nel quale lei voleva essere l'amore, la vera carità diventando Patrona delle Missioni, lei che non era più uscita dal Carmelo e che visse solo 24 anni.


     





    E così si è espresso  Benedetto XVI in uno dei suoi tanti interventi sulla vita dei Consacrati: "è proprio e solamente a partire da questa fede, da questa professione di fede in Gesù Cristo, il Mediatore unico e definitivo, che nella Chiesa ha senso una vita consacrata, una vita consacrata a Dio mediante Cristo. Ha senso solo se Lui è veramente mediatore tra Dio e noi, altrimenti si tratterebbe solo di una forma di sublimazione o di evasione..." (2.2.2010).


    Oggi si parla tanto della crisi della fede e vediamo le conseguenze a partire dalla fragilità e dai fallimenti di tanti matrimoni cristiani, famiglie in crisi ed essendo le famiglie le "fucine delle vocazioni", come amava dire Giovanni Paolo II, va da se che anche la vita Consacrata ha subito una gravissima crisi, un contraccolpo di portata inaudita.


    Ma il problema non sta nella crisi che è solo la punta dell'ice-berg, le crisi infatti vanno e vengono, le prove, le tentazioni sono una benedizione, se ben comprese: "Beato l'uomo che poteva trasgredire e non ha trasgredito, che poteva fare il male e non lo fece" (Sir 31,10), il problema sta nel rifiutarsi di vedere che la crisi c'è e va affrontata adeguatamente, per questo il Papa ha indetto un Anno di preghiere e riflessioni sul tema.


    E' questo un tempo d'oro, opportuno per riscoprire i valori dei propri Fondatori quando, su ispirazione divina, diedero vita a quelle che oggi conosciamo come Congregazioni, Ordini Religiosi, Monasteri e così via, la Vita Consacrata, consacrata al servizio, al duro lavoro.


    "Il primo obiettivo - spiega Papa Francesco nella Lettera apostolica per questo Anno di grazia -  è guardare il passato con gratitudine. Ogni nostro Istituto viene da una ricca storia carismatica. Alle sue origini è presente l’azione di Dio che, nel suo Spirito, chiama alcune persone alla sequela ravvicinata di Cristo, a tradurre il Vangelo in una particolare forma di vita, a leggere con gli occhi della fede i segni dei tempi, a rispondere con creatività alle necessità della Chiesa. L’esperienza degli inizi è poi cresciuta e si è sviluppata, coinvolgendo altri membri in nuovi contesti geografici e culturali, dando vita a modi nuovi di attuare il carisma, a nuove iniziative ed espressioni di carità apostolica. È come il seme che diventa albero espandendo i suoi rami. (...) Raccontare la propria storia è indispensabile per tenere viva l’identità, così come per rinsaldare l’unità della famiglia e il senso di appartenenza dei suoi membri. (...)


    I nostri Fondatori e Fondatrici  - prosegue il Papa che come ben sappiamo appartiene alla vita consacrata religiosa - hanno sentito in sé la compassione che prendeva Gesù quando vedeva le folle come pecore sbandate senza pastore. Come Gesù, mosso da questa compassione, ha donato la sua parola, ha sanato gli ammalati, ha dato il pane da mangiare, ha offerto la sua stessa vita, così anche i Fondatori si sono posti al servizio dell’umanità a cui lo Spirito li mandava, nei modi più diversi: l’intercessione, la predicazione del Vangelo, la catechesi, l’istruzione, il servizio ai poveri, agli ammalati. La fantasia della carità non ha conosciuto limiti e ha saputo aprire innumerevoli strade per portare il soffio del Vangelo nelle culture e nei più diversi ambiti sociali. L’Anno della Vita Consacrata ci interroga sulla fedeltà alla missione che ci è stata affidata."


    Portandoci alla conclusione possiamo dirla con il grande Gilbert K. Chesterton: "S. Francesco e S. Tommaso (degno figlio del suo Fondatore San Domenico, rispettivamente i due grandi Ordini Mendicanti), non portarono qualcosa di nuovo nel cristianesimo, nel senso di qualcosa di pagano o di eretico dentro al cristianesimo; al contrario, portarono il cristianesimo dentro la cristianità... l'impressione diffusa - e da questa il successo delle conversioni e l'espansione - è che si sparpagliassero come scintille da una fornace, la fornace dell'amore abnorme di Dio".


    E ancora: " San Francesco con tutto il suo amore per la creazione, ci salvò dall'essere buddisti; San Tommaso, con tutto il suo amore per la filosofia greca, ci salvò dall'essere platonici. Questi due grandi Santi ci hanno salvato dallo spiritualismo: una fine spaventosa".


    E non dobbiamo dimenticare quei santi Fondatori e Fondatrici di opere immense, nate davvero dal nulla. Pensiamo a S. Camillo de Lellis con i suoi ospedali, pensiamo ai Salesiani con Don Bosco per la gioventù, pensiamo ai Comboniani,  Santa Paola Frassinetti, San Guannella, insomma, una schiera di Consacrati e Consacrate che hanno saputo dare vita alla Vita, che non si sono voltati indietro, che hanno vissuto in pienezza il Vangelo per dare anche a noi, oggi, un senso profondo ad una domanda che prima o poi, si spera, ognuno di noi si pone: "Signore cosa vuoi da me? Cosa vuoi che io faccia? Che cosa devo fare per avere la vita eterna?" I Consacrati del passato non hanno risposto per noi, ma di certo ci hanno aperto la strada, preghiamo davvero per i Consacrati di oggi, in questo Anno di grazia.


    O Maria, Madre della Chiesa,
    affido a te tutta la vita consacrata,
    affinché tu le ottenga la pienezza della luce divina:
    viva nell’ascolto della Parola di Dio,
    nell’umiltà della sequela di Gesù tuo Figlio e nostro Signore,
    nell’accoglienza della visita dello Spirito Santo,
    nella gioia quotidiana del magnificat,
    perché la Chiesa sia edificata dalla santità di vita
    di questi tuoi figli e figlie,
    nel comandamento dell’amore. Amen.
    (Benedetto XVI - 2.2.2011)

     Sia lodato Gesù Cristo +

    Si legga anche il Messaggio per la Giornata Mondiale per le Vocazioni di questo Anno del Signore 2015

       


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 17/05/2015 00:16

    Il santo Padre Francesco ai religiosi: siate gioia e dono di Dio nel mondo




    Papa Francesco saluta religiosi e religiose in Aula Paolo VI - REUTERS





    16/05/2015



    La vita di clausura “non è un rifugio”, ma un “campo di battaglia” aperto sul mondo. Ogni suora è un’“icona” della Chiesa, vescovi e religiosi devono collaborare in diocesi per “fare l’armonia della Chiesa”. Sono alcuni dei pensieri espressi da Papa Francesco nel lungo incontro avuto con migliaia di religiosi della diocesi di Roma, radunati in Aula Paolo VI nell’ambito dell’Anno dedicato alla Vita Consacrata. Dopo il saluto del cardinale vicario, Agostino Vallini, il Papa ha risposto a braccio alle domande poste da alcuni religiosi – in rappresentanza dei circa 25 mila sul territorio capitolino – e riguardanti vari aspetti della loro vita comunitaria e apostolica. Il servizio di Alessandro De Carolis:


    Il contemplativo si nasconde in Dio, non si nasconde dal mondo. La prima risposta di Papa Francesco ai religiosi che affollano l’Aula Paolo VI in un’atmosfera di intensa familiarità, inframmezzata da applausi e molti sorrisi, è una sorta di teologia della “grata”. Non quella “portatile”, dice Francesco con un filo di ironia, riferendo di una suora di clausura che in una lettera gli aveva comunicato di aver abbandonato il chiostro per la vita attiva. Ma neanche quella grata che somiglia più a un muro, certe volte impenetrabile e sordo al resto dell’umanità che vive fuori il perimetro del convento:


    “’Ma Padre, le notizie possono entrare in monastero?’. Devono! Ma non le notizie – diciamo – dei media chiacchieroni… Le notizie di cosa succede nel mondo, le notizie per esempio delle guerre, delle malattie, di quanto soffre la gente. Per questo una delle cose che mai, mai dovete lasciare è un tempo per sentire la gente! Anche nelle ore di contemplazione, di silenzio… Alcuni monasteri hanno la segreteria telefonica e la gente chiama, chiede preghiera per questo, per l’altro: questo collegamento è importante con il mondo!”.


    Il convento non è un rifugio
    La riflessione del Papa era stata innescata da una domanda incentrata sul “delicato equilibrio” fra nascondimento e visibilità. L’equilibrio, afferma Francesco, non consiste tanto nel bilanciare i singoli aspetti della vita monastica, quanto nel vivere bene la “tensione” tra due chiamate: quella “di Dio verso la vita nascosta” e quella “di Dio di farsi visibili in qualche modo”:

    “Perché la vostra vocazione non è un rifugio: è andare proprio in campo di battaglia, è lotta, è bussare al cuore del Signore per quella città (...) Ma tante grazie vengono dal Signore in questa tensione tra la vita nascosta, la preghiera e il sentire le notizie della gente (…) Ci sono anche monasteri che si occupano mezz’ora al giorno, un’ora al giorno di dare da mangiare a coloro che vengono a chiederlo e questo non va contro il nascondimento in Dio. E’ un servizio, è un sorriso. Il sorriso delle monache apre il cuore! Il sorriso delle monache sfama più che il pane quelli che vengono”.

    Una consacrata è una madre
    La seconda risposta si sofferma sulla “maternità della donna consacrata”. “C’è nella consacrazione femminile – osserva Francesco – una dimensione sponsale”, che porta ad assimilare l’amore di una suora per Cristo all’amore nel matrimonio con le medesime “qualità di perseveranza, di fedeltà, di unità, di cuore”:

    “Le suore sono l’icona della Chiesa e della Madonna. Non dimenticare che la Chiesa che è femminile: non è 'il Chiesa', è 'la Chiesa'. E per questo la Chiesa è sposa di Gesù. Tante volte dimentichiamo questo e dimentichiamo questo amore materno della suora, perché materno è l’amore della Chiesa, questo amore materno della suora, perché materno è l’amore della Madonna. La fedeltà, l’espressione dell’amore della donna consacrata, deve – ma 'deve' no… sì 'deve', ma non come un dovere, ma per connaturalità – rispecchiare la fedeltà, l’amore, la tenerezza della Madre Chiesa e della Madre Maria”.

    L’amore concreto, bontà e verità
    Un amore tenero ma anche concreto, precisa il Papa, poiché una suora, sostiene, “non può darsi il gusto di un amore sulle nuvole”. Concreto come la pagina delle Beatitudini – che Francesco definisce “la prima Enciclica della Chiesa” – e concreto come il capitolo 25 del Vangelo di Matteo sul Giudizio universale. Due brani con i quali, indica, si può vivere da consacrati “perché tutto il programma è lì”:

    “La concretezza è la qualità di questa maternità delle donne, delle suore. Amore concreto. Quando una suora incomincia con le idee, troppe idee, troppe idee… Ma cosa faceva Santa Teresa? Quale consiglio dava Santa Teresa, la grande, alla superiora? ’Ma dalle una bistecca e poi parliamo’. Farla scendere alla realtà. La concretezza e la concretezza dell’amore è molto difficile (...) La concretezza della bontà, dell’amore, che perdona tutto! Se deve dire una verità, la dice in faccia, ma con amore… Che prega prima di fare un rimprovero e poi chiede al Signore che vada avanti con la correzione. E’ l’amore concreto!”.

    Tappabuchi e padroni
    Il Papa conosce a menadito le situazioni critiche della vita comunitaria e dopo averle accennate nella seconda risposta le riprende in modo più approfondito nella terza. Un convento può nascondere, dice, “gelosie, invidie”, critiche verso i superiori. E anche sul territorio può manifestarsi una certa “concorrenzialità” tra diocesi o magari tra Congregazioni e la collaborazione tra un vescovo e un Istituto religioso della sua diocesi può essere non facile. Francesco al solito va diritto al punto e ricordando di appartenere a entrambe le categorie, episcopale e religiosa, e dunque di capire “ambedue le parti”, annuncia che proprio per dare un contributo in questa direzione la Chiesa sta pensando di ripristinare “un vecchio documento”, il “Mutuae Relationes”, che tratta delle “relazioni fra il religioso e il vescovo”. Un testo che già il Sinodo del ’94 aveva chiesto di riformare, finora invano:

    “E’ vero, l’unità fra i diversi carismi, l’unità del presbiterio, l’unità col vescovo… E questo non è facile trovarlo: ognuno tira per il suo interesse, non dico sempre, ma c’è questa tendenza: è umana… C’è un poco di peccato dietro, ma è così (...) Ma si deve lavorare per il lavoro comune (…) Così si fa la Chiesa. Il vescovo non deve usare i religiosi come tappabuchi, ma i religiosi non devono usare il vescovo come fosse il padrone di una ditta che dà un lavoro”.

    Festa sì, chiasso no
    La terza risposta era però partita con un pensiero sul tema della “festa”, suggerito dallo spunto di una domanda. “È una delle cose che noi cristiani dimentichiamo”, osserva Francesco, mettendo però in chiaro che il modo di fare festa è quello descritto al Capitolo 26 del Deuteronomio, ovvero il credente che porta le sue primizie a Dio, lo ringrazia per la sua bontà, poi torna a casa e fa festa condividendo i suoi beni con quelli che non hanno famiglia, i vicini ma anche gli schiavi:

    “La festa è una categoria teologica della vita. E non si può vivere la vita consacrata senza questa dimensione festosa. Si fa festa. Ma fare festa non è lo stesso di fare chiasso, rumore… Fare festa è quello che è in quel brano che ho citato. Ricordatevi Deuteronomio 26. C’è il fine di una preghiera: è la gioia di ricordare tutto quello che il Signore ha fatto per noi; tutto quello che mi ha dato; anche quel frutto che io ho lavorato e faccio festa”.

    Il mistero dell’obbedienza
    La quarta, lunga, risposta si apre con le parole di gratitudine del Papa per padre Gaetano Saracino, giunto 45 anni fa all’Istituto Penale Minorile Casal del Marmo per rimanervi 2-3 mesi come cappellano e poi rimastovi per una vita. Padre Gaetano ha fatto questo per obbedienza, ha sottolineato Francesco, mettendo cioè in pratica la qualità che più ha caratterizzato la vita di Gesù in terra:

    “Il Mistero di Cristo è un mistero di obbedienza e l’obbedienza è feconda. E’ vero che come ogni virtù, come ogni posto teologico, luogo teologico, può essere tentata e diventa, non so, un atteggiamento disciplinare... Ma l’obbedienza nella vita consacrata è un mistero. E così come ho detto che la donna consacrata è l’icona di Maria e della Chiesa, possiamo dire che l’obbedienza è l’icona della strada di Gesù. Quando Gesù si è incarnato per obbedienza, si è fatto uomo per obbedienza, fino alla croce e alla morte. Il mistero dell’obbedienza non si capisce se non alla luce di questa strada di Gesù; il mistero dell’obbedienza è un assomigliare a Gesù nel cammino che Lui ha voluto fare. E i frutti si vedono”.

    Un “carisma dei laici”
    Poi, il Papa passa a evidenziare la vita consacrata come “dono di profezia”. La vocazione, ribadisce, “non è un arruolamento di gente che vuol fare quella strada” ma “è il dono al cuore di una persona” e questo dono, sottolinea Francesco, “non sempre è apprezzato e valorizzato nella sua identità e specificità”. E un problema nasce quando questa identità viene smarrita da un religioso o una religiosa e si rende necessario trovare una “persona saggia” che accompagni i consacrati in crisi:

    “Non è facile trovare un uomo con rettitudine e intenzioni e che quella direzione spirituale, quella confessione non sia una bella chiacchera fra amici, ma senza profondità o trovare quelli rigidi, che non capiscono bene dove sia il problema, perché che non capiscono la vita religiosa... Io, nell’altra diocesi che avevo, sempre consigliavo alle suore che venivano a chiedere consiglio: ‘Ma dimmi, nella tua comunità o nella tua congregazione, non c’è una suora saggia, una suora che viva il carisma bene, una buona suora di esperienza? Fai la direzione spirituale con lei!’. 'Ma è donna!...’. ‘Ma è un carisma dei laici’. La direzione spirituale non è un carisma esclusivo dei presbiteri: è un carisma dei laici”.

    Donne e Chiesa, genio e ruolo
    Francesco spiega la diversa natura del ruolo di confessore da quello di direttore spirituale – al primo, dice, si dicono i peccati, al secondo “cosa succede” nel cuore – ed è fondamentale – indica – che i direttori di anime siano ben formati anche alla luce delle moderne “scienze umane”, purché “senza cadere nello psicologismo”. Infine, le ultime considerazioni sono ancora per le religiose e, più in generale, per la presenza delle consacrate nella Chiesa che rappresentano “l’80%” della vita religiosa. La questione, più volte sollevata, riguarda il ruolo che Francesco distingue dalla funzione. “È una grande cosa – riconosce – che le donne “vengano promosse” ai vertici della Chiesa, ma c’è di più:

    “Quando mi dicono: ‘No! Nella Chiesa le donne devono essere capi dicastero, per esempio!'. Sì possono, in alcuni dicasteri possono; ma questo che tu chiedi è un semplice funzionalismo. Quello non è riscoprire il ruolo della donna nella Chiesa. E’ più più profondo (…) L’essenziale del ruolo della donna va – lo dirò in termini non teologici – nell’aiutare che lei esprima il genio femminile. Quando noi trattiamo un problema fra uomini arriviamo ad una conclusione, ma se trattiamo lo stesso problema con le donne, la conclusione sarà diversa: andrà sulla stessa strada, ma più ricca, più forte, più intuitiva. Per questo la donna nella Chiesa deve avere questo ruolo, ma deve esplicitare, aiutare ad esplicitare in tante maniere il genio femminile”.

    Il giovane sorriso di 97 anni
    L’ultimo saluto, ma un saluto simbolo, Papa Francesco lo rivolge a una suora di 97 anni. Ho “scambiato con lei due o tre parole – racconta – mi guardava con gli occhi limpidi, mi guardava con quel sorriso di sorella, di mamma e di nonna. In lei voglio rendere omaggio alla perseveranza nella vita consacrata”.





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 18/05/2015 10:07

    INCONTRO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
    CON RELIGIOSE E RELIGIOSI DELLA DIOCESI DI ROMA

    Aula Paolo VI
    Sabato, 16 maggio 2015

    [Multimedia]


     

    Prima domanda (Sr. Fulvia Sieni, Agostiniana del Monastero dei Santi Quattro Coronati)

    I monasteri vivono un delicato equilibrio tra nascondimento e visibilità, clausura e coinvolgimento nella vita diocesana, silenzio orante e parola che annuncia. In che modo un monastero urbano può arricchire e lasciarsi arricchire dalla vita spirituale della Diocesi e dalle altre forme di vita consacrata, mantenendosi saldo nelle sue prerogative monastiche?

    Prima risposta

    Lei parla di un delicato equilibrio tra nascondimento e visibilità. Io dirò di più: una tensione fra nascondimento e visibilità. La vocazione monastica è questa tensione, tensione nel senso vitale, tensione di fedeltà. L’equilibrio si può intendere come “bilanciamo, tanto di qua, tanto di là…”. Invece la tensione è la chiamata di Dio verso la vita nascosta e la chiamata di Dio a farsi visibili in un certo modo. Ma come deve essere questa visibilità e come deve essere questa vita nascosta? E’ questa tensione che voi vivete nella vostra anima. E’ questa la vostra vocazione: siete donne “in tensione”: in tensione fra questo atteggiamento di cercare il Signore e nascondersi nel Signore, e questa chiamata a dare un segno. Le mura del monastero non sono sufficienti per dare il segno. Ho ricevuto una lettera, 6-7 mesi fa, di una suora di clausura che aveva incominciato a lavorare con i poveri, nella portineria; e poi è uscita a lavorare fuori con i poveri; e poi è andata avanti di più e di più, e alla fine ha detto: “La mia clausura è il mondo”. Io le ho risposto: “Dimmi, cara, tu hai la grata portatile?”. Questo è uno sbaglio.

    Un altro sbaglio è di non voler sentire niente, vedere niente. “Padre, le notizie possono entrare in monastero?”. Devono! Ma non le notizie – diciamo – dei media “chiacchieroni”; le notizie di che cosa succede nel mondo, le notizie – per esempio – delle guerre, delle malattie, di quanto soffre la gente. Per questo una delle cose che mai, mai dovete lasciare è un tempo per ascoltare la gente! Anche nelle ore di contemplazione, di silenzio… Alcuni monasteri hanno la segreteria telefonica e la gente chiama, chiede preghiera per questo, per quest’altro: questo collegamento con il mondo è importante! In alcuni monasteri si vede il telegiornale; non so, questo è discernimento di ogni monastero, secondo la regola. In altri arriva il giornale, si legge; in altri si fa questo collegamento in un’altra maniera. Ma sempre è importante il collegamento col mondo: sapere che cosa succede. Perché la vostra vocazione non è un rifugio; è andare proprio in campo di battaglia, è lotta, è bussare al cuore del Signore per quella città. E’ come Mosè che teneva le mani in alto, pregando, mentre il popolo combatteva (cfr Es 17,8-13).

    Tante grazie vengono dal Signore in questa tensione tra la vita nascosta, la preghiera e il sentire le notizie della gente. In questo la prudenza, il discernimento, vi farà capire quanto tempo va a una cosa, quanto tempo all’altra. Ci sono anche monasteri che si occupano mezz’ora al giorno, un’ora al giorno di dare da mangiare a coloro che vengono a chiederlo; e questo non va contro il nascondimento in Dio. E’ un servizio; è un sorriso. Il sorriso delle monache apre il cuore! Il sorriso delle monache sfama più del pane quelli che vengono! Questa settimana tocca a te dare da mangiare quella mezz’ora ai poveri che chiedono anche un panino. Chi questo, chi l’altro: questa settimana tocca a te sorridere ai bisognosi! Non dimenticate questo. A una suora che non sa sorridere manca qualcosa.

    Nel monastero ci sono problemi, lotte – come in ogni famiglia – piccole lotte, qualche gelosia, questo, quest’altro... E questo ci fa capire quanto soffre la gente nelle famiglie, le lotte nelle famiglie; quando litigano marito e moglie e quando ci sono le gelosie; quando si separano le famiglie… Quando anche voi avete questo tipo di prova – sempre ci sono queste cose –, sentire che quella non è la strada e offrire al Signore, cercando una strada di pace, dentro il monastero, perché il Signore faccia la pace nelle famiglie, fra la gente.

    “Ma mi dica, Padre, noi leggiamo spesso che nel mondo, nella città, c’è la corruzione; anche nei monasteri ci può essere la corruzione?”. Sì, quando si perde la memoria. Quando si perde la memoria! La memoria della vocazione, del primo incontro con Dio, del carisma che ha fondato il monastero. Quando si perde questa memoria e l’anima comincia ad essere mondana, pensa cose mondane e si perde quello zelo della preghiera di intercessione per la gente. Tu hai detto una parola bella, bella, bella: “Il monastero è presente nella città, Dio è nella città e noi sentiamo i rumori della città”. Quei rumori, che sono rumori di vita, rumori dei problemi, rumori di tanta gente che va a lavorare, che torna dal lavoro, che pensa queste cose, che ama…; tutti questi rumori vi devono spingere a lottare con Dio, con quel coraggio che aveva Mosè. Ricordati di quando Mosè era triste perché il popolo andava per una strada sbagliata. Il Signore ha perso la pazienza e ha detto a Mosè: “Io distruggerò questo popolo! Ma tu stai tranquillo, ti metterò a capo di un altro popolo”. Cosa ha detto Mosè? Cosa ha detto? “No! Se tu distruggi questo popolo, distruggi anche me!” (cfr Es 32,9-14). Questo legame con il tuo popolo è la città. Dire al Signore: “Questa è la mia città, è il mio popolo. Sono i miei fratelli e le mie sorelle”. Questo vuol dire dare la vita per il popolo. Questo delicato equilibrio, questa delicata tensione significa tutto questo.

    Non so come fate voi Agostiniane dei Santi Quattro: c’è la possibilità di ricevere persone nel parlatorio… Quante grate avete? Quattro o cinque? O non c’è più la grata… E’ vero che si può scivolare in alcune imprudenze, dare tanto tempo per parlare – santa Teresa dice tante cose su questo – ma vedere la vostra gioia, vedere la promessa della preghiera, dell’intercessione, alla gente fa tanto bene! E voi, dopo una mezzoretta di chiacchiera, tornate al Signore. Questo è molto importante, molto importante! Perché la clausura ha sempre bisogno di questo collegamento umano. Questo è molto importante.

    La domanda finale è: come un monastero può arricchire e lasciarsi arricchire dalla vita spirituale della diocesi e dalle altre forme di vita consacrata, mantenendosi saldo nelle sue prerogative monastiche? Sì, la diocesi: pregare per il vescovo, per i vescovi ausiliari e per i sacerdoti. Ci sono bravi confessori dappertutto! Alcuni non tanto bravi…. Ma ce ne sono di bravi! Io so di sacerdoti che vanno nei monasteri a sentire cosa dice una monaca, e fate tanto bene ai sacerdoti. Pregate per i sacerdoti. In questo delicato equilibrio, in questa delicate tensione c’è anche la preghiera per i sacerdoti. Pensate a santa Teresa di Gesù Bambino… Pregare per i sacerdoti, ma anche ascoltare i sacerdoti, ascoltarli quando vengono, in quei minuti del parlatorio. Ascoltare. Io conosco tanti, tanti sacerdoti che – permettetemi la parola – si sfogano parlando con una monaca di clausura. E poi il sorriso, la parolina e la sicurezza della preghiera della suora li rinnova e tornano in parrocchia felici. Non so se ho risposto…

    Seconda domanda (Iwona Langa, Ordo virginum, Casa-famiglia Ain Karim)

    Il matrimonio e la verginità cristiana sono due modi per realizzare la vocazione all’amore. Fedeltà, perseveranza, unità del cuore, sono impegni e sfide sia per gli sposi cristiani sia per noi consacrati: come illuminare la strada gli uni degli altri, gli uni per gli altri, e camminare insieme verso il Regno?

    Seconda risposta

    Come la prima suora, Suor Fulvia Sieni, era – diciamo – “in carcere”, quest’altra suora è… “sulla strada”. Tutt’e due portano la parola di Dio alla città. Lei faceva una bella domanda: “L’amore nel matrimonio e l’amore nella vita consacrata è lo stesso amore?”. Ha quelle qualità di perseveranza, di fedeltà, di unità, di cuore? Ci sono impegni e sfide? Per questo le consacrate si dicono spose del Signore. Sposano il Signore. Io avevo uno zio la cui figlia si è fatta suora e diceva: “Adesso io sono cognato del Signore! Mia figlia ha sposato il Signore”. C’è nella consacrazione femminile una dimensione sponsale. Nella consacrazione maschile, pure: del vescovo si dice che è “sposo della Chiesa”, perché è al posto di Gesù, sposo della Chiesa. Ma questa dimensione femminile – vado un po’ fuori dalla domanda, per tornarvi – nelle donne è molto importante. Le suore sono l’icona della Chiesa e della Madonna. Non dimenticare che la Chiesa è femminile: non è il Chiesa, è la Chiesa. E per questo la Chiesa è sposa di Gesù. Tante volte dimentichiamo questo; e dimentichiamo questo amore materno della suora, perché materno è l’amore della Chiesa; questo amore materno della suora, perché materno è l’amore della Madonna. La fedeltà, l’espressione dell’amore della donna consacrata, deve – ma non come un dovere, ma per connaturalità – rispecchiare la fedeltà, l’amore, la tenerezza della Madre Chiesa e della Madre Maria. Una donna che non entra, per consacrarsi, su questa strada, alla fine sbaglia. La maternità della donna consacrata! Pensare tanto a questo. Come è materna Maria e come è materna la Chiesa.

    E tu domandavi: come illuminare la strada gli uni degli altri, gli uni per gli altri, e camminare verso il Regno? L’amore di Maria e l’amore della Chiesa è un amore concreto! La concretezza è la qualità di questa maternità delle donne, delle suore. Amore concreto. Quando una suora incomincia con le idee, troppe idee, troppe idee… Ma cosa faceva santa Teresa? Quale consiglio dava santa Teresa, la grande, alla superiora? “Dalle una bistecca e poi parliamo”. Farla scendere alla realtà. La concretezza. E la concretezza dell’amore è molto difficile. E’ molto difficile! E di più quando si vive in comunità, perché i problemi della comunità tutti li conosciamo: le gelosie, le chiacchiere; che questa superiora è questo, che l’altra è quello… -. Queste cose sono cose concrete, ma non buone! La concretezza della bontà, dell’amore, che perdona tutto! Se deve dire una verità, la dice in faccia, ma con amore; prega prima di fare un rimprovero e poi chiede al Signore che vada avanti con la correzione. E’ l’amore concreto! Una suora non può permettersi un amore sulle nuvole; no, l’amore è concreto.

    E com’è la concretezza della donna consacrata? Com’è? Tu puoi trovarla in due brani del Vangelo. Nelle Beatitudini: ti dicono che cosa tu devi fare. Gesù, il programma di Gesù, è concreto. Tante volte io penso che le Beatitudini sono la prima Enciclica della Chiesa. E’ vero, perché tutto il programma è lì. E poi la concretezza la trovi nel protocollo sul quale tutti noi saremo giudicati: Matteo 25. La concretezza della donna consacrata è lì. Con questi due brani tu puoi vivere tutta la vita consacrata; con queste due regole, con queste due cose concrete, facendo queste cose concrete. E facendo queste cose concrete tu puoi arrivare anche ad un grado, ad un’altezza di santità e di preghiera molto grande. Ma ci vuole concretezza: l’amore è concreto! E il vostro amore di donne è un amore materno concreto. Una mamma mai sparla dei figli. Ma se tu sei suora, in convento o in comunità laicale, tu hai questa consacrazione materna e non ti è lecito sparlare delle altre suore! No. Sempre scusarle, sempre! E’ bello quel passo dell’autobiografia di santa Teresa di Gesù Bambino, quando trovava quella suora che la odiava. Cosa faceva? Sorrideva e andava avanti. Un sorriso di amore. E cosa faceva quando doveva accompagnare quella suora che era sempre scontenta, perché zoppicava da tutte e due le gambe e poverina era ammalata: cosa faceva? Faceva il meglio! La portava bene e poi le tagliava anche il pane, le faceva qualcosa di più. Ma mai la critica di nascosto! Quello distrugge la maternità. Una mamma che critica, che sparla dei suoi figli non è madre! Credo che si dica “matrigna” in italiano… Non è madre. Io ti dirò questo: l’amore – e tu vedi che è anche coniugale, è la stessa figura, la figura della maternità nella Chiesa – è la concretezza. La concretezza. Io vi raccomando di fare questo esercizio: leggere spesso le Beatitudini, e leggere spesso Matteo 25, il protocollo del Giudizio. Questo fa tanto bene per la concretezza del Vangelo. Non so, finiamo qui?

    Terza domanda (P. Gaetano Saracino, Missionario Scalabriniano, Parroco del SS. Redentore)

    Come mettere in comune e far fruttificare i doni di cui sono portatori i diversi carismi in questa Chiesa locale così ricca di talenti? Spesso è difficile anche solo la comunicazione dei diversi percorsi, siamo incapaci di mettere insieme le forze tra congregazioni, parrocchie, altri organismi pastorali, associazioni e movimenti laicali, quasi vi fosse concorrenzialità invece che servizio condiviso. A volte, poi, noi consacrati ci sentiamo come “tappabuchi”. Come “camminare insieme”?

    Terza risposta

    Io sono stato in quella parrocchia e conosco cosa fa questo prete rivoluzionario: lavora bene! Lavora bene! Tu hai cominciato a parlare della festa. E’ una delle cose che noi cristiani dimentichiamo: la festa. Ma la festa è una categoria teologica, c’è anche nella Bibbia. Quando tornate a casa, prendete Deuteronomio 26. Lì Mosè, a nome del Signore, dice cosa devono fare i contadini ogni anno: portare i primi frutti del raccolto al tempio. Dice così: “Tu vai al tempio, porta il cesto con i primi frutti per offrirli al Signore come ringraziamento”. E poi? Primo, fa’ memoria. E gli fa recitare un piccolo credo: “Mio padre era un arameo errante, Dio lo ha chiamato; siamo stati schiavi in Egitto, ma il Signore ci ha liberato e ci ha dato questa terra… “ (cfr Dt 26,5-9). Primo, la memoria. Secondo, dai il cesto all’incaricato. Terzo, ringrazia il Signore. E quarto, torna a casa e fai festa. Fai festa e invita quelli che non hanno famiglia, invita gli schiavi, quelli che non sono liberi, anche il vicino invita alla festa… La festa è una categoria teologica della vita. E non si può vivere la vita consacrata senza questa dimensione festosa. Si fa festa. Ma fare festa non è lo stesso di fare chiasso, rumore… Fare festa è quello che c’è in quel brano che ho citato. Ricordatevi: Deuteronomio 26. C’è il fine di una preghiera: è la gioia di ricordare tutto quello che il Signore ha fatto per noi; tutto quello che mi ha dato; anche quel frutto per il quale io ho lavorato e faccio festa. Nelle comunità, anche nelle parrocchie come nel caso tuo, dove non si fa festa – quando capita di farla – manca qualcosa! Sono troppo rigidi: “Ci farà bene alla disciplina”. Tutto ordinato: i bambini fanno la Comunione, bellissima, si insegna un bel catechismo... Ma manca qualcosa: manca chiasso, manca rumore, manca festa! Manca il cuore festoso di una comunità. La festa. Alcuni scrittori spirituali dicono che anche l’Eucaristia, la celebrazione dell’Eucaristia è una festa: sì, ha una dimensione festosa nel commemorare la morte e la risurrezione del Signore. Questo io non ho voluto lasciarlo perdere, perché non era proprio nella tua domanda, ma nella tua riflessione interiore.

    E poi tu parli della concorrenzialità fra questa parrocchia e quella, questa congregazione e quella… Una delle cose più difficili per un vescovo è fare l’armonia nella diocesi! E tu dici: “Ma i religiosi per il vescovo sono tappabuchi?”. Alcune volte può darsi… Ma io ti faccio un’altra domanda: Quando faranno vescovo te, per esempio - mettiti al posto del vescovo – hai una parrocchia, con un bravo parroco religioso; tre anni dopo viene il provinciale e ti dice: “Questo lo cambio e te ne mando un altro”. Anche i vescovi soffrono per questo atteggiamento. Tante volte – non sempre, perché ci sono religiosi che entrano in dialogo con il vescovo – noi dobbiamo fare la nostra parte. “Abbiamo avuto un capitolo e il capitolo ha deciso questo…”. Tante religiose e religiosi passano la vita se non in capitoli, in versetti… Ma sempre la passano così! Io prendo la libertà di parlare così, perché sono vescovo e sono religioso. E capisco ambedue le parti, e capisco i problemi. E’ vero: l’unità fra i diversi carismi, l’unità del presbiterio, l’unità col vescovo… E questo non è facile trovarlo: ognuno tira per il suo interesse, non dico sempre, ma c’è questa tendenza, è umana… E c’è un po’ di peccato dietro, ma è cosi.
    E’ così. Per questo la Chiesa, in questo momento, sta pensando di offrire un vecchio documento, di ripristinarlo, sulle relazioni tra il religioso e il vescovo. Il Sinodo del ’94 aveva chiesto di riformarlo, il “Mutuae relationes” (14 maggio 1978 - clicca qui per il testo).
    Sono passati tanti anni e non è stato fatto. Non è facile il rapporto dei religiosi con il vescovo, con la diocesi o con i sacerdoti non religiosi. Ma bisogna impegnarsi per il lavoro comune. Nelle prefetture, come si lavora sul piano pastorale in questo quartiere, in questo tutti insieme? Così si fa la Chiesa. Il vescovo non deve usare i religiosi come tappabuchi, ma i religiosi non devono usare il vescovo come fosse il padrone di una ditta che dà un lavoro. Non so… Ma la festa, voglio tornare alla cosa principale: quando c’è comunità, senza interessi propri, sempre c’è spirito di festa. Io ho visto la tua parrocchia ed è vero. Tu sai farlo! Grazie.

    Quarta domanda (P. Gaetano Greco, Terziario Cappuccino dell’Addolorata, Cappellano del Carcere Minorile di Casal del Marmo)

    La vita consacrata è un dono di Dio alla Chiesa, un dono di Dio al suo Popolo. Non sempre però questo dono è apprezzato e valorizzato nella sua identità e nella sua specificità. Spesso le comunità, soprattutto femminili, nella nostra Chiesa locale hanno difficoltà a trovare seri accompagnatori e accompagnatrici, formatori, direttori spirituali, confessori. Come riscoprire questa ricchezza? La vita consacrata per l’80% ha un volto femminile. Com’è possibile valorizzare la presenza della donna e in particolare della donna consacrata nella Chiesa?

    Quarta risposta

    Padre Gaetano nella sua riflessione, mentre raccontava la sua storia, ha parlato di quella “sostituzione di 2-3 settimane” che doveva fare al carcere minorile. E’ lì da 45 anni, credo. Lo ha fatto per obbedienza. “Il tuo posto è lì”, gli ha detto il superiore. E a malincuore gli obbedì. Poi ha visto che quell’atto di obbedienza, quello che gli aveva chiesto il superiore, era volontà di Dio. Mi permetto, prima di rispondere alla domanda, di dire una parola sull’obbedienza. Quando Paolo vuole dirci il mistero di Gesù Cristo usa questa parola; quando vuol dire come è stata la fecondità di Gesù Cristo, usa questa parola: “Si è fatto obbediente fino alla morte e morte di croce” (cfr Fil 2,8). Umiliò se stesso. Obbedì. Il mistero di Cristo è un mistero di obbedienza, e l’obbedienza è feconda. E’ vero che come ogni virtù, come ogni luogo teologico, può essere tentata di diventare un atteggiamento disciplinare. Ma l’obbedienza nella vita consacrata è un mistero. E così come ho detto che la donna consacrata è l’icona di Maria e della Chiesa, possiamo dire che l’obbedienza è l’icona della strada di Gesù. Quando Gesù si è incarnato per obbedienza, si è fatto uomo per obbedienza, fino alla croce e alla morte. Il mistero dell’obbedienza non si capisce se non alla luce di questa strada di Gesù. Il mistero dell’obbedienza è un assomigliare a Gesù nel cammino che Lui ha voluto fare. E i frutti si vedono. E ringrazio padre Gaetano per la sua testimonianza su questo punto, perché si dicono molte parole sull’obbedienza – il dialogo previo, sì tutte queste cose sono buone, non sono cattive – ma che cos’è l’obbedienza? Andate alla Lettera dei Paolo ai Filippesi, capitolo 2: è il mistero di Gesù. Soltanto lì possiamo capire l’obbedienza. Non ai capitoli generali o provinciali: lì si potrà approfondire, ma capirla, soltanto nel mistero di Gesù.

    Adesso passiamo alla domanda: la vita consacrata è un dono, un dono di Dio alla Chiesa. E’ vero. E’ un dono di Dio. Voi parlate della profezia: è un dono di profezia. E’ Dio presente, Dio che vuole farsi presente con un dono: sceglie uomini e donne, ma è un dono, un dono gratuito. Anche la vocazione è un dono, non è un arruolamento di gente che vuole fare quella strada. No, è il dono al cuore di una persona; il dono ad una congregazione; e anche quella congregazione è un dono. Non sempre, però, questo dono è apprezzato e valorizzato nella sua identità e nella sua specificità. Questo è vero. C’è la tentazione di omologare i consacrati, come se fossero tutti la stessa cosa. Nel Vaticano II c’era stata una proposta del genere, di omologare i consacrati. No, è un dono con una identità particolare, che viene tramite il dono carismatico che Dio fa a un uomo o a una donna per formare una famiglia religiosa.

    E poi un problema: il problema di come si accompagnano i religiosi. Spesso le comunità, soprattutto femminili, nella nostra Chiesa locale hanno difficoltà a trovare seri accompagnatori e accompagnatrici, formatori, padri spirituali e confessori. O perché non capiscono cosa sia la vita consacrata, o perché vogliono mettersi nel carisma e dare interpretazioni che fanno male al cuore della suora… Stiamo parlando delle suore che hanno difficoltà, ma anche gli uomini ne hanno. E non è facile accompagnare. Non è facile trovare un confessore, un padre spirituale. Non è facile trovare un uomo con rettitudine di intenzioni; e che quella direzione spirituale, quella confessione non sia una bella chiacchiera fra amici ma senza profondità; o trovare quelli rigidi, che non capiscono bene dove sia il problema, perché non capiscono la vita religiosa... Io, nell’altra diocesi che avevo, sempre consigliavo alle suore che venivano a chiedere consiglio: “Dimmi, nella tua comunità o nella tua congregazione, non c’è una suora saggia, una suora che viva il carisma bene, una buona suora di esperienza? Fai la direzione spirituale con lei!” - “Ma è donna!” - “Ma è un carisma dei laici!”. La direzione spirituale non è un carisma esclusivo dei presbiteri: è un carisma dei laici! Nel monachesimo primitivo i laici erano i grandi direttori. Adesso sto leggendo la dottrina, proprio sull’obbedienza, di san Silvano, quel monaco del Monte Athos. Era un falegname, faceva il falegname, poi l’economo, ma non era neppure diacono; era un grande direttore spirituale! E’ un carisma dei laici. E i superiori, quando vedono che un uomo o una donna in quella congregazione o quella provincia ha quel carisma di padre spirituale, si deve cercare di aiutare a formarsi, per fare questo servizio. Non è facile. Una cosa è il direttore spirituale e un’altra cosa è il confessore. Dal confessore io vado, dico i miei peccati, sento la bastonata; poi mi perdona tutto e vado avanti. Ma al direttore spirituale devo dire cosa succede nel mio cuore. L’esame di coscienza non è lo stesso per la confessione e per la direzione spirituale. Per la confessione, devi cercare dove hai mancato, se hai perso la pazienza; se hai avuto cupidigia: queste cose, cose concrete, che sono peccaminose. Ma per la direzione spirituale devi fare un esame su cosa è successo nel cuore; quale mozione dello spirito, se ho avuto desolazione, se ho avuto consolazione, se sono stanco, perché sono triste: queste sono le cose di cui parlare con il direttore o la direttrice spirituale. Queste sono le cose. I superiori hanno la responsabilità di cercare chi in comunità, in congregazione, in provincia ha questo carisma, dare questa missione e formarli, aiutarli in questo. Accompagnare sulla strada è andare passo passo col fratello o con la sorella consacrata. Credo che in questo noi ancora siamo immaturi. Non siamo maturati in questo, perché la direzione spirituale viene dal discernimento. Ma quando tu ti trovi davanti a uomini e donne consacrate che non sanno discernere che cosa succede nel proprio cuore, che non sanno discernere una decisione, è una mancanza di direzione spirituale. E questo soltanto un uomo saggio, una donna saggia può farlo. Ma anche formati! Oggi non si può andare soltanto con la buona volontà: oggi è molto complesso il mondo e anche le scienze umane ci aiutano, senza cadere nello psicologismo, ma ci aiutano a vedere il cammino. Formarli con la lettura dei grandi, dei grandi direttori e direttrici spirituali, soprattutto del monachesimo. Non so se voi avete contatto con le opere del monachesimo primitivo: quanta saggezza di direzione spirituale c’era lì! E’ importante formarli con questo. Come riscoprire questa ricchezza? La vita consacrata per l’80% ha un volto femminile: è vero, sono più donne consacrate che uomini. Come è possibile valorizzare la presenza della donna, e in particolare della donna consacrata, nella Chiesa? Mi ripeto un po’ in quello che sto per dire: dare alla donna consacrata anche questa funzione che molti credono sia soltanto dei preti; e anche dare concretezza al fatto che la donna consacrata sia il volto della Madre Chiesa e della Madre Maria, e cioè andare avanti sulla maternità, e maternità non è soltanto fare figli! La maternità è accompagnare a crescere; la maternità è passare le ore accanto ad un malato, al figlio malato, al fratello malato; è spendere la vita nell’amore, con quell’amore di tenerezza e di maternità. Su questa strada troveremo di più il ruolo della donna nella Chiesa.

    Padre Gaetano ha toccato vari temi, per questo mi è difficile rispondere… Ma quando mi dicono: “No! Nella Chiesa le donne devono essere capi dicastero, per esempio!”. Sì, possono, in alcuni dicasteri possono; ma questo che tu chiedi è un semplice funzionalismo. Quello non è riscoprire il ruolo della donna nella Chiesa. E’ più profondo e va su questa strada. Sì, che faccia queste cose, che vengano promosse – adesso a Roma ne abbiamo una che è rettore di una università, e ben venga! –; ma questo non è il trionfo. No, no. Questa è una grande cosa, è una cosa funzionale; ma l’essenziale del ruolo della donna va – lo dirò in termini non teologici – nel fare in modo che lei esprima il genio femminile. Quando noi trattiamo un problema fra uomini arriviamo ad una conclusione, ma se trattiamo lo stesso problema con le donne, la conclusione sarà diversa. Andrà sulla stessa strada, ma più ricca, più forte, più intuitiva. Per questo la donna nella Chiesa deve avere questo ruolo; si deve esplicitare, aiutare ad esplicitare in tante maniere il genio femminile.

    Credo che con questo ho risposto come ho potuto alle domande e alla tua. E a proposito di genio femminile, io ho parlato di sorriso, ho parlato di pazienza nella vita della comunità, e vorrei dire una parola a questa suora che ho salutato di 97 anni: ha 97 anni... E’ lì, la vedo bene. Alzi la mano, perché tutti la vedano… Io ho scambiato con lei due o tre parole, mi guardava con gli occhi limpidi, mi guardava con quel sorriso di sorella, di mamma e di nonna. In lei voglio rendere omaggio alla perseveranza nella vita consacrata. Alcuni credono che la vita consacrata sia il paradiso in terra. No! Forse il Purgatorio… Ma non il Paradiso. Non è facile andare avanti. E quando io vedo una persona che ha speso la sua vita, rendo grazie al Signore. Attraverso Lei, suora, ringrazio tutte, e tutti i consacrati, grazie tante!


    [Modificato da Caterina63 18/05/2015 11:03]
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    00 24/05/2015 12:47






    MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2015

     

    Cari fratelli e sorelle,

    la Giornata Missionaria Mondiale 2015 avviene sullo sfondo dell’Anno della Vita Consacrata e ne riceve uno stimolo per la preghiera e la riflessione. Infatti, se ogni battezzato è chiamato a rendere testimonianza al Signore Gesù annunciando la fede ricevuta in dono, questo vale in modo particolare per la persona consacrata, perché tra la vita consacrata e la missione sussiste un forte legame. La sequela di Gesù, che ha determinato il sorgere della vita consacrata nella Chiesa, risponde alla chiamata a prendere la croce e andare dietro a Lui, ad imitare la sua dedicazione al Padre e i suoi gesti di servizio e di amore, a perdere la vita per ritrovarla. E poiché tutta l’esistenza di Cristo ha carattere missionario, gli uomini e le donne che lo seguono più da vicino assumono pienamente questo medesimo carattere.

    La dimensione missionaria, appartenendo alla natura stessa della Chiesa, è intrinseca anche ad ogni forma di vita consacrata, e non può essere trascurata senza lasciare un vuoto che sfigura il carisma. La missione non è proselitismo o mera strategia; la missione fa parte della “grammatica” della fede, è qualcosa di imprescindibile per chi si pone in ascolto della voce dello Spirito che sussurra “vieni” e “vai”. Chi segue Cristo non può che diventare missionario, e sa che Gesù «cammina con lui, parla con lui, respira con lui. Sente Gesù vivo insieme con lui nel mezzo dell’impegno missionario» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 266).

    La missione è passione per Gesù Cristo e nello stesso tempo è passione per la gente. Quando sostiamo in preghiera davanti a Gesù crocifisso, riconosciamo la grandezza del suo amore che ci dà dignità e ci sostiene; e nello stesso momento percepiamo che quell’amore che parte dal suo cuore trafitto si estende a tutto il popolo di Dio e all’umanità intera; e proprio così sentiamo anche che Lui vuole servirsi di noi per arrivare sempre più vicino al suo popolo amato (cfr ibid., 268) e a tutti coloro che lo cercano con cuore sincero. Nel comando di Gesù: “andate” sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa. In essa tutti sono chiamati ad annunciare il Vangelo con la testimonianza della vita; e in modo speciale ai consacrati è chiesto di ascoltare la voce dello Spirito che li chiama ad andare verso le grandi periferie della missione, tra le genti a cui non è ancora arrivato il Vangelo.

    Il cinquantesimo anniversario del Decreto conciliare Ad gentes ci invita a rileggere e meditare questo documento che suscitò unforte slancio missionario negli Istituti di vita consacrata. Nelle comunità contemplative riprese luce ed eloquenza la figura di santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni, quale ispiratrice dell’intimo legame della vita contemplativa con la missione. Per molte congregazioni religiose di vita attiva l’anelito missionario scaturito dal Concilio Vaticano II si attuò con una straordinaria apertura alla missione ad gentes, spesso accompagnata dall’accoglienza di fratelli e sorelle provenienti dalle terre e dalle culture incontrate nell’evangelizzazione, tanto che oggi si può parlare di una diffusa interculturalità nella vita consacrata.
    Proprio per questo è urgente riproporre l’ideale della missione nel suo centro: Gesù Cristo, e nella sua esigenza: il dono totale di sé all’annuncio del Vangelo. Non vi possono essere compromessi su questo: chi, con la grazia di Dio, accoglie la missione, è chiamato a vivere di missione. Per queste persone, l’annuncio di Cristo, nelle molteplici periferie del mondo, diventa il modo di vivere la sequela di Lui e ricompensa di tante fatiche e privazioni. Ogni tendenza a deflettere da questa vocazione, anche se accompagnata da nobili motivazioni legate alle tante necessità pastorali, ecclesiali o umanitarie, non si accorda con la personale chiamata del Signore a servizio del Vangelo.

    Negli Istituti missionari i formatori sono chiamati sia ad indicare con chiarezza ed onestà questa prospettiva di vita e di azione, sia ad essere autorevoli nel discernimento di autentiche vocazioni missionarie. Mi rivolgo soprattutto ai giovani, che sono ancora capaci di testimonianze coraggiose e di imprese generose e a volte controcorrente: non lasciatevi rubare il sogno di una missione vera, di una sequela di Gesù che implichi il dono totale di sé. Nel segreto della vostra coscienza, domandatevi quale sia la ragione per cui avete scelto la vita religiosa missionaria e misurate la disponibilità ad accettarla per quello che è: un dono d’amore al servizio dell’annuncio del Vangelo, ricordando che, prima di essere un bisogno per coloro che non lo conoscono, l’annuncio del Vangelo è una necessità per chi ama il Maestro.

    Oggi, la missione è posta di fronte alla sfida di rispettare il bisogno di tutti i popoli di ripartire dalle proprie radici e di salvaguardare i valori delle rispettive culture. Si tratta di conoscere e rispettare altre tradizioni e sistemi filosofici e riconoscere ad ogni popolo e cultura il diritto di farsi aiutare dalla propria tradizione nell’intelligenza del mistero di Dio e nell’accoglienza del Vangelo di Gesù, che è luce per le culture e forza trasformante delle medesime.

    All’interno di questa complessa dinamica, ci poniamo l’interrogativo: “Chi sono i destinatari privilegiati dell’annuncio evangelico?”. La risposta è chiara e la troviamo nel Vangelo stesso: i poveri, i piccoli e gli infermi, coloro che sono spesso disprezzati e dimenticati, coloro che non hanno da ricambiarti (cfr Lc 14,13-14).
    L’evangelizzazione rivolta preferenzialmente ad essi è segno del Regno che Gesù è venuto a portare: «Esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 48). Ciò dev’essere chiaro specialmente alle persone che abbracciano la vita consacrata missionaria: con il voto di povertà si sceglie di seguire Cristo in questa sua preferenza, non ideologicamente, ma come Lui identificandosi con i poveri, vivendo come loro nella precarietà dell’esistenza quotidiana e nella rinuncia all’esercizio di ogni potere per diventare fratelli e sorelle degli ultimi, portando loro la testimonianza della gioia del Vangelo e l’espressione della carità di Dio.

    Per vivere la testimonianza cristiana e i segni dell’amore del Padre tra i piccoli e i poveri, i consacrati sono chiamati a promuovere nel servizio della missione la presenza dei fedeli laici. Già il Concilio Ecumenico Vaticano II affermava: «I laici cooperino all’opera evangelizzatrice della Chiesa, partecipando come testimoni e come vivi strumenti della sua missione salvifica» (Ad gentes, 41). È necessario che i consacrati missionari si aprano sempre più coraggiosamente nei confronti di quanti sono disposti a collaborare con loro, anche per un tempo limitato, per un’esperienza sul campo. Sono fratelli e sorelle che desiderano condividere la vocazione missionaria insita nel Battesimo. Le case e le strutture delle missioni sono luoghi naturali per la loro accoglienza e il loro sostegno umano, spirituale ed apostolico.

    Le Istituzioni e le Opere missionarie della Chiesa sono totalmente poste al servizio di coloro che non conoscono il Vangelo di Gesù. Per realizzare efficacemente questo scopo, esse hanno bisogno dei carismi e dell’impegno missionario dei consacrati, ma anche i consacrati hanno bisogno di una struttura di servizio, espressione della sollecitudine del Vescovo di Roma per garantire la koinonia, così che la collaborazione e la sinergia siano parte integrante della testimonianza missionaria. Gesù ha posto l’unità dei discepoli come condizione perché il mondo creda (cfr Gv 17,21). Tale convergenza non equivale ad una sottomissione giuridico-organizzativa a organismi istituzionali, o ad una mortificazione della fantasia dello Spirito che suscita la diversità, ma significa dare più efficacia al messaggio evangelico e promuovere quell’unità di intenti che pure è frutto dello Spirito.

    L’Opera Missionaria del Successore di Pietro ha un orizzonte apostolico universale. Per questo ha bisogno anche dei tanti carismi della vita consacrata, per rivolgersi al vasto orizzonte dell’evangelizzazione ed essere in grado di assicurare un’adeguata presenza sulle frontiere e nei territori raggiunti.

    Cari fratelli e sorelle, la passione del missionario è il Vangelo. San Paolo poteva affermare: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16). Il Vangelo è sorgente di gioia, di liberazione e di salvezza per ogni uomo. La Chiesa è consapevole di questo dono, pertanto non si stanca di annunciare incessantemente a tutti «quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi» (1 Gv 1,1). La missione dei servitori della Parola – vescovi, sacerdoti, religiosi e laici – è quella di mettere tutti, nessuno escluso, in rapporto personale con Cristo. Nell’immenso campo dell’azione missionaria della Chiesa, ogni battezzato è chiamato a vivere al meglio il suo impegno, secondo la sua personale situazione. Una risposta generosa a questa universale vocazione la possono offrire i consacrati e le consacrate, mediante un’intensa vita di preghiera e di unione con il Signore e col suo sacrificio redentore.

    Mentre affido a Maria, Madre della Chiesa e modello di missionarietà, tutti coloro che, ad gentes o nel proprio territorio, in ogni stato di vita cooperano all’annuncio del Vangelo, di cuore invio a ciascuno la Benedizione Apostolica.

    Dal Vaticano, 24 maggio 2015
    Solennità di Pentecoste

    FRANCESCO






    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 17/09/2015 20:15




    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO INTERNAZIONALE PER I GIOVANI CONSACRATI

    Aula Paolo VI
    Giovedì, 17 settembre 2015

    [Multimedia]


     

    Buongiorno!

    Vi ringrazio. Il Cardinale Prefetto mi ha detto che voi siete cinque mila giovani consacrati. Io incomincerei con le domande che voi avete preparato e che avete avuto la cortesia di inviarmi.

    Ma prima di tutto so che fra voi ci sono consacrati e consacrate dall’Iraq e dalla Siria. Vorrei iniziare con un pensiero ai nostri martiri dell’Iraq e della Siria, i nostri martiri di oggi. Forse voi ne conoscete tanti o alcuni… Alcuni giorni fa, in Piazza, un sacerdote iracheno si è avvicinato e mi ha dato una croce piccola: era la croce che aveva in mano il sacerdote che è stato sgozzato per non rinnegare Gesù Cristo. Questa croce la porto qui… Alla luce di queste testimonianze dei nostri martiri di oggi - che sono più dei martiri dei primi secoli -, e anche dei martiri della vostra terra irachena e siriana, vorrei incominciare il nostro dialogo ringraziando il Signore: che la sua Chiesa compia nel suo Corpo quello che manca alla Passione di Cristo, ancora oggi, e chiedendo la grazia del piccolissimo martirio quotidiano, di quel martirio di tutti i giorni, nel servizio di Gesù e della nostra vita consacrata.

    E adesso fatemi le vostre domande, e poi vediamo…

    PRIMA DOMANDA – Santo Padre, il Vangelo, che tutti noi consacrate e consacrati abbiamo abbracciato come nostra forma di vita, ci dice che il Signore Gesù, ai due discepoli che lo seguivano e gli chiedevano: “Dove abiti?”, ha risposto: “Venite e vedete”. In questi giorni abbiamo fatto memoria della nostra chiamata e delle molte altre chiamate che il Signore ci ha rivolto da quando abbiamo risposto per la prima volta al suo invito a seguirlo più da vicino e in maniera profetica. Santo Padre, anche Lei ha sentito la chiamata alla vita consacrata e ha seguito Gesù; anche Lei ricorderà quell’”ora decima” della chiamata. E’ troppo ardito chiederLe di condividere con noi come fu quella prima chiamata, in quella primavera di settembre 1953… Cosa L’ha affascinata di Gesù e del Vangelo? Perché si è fatto religioso, perché si è fatto sacerdote?

    PAPA: Di dove sei tu? (applausi)

    R. – Sono di Aleppo, Siria… (applausi)

    SECONDA DOMANDA (in inglese) – Caro Santo Padre, nella Evangelii gaudium, “La gioia del Vangelo”, ci ricorda che tutti i battezzati, qualunque sia la loro posizione nella Chiesa o il loro livello di istruzione nella fede, sono operatori di evangelizzazione e che questa evangelizzazione, compito missionario, dovrebbe essere portata avanti con spirito: una  evangelizzazione che brucia dentro il proprio cuore e che è molto diversa da una serie di compiti vissuti come un obbligo pesante che uno semplicemente tollera o sopporta come qualcosa che contraddice le inclinazioni e i desideri personali. Caro Santo Padre, qual è la missione dei giovani consacrati nella Chiesa oggi? Dove dovremmo andare? A chi dovremmo rivolgerci per un aiuto e come? Dove ci sta inviando la Chiesa?

    PAPA: Come ti chiami? Di dove sei e di quale istituto?

    R. – (in inglese) Santo Padre, il mio nome è Sister Mary Giacinta, vengo dall’India e appartengono alle Sorelle della Carità di Maria Bambina.

    TERZA DOMANDA (in spagnolo) – Santo Padre, questa domanda l’ha scritta una suora di clausura, che non è potuta essere qui con noi oggi… Perché credo che possa riferirsi a tutti i consacrati. Noi giovani consacrati di oggi apparteniamo ad una generazione che alcuni hanno definito “liquida e instabile”, con poche radici, che ha difficoltà ad impegnarsi completamente. Le nostre famiglie, a volte, non sono strutturate; apparteniamo ad una generazione che spesso preferisce la comodità e il relativismo, tutto quello che è immediato, light, da usare e gettare… Dopo aver concluso la prima tappa della formazione alla vita consacrata e aver fatto i voti solenni, anche noi spesso sperimentiamo una certa instabilità nel nostro itinerario della sequela di Cristo. Como possiamo evitare di cadere nelle mediocrità?

    RISPOSTA DI PAPA FRANCESCO:

    Vi ringrazio. Ringrazio Sara, Mary Giacinta e Pierre. Ringrazio tutti e tre.

    Incominciamo da Sara, perché tu tocchi un problema molto serio, che è la comodità nella vita consacrata: “dobbiamo fare questo…, stiamo tranquilli…, io osservo tutti i comandamenti che devo fare qui, le regole…, sono osservante…”. Ma quello che santa Teresa di Gesù diceva sull’osservanza rigida e strutturata, quello toglie la libertà. E quella era una donna libera! Tanto libera che è dovuta andare all’Inquisizione. C’è una libertà che viene dallo Spirito e c’è una libertà che viene dalla mondanità. Il Signore vi chiama – e ci chiama a tutti – a quello che Pierre ha chiamato “modo profetico” della libertà, cioè la libertà che va unita alla testimonianza e alla fedeltà. Una mamma che educa i figli nella rigidità - “si deve fare, si deve, si deve, si deve…” - e non lascia che i figli sognino, che abbiano i sogni e che non lascia i figli crescere, annulla il futuro creativo del figli. I figli saranno sterili.
    Anche la vita consacrata può essere sterile, quando non è proprio profetica; quando non si permette di sognare. Ma pensiamo a santa Teresa di Gesù Bambino: chiusa in un convento, anche con una priora non tanto facile; alcuni pensavano che la priora faceva le cose per disturbarla… Ma quella suorina di 16, 17, 18, 20, 21 anni sognava! Mai ha perso la capacità di sognare, mai ha perso gli orizzonti! Al punto che oggi è la Patrona delle missioni; è la Patrona degli orizzonti della Chiesa.
    E quello che santa Teresa chiamava “almas concertadas” è un pericolo. E’ un grande pericolo.
    Lei era una monaca di clausura, ma è andata per le strade di tutta la Spagna, facendo le fondazioni, i conventi. E mai ha perso la capacità di contemplazione. Profezia, capacità di sognare è il contrario della rigidità. I rigidi non possono sognare. Pensiamo a quelle belle cose che Gesù dice ai rigidi dei suoi tempi, ai consacrati rigidi dei suoi tempi, nel capitolo 23 di San Matteo. Leggetelo. Quelli sono i rigidi. E l’osservanza non deve essere rigida; se l’osservanza è rigida non è osservanza, è egoismo personale. E’ cercare sé stessi e sentirsi più giusti degli altri. “Ti ringrazio Signore perché non sono come quella suora, come quel fratello, come quello là…. Ti ringrazio Signore perché la mia Congregazione è proprio cattolica, osservante, e non come quella Congregazione che va di là, e quella di là e di là…”. Questo è il discorso dei rigidi. Ma tutte queste cose le troverete nel capitolo 23 di San Matteo. Teresa le chiama “almas concertadas”. E come non convertirci in questo?
    Cuore aperto sempre a quello che ci dice il Signore; e quello che ci dice il Signore, portarlo al dialogo col superiore, col maestro o la maestra spirituale, con la Chiesa, col vescovo. Apertura, cuore aperto, dialogo, e anche dialogo comunitario. “Ma, Padre, noi non possiamo dialogare, perché quando dialoghiamo sempre litighiamo…”. “Ma va bene! Anche Pietro, Paolo, Giacomo nei primi tempi – leggete gli Atti degli Apostoli – litigavano fortemente. Ma poi erano tanto aperti allo Spirito Santo che avevano questa capacità di perdonarsi.
    Sto per dire una parola un po’ difficile. Io vi parlo sinceramente: uno dei peccati che spesso trovo nella vita comunitaria è la incapacità del perdono fra i fratelli, fra le sorelle. “Ah, quella me la pagherà! Gliela farò pagare!...”.
    E questo è sporcare l’altro! Le chiacchiere in una comunità impediscono il perdono, e portano anche ad essere più lontani gli uni dagli altri, ad allontanarsi uno dall’altro. A me  piace dire che le chiacchiere non sono soltanto un peccato – perché chiacchierare è peccato, confessatevi se fate questo… E’ peccato! –, ma chiacchierare è anche terrorismo! Perché chi chiacchiera “butta una bomba” sulla fama dell’altro e distrugge l’altro, che non può difendersi. Perché sempre si chiacchiera nell’oscurità, non nella luce. E l’oscurità è il regno del diavolo. La luce è il Regno di Gesù. Se tu hai qualcosa contro tuo fratello, contro tua sorella, vai... Prima prega, rasserenati l’anima, e poi vai a dirlo a lui, a lei: “Io non sono d’accordo su questo… tu hai fatto una cosa brutta…”. Ma mai, mai buttare la bomba della chiacchiera. Mai, mai! E’ la peste della vita comunitaria! E così il religioso, la religiosa, che ha consacrato la sua vita a Dio, diventa un terrorista e una terrorista, perché butta nella sua comunità una bomba che distrugge.

    Tu, Sara, hai parlato anche dell’instabilità della nostra sequela. Sempre, dall'inizio della vita consacrata fino adesso, ci sono momenti di instabilità: sono le tentazioni. I primi monaci del deserto scrivono su questo e ci insegnano come trovare la stabilità interiore, la pace. Ma sempre ci saranno le tentazioni, sempre, sempre… La lotta sarà fino alla fine.
    E tornando a santa Teresa di Gesù Bambino, lei diceva che si deve pregare per quelli che stanno per morire, perché là c’è proprio il momento di maggior instabilità, in cui le tentazioni vengono con forza. Culturalmente è vero, noi viviamo un tempo molto, molto instabile, e anche un tempo che sembra essere “un pezzo di tempo”: noi viviamo la cultura del provvisorio. Mi diceva un vescovo - un anno fa o due anni fa, più o meno – che è andato da lui un bravo giovane, un bravo ragazzo, un professionista, che voleva farsi prete, ma soltanto per dieci anni: ”poi vedremo…”. Ma questo succede, accade: la nostra cultura è del provvisorio. Anche nei matrimoni: “Sì, sì, noi ci sposiamo! Finché l’amore dura… quando l’amore se ne va, ciao ciao: tu a casa tua, io a casa mia”.
    E questa cultura del provvisorio è entrata nella Chiesa, è entrata nelle comunità religiose, è entrata nelle famiglie, nel matrimonio… La cultura del definitivo: Dio ha inviato il Suo Figlio per sempre! Non provvisoriamente, ad una generazione o ad un Paese: a tutti. A tutti e per sempre. E questo è un criterio di discernimento spirituale. Io sono nella cultura del provvisorio? Ad esempio, per non disgregarsi, prendere anche impegni definitivi.

    Tu, Mary Giacinta, hai parlato dell’evangelizzazione. Una evangelizzazione – hai citato – che brucia nel cuore: la voglia di evangelizzare, dove il cuore brucia, col cuore che brucia. Questo è lo zelo apostolico. Evangelizzare non è lo stesso che fare proselitismo. Noi non siamo una associazione di calcio che cerca soci, aderenti… Evangelizzare non è soltanto convincere, è testimoniare che Gesù Cristo è vivo. E come ti faccio questa testimonianza? Con la tua carne, con la tua vita. Tu potrai studiare, potrai fare corsi di evangelizzazione, e questo è buono, ma la capacità di riscaldare i cuori non viene dai libri, viene dal tuo cuore! Se il tuo cuore brucia di amore per Gesù Cristo, tu sei un bravo evangelizzatore o una brava evangelizzatrice. Ma se il tuo cuore non brucia e guardi solo le cose di organizzazione, che sono necessarie, ma secondarie…
    E qui io vorrei - perdonatemi se sono un po’ femminista - ringraziare la testimonianza delle donne consacrate - non tutte, però, ce ne sono alcune un po’ isteriche! -: voi avete questa voglia di andare sempre in prima linea. Perché? Perché voi siete madri, avete questa maternità della Chiesa, che vi fa essere vicine. Io ricordo a Buenos Aires, un ospedale era rimasto senza suore, perché erano poche, anziane, e quella Congregazione era quasi alla fine… - perché gli istituti religiosi sono tutti provvisori: il Signore ne sceglie uno per un tempo, poi lo lascia e ne fa un altro; nessuno ha la possibilità di rimanere per sempre; è una grazia di Dio, e alcuni sono per quel tempo; questo sia chiaro - …queste suorine, poverine, erano anziane… E mi hanno parlato di una Congregazione della Corea: le Suore della Sacra Famiglia di Seul. Tramite un sacerdote coreano alla fine sono arrivate tre suore coreane in quell’ospedale, a Buenos Aires, dove si parla lo spagnolo. E loro sapevano lo spagnolo nello stesso modo in cui io so il cinese: niente.
    Il secondo giorno, sono andate nelle sale, nei reparti. Sono andate nei reparti e con i gesti, con una carezza, con il sorriso…
    Gli ammalati dicevano: “Ma che belle suore! Come lavorano! Che buone sono!”. “Ma ti hanno detto qualcosa?” “No, niente”. Era la testimonianza di un cuore che bruciava. E’ la maternità delle suore. Non perdere questo, per favore! Perché la suora è l’icona della Madre Chiesa e della Madre Maria. Voi davvero avete questa funzione nella Chiesa: essere icona della Chiesa; icona di Maria; icona della tenerezza della Chiesa, dell’amore della Chiesa, della maternità della Chiesa e della maternità della Madonna. Non dimenticare questo. Sempre in prima linea, ma così. E, inoltre, la Chiesa è sposa di Gesù Cristo - finisco con le suore - e le suore sono spose di Gesù Cristo, e tutta la forza la prendono di là, davanti al tabernacolo, davanti al Signore, nella preghiera con il loro Sposo, per portare il suo messaggio.

    Devo affrettarmi un po’ perché c’è tanto lavoro oggi!

    E tu Pierre hai detto parole-chiave: seguire Gesù più da vicino; vicino, vicinanza; in maniera profetica. Di questo ho parlato, della profezia, quando ho risposto a Sara. E un’altra parola, che è chiave, nella vita consacrata: memoria. Ossia profezia, vicinanza, memoria. Di profezia ho parlato. Vicinanza. Vicinanza fra voi e con gli altri. Vicinanza con il popolo di Dio. Un compagno di lavoro del mio papà - vari compagni erano entrati in Argentina dopo la guerra civile spagnola ed erano mangiapreti -, una volta uno di loro si è ammalato di un’infezione brutta, brutta, con le piaghe, una malattia brutta, e la moglie lavorava pure e c’erano tre figli.
    Questo è venuto a conoscenza di una Congregazione, Les Petites Soeurs de l'Assomption, quelle suore che ha fondato il padre Pernet. Il loro lavoro… A quei tempi, dopo le preghiere, andavano nelle case dove c’erano difficoltà. Tutte erano infermiere e curavano gli ammalati, portavano i bambini a scuola, facevano le domestiche e poi alle quattro del pomeriggio tornavano a casa. E’ andata una di loro, è andata la superiora, perché era un caso difficile.
    Disse: “Ci vado io”. Immaginate voi cosa ha detto quell’uomo a questa suora: le parolacce più brutte. Ma lei tranquilla, faceva il suo lavoro, curava le piaghe, portava i bambini, faceva da mangiare. E poi, dopo più di un mese, quell’uomo è guarito. E’ guarito. E’ tornato al lavoro.
    Alcuni giorni dopo uscivano dal lavoro lui e tre o quattro compagni mangiapreti. Passavano per la strada due suore e uno di loro ha detto loro parole brutte, alle suore. E questo con un pugno lo ha buttato sul pavimento e ha detto così: “Sui preti e su Dio di’ tutte le cose che vuoi, ma contro la Madonna e contro le suore niente!”.
    Pensate, un ateo, un mangiapreti, perché?, perché aveva visto la maternità della Chiesa, aveva visto il sorriso della Madonna in quella suora paziente che lo curava, faceva la domestica a casa e portava i bambini e andava a prenderli a scuola. Non dimenticare questo, suore: voi siete l’icona della Santa Madre Chiesa e della Santa Madre Maria. Non dimenticare questo. E la Chiesa vi ringrazia di questo, è una bella testimonianza. E questo è vicinanza, siate vicini, vicinanza ai problemi, ai veri problemi.

    E l’altra parola-chiave è memoria. Io penso che Giacomo e Giovanni non hanno mai dimenticato quell’incontro con Gesù. Gli altri apostoli lo stesso. Pietro: “Tu sei Pietro”; Nicodemo; Natanaele… Il primo incontro con Gesù. La memoria, la memoria della propria vocazione. Nei momenti oscuri, nei momenti di tentazione, nei momenti difficili della nostra vita consacrata, tornare alle fonti, fare memoria e ricordare lo stupore che noi abbiamo sentito quando il Signore ci ha guardato. Il Signore mi ha guardato… Memoria.

    E tu mi hai chiesto di condividere la mia memoria, come è stata, quella prima chiamata il 21 settembre del ’53. Ma non so come è stata. So che per caso, sono entrato in Chiesa, ho visto un confessionale e sono uscito diverso, sono uscito in un’altra maniera. La vita lì è cambiata. E cosa mi ha affascinato del Gesù e del Vangelo? Non so… la sua vicinanza a me: il Signore non mi ha mai lasciato solo, anche nei momenti brutti e oscuri, anche nei momenti dei peccati… Perché anche questo dobbiamo dire: tutti siamo peccatori. E lo diciamo in teoria, ma non nella pratica! Io ricordo i miei e mi vergogno. Pure in quei momenti, mai il Signore mi ha lasciato solo. E non solo me, tutti. Il Signore non lascia mai nessuno.

    E io ho sentito questa chiamata di farmi sacerdote e religioso. Il sacerdote che mi ha confessato quel giorno, che io non conoscevo, era lì per caso, perché aveva la leucemia, era in cura, è morto un anno dopo. E poi mi ha guidato un Salesiano, come te, un Salesiano che mi aveva battezzato. Sono andato da lui e lui mi ha guidato dai Gesuiti… Ecumenismo religioso! Ma nei momenti più brutti, mi ha aiutato tanto la memoria di quel primo incontro, perché il Signore ci incontra sempre definitivamente, il Signore non entra nella cultura del provvisorio: Lui ci ama per sempre, ci accompagna per sempre.

    E dunque: vicinanza alla gente, vicinanza fra noi; profezia con la nostra testimonianza, col cuore che brucia, con lo zelo apostolico che riscalda i cuori degli altri, anche senza parole, come quelle suorine coreane; e memoria, tornare sempre.

    E vi do un consiglio, prendete il Libro del Deuteronomio, dove Mosè fa la memoria del popolo, e fate voi la memoria della vostra vita: “Quando io ero schiavo là, come il Signore mi ha liberato, e come…”. E’ bello. Alla fine, quasi alla fine del Libro insegna come si deve andare a dare l’offerta al tempio, dice: “Mio padre era un arameo errante...”. Imparare a raccontare la propria vita davanti al Signore: “Io sono stato schiavo, schiava, il Signore mi ha liberato, e per questo vengo e faccio festa!”. Fare festa: quando tu ricordi le meraviglie che il Signore ha fatto nella tua vita, ti viene di fare festa, ti viene un sorriso da un orecchio all’altro!, di quei sorrisi belli, perché il Signore è fedele! Profezia, memoria, vicinanza, cuore che brucia, zelo apostolico, cultura del definitivo, no all’usa e getta.

    E voglio finire con due parole. Una che è il simbolo del peggiore, non so se il peggiore ma uno dei peggiori atteggiamenti di un religioso: rispecchiare sé stesso, il narcisismo. Guardatevi da questo. E noi viviamo in una cultura narcisistica, e sempre abbiamo questa tendenza a rispecchiarci. No al narcisismo, a guardare sé stessi.
    E sì al contrario, a ciò che spoglia di tutto il narcisismo, sì all’adorazione. E io credo che questo è uno dei punti sul quale dobbiamo andare avanti. Tutti noi preghiamo, rendiamo grazie al Signore, chiediamo favori, lodiamo il Signore… Ma io faccio la domanda: Noi adoriamo il Signore? Tu, religioso o religiosa, hai la capacità di adorare il Signore?. La preghiera di adorazione silenziosa: “Tu sei il Signore”, è il contrario di quel rispecchiarsi proprio del narcisismo. Adorazione, voglio finire con questa parola: siate donne e uomini di adorazione. E pregate per me. Grazie.

       

     

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 11/12/2015 18:46

    Avviso di Conferenze Stampa, 11.12.2015


    Conferenza Stampa di lunedì14 dicembre 2015

    Conferenza Stampa di martedì 15 dicembre 2015

    Conferenza Stampa di lunedì 14 dicembre 2015

    Si informano i giornalisti accreditati che lunedì 14 dicembre 2015, alle ore 11.30, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica presenterà il documento “Identità e missione del fratello religioso nella Chiesa” e presenterà inoltre le manifestazioni conclusive dell’Anno della Vita Consacrata.

    Interverranno:

    Em.mo Card. João Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica;

    S.E. Mons. José Rodríguez Carballo, O.F.M., Arcivescovo Segretario della medesima Congregazione.

    (Il Documento è da considerarsi sotto embargo fino alle ore 12.00 di lunedì 14 dicembre 2015.- Il testo del Documento - in lingua italiana, inglese, francese, tedesca, spagnola e portoghese - sarà a disposizione dei giornalisti accreditati a partire dalle ore 9.00 di lunedì 14 dicembre).

    [02185-IT.01]

    Conferenza stampa di martedì 15 dicembre

    Si informano i giornalisti accreditati che martedì 15 dicembre 2015, alle ore 11.30, nell'Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si terrà una conferenza stampa di presentazione del Messaggio per la 49.ma Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2016): “Vinci l’indifferenza e conquista la pace”.

    Interverranno:

    Em.mo Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace;

    Dott.ssa Flaminia Giovanelli, Sotto-Segretario del medesimo Pontificio Consiglio;

    S.E. Mons. José Raúl Vera López, O.P., Vescovo di Saltillo (Messico);

    Dott. Vittorio V. Alberti, Officiale del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.

    (Il Messaggio è da considerarsi sotto embargo fino alle ore 12.00 di martedì 15 dicembre 2015.- Il testo del Messaggio - in lingua italiana, inglese, francese, tedesca, spagnola, portoghese e polacca - sarà a disposizione dei giornalisti accreditati a partire dalle ore 9.00 di martedì 15 dicembre)






    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 15/12/2015 10:20

    Conferenza Stampa della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica per la presentazione del documento “Identità e missione del fratello religioso nella Chiesa” e delle manifestazioni conclusive dell’Anno della Vita Consacrata, 14.12.2015




    Intervento del Card. João Braz de Aviz

    Intervento di S.E. Mons. José Rodríguez Carballo, O.F.M.

    Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica presenta il documento “Identità e missione del fratello religioso nella Chiesa” e illustra inoltre le manifestazioni conclusive dell’Anno della Vita Consacrata.

    Intervengono alla Conferenza Stampa l’Em.mo Card. João Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica e S.E. Mons. José Rodríguez Carballo, O.F.M., Arcivescovo Segretario della medesima Congregazione.

    Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:

    Intervento del Card. João Braz de Aviz

    Il documento Identità e missione del religioso fratello nella Chiesa mette in rilievo la grande ricchezza e l’attualità della vocazione dei fratelli. Il suo contenuto ci sembra molto valido e innovativo alla luce del Concilio Vaticano II. Ora posso solo accennare ad alcuni dei suoi pregevoli contributi, per risvegliare nei destinatari – fratelli, religiose, laici e laiche, religiosi sacerdoti, l’intera Chiesa – il gusto di leggerlo, di conoscere meglio questa vocazione, di valorizzarla di più e affinché ognuno viva con più fedeltà la sua specifica vocazione per aprirsi all’incontro con Cristo e seguirlo ogni giorno.

    La vocazione del religioso fratello è, in primo luogo, la vocazione cristiana. È la chiamata dello Spirito ad assomigliare a Cristo per la gloria del Padre e per contribuire alla edificazione del Regno. Questo contributo si attua mediante l’esercizio nella Chiesa di un servizio o ministero secondo il Vangelo, che contribuisce alla salute spirituale della gente e al suo maggior benessere materiale.

    La vocazione del cristiano è la sequela di Cristo. Però la persona di Cristo è talmente ricca che ogni cristiano vive questa vocazione sottolineandone alcuni tratti specifici: alcuni si identificano con Cristo dedicandosi al lavoro materiale per costruire un mondo più abitabile dove la gente possa vivere in condizioni dignitose; altri, annunciando la buona notizia; altri, esercitando il ministero sacerdotale; altri, nell’insegnamento; altri, dedicandosi alla cura dei malati; altri ancora, identificandosi specialmente con Cristo povero, casto e obbediente.

    Qual è il tratto della persona di Cristo che il religioso fratello sottolinea specialmente con la sua forma di vita? Non è altro che quello della fraternità. Il religioso fratello riflette il volto di Cristo-Fratello, semplice, buono, vicino alla gente, accogliente, generoso, servitore…

    Il documento indica che l’identità e la missione del religioso fratello si riassumono nella fraternità intesa come:

    - dono che il fratello riceve da Dio Trinità, comunione di persone,

    - dono che condivide con i suoi fratelli nella vita fraterna in comunità, e

    - dono che offre al mondo per la costruzione di un mondo di figli di Dio e di fratelli.

    Possiamo notare che questa presentazione delle dimensioni fondamentali della vita consacrata corrisponde a quella che troviamo nell’Esortazione apostolica Vita consecrata di san Giovanni Paolo II, riunite qui sotto il nucleo centrale della fraternità. La fraternità come dono che il religioso fratello riceve, condivide e offre corrisponde rispettivamente alla confessio Trinitatis,signum fraternitatis e servitium caritatis di detta Esortazione.

    La fraternità, dono che il religioso fratello riceve dal Dio Uno e Trino

    «… fratelli di Cristo,

    profondamente uniti a Lui,

    “primogenito tra molti fratelli” (Rm 8, 29)» (VC 60)

    La fraternità non è semplicemente il frutto dello sforzo personale. Non si arriva ad essere fratello secondo il Vangelo per il solo desiderio di esserlo o per un impulso individuale. La fraternità è anzitutto un dono di Dio.

    Il religioso fratello arriva ad essere tale perché lo Spirito gli fa conoscere Dio che in Gesù si rivela come Padre pieno di amore, di tenerezza e di misericordia. Insieme a Gesù, si sente figlio amato e con Lui si offre per essere nella sua vita tutto per il Padre e tutto per tutti i suoi figli e figlie di questo mondo. Detto in altro modo, all’origine della vocazione del religioso fratello c’è l’esperienza dell’amore di Dio, come dice s. Giovanni: «noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4, 16) (cf. n. 13, p. 19).

    Il religioso fratello è uno che, sedotto dall’amore del Padre, si offre interamente a Lui, cioè si consacra senza riserve. Qualcuno che si riconosce figlio di Dio fin dal battesimo. Consacrato a Lui in forza del battesimo e animato dallo Spirito, il fratello si impegna a vivere la sua consacrazione battesimale in una maniera speciale in castità, povertà e obbedienza, come ha vissuto Gesù.

    Il religioso fratello si identifica così con Gesù che sulla croce si consegna totalmente fino a dare la vita per i suoi fratelli, e con Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli. Il religioso fratello è, così, memoria profetica del Gesù-Fratello che dopo aver benedetto il pane e il vino, segni della sua offerta totale, dice: «fate questo in memoria di me» (Lc 22, 19) e del Gesù che, dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli, spiega: «… se io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri» (Gv 13, 14).

    Per la sua speciale consacrazione, il religioso fratello si consegna «come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12, 1) e, a sua volta, consacra a Dio tutta la creazione. In tal modo esercita in pienezza il sacerdozio universale dei battezzati (cf. n. 16, p. 22 s.).

    Una nota caratteristica dell’identità del religioso fratello è «l’esigenza della fraternità come confessione della Trinità» (n. 6, p. 9 – cf. VC 41; 46). Si tratta di una fraternità aperta a tutti e specialmente ai più piccoli, ai più umili, agi oppressi, ai non amati e, in definitiva, ai più poveri per convertirsi in fraternità universale (cf. n. 11, p. 16).

    La fraternità, dono che il religioso fratello condivide con i suoi fratelli

    «… fratelli fra di loro, nell’amore reciproco

    e nella cooperazione allo stesso servizio di bene nella Chiesa» (VC 60)

    Il dono che il religioso fratello ha ricevuto diventa dono condiviso nella vita fraterna in comunità.

    Il religioso fratello vive in comunità come fratello di Cristo che intercede dal Padre per l’unità dei suoi discepoli: «come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 21).

    Dire vita fraterna in comunità equivale a dire relazioni armoniche tra fratelli, conoscenza reciproca, accettazione e amore, dialogo, stima vicendevole, appoggio mutuo, condivisione dei talenti, dimenticanza di sé, perdono, discernimento in comunità della volontà di Dio, collaborazione nella missione ecclesiale, apertura alle necessità della Chiesa e del mondo, specialmente ai più bisognosi.

    Tutto quanto ricordato sopra è molto bello, ma non si ottiene spontaneamente. Necessita di un appoggio. L’alimento che sostiene la comunità è il dono della fraternità che i religiosi fratelli ricevono. Il fratello ha bisogno di appoggiare le sue relazioni fraterne sviluppando la sua dimensione spirituale, mistica e teologale.

    Questa dimensione comporta una speciale relazione con Dio che dà forma a tutta la vita dei fratelli, a tutte le relazioni e alla loro missione nella Chiesa per la costruzione del Regno, che è già presente ma che ancora non è giunto alla sua pienezza. In questa relazione speciale con Dio consiste la sua spiritualità: una spiritualità incarnata e unificante che il religioso fratello vive ascoltando e mettendo in pratica la Parola, ricevendo i Sacramenti, partecipando alla liturgia, pregando… e «anche nella realtà quotidiana, in tutti i suoi impegni, nella storia del mondo, nei progetti temporali dell’umanità, nella realtà materiale mediante, nel lavoro, nella tecnica» (n. 19, p. 26). È la spiritualità che si rende concreta nella preghiera che si alimenta della Parola di Dio e della vita fino al punto che tutta la vita – progetti, occupazioni, preoccupazioni – si converte in preghiera.

    La fraternità, dono che il religioso fratello offre al mondo

    «… fratelli di ogni uomo

    nella testimonianza della carità di Cristo verso tutti,

    specialmente i più piccoli, i più bisognosi;

    fratelli per una più grande fratellanza nella Chiesa» (VC 60)

    Il dono che il religioso fratello riceve e che condivide con i suoi fratelli si trasforma in dono che si consegna nella missione. Fondato sull’esperienza basilare di sentirsi con Gesù figlio amato del Padre, il religioso fratello vive in comunione con i suoi fratelli e proietta la sua fraternità in tutte le sue relazioni, in tutte le sue attività e occupazioni (cf. n. 10, p. 14).

    I fratelli realizzano la propria missione di contribuire alla costruzione del Regno di fraternità mediante l’orazione incessante, la testimonianza di vita fraterna e la dedizione comunitaria al servizio della Chiesa e del mondo.

    La testimonianza di vita fraterna dei religiosi fratelli è molto importante per tutti. Gli Atti degli Apostoli ci presentano la prima comunità cristiana come modello di fraternità. Ispirati da essa, i fratelli vogliono essere «per la comunità ecclesiale, memoria profetica della sua origine e stimolo per ritornare ad essa» (n. 11, p. 15).

    Vale la pena sottolineare qui l’importanza della presenza dei religiosi fratelli negli ordini e congregazioni clericali: qui essi sono «memoria permanente della “fondamentale dimensione della fraternità in Cristo” (VC 60) che tutti i membri devono costruire» (n. 11, p. 16). Essi sono anche segno che ogni vocazione è per il servizio degli altri, non al servizio di se stessi, per l’onore personale o per godere di privilegi.

    Il religioso fratello vive con i suoi fratelli di comunità aperto alle necessità della Chiesa e del mondo. La sua missione è in definitiva quella di costruire una fraternità universale fondata sui valori del Vangelo. La fraternità dei religiosi fratelli non è auto-referenziale o rinchiusa in se stessa; è una fraternità per la missione; una fraternità in perfetta sintonia, come dice Papa Francesco, con una Chiesa in esodo, in uscita verso le periferie di questo mondo; con una Chiesa chiamata a lanciare ponti, aperta agli uomini contemporanei di ogni razza, cultura e credo.

    L’amore fraterno si concretizza nella Chiesa e nella vita dei religiosi fratelli in numerosi servizi: educare, curare i malati, assistere i carcerati, accogliere i rifugiati, fare la catechesi, svolgere determinati lavori manuali, ecc. Molti di questi servizi rappresentano veri e propri ministeri.

    In questo modo il religioso fratello «indica la presenza di Dio nelle realtà secolari, quali la cultura, la scienza, la salute umana, il mondo del lavoro, la cura dei deboli e degli svantaggiati» (n. 10, p. 13s.). Rende visibile in questo modo che occorre salvare l’essere umano, uomo e donna, nella sua interezza di corpo, mente e spirito (cf. n. 10, p. 14), dal momento che «tutto ciò che riguarda la persona umana fa parte del progetto salvifico di Dio» (n. 13, p. 20).

    Rinnovo la nostra gratitudine a papa Benedetto XVI, a Papa Francesco e a quanti hanno contribuito affinché questo documento possa essere pubblicato oggi.

    Voglio concludere questa mia breve e incompleta presentazione con una frase del documento, che dice così: «Appoggiato e ispirato da Maria, il fratello vive nella sua comunità l’esperienza del Padre che riunisce i fratelli assieme al Figlio intorno alla mensa della Parola, dell’Eucaristia e della vita. Con Maria, il fratello canta la grandezza di Dio e proclama la sua salvezza: per questo si sente spinto a cercare e far sedere alla mensa del Regno coloro che non hanno da mangiare, gli esclusi dalla società e gli emarginati dal progresso. Questa è l’eucaristia della vita che il fratello è invitato a celebrare attraverso il suo sacerdozio battesimale, confermato con la sua consacrazione religiosa» (n. 20, p. 27 s.).

    Che Santa Maria, Madre della speranza, che abbiamo tanto presente in questo tempo di Avvento, interceda presso suo Figlio affinché la vita e la missione dei religiosi fratelli produca molti frutti di bene nella Chiesa e nel mondo, nel tempo presente e nel futuro.

    Grazie per la vostra attenzione.

    [02207-IT.01] [Testo originale: Italiano]

    Intervento di S.E. Mons. José Rodríguez Carballo, O.F.M.

    Con grande gioia, come Segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, presento il documento “Identità e Missione del Religioso Fratello nella Chiesa”. Il sottotitolo - “E voi siete tutti fratelli” - è tratto dal Vangelo di Matteo.

    Inizio rendendo grazie a Dio Uno e Trino, Comunione di Persone, che con il suo Spirito, dai primi secoli dell’era cristiana, ha suscitato nella Chiesa la preziosa vocazione e missione del religioso fratello.

    Ringrazio anche il Papa emerito Benedetto XVI. È stato lui nel 2008 a dare il primo impulso alla redazione di questo documento, valorizzando la ricchezza della vocazione dei religiosi fratelli, nella consapevolezza delle sfide che essi devono affrontare per viverla pienamente nel mondo di oggi.

    La mia profonda gratitudine a Papa Francesco, che ha conosciuto la bozza del documento quando era Cardinale Arcivescovo di Buenos Aires e membro della nostra Congregazione. Il suo grande apprezzamento e il suo incoraggiamento a riprenderlo, perfezionarlo e pubblicarlo è stato decisivo perché esso abbia potuto venire alla luce al giorno d’oggi. Mi riferisco alle parole che Papa Francesco ha rivolto ai superiori generali nel corso della memorabile udienza privata con loro il 29 novembre 2013, e ancora alle Sue parole durante la Sua visita al nostro Dicastero, il 22 maggio di questo anno.

    Finalità del documento

    Il documento ha lo scopo di mettere in rilievo la ricchezza e la necessità di tutte le vocazioni nella Chiesa, specialmente la vocazione alla vita religiosa laicale di uomini e donne. Nello stesso tempo vuole contribuire a far sì che questa vocazione sia maggiormente conosciuta e apprezzata all’interno della Chiesa (cfr. 1, p.5). Si propone, infine, di orientare e animare i fratelli a vivere oggi la loro vocazione con autenticità e gioia (cfr. 4, p.3).

    Non si intende presentare in esso la vita religiosa in modo esaustivo, mostrandone tutti gli aspetti e i dettagli. Questi si trovano molto ben espressi nell’Esortazione Apostolica Vita consecrata del Papa San Giovanni Paolo II, pubblicata il 25 marzo 1996. Il religioso fratello condivide con tutta la vita religiosa il “tesoro comune”, cioè gli elementi comuni ad essa. Anche se si riferisce a questi, il documento è centrato specialmente nello specifico della vita religiosa laicale, o perché le appartiene in modo esclusivo o perché lo sottolinea in un modo speciale. (cfr. 3, p.1).

    Destinatari del documento

    In primo luogo, il documento è destinato particolarmente e direttamente ai fratelli religiosi degli Istituti laicali, ma si estende anche alle donne consacrate, in forza della grande somiglianza che esiste tra entrambe le vocazioni (cfr. 1, p.5) e, in parte anche a tutti i fratelli laici degli Istituti clericali. Su questi e la loro partecipazione nel governo locale, provinciale e generale, si chiederà al Santo Padre di stabilire una commissione ad hoc. Tenendo conto anche della possibilità di Istituti misti (chierici e laici) di cui parla Vita consecrata. Effettivamente, “con la loro partecipazione al mistero salvifico di Cristo e della Chiesa”, i religiosi fratelli e le religiose “sono memoria permanente, per tutto il popolo cristiano, di quanto sia importante fare della propria vita un dono totale a Dio e ci ricordano che la missione della Chiesa, nel rispetto delle diverse vocazioni e ministeri che in essa si trovano, è unica e condivisa da tutti” (1, p.5).

    Il documento si rivolge, inoltre, agli altri membri della Chiesa, cioè “ai laici, ai religiosi sacerdoti, ai sacerdoti diocesani, ai vescovi e a tutti coloro che vogliano conoscere, apprezzare e promuovere la vocazione del religioso fratello nella Chiesa” (2, p.3).

    Alle origini della vita religiosa laicale

    Il libro degli Atti racconta la fedeltà con cui i primi cristiani vivevano la sequela di Cristo, “perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2, 42).

    Dopo l’Editto di Milano, nel 313, i cristiani passano progressivamente ad essere riconosciuti e tutelati. A partire da questo momento, il numero dei cristiani aumenta. Non pochi, però, si fanno cristiani per convenienza, per cui si perde il primo fervore Per loro essere cristiani non è un rischio, ma un privilegio. Ed ecco che incomincia a svilupparsi la vita religiosa e consacrata. Uomini pieni di Dio si ritirano dal mondo per vivere con autenticità il Vangelo, in solitudine. Antonio l’eremita, morto nel 356, è il primo dei monaci che si affaccia personalmente alla luce. Prontamente lo Spirito suscita persone chiaroveggenti che propongono di vivere il Vangelo in comunità, consapevoli che la fraternità è una dimensione fondamentale della vita cristiana. In Egitto le comunità cenobitiche si sviluppano spontaneamente, essendo quella di san Pacomio a imporsi ben presto e la sua Regola lo scritto in cui viene codificata la vita comune dei monaci in Oriente. In Occidente è stato san Benedetto a fare altrettanto nella sua Regola, al punto di convertirlo in padre del monacato occidentale. È allora che prende corpo la vita religiosa, nel desiderio di recuperare il fervore nel vivere il Vangelo sull’esempio dei primi cristiani e di riprodurre la vita di Gesù casto, povero e obbediente.

    La vita religiosa nasce come vita religiosa laicale, cioè come vita religiosa di fratelli e di sorelle. Basti ricordare San Benedetto, fondatore nel secolo V dei monaci benedettini, tutti fratelli. Nel secolo XIII troviamo il caso dei Frati Minori, fondati da Francesco d’Assisi, una fraternità composta da chierici e laici. A partire del secolo XVI cominciano a fiorire Istituti laicali: nel secolo XVI San Giovanni di Dio fonda l’Ordine Ospedaliero o dei Fratelli di San Giovanni di Dio. San Giovanni Battista de la Salle fonda nella seconda metà del secolo XVII i Fratelli delle Scuole Cristiane. Nei secoli XIX e XX, infine, sorgono numerosi fondatori di istituti di religiosi fratelli. Tutti questi Istituti di fratelli vengono accompagnati da numerosi istituti di sorelle.

    Attualmente, se al numero dei religiosi fratelli aggiungiamo quello delle donne consacrate, la vita religiosa è tuttora eminentemente laicale.

    Ai suoi inizi la vita religiosa si proponeva la conformazione a Cristo in una vita fraterna di fratelli e sorelle consacrati specialmente per il servizio della preghiera e della missione. Con il tempo, il ministero sacerdotale acquistò sempre maggior rilievo in molti istituti di religiosi uomini, al punto che questi superarono in numero i religiosi fratelli. Oggi i religiosi fratelli sono, approssimativamente, un quinto del totale dei religiosi uomini.

    L’ecclesiologia che sottende il documento

    La Chiesa è vista nel documento fondamentalmente come mistero di comunione a immagine della comunione del Figlio con il Padre nel dono dello Spirito Santo. La comunione delle tre Persone divine è modello, fonte e culmine della comunione dei cristiani con Cristo; da essa nasce la comunione dei cristiani tra di loro1 (cf. 5. p.2; 3, p.1; 4, p.1; 5 p.1…) in una vita fraterna. Si tratta della comunione dei fedeli che si riuniscono per celebrare il mistero della Trinità e per tradurre in realtà la supplica di Gesù: “Che tutti siano uno, come tu, Padre, sei in me e io in te, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).

    Alla luce della sua identità come mistero di comunione, la Chiesa, animata dallo Spirito, “riafferma oggi la sua consapevolezza di essere Popolo di Dio, nel quale tutti hanno la medesima dignità ricevuta nel battesimo2, tutti hanno la stessa vocazione alla santità3 tutti sono corresponsabili della missione evangelizzatrice4.(6, p.1). Dobbiamo ringraziare il Concilio Vaticano II che nel capitolo VI della Costituzione Apostolica Lumen Gentium ha messo in luce il posto della Vita Consacrata nella Chiesa comunione.

    Da questa visione della Chiesa i consacrati, e in modo particolare i religiosi fratelli e le donne consacrate, sono chiamati ad essere un punto di riferimento eminente del mistero della comunione Trinitaria e della Chiesa comunione, soprattutto con la testimonianza della loro vita fraterna vissuta in comunità (cf. 5, p.3).

    Conclusione

    Questi sono alcuni aspetti generali del documento, che risalta per la sua accurata redazione, per l’abbondanza di icone bibliche, per il riferimento constante alla Parola di Dio e al magistero della Chiesa, come pure per il modo semplice e profondo di presentare la vocazione e missione del fratello.

    Rinnovo il mio sincero ringraziamento ai Papi Benedetto XVI e Francesco e lo estendo a tutti coloro che hanno lavorato perché questo documento potesse essere pubblicato oggi. Voglia il Signore che la sua diffusione contribuisca sensibilmente a una maggiore conoscenza della vocazione e missione del religioso fratello, a una maggiore valorizzazione della medesima da parte degli stessi religiosi fratelli e di tutta la Chiesa; e che i religiosi fratelli, le religiose e tutti i consacrati e le consacrate vivano con sempre maggior fedeltà la loro vocazione. Pongo questi desideri sotto la protezione di Gesù Fratello e di sua Madre Maria, la consacrata per eccellenza.

    Grazie a tutti loro per l’attenzione.

    _____________________

    1 Cfr. ChL 18; 19.

    2Cf. Christifideles laici, 55; Vita consecrata,31.

    3Cf. Christifideles laici, 16.

    4 Cf. PAOLO VI, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 59.

    ***

    Settimana conclusiva dell’Anno della Vita Consacrata

    Dal 28 gennaio al 2 febbraio 2016 avremo un incontro internazionale di tutte le forme di vita consacrata: nuove forme, ordo virginum, istituti secolari, contemplative, religiosi/se di vita apostolica. Il logo di questo incontro sarà Vita consacrata in comunione. L’incontro si terrà a Roma e si svolgerà in cinque lingue: italiano, spagnolo, inglese, francese e portoghese. Si prevede la presenza di circa 6.000 consacrati provenienti da tutto il mondo. Durante detto incontro sono previsti momenti in comune di tutte le forme di vita consacrata e momenti specifici per ognuna di esse.

    Si incomincerà con una Veglia di preghiera il giorno 28 gennaio alle 18.00 nella Basilica di San Pietro. Il giorno 29 gennaio sarà una giornata comune per tutte le forme di vita consacrata nell’Aula Paolo VI. La giornata sarà dedicata a riflettere sugli elementi essenziali della vita consacrata. Nei giorni 30 e 31 gennaio ogni forma di vita consacrata svilupperà un programma proprio. Le contemplative si incontreranno presso l’Università Urbaniana, l’Ordo Virginum si incontreranno presso l’UniversitàAntonianum, gli Istituti Secolari presso l’Augustinianum, e i Religiosi/se di vita apostolica presso l’Università Lateranense. Il giorno 1° febbraio avremo l’udienza con il Santo Padre, nell’Aula Paolo VI, e rifletteremo insieme su Consacrati oggi nella Chiesa e nel mondo, provocati dal Vangelo. Il giorno 2 febbraio al mattino è previsto un pellegrinaggio, con motivo dell’Anno della misericordia, alle Basiliche di San Paolo fuori le mura e a Santa Maria Maggiore. Al pomeriggio, all’ora che verrà indicata, ci sarà l’Eucaristia presieduta dal Santo Padre nella Basilica di San Pietro.

    Per ulteriori informazioni e per le iscrizioni vi chiediamo di consultare la nostra pagina web www.congregazionevitaconsacrata.va 




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 02/02/2016 19:59

    FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE
    XX GIORNATA MONDIALE DELLA VITA CONSACRATA

    GIUBILEO DELLA VITA CONSACRATA 
    E CHIUSURA DELL'ANNO DELLA VITA CONSACRATA

    OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

    Basilica Vaticana
    Martedì, 2 febbraio 2016

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    Davanti al nostro sguardo c’è un fatto semplice, umile e grande: Gesù è portato da Maria e Giuseppe al tempio di Gerusalemme. E’ un bambino come tanti, come tutti, ma è unico: è l’Unigenito venuto per tutti. Questo Bambino ci ha portato la misericordia e la tenerezza di Dio: Gesù è il volto della Misericordia del Padre. È questa l’icona che il Vangelo ci offre al termine dell’Anno della Vita Consacrata, un anno vissuto con tanto entusiasmo. Esso, come un fiume, ora confluisce nel mare della misericordia, in questo immenso mistero di amore che stiamo sperimentando con il Giubileo straordinario.

    La festa odierna, soprattutto nell’Oriente, viene chiamata festa dell’incontro. In effetti, nel Vangelo che è stato proclamato, vediamo diversi incontri (cfr Lc 2,22-40). Nel tempio Gesù viene incontro a noi e noi andiamo incontro a Lui. Contempliamo l’incontro con il vecchio Simeone, che rappresenta l’attesa fedele di Israele e l’esultanza del cuore per il compimento delle antiche promesse. Ammiriamo anche l’incontro con l’anziana profetessa Anna, che, nel vedere il Bambino, esulta di gioia e loda Dio. Simeone ed Anna sono l’attesa e la profezia, Gesù è la novità e il compimento: Egli si presenta a noi come la perenne sorpresa di Dio; in questo Bambino nato per tutti si incontrano il passato, fatto di memoria e di promessa, e il futuro, pieno di speranza.

    Possiamo vedere in questo l’inizio della vita consacrata. I consacrati e le consacrate sono chiamati innanzitutto ad essere uomini e donne dell’incontro. La vocazione, infatti, non prende le mosse da un nostro progetto pensato “a tavolino”, ma da una grazia del Signore che ci raggiunge, attraverso un incontro che cambia la vita. Chi incontra davvero Gesù non può rimanere uguale a prima. Egli è la novità che fa nuove tutte le cose. Chi vive questo incontro diventa testimone e rende possibile l’incontro per gli altri; e si fa anche promotore della cultura dell’incontro, evitando l’autoreferenzialità che ci fa rimanere chiusi in noi stessi.

    Il brano della Lettera agli Ebrei, che abbiamo ascoltato, ci ricorda che Gesù stesso, per farsi incontro a noi, non ha esitato a condividere la nostra condizione umana: «Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe» (v. 14). Gesù non ci ha salvati “dall’esterno”, non è rimasto fuori dal nostro dramma, ma ha voluto condividere la nostra vita. I consacrati e le consacrate sono chiamati ad essere segno concreto e profetico di questa vicinanza di Dio, di questa condivisione con la condizione di fragilità, di peccato e di ferite dell’uomo del nostro tempo. Tutte le forme di vita consacrata, ognuna secondo le sue caratteristiche, sono chiamate ad essere in stato permanente di missione, condividendo «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono» (Gaudium et spes, 1).

    Il Vangelo ci dice anche che «il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui» (v. 33). Giuseppe e Maria custodiscono lo stupore per questo incontro pieno di luce e di speranza per tutti i popoli. E anche noi, come cristiani e come persone consacrate, siamo custodi dello stupore. Uno stupore che chiede di essere sempre rinnovato; guai all’abitudine nella vita spirituale; guai a cristallizzare i nostri carismi in una dottrina astratta: i carismi dei fondatori – come ho detto altre volte – non sono da sigillare in bottiglia,non sono pezzi da museo. I nostri fondatori sono stati mossi dallo Spirito e non hanno avuto paura di sporcarsi le mani con la vita quotidiana, con i problemi della gente, percorrendo con coraggio le periferie geografiche ed esistenziali. Non si sono fermati davanti agli ostacoli e alle incomprensioni degli altri, perché hanno mantenuto nel cuore lo stupore per l’incontro con Cristo. Non hanno addomesticato la grazia del Vangelo; hanno avuto sempre nel cuore una sana inquietudine per il Signore, un desiderio struggente di portarlo agli altri, come hanno fatto Maria e Giuseppe nel tempio. Anche noi siamo chiamati oggi a compiere scelte profetiche e coraggiose.

    Infine, dalla festa di oggi impariamo a vivere la gratitudine per l’incontro con Gesù e per il dono della vocazione alla vita consacrata. Ringraziare, rendimento di grazie: Eucaristia. Com’è bello quando incontriamo il volto felice di persone consacrate, magari già avanti negli anni come Simeone o Anna, contente e piene di gratitudine per la propria vocazione. Questa è una parola che può sintetizzare tutto quello che abbiamo vissuto in questo Anno della Vita Consacrata: gratitudine per il dono dello Spirito Santo, che sempre anima la Chiesa attraverso i diversi carismi.

    Il Vangelo si conclude con questa espressione: «Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui» (v. 40). Possa il Signore Gesù, per la materna intercessione di Maria, crescere in noi, e aumentare in ciascuno il desiderio dell’incontro, la custodia dello stupore e la gioia della gratitudine. Allora altri saranno attratti dalla sua luce, e potranno incontrare la misericordia del Padre.


    Parole pronunciate dal Santo Padre al termine della Santa Messa, sul Sagrato della Basilica Vaticana:

    Cari fratelli e sorelle consacrati, grazie tante! Avete partecipato all’Eucaristia con un po’ di freschetto! Ma il cuore arde!

    Grazie per finire così, tutti insieme, quest’Anno della Vita Consacrata. E andate avanti! Ognuno di noi ha un posto, ha un lavoro nella Chiesa. Per favore, non dimenticate la prima vocazione, la prima chiamata. Fate memoria! E con quell’amore con cui siete stati chiamati, oggi il Signore continua a chiamarvi. Non abbassare, non abbassare quella bellezza, quello stupore della prima chiamata. E poi continuare a lavorare. E’ bello! Continuare. Sempre c’è qualcosa da fare. La cosa principale è pregare. Il “midollo” della vita consacrata è la preghiera: pregare! E così invecchiare, ma invecchiare come il buon vino!

    Vi dico una cosa. A me piace tanto quanto trovo quelle religiose o quei religiosi anziani, ma con gli occhi brillanti, perché hanno il fuoco della vita spirituale acceso. Non si è spento, non si è spento quel fuoco! Andate avanti oggi, ogni giorno, e continuate a lavorare e guardare al domani con speranza, chiedendo sempre al Signore che ci mandi nuove vocazioni, così la nostra opera di consacrazione potrà andare avanti. La memoria: non dimenticatevi della prima chiamata! Il lavoro di tutti i giorni, e poi la speranza di andare avanti e seminare bene. Che gli altri che vengono dietro di noi possano ricevere l’eredità che noi lasceremo loro.

    Adesso preghiamo la Madonna.

    Ave Maria…

    [Benedizione]

    Buona serata e pregate per me!






     

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)