00 06/04/2015 10:16

   Un sacerdote risponde

Vorrei sapere cosa distingue la povertà vissuta dai domenicani rispetto a quello per esempio francescana

Quesito

Buongiorno padre Angelo Bellon, 
le scrivo per chiederle un'informazione: ho letto, nel codice di diritto canonico, che ogni istituto deve stabilire nelle costituzioni il modo in cui, secondo la propria forma di vita, si devono osservare i consigli evangelici. Vorrei sapere cosa distingue la povertà vissuta dai domenicani rispetto a quello per esempio francescana (sia dal punto di vista personale che dal punto di vista comune).
Vorrei anche chiederle un'altra cosa: può essere concesso a un frate di andare a teatro o al cinema?
La ringrazio moltissimo per l'attenzione e ringrazio Dio continuamente per il dono che ha fatto alla Chiesa dell'ordine domenicano e ringrazio anche lei caro padre per il servizio che svolge mediante questo meraviglioso sito.
Distinti saluti
Marco


Risposta del sacerdote

Caro Marco,
1. la povertà dei domenicani è del tutto identica a quella dei francescani: non possono possedere in proprio, ma quanto hanno o ricevono lo mettono in comune.
In antico tanto i domenicani quanto i francescani non potevano possedere neanche collettivamente, come comunità. Per questo erano mendicanti.
Si legge nelle nostre Costituzioni: “Con la nostra professione promettiamo a Dio di non possedere nulla per un diritto di
proprietà personale, ma di avere tutto in comune e di servirci delle cose materiali per il
bene comune dell'Ordine e della Chiesa, secondo le disposizioni dei superiori. Perciò nessun frate può ritenere come propri i beni, il danaro o
altre cose che riceve, qualunque ne sia la provenienza, ma deve consegnare tutto alla comunità” (LCO 32).

2. Tuttavia la legislazione dei domenicani, pur essendo rigorosissina nei riguardi della povertà,
non ha mai dimenticato che essa è un mezzo, e quindi diventa oltremodo indulgente tutte le
volte che il raggiungimento del fine (la predicazione e la salute delle anime) lo richieda.
Mentre per i francescani la povertà è quasi il fine della loro istituzione, per noi domenicani non è così: il fine è la salvezza delle anime attuata attraverso la predicazione espressa in tutte le sue forme.
Per questo nelle nostre Costituzioni si legge: “I frati possono tenere alcuni libri e delle suppellettili ad uso personale, ma con
moderazione e secondo quanto è stabilito dal Capitolo provinciale. A coloro che, per
obbedienza, devono attendere a speciali studi o incarichi, col permesso del provinciale, dopo aver sentito il parere del superiore locale, si possono concedere i libri e gli oggetti di cui hanno bisogno” (LCO 38).

3. S. Tommaso, da pari suo, ha espresso nella Somma teologica il motivo per cui è necessario che i predicatori del Vangelo siano poveri.
“Fu opportuno che Cristo sulla terra vivesse povero.
Anzitutto perché ciò era consono
all'ufficio della predicazione, per il quale, secondo le sue parole, egli era venuto in questo
mondo... Ora, i predicatori della parola di Dio, per dedicarsi interamente alla predicazione, è
necessario che siano completamente liberi di ogni occupazione di ordine temporale. Il che non
è possibile per chi possiede le ricchezze. Per questo il Signore, inviando gli Apostoli a
predicare, diceva; Non prendete né oro né argento» (Mt 10,9)... 
Inoltre perché il possesso
delle ricchezze non facesse pensare che la sua predicazione fosse ispirata dalla cupidigia. Ecco perché S. Girolamo dice che se gli Apostoli avessero posseduto ricchezze sarebbe potuto
sembrare che essi predicavano non per la salvezza delle anime, ma a scopo di lucro” (Somma teologica, III,
40, 3).

4. San Tommaso precisa anche il tratto caratteristico della povertà dei domenicani con queste parole: “La perfezione della vita cristiana (santità) non consiste
essenzialmente nella povertà volontaria, perché questa, in ordine alla perfezione, agisce a
modo di strumento.
Perciò non è detto che dove c'è più povertà ci sia maggiore perfezione” (Somma teologica, II-II,
185, 6, ad 1).
Questo concetto è ripreso dalle Costituzioni dei domenicani del 1690: “La povertà non si
identifica con la perfezione, ma ne è soltanto uno strumento.
E siccome uno strumento non lo
si vuole per se stesso ma per il fine al cui raggiungimento esso serve, il meglio non sta
nell'averne di più, ma di averlo più adatto al fine” (II, 1h.).

5. Papa Sisto IV (secolo XV) dispensò sia i Domenicani che i Francescani dalla povertà
collettiva. Erano mutati i tempi e la gente comprendeva di meno la mendicità. Si permise allora che le comunità (non i singoli frati) potessero possedere dei beni.
Il Capitolo generale dei domenicani, celebrato a Perugia nel 1478,  accettò, tale
dispensa. E quello di Roma del 1501 la giustificò asserendo che “nell'Ordine ha assai
più importanza la salvezza delle anime da procurarsi mediante la predicazione e
l'insegnamento che non la povertà, e perciò giustamente questa deve essere a quella
sacrificata, quando le circostanze lo richiedano”.

6. Mi chiedi se sia lecito per un frate andare al teatro o al cinema.
Se è soltanto per svago, io penso di no. 
San Tommaso ricorda la necessità di riposarsi e di ricreare lo spirito e per questo parla di una virtù particolare alla quale lascia il termine greco di eutrapelia.
Scrive: “L’uomo ha bisogno del riposo fisico per ritemprare il corpo, il quale non può lavorare di continuo a causa dei limiti delle proprie energie, così ne ha bisogno per l’anima, le cui forze sono adeguate solo per determinate attività….
Tuttavia si deve badare a tre cose: 
- che il piacere non si cerchi mai in atti o parole turpi o dannose; 
- che l’anima non abbandoni mai del tutto la sua gravità; 
- che, come in tutte le altre azioni, il divertimento sia adatto alle persone, al tempo, al luogo e a tutte le altre debite circostanze” (Somma teologica, II-II, 168, 2). Ib). 
Credo dunque che un frate dovrebbe astenersene proprio per lo stile di vita che ha scelto.
Sebbene andare al teatro e al cinema non sia di per sé un male, e anzi per per tanta gente sia un bene, chi segue Cristo nella povertà evangelica rinuncia volentieri a tanti beni che non sono necessari e che magari non sono accessibili a persone che non possono permetterselo.
Con il voto di povertà, come del resto anche con gli altri voti di castità e obbedienza, non si rinuncia a dei mali, ma a dei beni.
Vi si rinuncia per stare uniti a beni più grandi: “Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor 8,9).
Se invece andare a teatro o al cinema fosse necessario per motivi pastorali (ad esempio poter parlare adeguatamente di determinati argomenti che sul momento magari sono sulla bocca di tutti) allora il bene delle anime potrebbe richiederlo.

7. Sono contento che “ringrazi Dio continuamente per il dono che ha fatto alla Chiesa dell'ordine domenicano”. 
Anch’io lo ringrazio.
La carità della verità espressa con linguaggio ardente e nello stesso tempo  “non complicato o contorto o troppo rozzo o addirittura ambiguo” come Paolo VI ha definito il linguaggio di San Tommaso, è un bene molto importante se si mira alla salvezza delle anime.
Ti ringrazio anche per la stima per il nostro sito.

Il Signore ti benedica.
In suo nome ti benedico anch’io e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo




Spiritualità domenicana

Lettera del Maestro dell’Ordine a tutta la famiglia domenicana per il 550° della canonizzazione di San Vincenzo Ferrer 
Servire Cristo con Passione


 

       L'espressione che funge da titolo di questa lettera era utilizzata con frequenza nei suoi sermoni da San Vincenzo Ferrer, canonizzato il 29 giugno 1455 dal Papa valenziano Callisto Ill. II 550° Anniversario di questo evento si presenta come una buona occasione per volgere lo sguardo a questo grande Predicatore che viaggiò per gran parte dell'Europa. Predicò infatti non solo nella sua Spagna natale, ma anche in Francia, Italia, Svizzera, Fiandre e Belgio. Visse in una società che si può definire di transizione, in un'epoca in cui nuove correnti culturali cercavano di aprirsi un varco all’interno del mondo medievale. La realtà sociale era afflitta da molte prove: guerre tra le nuove nazioni e territori; pestilenze; crisi dell'industria e del commercio, decadenza culturale, carestie che colpivano vaste zone. 

       Ad aggravare il quadro contribuiva non poco anche la situazione della Chiesa, sebbene si fosse ancora in un'epoca di cristianità, a causa di nuove opinioni ecclesiologiche che facevano riferimento non solo al sistema di governo, ma anche all'appartenenza al Corpo mistico di Cristo. Soprattutto pesava sulla Chiesa la divisione provocata dal dubbio su quale fosse il vero Papa al quale prestare obbedienza, dubbio che sfociò nel grande Scisma d'Occidente. E' in questo contesto, in questo punto cruciale della storia europea tra la fine del XIV sec. e l'inizio del XV, che si svolse la vita di San Vincenzo Ferrer, figura di perenne attualità. 

       Valenza, sua terra natale, lo ricorda con grande affetto e venerazione, e lo stesso avviene a Vannes, in Bretagna, dove egli morì il 5 aprile 1419. Ma anche molti altri paesi ne conservano la memoria, specialmente a motivo della sua predicazione che si impresse in loro in modo indelebile. Altri lo ricordano perché la sua testimonianza di vita, il suo pensiero e la sua protezione non hanno smesso di splendere. 
       
       Ben si può dire -parafrasando Santa Caterina da Siena quando si riferisce a San Domenico- che San Vincenzo Ferrer «predica ancora e predicherà sempre». Un'eco della sua memoria è percepibile in tutti continenti: in America Centrale vi sono una Vice Provincia e una Pontificia Facoltà di Teologia collegata all'Ordine dedicate a lui; gli sono intitolate molte chiese e lo stesso vale per centri educativi, altari, immagini e dipinti che si trovano in tutto il mondo, a volte nei diversi luoghi dove ha predicato. Vi sono paesi nei quali i suoi devoti ne implorano costantemente e assiduamente l'aiuto per superare le necessità spirituali e temporali. 
       
       * * * 
       
       Nel 1955, la celebrazione del V Centenario della Canonizzazione offrì l'occasione e costituì un punto di partenza per la conoscenza e la valorizzazione di San Vincenzo e da allora fino ad oggi l'interesse per lui è aumentato. In quella circostanza si distinsero l'Arcivescovo di Valenza, D. Marcelino Olaechea e il Maestro dell'Ordine Fra Michael Browne. Il primo, in una sua memorabile Lettera pastorale, desiderava che gli fosse riconosciuto il posto che meritava all'interno della storia dell'Europa, e che si ponessero le basi “perché la Santa Madre Chiesa lo dichiarasse un giorno, su richiesta del popolo cristiano, Dottore della Pace” (BOAV 60 nn. 26292630(1955) 156-157). 

       Il Cardinal Browne, anch'egli nel 1955, si rivolse a tutto l'Ordine mettendo in risalto la libertà di San Vincenzo nel predicare, la sua chiarezza nel presentare la verità, la sua compassione verso le necessità del suo tempo. Sottolineò che la sua vita è tutta un esempio e che per l'epoca attuale rappresenta una sfida, specialmente per suoi fratelli, frati Predicatori, chiamati ad essere più consapevoli della dignità del loro ministero e ad esercitarlo con l'assiduità e le caratteristiche che San Vincenzo seppe imprimere al proprio. (AOP 630955) 172-179). 
       Nel 1955, inoltre, il Santo Padre Pio XII volle inviare una Lettera al citato Arcivescovo di Valenza. In essa ricordava la vita e il messaggio del nostro Santo, inviato speciale del Signore per porre rimedio, nel suo Nome e per mezzo della predicazione evangelica, ai molti mali che affliggevano la Chiesa. San Vincenzo, scriveva il Papa, realizzò in se stesso ciò che, nel prologo al Tratado de la vida espiritual, proponeva ad altri come programma: “Chiunque desideri essere utile al suo prossimo ed edificarlo con parole, procuri prima di fare egli stesso ciò che deve insegnare agli altri, diversamente non sarà loro di grande aiuto. La sua parola sarà inefficace se gli uomini non scopriranno che incarna in se stesso quanto insegna, e anche molto di più”. (MS 47 (1955) 491-494). 

       Nel contesto delle celebrazioni del V Centenario della Canonizzazione, il nostro Ordine fece suo questo intenso desiderio e così, al Capitolo Generale di Caleruega (1958), venne formulata una raccomandazione affinché si operasse per ottenere per San Vincenzo il titolo di “Dottore della Chiesa” (Acta Cap. Gen. 1958, n. 154, p. 73). La Provincia di Aragona, nel suo Capitolo Provinciale celebrato l'anno seguente, si impegnò a operare nella stessa direzione. A partire da quel momento fino ad oggi, sono andate aumentando le petizioni da parte di molte entità diverse. 
       Accanto alle varie richieste, sono state realizzate importanti e necessarie iniziative. Sono stati celebrati Congressi e incrementati gli studi. Attualmente vi sono nuove edizioni dei suoi scritti, sia filosofici che ecclesiologici, di teologia spirituale o riguardanti il suo epistolario. I risultati più significativi sono stati raggiunti a riguardo dei suoi Sermones. 

       San Vincenzo fu innanzitutto un predicatore il cui ministero si estese per molti anni. La sua predicazione lasciò una traccia indelebile in particolare attraverso le copie manoscritte che si facevano dei suoi sermoni, che poi si moltiplicavano e venivano diffuse in varie parti del mondo. Molti predicatori li utilizzavano nelle loro predicazioni e, quando fu inventata la stampa, e furono editati più volte; così poterono consultarli personalità molto autorevoli come Fra Luis de Granada, S. Giovanni d'Avila, San Ludovico Bertràn, San Vincenzo de Paoli, Sant'Alfonso Maria de Liquori, o San Luigi Maria Gñgnion de Montfort, per citare alcuni nomi. 
       Negli ultimi anni sono stati pubblicati molti dei suoi sermoni, sia nella lingua nativa in cui era solito predicare, che in latino e in spagnolo. Un ruolo molto importante hanno avuto ed hanno le Associazioni Vincentine e il Comune della città di Valenza che come hanno fatto in varie occasioni, al presente si stanno impegnando affinché quanto prima venga pubblicata, per la prima volta, una raccolta di sermoni manoscritta di gran valore, conservata con cura nel nostro convento di San Domenico di Perugia. 

       In questa lettera ci interessa cogliere quello che può essere il suo messaggio per il nostro tempo. San Vincenzo fu un frate domenicano disponibile per la missione che l'Ordine gli affidava e per la quale lo sosteneva. Non ebbe paura di fronte all'estensione del campo che aveva da evangelizzare, né si tirò indietro davanti alle difficoltà presentate da un mondo sempre più frammentato in nazioni, con sensibilità e lingue diverse. Colse con chiarezza che il Signore gli chiedeva di seminare la dottrina evangelica là dove il seme cresceva a stento, semplicemente per mancanza di operai solleciti e preparati; in molti casi si trattava di portare a compimento un'opera di “nuova evangelizzazione” delle regioni dell'Europa, o di stabilire contatti con gruppi religiosi distanti dal mondo cattolico. E' importante ripensare alle sue azioni e considerare le opere che ne manifestano il mondo interiore, lo zelo apostolico. 

       II Processo di canonizzazione, nelle sue diverse fasi, svela alcune costanti della sua vita che possono essere ricordate anche oggi. La sua predicazione scaturiva dal contatto intimo con Cristo che raggiungeva il suo culmine nell'Eucaristia, celebrata quotidianamente con particolare solennità. La Parola di Dio alimentava la sua preghiera ed era al centro del suo studio, anch'esso quotidiano, sia di giorno che di notte. Aveva una coscienza molto viva della sua condizione di «inviato» che lo ricolmava di forza straordinaria, anche nel momento della debolezza fisica e nell'anzianità. Si avvertiva in lui l'impegno per far sì che la ricchezza di dottrina che Dio gli donava giungesse a tutti senza distinzione, ai bambini, ai giovani e agli adulti. Possedeva e coltivava la capacità di coinvolgere molte persone nel lavoro apostolico. Era aperto ad ogni popolo e gruppo religioso. Presentava il contenuto della rivelazione in modo sistematico e ordinato per mezzo di una teologia solida e comprensibile a tutti. Alla luce della fede illuminava le realtà concrete che gravavano sulla vita dei gruppi e delle persone del suo tempo. Lavorava con tutte le sue forze affinché l'unità e la pace regnassero nelle coscienze e nella società. 

       A partire dalle dichiarazioni dei molti testimoni che deposero al processo, la figura di San Vincenzo si distingue non soltanto come “predicatore apocalittico e di cose tremende” o come “taumaturgo che operava strani miracoli”, ma anche come apostolo impegnato nella sua missione secondo lo stile di san Paolo, dotato di una grande capacità di esporre il vangelo alle masse che cercavano risposte alle loro inquietudini più profonde. Egli lo faceva con vera pedagogia, senza provocare noia o stanchezza e sollecitando sempre più l'interesse, nonostante i sermoni durassero a volte due o tre ore. 

       Predicava con dolcezza, eleganza e in modo comprensibile, riuscendo a suscitare compassione e solidarietà gli uni verso gli altri. Possedeva un raro genere di umiltà consistente nel saper dubitare e nel chiedere consiglio agli altri. Frutto della sua predicazione fu un vero cambiamento di costumi in estesi territori d'Europa, cambiamento che fu duraturo. Affermavano di non aver conosciuto fino ad allora un predicatore tanto insigne e che formasse così alla fede cattolica. 
       
       * * * 
       
       Sebbene siano molti gli anni che ci separano da questo discepolo di San Domenico, è indubbio che egli continui ad essere un valido interlocutore a motivo delle sue azioni e della sua dottrina e, senza dubbio, è uno stimolo ai suoi fratelli di fronte alle grandi sfide che il nostro mondo presenta all'inizio del terzo millennio. Non è solo l'Europa che reclama oggi che il “grano ammucchiato nei granai” -per servirsi di un'espressione di Onorio III, forse suggerita da San Domenico-, sia sparso con generosità: è tutto l'immenso mondo, mai così popolato, e senza dubbio, affamato dello stesso pane con cui San Vincenzo Ferrer saziava le moltitudini. Le costanti a cui ci riferiamo e che resero la sua vita “salutare per sé ed esemplare agli altri”, come scriveva il Beato Giordano di Sassonia nel ricordare le suore di Prouilhe, costituiscono ancor più oggi il nostro fondamento e compito, così come ricorda la nostra Costituzione fondamentale. 

       Una bella figura quella di San Vincenzo Ferrer, che opportunamente ricordiamo agli inizi del pontificato di Papa Benedetto XVI, il quale in diverse occasioni ha fatto presente la sua preoccupazione di offrire al mondo in modo nuovo la luce di Cristo, che non toglie nulla all'uomo ma anzi lo coinvolge totalmente. Impegno missionario che recentemente ha elogiato nella nostra suora Beata Ascension Nicol, ricevendo i pellegrini giunti a Roma per la sua beatificazione; dopo l’invio degli Apostoli nel giorno di Pentecoste -diceva-, “altri hanno accolto il mandato missionario ponendo le loro energie al servizio del Vangelo. Fra loro la Madre Ascension che si lasciò infiammare anch'essa dal fuoco della Pentecoste e si impegnò a diffonderlo nel mondo”. 
       Di nuovo desidero esprimere il mio desiderio e la mia disponibilità nel sostenere il cammino da compiere affinché la Famiglia domenicana possa offrire alla Chiesa un nuovo Dottore nella persona di San Vincenzo Ferrer. 
       
      

Fra Carlos A. Azpiroz Costa, OP Maestro dell'Ordine

       Roma, 29 maggio 2005, Solennità del SS. Corpo e Sangue di N.S. Gesù Cristo






Lettera del Maestro dell'Ordine. La riscoperta del rosario, come mezzo di contemplazione e strumento per la predicazione profetica



1° Gennaio 2008

Solennità di Maria Madre di Dio
Giornata Mondiale della Pace

Cari fratelli e sorelle,

Fra pochi giorni, con la festa dell’Epifania, chiuderemo l’anno del giubileo, ringraziando il Signore per ottocento (800) anni di vita concessi alle nostre monache dell’Ordine. E’ stato un anno di molte benedizioni, sia per l’Ordine come per la Chiesa in generale. Ho avuto il grande piacere di osservare le numerose iniziative realizzate dalle nostre monache. Hanno pubblicato libri, scritto inni, iniziato nuove ricerche sulle fondazioni più antiche e la loro preghiera contemplativa è stata e continua a rinnovarsi. In effetti, tutto l’Ordine è giunto ad apprezzare di più il fatto che le monache sono al cuore dell’Ordine e che la base della nostra predicazione non è niente di meno che la contemplazione profonda della nostra fede. Credo che il rinnovamento della vita delle nostre monache sia in relazione diretta con il rinnovamento di tutto l’Ordine.

Mentre questo anno del Giubileo va verso la sua fine, ci proponiamo di incominciare una novena di anni che culminerà con il Giubileo del 2016, 800 anni dalla conferma dell’Ordine dei Predicatori da parte del Papa. I capitolari del recente Capitolo Generale di Bogotá hanno chiesto che il tempo tra questi due anni di Giubileo (2006 – 2016) sia consacrato a un serio rinnovamento della nostra vita e missione di predicatori (Capitolo Generale di Bogotá, n. 51). Pertanto, desidero invitare ogni entità dell’Ordine, comunità e individui, a cominciare un lungo processo di rinnovamento attraverso la riflessione, decisione e azione in relazione a tutto ciò che riguarda la nostra vita di predicatori del Vangelo.

Per illuminare questo primo anno propongo che ci impegnamo per la rinnovazione della nostra vita di predicatori attraverso la riscoperta del rosario, come mezzo di contemplazione e strumento per la predicazione profetica. Sebbene il rosario non è più una ricchezza esclusivamente nostra ma è diventato ormai in diversi modi un contributo domenicano alla vita di tutta la Chiesa, senza dubbio questa forma di preghiera continua ancora a vivere e a prosperare tra di noi. Con questa lettera vi offro una modesta meditazione sul rosario, partendo dai punti di vista della memoria, della riflessione teologica e della pietà popolare.

1. Memoria

Permettetemi di evocare qualcuna delle mie memorie, che spero risveglino anche in voi qualcuna delle vostre. I ricordi sono importanti per forgiare la nostra identità, dare corpo alle nostre idee e per permetterci di vivere e re-interpretare eventi chiave della nostra vita.

Il mio primo ricordo del rosario risale ai miei primi anni alla scuola di Champagnat dei fratelli Maristi a Buenos Aires con il primo rosario che ebbi nelle mie mani. I fratelli ci inculcarono un vero amore a Maria, come madre che ci ama incondizionatamente e che intercede per i suoi amati figli e figlie, la Maria del Vangelo di san Giovanni. Per questo motivo si celebrava il mese di Maria con processioni, rosari e litanie. Già da giovane portavo una decina del rosario nel mio portafoglio. La ripetizione del Padre Nostro, l’Ave Maria e del Gloria permettevano che questa orazione mettesse profonde radici nella mia vita.

Adesso mi piace pregare in questo modo specialmente mentre cammino. Mi accompagna per i differenti paesaggi, che siano lungo i viaggi o in città. E’ la “contemplazione ambulante”, della quale fra Vincent de Couesnongle ci parlò una volta. Comincia a segnare il ritmo dei miei passi, consentendomi di fermare un mondo sempre in movimento. Mi permette di dare anima, vita e cuore alla città o al luogo per il quale passo, e agli incontri che mi aspettano con le loro gioie e speranze, luci e ombre.

Qualche tempo fa, durante uno dei nostri ritiri, il Consiglio Generalizio meditava sul mistero della morte. Uno dei frati descriveva come i fratelli agonizzanti quasi sempre chiedono il loro rosario, anche se soltanto per stringerlo nella mano. Ricordo che nel film “Batismo de Sangue” (Battesimo di Sangue), che racconta la storia dei nostri fratelli brasiliani torturati negli anni 70 sotto la dittatura dei Medici, fra Tito de Alancar, mentre lo trascinavano fuori dal convento, gridava a suo fratello che andasse a prendergli il suo rosario. Che significato aveva per lui in quel momento spaventoso?

Quali sono i tuoi ricordi del rosario? Che significato hanno per te? Per me? Cosa ci dice a questo riguardo il nostro studio e riflessione teologica?

2. Riflessione Teologica

Io credo che questi ricordi ci parlino della prossimità di Dio. Il mistero dell’Incarnazione, non comprende solo la nascita del Signore in un passato millenario, ma anche l’incarnazione della grazia, la nascita di Dio, nella nostra vita quotidiana. Gesù vive e il suo Spirito continua a sanarci, insegnarci, perdonarci, consolarci e a sfidarci. Questa non è una vana astrazione, ma piuttosto si fa visibile nelle immagini associate ai misteri del rosario. La coscienza dell’incarnazione si accresce nella misura in cui si permette a queste immagini di entrare nelle vicende della nostra vita quotidiana. E’ così che il rosario è profondamente incarnatore, biblico, Cristo-centrico e contemporaneo.

Ovviamente, il rosario è Mariano. Chiariamo cosa significa questa affermazione. In Maria si uniscono il divino e l’umano, la creatura si unisce al Creatore. In Maria riconosciamo la nostra identità e il nostro destino. Vediamo la comunione santa di “Dio-con-noi” e di “Dio-tra-di-noi”. Riconosciamo che il nostro Dio è Dio – in quanto con noi – redentore e salvatore, santificatore e glorificatore.

In effetti, Maria è figura centrale nella nostra vita di fede. Mentre la consideriamo figlia del Padre, madre del Figlio e sposa dello Spirito, dobbiamo anche considerarla una credente nella valle delle ombre e come piena di speranza quando si confronta con una situazione disperata. La si può vedere come protettrice delle donne incinte che partoriscono nella povertà, patrona di coloro che emigrano in terre straniere per sopravvivere e come quella che soffre per il figlio arrestato, torturato e assassinato. E non inutilmente, attraverso tutto questo, siamo testimoni del trionfo della fede, della speranza e della carità. Già papa Giovanni Paolo II ci invitava a contemplare il volto di Cristo attraverso gli occhi di Maria.

Cosa potrebbe significare questo per noi? Come Maestro dell’Ordine sono missionario che dà incoraggiamento ai suoi fratelli e sorelle sparsi per il mondo, ascolto le loro storie e le loro realtà. Porto il ricordo dei volti delle famiglie cristiane ferite a morte a Bahawalpure (Pakistan 2001), dei vicini delle nostre suore nei quartieri più poveri di Kinshasa (Congo), i bambini che ci seguivano in Camerun, la piazza della guerra civile a Campodos (Tibu), Colombia, le famiglie che pescavano sulle loro canoe nei dintorni di Gizo nelle Isole Salomone o sul fiume Urubamba nelle Amazzonie peruviane. Queste immagini, accompagnate ai misteri del rosario, si convertono nella mia intercessione, unita a quella di Maria, mentre metto le loro ferite ai piedi di Gesù.

Il nostro mondo sembra essere sempre diviso dalle guerre. Nella mia mente appare prima un Iraq raso al suolo dalla guerra, e poi, poco più in là, si trova l’incessante flusso di sangue tra israeliani e palestinesi. Il ventesimo secolo fu segnato dalle guerre e dalla devastazione di tutto il pianeta. In effetti, non furono questi i punti fondamentali della devozione di Fatima per la conversione della Russia e non è da allora che si invoca Maria come Regina della Pace? Al tempo stesso, non sottovalutiamo le guerre fratricide che si manifestano dentro le nostre famiglie, comunità e all’interno delle nostre anime e cuori. Non potrebbe il rosario darci la pace? Quest’anno celebriamo anche il 50° anniversario di fra Dominique Pire, nostro confratello belga, che ricevette il premio Nobel per la pace per aver fondato le “isole di pace”. Forse la sua ispirazione a riguardo di questo progetto nacque da una riflessione mentre recitava il suo rosario per la pace.

Le parole della preghiera che accompagnano la mia riflessione ci parlano del Regno di Dio, del pane quotidiano, della liberazione dal male, del frutto del ventre, dei peccatori e dell’ora della morte. Il Regno di Dio è giustizia e pace, la volontà di Dio è in disaccordo con l’oppressione, il pane si condivide e il perdono si dona. Il frutto benedetto del ventre materno è sacro. Sì, il Rosario – le parole bibliche e la nostra meditazione – ne fanno un’orazione sia profetica che contemplativa, che tanto annuncia quanto denuncia, una preghiera che al tempo stesso consola, trasforma. Le parole di lode alla Trinità ci invitano a vivere in comunità, senza soggiogarci e in apertura e inclinazione verso l’altro. Sì, “la volontà di Dio” si realizzerà e per questo non perdiamo mai la speranza. La nostra predicazione è piena di speranza poiché è “ciò che era fin dal principio, ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo visto con i nostri occhi, ciò che contempliamo e tocchiamo con le nostre mani in riferimento alla Parola di vita” (1Giovanni 1). Vivendo in compagnia di Gesù, come fece Maria, ci convertiamo in questo discepolo e apostolo di cui il mondo ha bisogno e che Dio desidera.

3. La Pratica della Pietà Popolare

Dopo il Vaticano II, abbiamo teso a sottovalutare l’importanza della “pietà popolare”. Non senza sbagliarci, abbiamo insistito sullo studio biblico e una maggiore partecipazione liturgica. Nel farlo abbiamo anche minimizzato quelle manifestazioni che permettevano una maggiore espressione dei sentimenti religiosi, cioè esposizioni del Santissimo, processioni, pellegrinaggi a santuari, devozione al rosario ecc. Ora, dopo quaranta (40) anni di esperienza costatiamo che la gente, sia gli anziani, sia i giovani, ha bisogno di queste espressioni perché “si ravvivi il carisma di Dio che è in te” (2 Timoteo 1,6).
Questa pietà popolare ancora perdura con fermezza nei santuari mariani attorno al mondo. Quest’anno celebriamo 150 anni di Lourdes (Francia) e 90 di Fatima (Portogallo). Potremmo ricordare anche Guadalupe (Messico), Czestochowa (Polonia), Knock (Irlanda), Chiquinquirá (Colombia), Coromoto (Venezuela), Luján (Argentina), Manaoja (Filippine) e molti altri. Quasi ogni popolo del mondo possiede un santuario nazionale della Vergine, che riunisce in un abbraccio materno i fedeli di ogni regione.

Si notano ancora sulle auto le medaglie di san Cristoforo e il rosario che pendono dagli specchietti retrovisori, così come piccoli altari domestici o statue nei giardini. Abbiamo i rituali dell’imposizione delle ceneri all’inizio della quaresima e i rami all’inizio della settimana santa che ci segnalano i desideri e i sentimenti religiosi del popolo. Questi riti introducono un certo ordine e stabilità, un certo ritmo e dimensione incarnata nelle vite della gente comune, permettendo loro di vivere più profondamente questi eventi religiosi. Potremmo noi, i domenicani, recuperare la pietà popolare che ci caratterizza: il rosario?
In effetti, sono giunto a considerare il rosario come una preghiera stimata universalmente. Sia in Italia come in Ucraina, Messico o Stati Uniti, Filippine o Vietnam, Kenia o Nigeria, il rosario è pregato e amato. Credo che una ragione di questo sia la sua realtà di preghiera tangibile. E’ un oggetto che possiede quasi ogni cattolico. Si dà come regalo. E’ un rituale che si celebra sia in privato, sia in comune. E’ qualcosa che si può toccare, tenere e afferrare nei momenti difficili della nostra vita, è come prendere la mano della stessa Vergine. Il rosario è posto nelle nostre mani nell’ “ora della nostra morte” e nel giorno della nostra sepoltura. Le sue preghiere sono i riassunti della nostra fede, apprenderle è come imparare a parlare, sono il principio di una vita di preghiera e sí, anche la fine della nostra vita di preghiera – “sia fatta la tua volontà” “adesso e nell’ora della nostra morte”. Riceviamo un rosario nella nostra gioventù, un rosario al momento della vestizione e un rosario ci accompagna nella nostra sepoltura.

Conclusione

Ho condiviso con voi alcune mie riflessioni, spero che siano tanto semplici quanto profonde; forse sono più che altro una meditazione e riflessione del cuore. Nel Capitolo Generale di Bogotá, è stato mio privilegio nominare fra Louis-Marie Arino Durand della Provincia di Tolosa promotore del rosario, egli già gestisce un vasto sito-web che potrà esservi utile nel prossimo anno. Dall’altra parte, vi chiedo che cooperiate al suo lavoro rispondendo alla sollecitudine di fra Louis-Marie. Insieme possiamo costruire un sito-web a beneficio della Chiesa intera.
All’inizio di questa novena di nove anni in preparazione alla celebrazione dell’anniversario del 1216, potremmo usare questo prossimo anno, che va dall’Epifania 2008 all’Epifania 2009, come un anno per riscoprire di nuovo il rosario nella nostra vita personale, nella vita comunitaria e nel rinnovamento della nostra predicazione sia profetica che contemplativa? Potremmo contribuire al futuro della pietà popolare della nostra gente realizzando di nuovo le novene del rosario, missioni e processioni ai santuari? Potremmo contemplare il nostro Maestro con gli occhi del discepolo perfetto? Potremmo contemplare il Figlio attraverso gli occhi di sua madre? Potremmo contemplare questo mondo con le sue abissali necessità di trasformazione attraverso il Vangelo? Potremmo giungere a vivere e predicare appassionati, con la creatività di Dio Padre e di Maria, Madre del Figlio amato?
Ringrazio per l’opportunità che ho di condividere con voi le mie riflessioni. Nei prossimi mesi, il Consiglio Generalizio determinerà i distinti passi e temi per i prossimi anni, che dedicheremo al continuo rinnovamento della nostra vita e missione. Chiedo ai provinciali e vicari generali, priore e presidenti delle fraternite laiche, di far circolare questa lettera tra i loro membri.
Durante l’Anno Nuovo, sappiate che sarete molto presenti nella mia mente e nelle mie preghiere, e in cambio, spero di essere presente nelle vostre.

Fratelli e sorelle, percorriamo uniti questo tratto di rinnovamento. Poniamoci in cammino con la fiducia che Domenico riponeva in Maria, Madre di Dio.

Vostro fratello in Domenico,

fra Carlos Azpiroz Costa, O.P.
Maestro dell’Ordine dei Predicatori

 






 


[Modificato da Caterina63 06/04/2015 10:48]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)