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DIFENDERE LA VERA FEDE

8 marzo la vera festa della Donna tra miti e menzogne da sfatare

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    Caterina63
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    00 05/03/2015 12:10



      Per festeggiare degnamente la Donna è importante ripulire questa festa dalle falsità.....

    L’incendio nella fabbrica l’8 marzo? Un falso storico

    Di Redazione, il 
     

    imageCi hanno fatto credere che l’8 marzo 1908 un gruppo di donne si riunì nella filanda tessile Cotton di New York per dichiararsi in sciopero. Il padrone le chiuse a chiave e l’edificio prese fuoco: morirono 129 donne.
    Nulla di tutto ciò è mai accaduto.

    Nessuna fabbrica prese fuoco e nessuna donna morì bruciata l’8 marzo 1908. Quando la verità storica emerse, si tentò di retrodatare l’origine della festa al giorno 8 marzo 1857. Anche questo risultò essere falso. Quindi, ad una carica della polizia contro donne in sciopero l’8 marzo 1848, ma fu solo l’ennesimo falso storico.
    Nella realtà la festa dell’8 marzo è stata imposta dal dittatore comunista sovietico Vlamidir Lenin e dalla femminista Alexandra Kollontai per far credere alle lavoratrici di essere state liberate dalla schiavitù capitalistico-patriarcale. La festa venne poi ufficializzata dal Soviet Supremo “per commemorare i meriti delle donne Sovietiche nella costruzione del Comunismo”.

    In Italia, la festa venne introdotta nel 1922 dal Partito Comunista che pubblicò sul periodico “Compagna” un articolo secondo il quale Lenin proclamava l’8 marzo come “Giornata Internazionale della Donna”. La festa cadde in disuso, e venne reintrodotta l’8 marzo 1945 dall’UDI, organizzazione composta da donne appartenenti al PCI e ad altri partiti di sinistra.
    Fu nel dopoguerra che venne fatta circolare la falsa storia delle donne bruciate.

    In Italia il simbolo è la mimosa; in paesi con climi più freddi il simbolo è un nastro viola, in quanto è stato fatto credere che le inesistenti lavoratrici bruciate producevano panni viola.


    Nella realtà storica, esiste una vera violenza contro donne ed un vero incendio accaduti l’8 marzo. Del 2000, quando un gruppo di femministe coperte da passamontagna diede fuoco alle croci di una Chiesa di Montreal, sporcando le mura e l’altare con graffiti che proclamavano “No Dio, no padroni”. Le femministe sparsero addirittura assorbenti sporchi e preservativi, distrussero inni e testi sacri, spinsero e fecero cadere a terra altre donne anziane colpevoli di essere contrarie all’aborto. Ne diede notizia il National Post.







    IL GIALLO '8 MARZO' MA QUELLA DATA E' UN FALSO STORICO

    ROMA Abituatevi all' idea che l' 8 marzo sia una bugia, un imbroglio innocente, un falso storico. Siete convinti che la giornata della donna ricordi il famoso incendio in cui morirono 129 operaie americane chiuse dal padrone in una filanda di New York (o di Chicago)? Niente da fare, quell' incendio non esiste, non c' è cronaca che lo registri.
    Avete però la certezza che a scegliere quella data sia stata Clara Zetkin nella Seconda conferenza internazionale socialista del 1910 a Copenaghen? Sbagliato anche questo.
    Della presunta mozione della Zetkin non c' è traccia. Eppure, saranno pronti a giurare donne e accaniti lettori di giornali, di quell' episodio esistono fotografie e documentazione: no, possiamo ormai rispondere con certezza, non sono che montaggi, attribuzioni sbagliate, leggerezze di militanti troppo entusiaste. L' 8 marzo in realtà non è che un' invenzione.
    Sgomente e divertite A svelarci l' esistenza di un giallo 8 marzo sono due investigatrici insospettabili, due femministe storiche , Tilde Capomazza e Marisa Ombra, redattrici di un libro sconcertante edito da Utopia e intitolato come di dovere 8 marzo, storie miti riti della giornata internazionale della donna.
    A due giorni dalla fatidica scadenza, mentre già si armano striscioni, si tirano fuori megafoni dai cassetti, si convocano convegni ed incontri, la rivelazione finora taciuta dai più ha lasciato sgomente e divertite anche le conduttrici di Ora D, trasmissione radiofonica di Rai 3, che ieri hanno dedicato una puntata alla notizia.

    Eppure la singolare scoperta è avvenuta quasi per caso. Era la fine degli anni Settanta. La festa dilagava, la partecipazione si estendeva, non c' era chi non volesse rendersi conto delle sue ragioni storiche, ritrovare il senso di una tradizione come scrivono Capomazza e Ombra. E così le due femministe si mettono al lavoro. Subito però si trovano davanti a dati confusi, manipolati, inventati. Come il primo racconto dei precedenti storici della giornata internazionale della donna, quello uscito il 1ø marzo 49 su Propaganda, bollettino comunista per i quadri di base che, oltre ad attribuire la paternità della festa a Clara Zetkin scrive: Da 39 anni in questo giorno le donne di tutto il mondo rivendicano i loro diritti perché l' 8 marzo 1848 le donne di New York manifestarono per ottenere diritti politici e poter dire la propria parola sui problemi della pace e del lavoro.
    Primo sconcerto, dicono le autrici, se si doveva tornare così indietro nel tempo perché dimenticare la partecipazione delle donne alla rivoluzione francese?
    E perché soprattutto non parlare del famoso incendio della filanda?
    Il redattore si sarà sbagliato, si rispondono le ricercatrici, uscirà un' errata corrige da qualche parte.
    Ma l' attesa è vana.
    Le operaie di New York risultano assenti da ogni giornale o documento consultato. Tilde e Marisa le ritrovano citate solo tre anni dopo, sul settimanale del Pci La lotta e improvvisamente anche su un minuscolo libriccino dell' Udi 4 centimetri per 6, che 100mila donne comuniste si appuntarono sul petto insieme al mazzetto di mimose (ah, anche la mimosa è un ' invenzione recente, del dopoguerra: un fiore povero e disponibile scelto dalle romane per caratterizzare la festa ).

    Da quell' anno i successi della cronistoria 8 marzo sono in un una continua ascesa: nel marzo 1954 la vicenda delle operaie uccise dalle fiamme nel calzaturificio americano diventa un fumetto pubblicato da Il lavoro settimanale della Cgil, nel ' 56 si muta addirittura in un fotoromanzo che pretende di essere una ricostruzione verace con nomi, date, luoghi.
    Ma del resto ora sappiamo che una versione corretta non poteva esistere perché quell' incendio, così come quello sciopero dell' 8 marzo 1848 citato da Propaganda, non accaddero. Non resta che rivolgerci a Clara Zetkin, annotano stupefatte Capomazza e Ombra, consultiamo il testo della mozione, un testo che comparve sull' organo di stampa delle socialiste tedesche il 29 agosto del 1910. Dell' 8 marzo non c' è traccia. Per di più quella risoluzione che la Zetkin pubblicò generosamente sul suo periodico non fu mai votata da nessuna Conferenza socialista.
    Un corteo del 1917 Sembra anzi che l' ipotesi di una giornata delle donne non piacesse affatto ai suoi compagni di partito che la giudicarono un' inaccettabile commistione con la borghesia internazionale. Che cosa abbiamo festeggiato allora fino ad oggi?
    Che cosa si preparano a ricordare le 50 manifestazioni che le ragazze della Fgci hanno indetto in altrettante città italiane sabato mattina (la loro parola d' ordine però riguarda la legge per l' introduzione dei temi della sessualità nella scuola) e le molte altre che le donne hanno indetto per il pomeriggio del 7 e la mattinata dell' 8? Forse, un corteo russo del 1917 a cui parteciparono molte rivoluzionarie, ma chissà. A questo punto ogni ipotesi è lecita. Comunque dicono le autrici, che la festa continui.


    - fonte Repubblica 1987




    La storia ed il significato della festa delle donne
    Intervista ad Alessandra Nucci, studiosa dei fenomeni legati al femminismo


    ROMA, lunedì, 7 marzo 2005 (ZENIT.org).

    La festa delle donne ha assunto nel corso degli anni una valenza ideologica sempre più forte, al punto da essere espressione di una cultura radicale che identifica la figura femminile come ribelle contro le caratteristiche naturali di madre e moglie.

    Dopo decenni in cui questa ideologia ha prevalso, sembra ora emergere una cultura nuova che fa riferimento all’insegnamento ed alla concezione antropologica cristiana.

    Per saperne di più, ZENIT ha intervistato la dott.ssa Alessandra Nucci, Direttrice della rivista "Una Voce Grida...!" e studiosa dei fenomeni che fanno riferimento al femminismo e all’ecofemminismo.

    La Nucci è anche Responsabile per l´area "Donna e culture" del Gruppo di Ricerca e Informazione Socio-religiosa (GRIS).

    Qual è la storia ed il significato dell'8 marzo. E' una vera festa per le donne?  

    Nucci: La mitologia femminista ha tramandato per decenni il racconto che la data dell’8 marzo fu scelta alla seconda Conferenza internazionale di donne socialiste a Copenhagen, nel 1910, per commemorare il massacro di oltre cento operaie di una camiceria di New York, intrappolate in un incendio appiccato dal padrone della fabbrica per vendicarsi di uno sciopero.

    Qualche anno fa qualcuno è andato a spulciare le cronache vere, e si è saputo che un tale terribile incendio ci fu, ma che non era riconducibile né a scioperi né a serrate, che fece vittime anche fra gli uomini, e che avvenne nel 1911, un anno dopo Copenhagen.

    Così adesso noto che le versioni che vengono avanzate si sono diversificate, cercando sempre però di ricordare qualche evento negativo che sarebbe avvenuto in America. In realtà, l’istituzione dell'8 marzo come Festa della donna risale alla III Internazionale comunista, svoltasi a Mosca nel 1921, dove fu lanciata da Lenin come "Festa internazionale delle operaie", in onore della prima manifestazione delle operaie di Pietroburgo contro lo zarismo.

    Il racconto di un 8 marzo istituito in memoria un massacro frutto di odio classista e capitalista fu opera del Partito Comunista Italiano, che nel 1952, in piena Guerra Fredda, pubblicò la cronaca di questo incendio vero, ma manipolato in chiave anti-americana. La versione fu ripresa dall'Unione Donne Italiane, il settore femminile della Cgil, per organizzare quell’anno la festa dell’8 marzo, e poi dalla Cgil stessa, che vi ricamò ulteriormente, aggiungendo altri personaggi al racconto due anni dopo.

    La vicenda è indicativa dell’egemonia cercata, e alla lunga ottenuta, dalla sinistra italiana sulle istanze delle donne, dove spesso oggi anche la voce di chi di sinistra non è raccoglie gli stessi temi, le stesse parole d’ordine. Così l’8 marzo in Italia è effettivamente sentita come festa generica di tutte le donne.

    Proprio in questi giorni si sta discutendo a New York (Pechino+ 10), della Piattaforma per l’Azione votata alla conferenza ONU di Pechino (1995) sui diritti della donna.

     

    C'è una notevole polemica che riguarda l'aborto, per molti è un diritto, un atto di libertà e di progresso dell'universo femminile. Lei che ne pensa?

    Nucci: Quando in Italia, negli anni Settanta, si tenne il referendum sull’aborto, furono in molti a votare per la sua liberalizzazione perché convinti della necessità di mettere fine a un numero altissimo di aborti clandestini. Oggi però siamo andati ben oltre questo concetto di "male minore", e un certo tipo di femminismo radicale ha dato all’aborto la dignità di vessillo di libertà, una conquista di cui andare molto fieri. C’è chi, addirittura, ne vuole fare un diritto umano, in nome della vita. La vita della donna, naturalmente, senza aver riguardo alla vita del figlio.

    La donna si vuole presentare come minacciata non solo dall’incidenza della mortalità per aborti clandestini, che si presume altissima, ma anche dal fatto stesso della gravidanza e della maternità. E’ incredibile come in un’epoca in cui si vuole che tutto sia "naturale" e "olistico", si voglia a tutti i costi manipolare la naturale fisiologia della donna, scorporandone la maternità come fosse un aspetto aggiuntivo.

    Sta preparando un libro sul femminismo e sulle politiche antivita che alcune agenzie delle Nazioni Unite hanno praticato dalla fine degli anni Sessanta. In che modo la cultura femminista è stata strumentale all'applicazione di programmi per la riduzione delle nascite?

    Nucci: Le politiche demografiche delle Nazioni Unite nascono dalla volontà di prevenire quella che viene percepita come un’imminente catastrofe demografica, nonostante i dati dicano il contrario. Non vi è dubbio però che il rinfocolato femminismo degli anni Novanta abbia prestato a queste politiche una nuova legittimità e militanza, specie con il vessillo dei "diritti riproduttivi".

    Secondo queste femministe, appartenenti a delegazioni governative e non-governative, ma anche inserite a tanti livelli diversi dello stesso sistema ONU, è di somma importanza liberalizzare l’aborto e inondare il mondo di contraccettivi,perché il bene primario della donna - che lo sappia o no - consisterebbe nel ridurre la maternità ad un’opzione marginale rispetto alle cose veramente importanti della vita.

    Che cosa pensa della Carta della Terra che secondo alcuni dovrebbe sostituire la Dichiarazione dei Diritti Universali dell'Uomo adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948?

    Nucci: Non saprei esprimermi meglio del Professor Michael Schooyans, per dire che la Carta della Terra è uno strumento ideologico anti-cristiano, utile a "legittimare politiche di controllo demografico su scala mondiale, specialmente nei confronti dei più poveri".

    Nell'estate dello scorso anno la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato un documento in cui analizza l'ideologia femminista e la confronta con la cultura cristiana. Qual è il suo parere in proposito?

    Nucci: Il documento firmato dal cardinal Joseph Ratzinger e dall’arcivescovo Angelo Amato ha il pregio di mettere in guardia le donne dal rischio di favorire la creazione di una società dove le condizioni dell’umanità, e quindi della donna stessa, saranno molto peggiori di adesso. Bisogna rendersi conto che le campagne che riguardano la donna in realtà prendono di mira tutta la società. Adesso se ne rendono conto in poche, ma basterà che le donne ne diventino pienamente consapevoli: allora saranno in grado, insieme agli uomini, di ribaltare l’intero corso della storia.

     

    fonte: Zenit





    [Modificato da Caterina63 05/03/2015 12:11]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 05/03/2015 12:12
       LA GIUSTA PROVOCAZIONE.....



    In un libro la riscossa della donna cattolica

    di Raffaella Frullone
    08-03-2011


    Spòsati e sii sottomessa.   

    Il titolo mi capita fra le mani quasi per caso, ed ho un sussulto. Passi per lo “spòsati” che più che un suggerimento è un auspicio, visto che rappresenta il desiderio più o meno espresso di ogni donna, comprese le femministe più convinte e le single impenitenti, è quel “sii sottomessa” che mi lascia un po’ perplessa perché, ne sono sicura, non troverebbe d’accordo praticamente nessuna delle 27 spose che negli ultimi 5 anni ho visto pronunciare il fatidico sì. Penso a Laura, che dopo due mesi di convivenza con suo marito, è riuscita nell’impresa di far capire alla sua dolce metà che – attenzione uomini, potreste sconvolgervi - i panni sporchi non camminano da soli fino al cesto della biancheria da soli, penso a Silvia, che con lo stesso principio ha dovuto, non senza traumi, spiegare al marito che l’insalata, gli affettati e i formaggi non crescono nel frigorifero, o penso a Cristina che con un’operazione strategica che neanche Annibale, ha nominato suo marito “responsabile del bagno”, un riconoscimento non da poco per un uomo che fino ad allora poteva esercitare giurisdizione solo nel garage, così lei ha ottenuto un marito che pulisce il bagno, che tradotto significa che almeno non lo lascia come Waterloo dopo la battaglia, e ne è pure fiero. Ora, cosa avrebbero detto queste mogli eroiche di fronte a  quel “sii sottomessa”?

    Bisognava capire come mai questa Costanza Miriano, giornalista al Tg3, quindi con orari di lavoro immagino non certo comodissimi, moglie di un uomo normale (lo deduciamo dal fatto che più volte lo paragona ad un cavernicolo), madre di quattro figli di età compresa tra 4 e 11anni e per giunta una bella donna, il che implica un investimento energetico minimo nella cura della persona, potesse dire alle sue sorelle “Sottomettetevi”. E ho deciso di chiederle spiegazioni… 

    «Mia sorella mi dice sempre che sono “sdatta”, che in perugino significa che non sono adatta. Ecco. Io non sono adatta al mio ambiente. Adesso ne ho definitivamente la prova. Vado in giro nel mondo come mister Magoo, senza vedere i pericoli. Non immaginavo minimamente che la parola  sottomissione potesse essere fraintesa, cosa che invece ho cominciato a capire in questi giorni, vedendo le reazioni al mio libro. Se una è totalmente fuori dalla logica del dominio non si può risentire se riceve l'invito alla sottomissione, intesa come stare sotto, cioè alla base. Sostenere, sorreggere, aiutare, essere le fondamenta della coppia, della famiglia. Cosa ci può essere di offensivo?  Non c'è niente di più bello da dire a una donna. E molte, moltissime donne che conosco lo fanno naturalmente, sono rocce salde a cui in tanti si appoggiano. Stare sotto se una esce dalla logica del dominio ha solo una collocazione “spaziale”, diciamo. Essere alla base vuol dire accogliere i malumori con un sorriso, mediare tra i caratteri di tutta la famiglia, consolidare, mettere la pace. Quando una fa così conquista l’uomo con la sua bellezza, e poi i mariti – come dice san Paolo nella lettera agli Efesini – saranno pronti a morire per la moglie. L’uomo non resiste alla donna che ascolta la sua voce».

    Nel tuo libro scrivi
     “Tutti i proclami sul corpo delle donne, usate solo per la loro bellezza, sulle crudeli regole del successo e della società dell’immagine che ci vuole sempre giovani e ci costringe, poverette, alla chirurgia estetica, sul bisogno di riconquistare la nostra autonomia, a noi – quando siamo in fila al supermercato e piove e stanno per finire contemporaneamente il calcio e la lezione di catechismo e una figlia dorme e l’altra deve andare in bagno – ci turbano pochissimo” e poi ancora “nessuna donna in carne e ossa ha mai avuto problemi simili a quelle di cui con tanto zelo si occupano un certo femminismo e molti giornali”, in che senso?

    «Il femminismo si è preoccupato molto della libertà sessuale, della contraccezione, dell'aborto, che oltre a essere la più grande tragedia contemporanea è anche la più grande tragedia che possa ferire il cuore di una donna. E - a parte che i bisogni profondi del cuore, di una donna e di un uomo, li può saziare solo Dio, e non una rivendicazione sociale o politica - anche da quel punto di vista mi sembra che il femminismo si sia occupato poco di cambiare le regole del mondo del lavoro. Ha combattuto perché ci entrassimo, ma a prezzi altissimi sul piano della vita personale. Non si è preoccupato di renderlo a misura di mamma, di famiglia. Noi possiamo dare un contributo prezioso alla società, siamo brave, ma non è possibile che per farlo dobbiamo abbandonare gli affetti. Di tutto questo i giornali si occupano raramente, anche perché per la gran parte sono popolati di persone che si sono formate nel clima culturale del '68. Non sono convinta che il nostro paese sia così misogino come si dice, né che le donne siano discriminate, a parte i casi “patologici” di violenze, soprusi. Con le donne che ne sono vittime, se mai dovessero sentirsi offese dalle mie parole, mi scuso. Ma la norma non è come viene dipinta sui giornali. La grande sfida semmai, per come la vedo io, sarebbe quella di migliorare il mondo del lavoro, renderlo più attento ai meriti, e, per quel che riguarda le donne, più flessibile nei tempi; permettere di entrare e uscire dalla vita professionale senza per questo dover ogni volta ripartire dall'incarico di addetta alle fotocopie. Bisognerebbe evitare di costringerci a dormire con la guancia appoggiata sulla scrivania nascoste dietro allo schermo di computer, a rovistare freneticamente tra ciucci e peluche alla ricerca di una penna in fondo alla borsa perché l’ufficio stampa ti chiama mentre sei dalla pediatra e la tachicardia non ti abbandona fino a notte fonda. Bisognerebbe poi, e questo è un sogno, scardinare anche le regole del potere come dominio anche nel mondo del lavoro, ma qui vado fuori tema».

    Qualcuno potrebbe accusarti di voler cancellare le conquiste del femminismo…
    «Il femminismo è stata un’importante stagione di fioritura, però ha preso una deriva: ha riportato tutto alla logica della contrapposizione che voleva superare. L'emancipazione femminista è, a ben vedere, solo un ribaltamento di quel desiderio di prevalere. Non comandi tu, adesso comando io. Invece la vera, profonda parità c'è quando, in una logica di servizio, ognuno fa quello che sa fare, nel suo specifico, con lealtà, dedizione, con la gioia di dare, senza stare a misurare troppo chi ha fatto di più. Gli equilibri nella vita, si spera lunga, lunghissima, di una coppia, possono cambiare infinite volte, e si può fare molte volte a turno».

    Il libro di Costanza Miriano, Vallecchi editore,
     racconta le donne esattamente per sono, con i loro 10 files aperti contemporaneamente: lavoro, figli, marito, spesa, ceretta, corsi di aggiornamento, cena da preparare, compiti da verificare, telefonate chilometriche con le amiche, varie ed eventuali. Quella quotidianità che ti fa parlare al telefono mentre stai guidando, pranzando, e se ti fermi al semaforo ti dai anche una ritoccata al trucco, quella quotidianità in cui il viaggio in macchina per una donna cattolica è anche tempo prezioso per recitare il Rosario, o almeno qualche decina, e ancora quella quotidianità in cui a tutti i files Costanza Miriano aggiunge la Messa quotidiana, ma come fai?
    «Certo di tempo ne ho poco, ma quello che rende la vita pesante è l’assenza di senso, non la fatica pratica. E la Messa  – o dovrei dire la ..ssa, perché io ne prendo sempre un pezzo, arrivo in ritardo sempre e ovunque –dà il senso a tutto. Alla vita, alla morte, a ogni azione. I contemporanei soffrono per la mancanza di senso. La Messa è l’Onnipotente che decide di venire a stare con te, proprio con te, creatura infangata e impastata di male, e bisognosa di misericordia. E’ un pieno di tenerezza e di mitezza che noi, almeno io, riusciamo solo vagamente, a intuire, tanto è più grande di noi. Ed è, è proprio il caso di dirlo, la bussola quotidiana!».

    Il volume è una raccolta di lettere
     che l’autrice scrive alle figlie, ai colleghi, agli amici, ma soprattutto alle amiche, con le quali condivide un conto salatissimo con le compagnie telefoniche per le ore trascorse a scambiarsi consigli. Nel libro si legge “la mia risposta a qualsiasi problema è una a scelta tra le seguenti: ha ragione lui, sposalo, fate un figlio, obbediscigli, fate un figlio, trasferisciti nella sua città, perdonalo, cerca di capirlo e infine, fate un figlio”. Non pensi matrimonio e figlio a volte possano rendere ancor più complesse relazioni già zoppicanti?
    «Certo, né il matrimonio né il figlio vanno scelti come ancora di salvezza di un rapporto che non funziona. In  generale però penso che  fare scelte definitive e radicali, con impegno e serietà, mette in salvo da questa mentalità dominante della dittatura dei sentimenti, delle emozioni, in cui tutto è liquido, fluido, provvisorio. A me sembra che diamo troppa importanza alle sensazioni, all'emotività. Basta un ostacolo che tutto si rimette in discussione. Viviamo spesso in un'eterna adolescenza che esalta il dubbio e l'indefinito come un valore. Così nei momenti di difficoltà sembra naturale mollare, rompere i rapporti, cambiare.  Il matrimonio ci protegge da questa incostanza. Perché le fasi di dubbio arrivano per tutti. C'è sempre un momento in cui il principe azzurro, trasformatosi dopo il bacio in un ranocchio, ti si presenta sotto una luce diversa. Come ho scritto nel libro, ti compare con la scarpa a ciabatta e l'accuratezza nello stile degna del Grande Lebowski, che va a fare la spesa in accappatoio (e anche lui a volte, d’altra parte, ti troverà gradevole come un'insalatina scondita). Ma se si sa andare oltre il momento, si impara non a chiedersi se le cose funzionano, ma come farle funzionare, allora la prospettiva è tutta un'altra».

    A proposito di funzionamento
    , molte donne compiono sforzi inenarrabili cercando di far funzionare le cose trasformando il marito in un collaboratore domestico perfetto, invece tu per l’uomo di casa hai in mente un ruolo decisamente diverso….
    «In molti cadono in questo equivoco: la sottomissione non c'entra niente con la divisione dei compiti. C'entra con il non imporsi, non dare ordini, non volere imprimere il nostro stile alla gestione della famiglia. Io comunque non vorrei un marito colf, un casalingo sensibile e indeciso come ne vedo tanti, ma un uomo solido che sa da che parte la famiglia debba andare».

    Insomma se ad una prima
     occhiata il titolo “sposati e sii sottomessa” mi aveva inquietata, di certo leggendo il libro e facendo due chiacchiere con l’autrice si capisce bene che la sottomissione tutto è fuorchè una sorta di rassegnata remissività. Costanza Miriano restituisce smalto alla donna cattolica, da sempre legata ad un’immagine che la vuole ingessata nella camicia di flanella bianca e la gonna blu al ginocchio, il tutto correlato da un’espressione perennemente contrita. Che cosa manca a questa immagine?
    «Il trucchetto del diavolo è sempre quello, dal paradiso terrestre in poi: vuole farci credere che accettare di essere creature – questo alla fine è la fede – creature finite ma amate infinitamente, non è vivere in pienezza ma ci tarpa le ali, mortifica la nostra bellezza e la nostra allegria. Come se dovessimo rinunciare davvero a qualcosa. Provare a rinunciare al peccato, questo sì (ma chi ci riesce?). Ma per il resto, non è che perché ho fatto l’ufficio delle letture poi non mi trucco o non metto i tacchi. Per carità, non scherziamo. Io potrei sostenere conversazioni di ore sullo smalto e sulla consistenza degli ombretti neri in crema attualmente in commercio. Che, detto fra noi, sono difficili da trovare. Anzi, ne hai uno da prestarmi?».





    [Modificato da Caterina63 05/03/2015 12:13]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 05/03/2015 12:17

    La giornalista e scrittrice Costanza Miriano dice la sua sulla festa dell'8 marzo


    di Luca Marcolivio
     

    ROMA, martedì, 6 marzo 2012 (ZENIT.org) – La giornalista del TG3 Costanza Miriano è quanto di più lontano possa esistere dallo stereotipo della femminista. È profondamente cattolica ma molto diversa dallo stereotipo della ragazza cresciuta in oratorio.
     

    Il suo primo libro Sposati e sii sottomessa (Vallecchi) è stato il caso editoriale dello scorso anno, spazzando via tutti i luoghi comuni sulle donne e sulle famiglie di oggi. Nell’intervista che ha rilasciato a Zenit, a pochi giorni dalla Festa della Donna, la Miriano torna a parlare dei temi da lei affrontati, con la consueta acuta ironia “chestertoniana”.
     

    Siamo vicinissimi alla festa dell’8 marzo, una ricorrenza che è un “totem” per le femministe. Altre donne, invece, vorrebbero abolirla…
     
    Costanza Miriano: Io appartengo alla seconda categoria! Oggi come oggi vedo una situazione sbilanciata a nostro favore, nel senso che non vedo così tante donne così discriminate, salvo casi, che non voglio sminuire, di maltrattamenti. Vedo piuttosto una figura dell’uomo sempre più svilita, indebolita, sentimentalizzata, costretta a ruoli di cura ed accudimento che non sono propriamente maschili. Parlare di un uomo come autorevole, energico o forte equivale ormai quasi a insultarlo, a bollarlo come prepotente o maschilista. Io invece credo che i due ruoli vadano assolutamente ritrovati e valorizzati, essendo l’uno complementare all’altro. Quindi le rivendicazioni femministe non le condivido.
    Se spengo la televisione e se chiudo i giornali, se guardo alle donne ‘in carne ed ossa’ che conosco, le rivendicazioni che loro fanno sono sulla maternità, sui figli; non vogliono essere costrette a lavorare o, quantomeno, vogliono farlo, dando un contributo alla società, senza essere costrette ad abbandonare i figli per un tempo irragionevole. Credo sia questa la vera battaglia: quella delle mamme.
    Sul fronte della “emancipazione” la battaglia è ampiamente vinta: si pensi che il direttore del mio TG, Bianca Berlinguer, e il mio direttore generale, Lorenza Lei, sono donne… Per acquisire ruoli “di potere”, che hanno tempi e modi maschili, però, le donne devono accantonare la famiglia, la parte umana.

    Negli ultimi quarant’anni è stato più l’uomo o la donna a vedere snaturato il proprio ruolo?
     
    Costanza Miriano: L’uomo, senza ombra di dubbio. Roberto Marchesini ha scritto un libro in proposito, Quello che gli uomini non dicono (Sugarco). Questo saggio spiega la retorica per la quale l’uomo dovrebbe “femminilizzarsi”, assumere ruoli di cura, accudire i figli, prendere congedi parentali. Io, personalmente, condivido il magistero della Chiesa e la Bibbia che afferma “maschio e femmina li creò”. La distinzione sessuale non è una ‘carrozzeria esterna’ ma si riferisce a due incarnazioni diverse dell’amore di Dio. L’uomo dovrebbe avere il ruolo della guida: se inizia anche lui a cambiare i pannolini o a preparare le pappe non potrà essere autorevole…

    Papa Benedetto XVI ha proposto, come intenzione di preghiera per marzo, il riconoscimento del contributo delle donne allo sviluppo della società. Che tipo di riconoscimento auspica, a suo avviso, il Santo Padre?
     
    Costanza Miriano: Di certo non il riconoscimento delle quote rosa! Credo intenda che le donne debbano riscoprire la bellezza del loro ruolo, in particolare quello materno. Siamo noi le prime che tendiamo a dimenticare questo ruolo o a metterlo tra parentesi. Come il Papa stesso ha scritto nella Lettera sulla collaborazione tra uomo e donna, la più nobile vocazione per la donna è risvegliare il bene che c’è nell’altro, a favorire la sua crescita. È colei che dona la vita prima al suo bambino e poi a coloro che ha intorno, con la sua capacità di valorizzare i talenti, di mettere in relazione, di accogliere, di mediare, di vedere le cose da più punti di vista.
    L’uomo, anche in famiglia, ha un tipo di amore più rivolto verso l’esterno, è colui che costruisce nel mondo del lavoro, che feconda la terra. L’uomo caccia e la donna raccoglie! Sono certa che il Papa non si riferisca alle battaglie femministe ma auspichi che la donna torni ad abbracciare il suo ruolo, perché, come tutto quello che la Chiesa ci insegna, è per la nostra felicità più profonda. Vedo tante donne che hanno rinnegato questa parte più femminile della loro vocazione, che hanno investito tutto sul lavoro, o meglio sulla carriera, rinunciando ai figli e, alla fine, ne soffrono.

    Qual è stato il modello femminile della sua vita?
     
    Costanza Miriano: Ne ho molti. Le donne che sanno ‘spargere la vita’ davanti a sé sono tutte profondamente cristiane. Due di loro, guarda caso, sono entrambe madri di sei figli: una ha scelto di rimanere a casa, l’altra di fare il medico. Quest’ultima, con un’attività privata, quindi elastica come orari, è riuscita ad armonizzare bene famiglia e lavoro.
    Penso, però, anche a suor Elvira, della Comunità Cenacolo di Saluzzo, che è madre, in un altro modo, di migliaia di ragazzi. Prima di lei abbiamo avuto moltissime sante: Teresa d’Avila, Teresa di Lisieux, Caterina da Siena, Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein), Gianna Beretta Molla, tutte donne molto forti e coraggiose che mi ispirano e a cui vorrei somigliare.

    Nel mondo dello spettacolo, della TV e del cinema c’è un’enfasi particolare sulla bellezza femminile, spesso non sempre nella cornice del buongusto e dell’eleganza. Possono i mezzi di comunicazione restituire la giusta dignità all’immagine della donna?

    Costanza Miriano: Una giusta cura di sé da parte della donna non guasta. Noi donne cattoliche, talvolta, ci illudiamo che curando lo spirito si possa fare a meno di curare il corpo, invece io credo che per una donna sposata sia quasi un dovere essere piacevole. Io stessa amo essere un minimo vanitosa e “frivola”! Spesso ho le encicliche del Papa sporche di smalto… Non vedo nessun contrasto tra la bellezza fisica e quella spirituale. Io amo molto lo sport e tuttora lo pratico. La bellezza è un dono: va accolto, coltivato e custodito, ovviamente senza “buttare le perle ai porci”, senza esibirla in modo volgare. Alla fine quello che vediamo in televisione è il naturale esito della battaglia femminista.
    Penso che i mezzi di comunicazione possono restituire dignità alla bellezza femminile, non censurando o condannando, né sottolineando il male ma mostrando che la vera bellezza e la vera felicità sono altro. La sfida di noi cattolici non è fare i moralisti o i bacchettoni: non è questo che convince il cuore. Dobbiamo fare vedere una bellezza più grande, testimoniando, anche con lo smalto e i colpi di sole, che la vera felicità è un’altra. Non è detto che una donna che ha molti figli e vive tutta la vita con un unico marito, debba per forza abbrutirsi. La nostra sfida di cattolici dobbiamo mostrare la profonda ragionevolezza della fede e l’infelicità profonda ed inevitabile che viene dal non credere. Non credo possa esistere una felicità senza Dio, il nostro cuore è fatto per Lui. Nemmeno per Brad Pitt e Angelina Jolie ci sarà alcuna felicità senza Dio!

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    [Modificato da Caterina63 05/03/2015 12:18]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 05/03/2015 12:26
      BENEDETTO XVI DOPO L’ANGELUS 8.3.2009


    La data odierna – 8 marzo – ci invita a riflettere sulla condizione della donna e a rinnovare l’impegno, perché sempre e dovunque ogni donna possa vivere e manifestare in pienezza le proprie capacità ottenendo pieno rispetto per la sua dignità. 

    In tal senso si sono espressi il Concilio Vaticano II e il magistero pontificio, in particolare la Lettera apostolica Mulieris dignitatem del servo di Dio Giovanni Paolo II (15 agosto 1988). Più degli stessi documenti, però, valgono le testimonianze dei Santi; e la nostra epoca ha avuto quella di Madre Teresa di Calcutta: umile figlia dell’Albania, diventata, per la grazia di Dio, esempio a tutto il mondo nell’esercizio della carità e nel servizio alla promozione umana. 

    Quante altre donne lavorano ogni giorno, nel nascondimento, per il bene dell’umanità e per il Regno di Dio! Assicuro oggi la mia preghiera per tutte le donne, perché siano sempre più rispettate nella loro dignità e valorizzate nelle loro positive potenzialità.












      La vera Festa della Donna è questa:

    "Voices of Faith" premia donne coraggiose in Nicaragua e Libano

    Donne siriane rifugiate in Libano per la guerra civile - AFP

    05/03/2015 

    Un premio per promuovere la dignità delle donne e la loro autonomia in condizioni di difficoltà. Si chiama “Donne, seminatrici di sviluppo”, ed è stato promosso dall’associazione “Voices of Faith”, in collaborazione con Caritas Internationalis. A vincere donne cristiane del Nicaragua e rifugiate siriane in Libano, presenti oggi a Roma. C’era per noi Michele Raviart:

    Progetti ideati da donne e per le donne, premiati tra oltre sessanta candidature. A vincere è stata la Caritas del Nicaragua, che ha sviluppato un programma agricolo per donne che vivono in zone rurali, e che coltivano e vendono prodotti alimentari per aiutare economicamente le loro famiglie.Juana Bertha Duarte Somoza, tra i responsabili del progetto:

    “Este proyecto tiene tres componentes principales…
    Questo progetto ha tre punti principali: la creazione di rapporti familiari, la creazione di un banco di semi locali e la commercializzazione. La principale difficoltà in Nicaragua è la presenza di una cultura molto maschilista: ci sono ancora molte famiglie patriarcali. Ed è molto forte la resistenza al cambiamento. Ma noi vogliamo farlo e sappiamo di poter contare sulla presenza di Dio. Io sempre dico che sognare è buono e queste famiglie, queste donne mai come ora stanno sognando una vita migliore".

    L’altro premio è andato all’ong indipendente “Basmeh and Zeitooneh”. A gestirla un gruppo di donne siriane, rifugiate in Libano, ora residenti nel campo di Shatila. Un workshop di ricamo, per dare autonomia finanziaria alle donne vittime della guerra, ma non solo. Reem Alhaswani, promotrice del progetto.

    R. – Women didn’t want to come, because they didn’t trust us. …
    Le donne non volevano venire, anche perché non si fidavano di noi. Dopo dieci giorni, dopo un mese poi, avevamo l’adesione di 10 donne per il laboratorio; ora sono 130 … Così, hanno iniziato a lavorare in modo da produrre un’entrata per le famiglie. Non si tratta di un “semplice” laboratorio: è formazione in inglese, computer, letteratura … E’ un nuovo concetto di programmi di microcredito: loro sono state formate a sviluppare i loro progetti e portarli sul mercato, sono state formate in campo finanziario.. e ora iniziano a mettere in campo i loro progetti.

    Il premio “Donne, seminatrici di sviluppo”, sarà ufficialmente consegnato l’8 marzo in Vaticano, ed è stato ideato dall’associazione cattolica “Voices of faith” del Liechtenstein, nell’ambito di una maggiore cooperazione tra le associazione cattoliche. Sentiamo la fondatrice, Chantal Gotz:

    "La fondazione è sempre interessata a collaborare con altre organizzazioni cattoliche. In generale, penso che dobbiamo collaborare di più; c’era l’idea di premiare un gruppo di donne. Ci doveva essere la  Caritas e una ong indipendente, ma nata da un’idea delle donne. Volevamo essere sicuri che combattessero il problema della fame per le famiglie".

    Iniziative come queste aiutano a promuovere il ruolo della donna nella società, in realtà dove ancora ci sono delle difficoltà nel promuovere questi diritti. Mary McFarland, direttrice internazionale di “Jesuit Common: Higher education at the margins”, che si occupa di educazione nelle aree più disagiate:

    R. – I think overall that it gives an opportunity to the women to really give a voice to …
    Penso che nel suo insieme sia un’opportunità per le donne di dare voce al racconto di quanto accade nel mondo. Sappiamo che a molte bambine viene negato il diritto della scuola primaria e secondaria perché il loro dovere è occuparsi della famiglia e andare a prendere l’acqua. In molte culture le ragazze devono sposarsi molto giovani e per ragioni diverse è negato loro il diritto all’istruzione … Oggi, anche, siamo meglio in grado di comprendere che se le donne sono istruite, se le ragazze sono istruite, l’intera comunità potrà beneficiarne.

    I due progetti vincitori otterranno un contributo di 10 mila euro ciascuno.









    [Modificato da Caterina63 05/03/2015 18:46]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 06/03/2015 14:16

      Cresce il numero delle donne che lavorano in Vaticano




    Una giornalista della Radio Vaticana con padre Lombardi





    06/03/2015



    Il numero delle donne che lavorano in Vaticano è cresciuto costantemente negli ultimi anni: al Governatorato sono quasi raddoppiate negli ultimi dieci anni. In questo periodo il loro totale è cresciuto da 195 a 371. La crescita è significativa anche in termini relativi. Nel 2004 quasi il 13 per cento del personale al servizio del Papa nella Città del Vaticano era composto da donne, nel 2014 ammontavano a più del 19 per cento.


    Del tutto simile l’andamento presso la Santa Sede. Nel 2014 lavoravano tra gli impiegati della Curia e degli enti collegati, come ad esempio la Radio Vaticana, 391 donne, oltre il 18% del personale. I dati forniti dall’Ufficio del personale della Santa Sede coprono tuttavia solo gli ultimi quattro anni, periodo in cui è stata avviata l’informatizzazione nella raccolta dei dati in questione.


    Quattro anni fa, nel 2011, erano impiegate presso la Curia 288 donne, il 17 per cento degli impiegati. La crescita delle assunzioni di personale femminile è stata più consistente di quella del personale maschile.


    Le qualifiche delle donne impiegate al servizio del Papa vengono dedotte in relazione al livello retributivo. Qui emerge una differenza tra la Città del Vaticano e la Santa Sede: le donne impiegate presso la Santa Sede sono in media più qualificate delle loro colleghe in servizio al Governatorato. Queste ultime infatti sono inquadrate in maggioranza al 4° livello retributivo sui 10 totali e sono per la maggior parte commesse, per lo più presso i negozi dei Musei Vaticani o degli spacci annonari. Le donne impiegate presso la Santa Sede, invece, sono inquadrate in media al 7° livello, per il quale è generalmente richiesto un titolo di studio superiore. Sempre secondo i dati dell’ufficio del personale il 41% delle impiegate della Santa Sede sono laureate. Lavorano ad esempio come responsabili di dipartimenti della Curia, come archiviste, storiche o giornaliste.


    Non sono molte le donne che occupano posizioni di vertice in Vaticano, che vadano quindi oltre il decimo livello retributivo. Al momento in Curia, ci sono due sottosegretari donne, entrambe italiane, una religiosa e una laica: suor Nicoletta Spezzati, della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, e Flaminia Giovanelli, del Pontificio Consiglio delle Giustizia e della Pace. E’ stato Paolo VI a nominare per primo una donna per un incarico di governo. Si trattava dell’australiana Rosemary Goldie (1916-2010), che dal 1967 al 1976 è stata una dei due vicesegretari del Pontificio Consiglio per i Laici. Nel 2003 Giovanni Paolo II nominò per la prima volta una donna come sottosegretario: si trattava di suor Enrica Rosanna, delle Figlie di Maria Ausiliatrice, presso la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.


    Le origini dell’impiego di personale femminile in Vaticano risalgono esattamente a un secolo fa. Il primo febbraio del 1915 prendeva servizio presso la Floreria – l’ufficio che si occupa degli arredi papali - l’impiegata Anna Pezzoli. A partire dal 1929 furono assunte al servizio pontificio le prime donne con qualifiche accademiche. Crearono un indice dei manoscritti presso la Biblioteca Vaticana. Le donne iniziarono a lavorare in Vaticano soprattutto dopo il Concilio Vaticano II (1962 – 1965). (A cura di Gudrun Sailer)






    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 07/03/2015 22:07
    Chiara Corbella
     

    Chi è Chiara Corbella Petrillo? E' una mamma che ha perso due figli e ha donato la sua stessa vita per permettere al terzo di venire alla luce. Una donna guerriero che ha combattuto contro il suo male incurabile col sorriso sulle labbra. E che trova la forza di scrivere: «Quello che Dio vuole per noi è molto più bello di tutto ciò che potremmo chiedere noi con la nostra immaginazione».

    di Costanza Signorelli

    Quale omaggio migliore alle donne, alla vigilia della giornata che ne celebra la festività, quale dono più gradito, che la testimonianza della vita meravigliosa di Chiara Corbella Petrillo. La sua immagine travolgente, già dipinta in modo magistrale nel libro Siamo nati e non moriremo mai più, ci raggiunge oggi attraverso un secondo scritto: Piccoli Passi Possibili (edizione Porziuncola). A farcene dono sono i suoi cari: il marito Enrico, papà Roberto e mamma Maria Anselma, la sorella Elisa, gli amici Cristiana e Simone, i medici Daniela e Angelo, Suor Stella. E poi il padre spirituale Fra Vito e l’amico Fra Francesco. 

    Sono loro i “testimoni”, sono loro che con generosità ci regalano i ricordi personali di Chiara, i momenti trascorsi con lei, le parole dette, gli sguardi scambiati, le risate fatte insieme, le sofferenze condivise. Tutto come a ricomporre quell’incredibile opera d’arte che è la sua vita, con l’umiltà di chi sa che solo Dio ne è l’Autore. I “testimoni” raccontano Chiara alle migliaia di persone che, in tutto il mondo, hanno sentito la sua storia e vogliono conoscerla di più. Vogliono trascorrere ancora un po’ di tempo con lei. Sentirla un’altra volta parlare. 

    Chi è dunque Chiara Corbella Petrillo? Chiara è una donna, una donna come noi. Ed è innanzitutto una donna-moglie. Una donna che quando il rapporto con il suo amato Enrico non girava proprio, quando -come dire- era ‘crisi nera’, ha fatto di questa dura prova la strada per arrivare alla radice profonda del suo rapporto d’amore. Come scrive Costanza Miriano nella prefazione: “Chiara, ti sei misurata con la paura di perdere Enrico, hai fatto i conti col tuo cuore, mentre lui faceva i conti con il suo, e avete entrambi capito che il vero rapporto centrale della nostra vita, quello che veramente ti cambia il cuore, ti fascia le ferite e ti cura, è il rapporto con il Signore”. Chiara è una donna che ci insegna che le difficoltà, piccole e grandi, non sono un buon motivo per scappare, ma un’ottima occasione per imparare ad amare veramente. Che consegnarsi completamente al Signore fa rifiorire l’amore, rendendolo totalizzante. Pochi mesi prima di morire, già malata terminale, Chiara dirà ad Enrico: “Sei tu la cosa che mi dispiace lasciare di più”. Suo marito, più di tutto e più di tutti, anche del figlio per la cui salvezza sarebbe poi morta.

    Chiara è una donna-mamma. Chiara è una donna che dona il suo corpo per crescere e mettere al mondo una figlia che non può sopravvivere più di pochi minuti. Eppure lo sapeva Chiara, che Maria Grazia Letizia non ce l’avrebbe fatta a rimanere con loro. “Avevo visto – racconta lei stessa - attraverso l’ecografia, che la scatola cranica della nostra bambina non si era formata. Anche se lei si muoveva perfettamente, per lei non c’erano possibilità. Io non me la sentivo proprio di andare contro di lei, volevo sostenerla come potevo e non sostituirmi alla sua vita”.  Maria Grazia Letizia rimane al mondo giusto il tempo di salutare i suoi cari e ricevere il battesimo. Questo giorno rimane per sempre nella memoria di Chiara come un giorno di festa perché “dove sta la tristezza di passare direttamente dalle nostre braccia a quelle del Signore?”. Poi succede una seconda volta, Chiara si dona una seconda volta, si abbandona una seconda volta. Perché dopo Maria Letizia arriva Davide Giovanni. Anche nel suo caso le condizioni di salute non lasciano via di scampo e il secondo figlio “nasce al Cielo” dopo circa trenta minuti dalla nascita. 

    Chiara è una donna che ci insegna che non esiste il diritto ad avere un figlio e nemmeno il diritto ad avere un figlio sano. Ma di più ancora. Chiara scrive nel suo diario: “Davide ha abbattuto il nostro diritto a desiderare un figlio che fosse per noi, perché lui era solo per Dio”.  Davide, senza gambe e con diverse malformazioni viscerali, per Chiara è perfetto così, perché “è nato pronto per incontrare il Padre e Dio aveva bisogno di lui così”. Chiara è una donna che ci insegna che non esistono vite di serie A e vite di serie B, ma le vite che oggi il mondo scarta senza scrupoli perché “sbagliate” e “inutili”, sono proprio quelle vite ad essere veramente perfette agli occhi di Dio.

    Chiara è una donna che ci insegna che amare è accogliere, che amare è donarsi. Una donna che ci mostra con la sua carne e con il suo sangue ciò che dice San Francesco d’Assisi “il contrario dell’amore non è l’odio, ma il possesso”. Una donna che per amore di suo figlio dona la sua stessa vita.  E, infatti, durante la gravidanza di Francesco, il terzo figlio, quello sano, Chiara scopre di avere un tumore. Ma Chiara non vuole sentir ragioni, Francesco deve nascere. Rimanda le cure a dopo il parto, quando ormai sarà troppo tardi. E scrive: “Per la maggior parte dei medici Francesco è un feto di sette mesi e quella da salvare sono io. Ma io non ho alcuna intenzione di mettere a rischio la vita di Francesco per delle statistiche per nulla certe. (…) Mi sento come una leonessa che sta cercando di difendere il suo piccolo. Sento un’aggressività mai provata, come se fossi pronta a tutto per difenderlo ”. 

    Chiara è una donna-guerriero, una donna che con il suo sorriso luminoso, sino all’ultimo respiro, fa inorridire il tumore. Un carcinoma alla lingua particolarmente raro e aggressivo, che sottopone il suo corpo a sofferenze indicibili. Un tumore che, alla fine, vince il suo corpo, ma che non ha mai vinto il suo cuore. Racconta Padre Vito: “L’immagine della foto di Chiara con la benda sull’occhio e quella del crocifisso sono la stessa cosa. (…) Questa foto per noi è la più bella perché nonostante la metastasi all’occhio c’è un sorriso vero: ti dice che Dio è più grande di una metastasi all’occhio di una ragazza di 28 anni. Se anche ti capitasse la disgrazia più grande che tu temi, Dio è più grande di quella disgrazia (…)Perché Cristo è crocifisso ma vive!” Chiara  è una donna che ha una metastasi all’occhio ma è felice!

    Chiara è una donna che dopo aver perso due figli e aver scoperto la sua malattia incurabile scrive: “Quello che Dio vuole per noi è molto più bello di tutto ciò che potremmo chiedere noi con la nostra immaginazione”.

    Chiara è una donna che ci insegna che il dolore è la croce. Che insieme alla croce il Signore dona la Grazia di poterla sopportare. E che dalla croce ad un certo punto si scende e finalmente ci si abbandona tra le braccia infinite dello Sposo. Come racconta Enrico: “ (…) noi avevamo un crocifisso con quella frase scritta sopra: “Collocazione provvisoria”. L’avevamo messo davanti all’armadio, di fronte al letto. Tutte le mattine lo guardavamo e ci ricordavamo che la croce dura da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Basta. Chiara era sulla croce però noi eravamo lì sotto e non era per niente facile. Però oggi Chiara è felice, la sua croce l’ha passata, le tre del pomeriggio si sono fatte… E noi siamo felicissimi che lei abbia fatto centro nella vita”. 

    Chiara è una donna che ci insegna che i Santi non sono delle immaginette da contemplare, ma sono uomini e donne da seguire. Da imitare .Ognuno nella realtà e nella quotidianità che ha da vivere. Per fare della propria vita un’opera d’arte. Proprio come ha fatto Chiara.









    Fraternamente CaterinaLD

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    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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