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21. D’altra parte, la fede, fondata sulle promesse divine, ci insegna che tale tendenza contraria, per quanto invasiva, non potrà mai sommergere del tutto la Chiesa. Per quale motivo una contro-chiesa nella Chiesa e non un’altra Chiesa? Perché il Papa, anche se si rende complice o addirittura principale animatore della sovversione, resta, fino a prova apoditticamente contraria, il rappresentante terreno dell’unico capo supremo della Chiesa. Questo capo è il Cristo e il suo rappresentante, finché non cessa di dichiararsi tale, non può costituirsi capo di un’altra Chiesa.
Nonostante gli ostacoli frapposti dal Papa al normale esercizio del papato e al compimento del fine della Chiesa, permane nel papato, per come Cristo l’ha voluto in dipendenza del proprio potere, l’inclinazione radicale a tale esercizio e a tale fine. Si ravvisa qui un principio fondamentale che il Caietano, contro gli scismatici della sua epoca, formula in questi termini: «Cristo ha istituito san Pietro non come suo successore, ma come suo vicario»[24].
D’altronde, è appunto per tale ragione che l’istituzione del papato avvenne dopo la Resurrezione e fu compiuta dal Cristo ormai immortale e sempre vivente. Un capo supremo sempre vivente non ha successore. Tutt’al più ha un vicario. E resta lui il Maestro, a prescindere dagli sbagli del suo vicario. Soltanto questo capo supremo è in grado di deporre il suo vicario e di escluderlo dal suo Corpo mistico; ma niente, nelle fonti della rivelazione, autorizza a pensare che il Cristo avrebbe deciso di ricorrere ad una simile misura eccezionale per preservare la sua Chiesa dalla contaminazione del modernismo. Abbiamo invece motivo di pensare che la sua divina Provvidenza non permetterà che tale contaminazione giunga fino al punto di far scomparire la Chiesa.
Il Vangelo non afferma che le porte dell’inferno non l’attaccheranno: afferma che, per quanto violento possa essere questo attacco, le forze nemiche non prevarranno contro di essa[25].


       22. Due teologi contemporanei, entrambi spettatori sconvolti della «rivoluzione conciliare» e della sovversione su vasta scala che ne è seguita, ci forniscono argomenti a conferma della nostra esegesi. Anzitutto il padre Meinvielle: «Sappiamo che il mistero d’iniquità e già all’opera, ma non conosciamo i limiti del suo potere. […] Se ci pensiamo, la promessa di assistenza alla Chiesa si riduce ad una promessa che impedisce all’errore di introdursi sulla cattedra romana e nella Chiesa stessa, e che inoltre impedisce alla Chiesa di scomparire o di essere distrutta dai suoi nemici. […] Il Papa, coi suoi comportamenti ambigui, contribuirebbe a mantenere l’equivoco: da un lato, professando una dottrina irreprensibile, sarebbe il capo della Chiesa delle promesse; dall’altro, compiendo azioni equivoche o addirittura riprovevoli, apparirebbe fautore della sovversione»[26].
Il padre Mienvielle ha visto bene, ma non fino in fondo. È ben noto il suo tentativo di discolpare il Concilio Vaticano II, tentativo che, come tanti altri effettuati in seguito, non poteva andare a buon fine. Noi siamo obbligati a constatare che l’errore si è introdotto nella Chiesa, fin sulla cattedra romana, col favore del Concilio, e che il Papa si è reso complice della sovversione non solo con alcune sue azioni, ma anche con certi suoi insegnamenti di principio, costantemente reiterati. Naturalmente non vogliamo dire che il Papa abbia definito esplicitamente delle eresie, parlando ex cathedra e impegnando l’infallibilità: tutto ciò è impossibile, per la promessa dell’assistenza divina. Intesa e corretta in questi termini, la riflessione del padre Mienvielle conserva tutta la sua pertinenza. È corretto affermare che l’errore non può introdursi nella Chiesa, nel senso che esso non può pervaderla completamente, senza che alcuna voce abbia più la possibilità di far udire l’eco della verità.
Nondimeno, l’errore può imperversare nella Chiesa, fin sulla sede di Pietro, come un ostacolo che paralizza la tradizione della fede e dei costumi. Il padre Mienvielle aggiunge che la Chiesa si troverebbe così (almeno provvisoriamente) nella mostruosa situazione di un duplice corpo attaccato ad una sola testa, poiché il Papa sarebbe al tempo stesso capo della vera Chiesa e sostenitore della sovversione. L’immagine non è priva di interesse, anzi, è pure ingegnosa, ma la nostra immaginazione, troppo debole per reggere una simile vista, finirebbe per passare dall’ibrido mostro ad una duplice Chiesa, che non corrisponde alla realtà. La Chiesa «infiltrata dal modernismo»[27] non è un mostro le cui membra malamente congiunte rischiano ad ogni momento di staccarsi; è un povero malato.
È il Corpo mistico di Cristo incancrenito dalla malattia o piagato dai ripetuti colpi della flagellazione, a planta pedis usque ad verticem capitis. È un corpo che, per il momento, è impedito nel conseguire il suo fine, a causa dell’ostacolo delle ferite e dell’indebolimento progressivo, senza però che sia stata intaccata la sua radicale inclinazione a questo fine. Se si obietta che una simile decadenza non conviene al Corpo mistico di Cristo, ribattiamo che ad essa Cristo ha sottoposto il proprio Corpo fisico. Siamo di fronte ad un decreto della divina Sapienza. L’uomo non può che perdervisi.

        23. Pur senza voler rimettere completamente in causa la valutazione del padre Mienvielle, quella del padre Calmel ci sembra assai più corretta ed anche più precisa sul piano espressivo: «Nessun Papa potrà tradire fino ad insegnare esplicitamente l’eresia nella pienezza della sua autorità […] ma la Rivelazione non dice in nessun luogo che, quando esercita la sua autorità al di sotto del livello in cui essa è infallibile, un Papa non giungerà a fare il gioco di Satana e a favorire fino a un certo punto l’eresia […][28]». «Il sistema modernista o, più precisamente, l’apparato e il procedimento modernista, costituiscono per il Papa un’occasione di peccato del tutto nuova, una possibilità finora sconosciuta di tergiversare nell’esercizio della sua missione. […]
Da ciò deriva una conseguenza distruttiva: la Tradizione apostolica in materia di dottrina, di morale e di culto è stata neutralizzata, anche se non uccisa, senza che il Papa, ufficialmente ed apertamente, abbia dovuto rinnegare tutta la Tradizione e quindi proclamare l’apostasia […] Il Papa non ha mai detto né dovuto dire: tutto ciò che è stato insegnato, tutto ciò che è stato fatto fino al Concilio Vaticano II, tutta la dottrina e tutto il culto anteriori al Vaticano II, io li colpisco di anatema. Il risultato, tuttavia, è sotto i nostri occhi… Per arrivare al punto in cui ci troviamo, è bastato che il Papa, senza prendere provvedimenti che colpirebbero la tradizione anteriore della Chiesa, abbia lasciato campo libero al modernismo»[29]. Lasciare campo libero al modernismo, cioè non impedire, ma piuttosto alimentare la corrente ostile all’interno della Chiesa.

       24. L’espressione Chiesa conciliare è dunque legittima, ma a patto di non farla esorbitare dai suoi limiti. Come qualunque forma di linguaggio retorico, essa esprime la realtà in termini brevi e concreti, che risultano più comodi per l’intelligenza di chi parla e più accessibili per l’intelligenza di chi ascolta. Vi si riscontra, al tempo stesso, il vantaggio di un riassunto sintetico e l’inconveniente di una formula che, come tutte le formule di questo genere, non può (né, d’altra parte, vuole) dire tutto. Il senso di una simile espressione è determinato dalla misura in cui i suoi presupposti sono conosciuti o accettati – oppure, al contrario, ignorati o rifiutati – a seconda del contesto. La prudenza esige allora che l’espressione sia usata tenendo conto del contesto.
Un’espressione sintetica, come Chiesa conciliare, può certamente avere il vantaggio di riassumere tutti i sottintesi necessari, dispensando così la persona che parola o che ascolta dal riprendere ogni volta da capo tutti gli elementi del problema. Ma può anche presentare l’inconveniente di disorientare un interlocutore che non è al corrente della complessità del problema e addirittura scandalizzarlo, suggerendogli un approccio assolutamente scorretto verso gli elementi che sono in gioco. Infatti, dopo la morte di mons. Lefebvre, è intervenuto un fattore nuovo ed inevitabile: la durata. Il tempo passa. Parlare di Chiesa conciliare in un contesto di sovversione ancora recente ed evidente agli occhi dei più, non presentava praticamente alcun pericolo. Ma, trascorsi alcuni decenni, quando tutte le conquiste rivoluzionarie si sono più o meno normalizzate in uno stile decisamente conservatore che fomenta le illusioni, si corre il rischio di essere fraintesi o di sbagliarsi.
In tal caso, sarebbe sufficiente (ma indispensabile) intensificare la pedagogia e spiegare il senso dell’espressione, specificando tutti i termini della questione, prima di ricorrere alla sintesi che li riassume. L’espressione Chiesa conciliare, se ben compresa perché ben spiegata, conserva intatto il suo vantaggio, che è quello di tradurre in termini accessibili una duplice realtà: da un lato, la crisi senza precedenti che attualmente imperversa nella Chiesa e, dall’altro, la garanzia delle promesse di indefettibilità.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)