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Papa: sapienza del cristiano è non giudicare gli altri e accusare se stesso

Il Papa ha ripreso a celebrare la Messa a Santa Marta - OSS_ROM

02/03/2015 

E’ facile giudicare gli altri, ma si va avanti nel cammino cristiano solo se si ha la sapienza di accusare se stessi: è quanto ha detto il Papa riprendendo, dopo gli esercizi spirituali, a celebrare la Messa a Santa Marta con i gruppi. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Le letture del giorno sono incentrate sul tema della misericordia. Il Papa, ricordando che “siamo tutti peccatori” - non “in teoria” ma nella realtà - indica “una virtù cristiana, anzi più di una virtù”: “la capacità di accusare se stesso”. E’ il primo passo di chi vuole essere cristiano:

“Tutti noi siamo maestri, siamo dottori nel giustificare noi stessi: ‘Ma, io non sono stato, no, non è colpa mia, ma sì, ma non era tanto, eh… Le cose non sono così…’. Tutti abbiamo un alibi spiegativo delle nostre mancanze, dei nostri peccati, e tante volte siamo capaci di fare quella faccia da ‘Ma, io non so’, faccia da ‘Ma io non l’ho fatto, forse sarà un altro’: fare l’innocente. E così non si va avanti nella vita cristiana”.

“E’ più facile accusare gli altri” – osserva il Papa – eppure “accade una cosa un po’ strana” se proviamo a comportarci in modo diverso: “quando noi incominciamo a guardare di quali cose siamo capaci”, all’inizio “ci sentiamo male, sentiamo ribrezzo”, poi questo “ci dà pace e salute”. Per esempio – afferma Papa Francesco - “quando io trovo nel mio cuore un’invidia e so che questa invidia è capace di sparlare dell’altro e ucciderlo moralmente”, questa è la “saggezza di accusare se stesso”. “Se noi non impariamo questo primo passo della vita, mai, mai faremo passi sulla strada della vita cristiana, della vita spirituale”:

“E’ il primo passo, accusare se stesso. Senza dirlo, no? Io e la mia coscienza. Vado per la strada, passo davanti al carcere: ‘Eh, questi se lo meritano’, ‘Ma tu sai che se non fosse stato per la grazia di Dio tu saresti lì? Hai pensato che tu sei capace di fare le cose che loro hanno fatto, anche peggio ancora?’. Questo è accusare se stesso, non nascondere a se stesso le radici di peccato che sono in noi, le tante cose che siamo capaci di fare, anche se non si vedono”.

Il Papa sottolinea un’altra virtù: vergognarsi davanti a Dio, in una sorta di dialogo in cui noi riconosciamo la vergogna del nostro peccato e la grandezza della misericordia di Dio:

“’A te, Signore, nostro Dio, la misericordia e il perdono. La vergogna a me e a te la misericordia e il perdono’. Questo dialogo con il Signore ci farà bene di farlo in questa Quaresima: l’accusa di se stessi. Chiediamo misericordia. Nel Vangelo Gesù è chiaro: ‘Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso’. Quando uno impara ad accusare se stesso è misericordioso con gli altri: ‘Ma, chi sono io per giudicarlo, se io sono capace di fare cose peggiori?’”.

La frase: “Chi sono io per giudicare l’altro?” – afferma il Papa – obbedisce proprio all’esortazione di Gesù: “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati”. Invece, rileva – “come ci piace giudicare gli altri, sparlare di loro!”. 

“Che il Signore, in questa Quaresima – conclude il Pontefice - ci dia la grazia di imparare ad accusarci”, nella consapevolezza che siamo  capaci “delle cose più malvagie”, e dire: “Abbi pietà di me, Signore, aiutami a vergognarmi e dammi misericordia, così io potrò essere misericordioso con gli altri”.






Francesco: facciamo il bene, non la "finta della santità"


Papa Francesco - 
03/03/2015 

Se si “impara a fare il bene”, Dio “perdona generosamente” ogni peccato. Quello che non perdona è l’ipocrisia, “la finta della santità”. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino, celebrata a Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

I finti santi, che anche davanti al cielo si preoccupano di sembrarvi più che di esservi, e i peccatori santificati, che al di là del male fatto hanno imparato a “fare” un bene più grande. Non c’è mai stato dubbio su chi Dio preferisca, afferma Papa Francesco, che pone queste due categorie al centro della sua meditazione.

La macchia si toglie col "fare"
Le parole della lettura di Isaia, spiega all’inizio, sono un imperativo e parallelamente un “invito” che viene direttamente da Dio: “Cessate di fare il male, imparate a fare il bene” difendendo orfani e vedove.
Vale a dire – sottolinea Francesco – “quelli che nessuno ricorda” tra i quali, prosegue il Papa, ci sono anche “gli anziani abbandonati” “i bambini che non vanno a scuola” e quelli “che non sanno fare il segno della Croce”. Dietro l’imperativo c’è in sostanza l’invito di sempre alla conversione:

“Ma come posso convertirmi? ‘Imparate a fare il bene!’. La conversione. La sporcizia del cuore non si toglie come si toglie una macchia: andiamo in tintoria e usciamo puliti… Si toglie col ‘fare’: fare una strada diversa, un’altra strada da quella del male. ‘Imparate a fare il bene!’, cioè la strada del fare il bene. E come faccio il bene? E’ semplice! ‘Cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova’. Ricordiamo che in Israele i più poveri e i più bisognosi erano gli orfani e le vedove: fate giustizia a loro, andate dove sono le piaghe dell’umanità, dove c’è tanto dolore… E così, facendo il bene, tu laverai il tuo cuore”.

Perdono al di là di tutto
E la promessa di un cuore lavato, cioè perdonato, viene da Dio stesso, che non tiene la contabilità dei peccati davanti a chi ama concretamente il prossimo:

“Se tu fai questo, se tu vieni per questa strada, nella quale io ti invito – ci dice il Signore – ‘anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve’. E’ una esagerazione, il Signore esagera: ma è la verità! Il Signore ci dà il dono del suo perdono. Il Signore perdona generosamente. ‘Ma io ti perdono fino a qui, poi vedremo l’altro….’ No, no! Il Signore perdona sempre tutto! Tutto! Ma se tu vuoi essere perdonato, tu devi cominciare la strada del fare il bene. Questo è il dono!’.

La trappola dell'apparenza
Il Vangelo del giorno presenta invece il gruppo degli scaltri, quelli “che  - stigmatizza Francesco – dicono le cose giuste, ma che fanno il contrario”. “Tutti – soggiunge – siamo furbi e sempre troviamo una strada che non è quella giusta, per sembrare più giusti di quello che siamo: è la strada dell’ipocrisia”:

“Questi fanno finta di convertirsi, ma il loro cuore è una menzogna: sono bugiardi! E’ una menzogna… Il loro cuore non appartiene al Signore; appartiene al padre di tutte le menzogne, a satana. E questa è la finta della santità. Mille volte Gesù preferiva i peccatori a questi. Perché? I peccatori dicevano la verità su loro stessi. ‘Allontanati da me Signore che sono un peccatore!’: lo aveva detto Pietro, una volta. Uno di questi mai dice questo! ‘Ti ringrazio Signore, perché non sono peccatore, perché sono giusto’…

"Nella seconda settimana della Quaresima ci sono queste tre parole da pensare, da meditare: l’invito alla conversione,  il dono che ci darà il Signore e cioè un perdono grande, un grande perdono, e la trappola, cioè fare finta di convertirsi, ma prendere la strada dell’ipocrisia”.




 

Il Papa: la mondanità non ci fa vedere i poveri e le loro piaghe

Il Papa a Santa Marta - OSS_ROM

05/03/2015

La mondanità oscura l'anima, rendendo incapaci di vedere i poveri che vivono accanto a noi con tutte le loro piaghe: così, in sintesi, Papa Francesco nella Messa del mattino presieduta a Casa Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Commentando la parabola del ricco epulone, un uomo vestito “di porpora e lino finissimo” che “ogni giorno si dava a lauti banchetti”, il Papa osserva che non si dice di lui che fosse cattivo: anzi, “forse era un uomo religioso, a suo modo. Pregava, forse, qualche preghiera e due-tre volte l’anno sicuramente si recava al Tempio a fare i sacrifici e dava grosse offerte ai sacerdoti, e loro con quella pusillanimità clericale lo ringraziavano e lo facevano sedere al posto d’onore”. Ma non si accorgeva che alla sua porta c’era un povero mendicante, Lazzaro, affamato, pieno di piaghe, “simbolo di tanta necessità che aveva”. Il Papa spiega la situazione dell’uomo ricco:

“Quando usciva da casa, eh no … forse la macchina con la quale usciva aveva i vetri oscurati per non vedere fuori … forse, ma non so … Ma sicuramente, sì, la sua anima, gli occhi della sua anima erano oscurati per non vedere. Soltanto vedeva dentro la sua vita, e non se ne accorgeva di cosa era accaduto a quest’uomo, che non era cattivo: era ammalato. Ammalato di mondanità. E la mondanità trasforma le anime, fa perdere la coscienza della realtà: vivono in un mondo artificiale, fatto da loro … La mondanità anestetizza l’anima. E per questo, quest’uomo mondano non era capace di vedere la realtà”.

E la realtà è quella di tanti poveri che vivono accanto a noi:

“Tante persone che portano la vita in maniera difficile, in modo difficile; ma se io ho il cuore mondano, mai capirò questo. Con il cuore mondano non si può capire la necessità e il bisogno degli altri. Con il cuore mondano si può andare in chiesa, si può pregare, si possono fare tante cose. Ma Gesù, nell’Ultima Cena, nella preghiera al Padre, cosa ha pregato? ‘Ma, per favore, Padre, custodisci questi discepoli che non cadano nel mondo, che non cadano nella mondanità’. E’ un peccato sottile, è più di un peccato: è uno stato peccatore dell’anima”.

In queste due storie – afferma il Papa – ci sono due giudizi: una maledizione per l’uomo che confida nel mondo e una benedizione per chi confida nel Signore. L’uomo ricco allontana il suo cuore da Dio: “la sua anima è deserta”, una “terra di salsedine dove nessuno può vivere”, “perché i mondani, per la verità, sono soli con il loro egoismo”. Ha “il cuore ammalato, tanto attaccato a questo modo di vivere mondano che difficilmente poteva guarire”. Inoltre – aggiunge il Papa - mentre il povero aveva un nome, Lazzaro, il ricco non ce l’ha: “non aveva nome, perché i mondani perdono il nome. Sono soltanto uno della folla benestante, che non ha bisogno di niente. I mondani perdono il nome”.

Nella parabola, l’uomo ricco, quando muore si ritrova tra i tormenti negli inferi, e chiede ad Abramo di inviare qualcuno dai morti ad ammonire i familiari ancora in vita. Ma Abramo risponde che se non ascoltano Mosè e i Profeti non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti. Il Papa afferma che i mondani vogliono manifestazioni straordinarie, eppure “nella Chiesa tutto è chiaro, Gesù ha parlato chiaramente: quella è la strada. Ma c’è alla fine una parola di consolazione”:

“Quando quel povero uomo mondano, nei tormenti, chiede di inviare Lazzaro con un po’ d’acqua per aiutarlo, come risponde Abramo? Abramo è la figura di Dio, il Padre. Come risponde? ‘Figlio, ricordati …’. I mondani hanno perso il nome; anche noi, se abbiamo il cuore mondano, abbiamo perso il nome. Ma non siamo orfani. Fino alla fine, fino all’ultimo momento c’è la sicurezza che abbiamo un Padre che ci aspetta. Affidiamoci a Lui. ‘Figlio’. Ci dice ‘figlio’, in mezzo a quella mondanità: ‘figlio’. Non siamo orfani”.




[Modificato da Caterina63 05/03/2015 18:31]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)