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I. Il senso teologico della funzione dottrinale nella Chiesa


A fondamento del Magistero sta un servizio, che è riflesso e partecipazione specifica al ministero salvifico di Gesù Cristo, Servitore e Redentore (cf. Lc 22, 27). Nel quarto Vangelo Gesù riassume la sua missione con queste parole: “Io sono nato per questo e per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18, 37). Tale testimonianza è inscindibilmente una attestazione irrefragabile della verità rivelata come Parola veramente divina (cf. 1 Ts 2, 13; Eb 1, 1-2) e l’evento salvifico definitivo. Il nesso intimo fra verità e salvezza è affermato dall’apostolo Paolo quando scrive che Dio “vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2, 4). Altrove l’Apostolo rende grazie a Dio per i credenti, perché Dio li “ha scelti fin da principio per la salvezza nella santificazione dello Spirito e nella fede della verità” (2 Ts 2, 13). Nel contempo, l’Autore sacro non esita a parlare nel versetto precedente della condanna di “tutti quelli che non hanno creduto alla verità” (2 Ts 2, 12). Possiamo dire in tal senso che la rivelazione della verità divina in Gesù Cristo sollecita da parte dell’uomo una opzione spirituale decisiva, dalla quale dipende la sua sorte eterna.


Dopo aver evidenziato, almeno schematicamente, il nesso fra la salvezza e la conoscenza della verità rivelata, nonché l’adesione personale ad essa, appare più chiaramente la necessaria funzione del Magistero. Proprio perché Dio vuole che gli uomini siano salvati mediante l’adesione intima alla verità rivelata, e quindi al Figlio di Dio stesso (cf. Gv 14, 6), il Signore Gesù ha dotato la sua Chiesa di un organo specifico in grado di garantire la sua permanenza nella fede salvifica trasmessa dagli Apostoli e destinata a tutti i popoli di tutti i tempi. Per questo, Cristo, che è la Verità, ha voluto rendere la sua Chiesa partecipe della propria infallibilità. L’infallibilità partecipata della Chiesa in materia di fede e di costumi consegue dal fatto che il suo capo invisibile è Cristo stesso, unico Maestro di tutti (cf. Mt 23, 8). Bisogna ribadire qui che la teologia, poiché vive della fede, non deve considerare “il Magistero del Papa e dei Vescovi in comunione con lui come qualcosa di estrinseco, un limite alla sua libertà, ma, al contrario, come uno dei suoi momenti interni, costitutivi, in quanto il Magistero assicura il contatto con la fonte originaria, e offre dunque la certezza di attingere alla Parola di Cristo nella sua integrità”[1].


In questo contesto pare evidente la dimensione eminentemente pastorale della custodia della retta fede. Una cura pastorale che vuole veramente essere al servizio della salvezza eterna delle persone suppone una vigilanza costante circa la purezza della fede. Altrimenti, non sarebbe più un’autentica cura animarum, ma una pastorale del “wellness” o del comfort, con qualche supplemento in termini di “senso” o di “valori”, ma senza un reale impegno cristiano. Se i fedeli hanno diritto di ricevere un kerigma ortodosso da parte dei loro pastori, è perché da questo dipende la loro salvezza. Un Vangelo adulterato non salva nessuno. Al riguardo, è interessante osservare che, parlando del suo insegnamento a Corinto, San Paolo dice ai Corinzi che ricevono la salvezza dal Vangelo solo “se lo ritenete nei termini con cui ve l’ho annunziato; altrimenti avreste creduto invano” (1 Cor 15, 2).




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)