00 19/01/2016 01:50

La prima forma di misericordia dell'uomo credente, inoltre, è quella rivolta a se stesso; è questa che la Scrittura comanda dicendo: «Abbi misericordia della tua anima, piacendo a Dio».
Di qui la misericordia, crescendo, si estende al prossimo, in modo tale che sia adempiuto il precetto: «Amerai il prossimo tuo come te stesso».
Dunque la vera misericordia che si spende per il prossimo va spesa a questo fine, che anche il prossimo piaccia a Dio: è a questo fine che il prossimo va chiamato, esortato, educato e istruito.
Difatti anche le stesse elemosine che si offrono per le necessità corporali e per la vita temporale vanno fatte con il proposito e l'intenzione di far sì che coloro a cui sono fatte amino quel Dio per dono del quale sono fatte.


(sermoni di Erfurt sant'Agostino)




 


EDITORIALE
Un particolare delle Opere di Misericordia del Caravaggio
 

L’etimologia popolare del termine misericordia rimbalza dal suono della parola stessa: "miseris cor dare", dare il cuore ai miseri. La misericordia non è appena un secondo nome del perdono, ma naviga in un mare più ampio. Il perdono è già cosa grande: tu non metti più nel conto il male che l’altro ti ha fatto e anzi gli condoni tutti i debiti. 

di Angelo Busetto


Il perdono è già cosa grande: tu non metti più nel conto il male che l’altro ti ha fatto e anzi gli condoni tutti i debiti. Inoltre, compi forse qualche gesto di reciprocità, come dare il saluto, magari a denti stretti, e arrivi svuotare il cuore da ogni forma di rancore e di odio. Il che ti pare già tanto, e anche troppo.

La misericordia imbocca una strada più lunga e laboriosa, più lieta eariosa. Misericordia significa “avere a cuore”, prendersi cura, come Gesù si prende cura di noi per sempre. Sull’esempio della multiforme azione di misericordia del Signore Gesù e sul rilancio della sua Grazia, si percorrono i quattordici sentieri delle “opere di misericordia”. In un quadro di Caravaggio le sette opere di misericordia corporale sono riunite in una sola raffigurazione, mossa e complessa. In una composizione serrata il dipinto concentra insieme diversi personaggi di un tipico vicolo popolare di Napoli. 

Sulla parte superiore, a supervisionare la scena, la Madonna colBambino e la cornice di due angeli. Sulla destra, seppellire i morti: si scorgono i piedi di un cadavere, con un diacono e un portatore che compiono il “pietoso ufficio”. "Visitare i carcerati" e "Dar da mangiare agli affamati" sono concentrati in un singolo intenso episodio: il condannato a morte per fame in carcere, viene nutrito dal seno della figlia. "Vestire gli ignudi" appare concentrato in una figura di giovane cavaliere che dona il mantello ad un uomo, avendo accanto uno storpio e realizzando così anche l’opera del "Curare gli infermi".  Un uomo beve da una mascella d'asino: "Dar da bere agli assetati". Per "Ospitare i pellegrini" vengono rappresentate due figure, un uomo rivolto verso l’esterno e uno con la conchiglia del pellegrino.

Oltre il quadro drammatico e geniale del grande pittore, è la vita stessa a provocare l’adempimentodelle opere di misericordia, non solo materiali. Poveri e bisognosi di tutte le fogge insistono alle porte delle chiese e vi entrano, e assai più se ne incontrano nei contatti con persone e famiglie. Ma, con modalità per niente schematiche, ci inseguono le opere di misericordia spirituale. In particolare, cosa vuol dire oggi Consigliare i dubbiosi, Insegnare agli ignoranti, Ammonire i peccatori, Consolare gli afflitti? Viviamo in un contesto di persone confuse, tristi, smarrite, incerte, dentro una mentalità corrosiva che contesta tutto, toglie ogni certezza morale e dissesta le persone. Quando viene tarpato il legame con l’origine; quando si perde il nome del padre e persino della madre; quando svanisce la coscienza di essere maschio o femmina, allora, che ne è dell’identità e del destino personale? Come non sentirsi provocati a sostenere il senso stesso della vita e dell’identità degli essere umani? 

La Chiesa ospedale da campo agognata da papa Francesco, non punzecchia gli offesi né innalzabarriere, ma apre braccia, mani, cuore, e aguzza l’intelligenza per consigliare senza prevaricare, insegnare senza soverchiare, ammonire senza offendere, consolare senza sfasature sentimentali. Mostra il nostro Dio che è Padre, Gesù Cristo Maestro e Salvatore, e lo Spirito Consolatore. Quanta strada le opere di misericordia dovranno percorrere per raggiungere questa nostra povera umanità…

   

 

Intervista a Papa Francesco del settimanale "Credere": testo integrale

Papa Francesco - AFP

Papa Francesco - AFP

Pubblichiamo di seguito il testo dell’intervista che Papa Francesco ha rilasciato al settimanale “Credere”, rivista ufficiale del Giubileo della Misericordia:

1. Padre Santo, ora che stiamo per entrare nel vivo del Giubileo, ci può spiegare quale moto del cuore l’ha spinta a mettere in risalto proprio il tema della misericordia? Quale urgenza percepisce, a tale riguardo, nell’attuale situazione del mondo e della Chiesa?

Il tema della misericordia si va accentuando con forza nella vita della Chiesa a partire da Paolo VI. Fu Giovanni Paolo II a sottolinearlo fortemente con laDives in misericordia, la canonizzazione di Santa Faustina e l’istituzione della festa della Divina Misericordia nell’Ottava di Pasqua. Su questa linea, ho sentito che c’è come un desiderio del Signore di mostrare agli uomini la Sua misericordia. Non è quindi venuto in mente a me, ma riprendo una tradizione relativamente recente, sebbene sempre esistita. E mi sono reso conto che occorreva fare qualcosa e continuare questa tradizione.
Il mio primo Angelus come Papa fu sulla misericordia di Dio e in quell’occasione parlai anche di un libro sulla misericordia regalatomi dal cardinale Walter Kasper durante il Conclave; anche nella mia prima omelia come Papa, domenica 17 marzo nella parrocchia di Sant’Anna, parlai della misericordia. Non è stata una strategia, mi è venuto da dentro: lo Spirito Santo vuole qualcosa. È ovvio che il mondo di oggi ha bisogno di misericordia, ha bisogno di compassione, ovvero di patire con. Siamo abituati alle cattive notizie, alle notizie crudeli e alle atrocità più grandi che offendono il nome e la vita di Dio. Il mondo ha bisogno di scoprire che Dio è Padre, che c’è misericordia, che la crudeltà non è la strada, che la condanna non è la strada, perché la Chiesa stessa a volte segue una linea dura, cade nella tentazione di seguire una linea dura, nella tentazione di sottolineare solo le norme morali, ma quanta gente resta fuori. Mi è venuta in mente quell’immagine della Chiesa come un ospedale da campo dopo la battaglia; è la verità, quanta gente ferita e distrutta! I feriti vanno curati, aiutati a guarire, non sottoposti alle analisi per il colesterolo. Credo che questo sia il momento della misericordia. Tutti noi siamo peccatori, tutti portiamo pesi interiori. Ho sentito che Gesù vuole aprire la porta del Suo cuore, che il Padre vuole mostrare le Sue viscere di misericordia, e per questo ci manda lo Spirito: per muoverci e per smuoverci. È l’anno del perdono, l’anno della riconciliazione. Da un lato vediamo il traffico di armi, la produzione di armi che uccidono, l’assassinio d’innocenti nei modi più crudeli possibili, lo sfruttamento di persone, minori, bambini: si sta attuando – mi si permetta il termine – un sacrilegio contro l’umanità, perché l’uomo è sacro, è l’immagine del Dio vivo. Ecco, il Padre dice: “fermatevi e venite a me”. Questo è quello che io vedo nel mondo.

2. Lei ha detto che, come tutti i credenti, si sente peccatore, bisognoso della misericordia di Dio. Che importanza ha avuto nel suo cammino di sacerdote e di vescovo la misericordia divina? Ricorda in particolare un momento in cui ha sentito in maniera trasparente lo sguardo misericordioso del Signore sulla sua vita?

Sono peccatore, mi sento peccatore, sono sicuro di esserlo; sono un peccatore al quale il Signore ha guardato con misericordia. Sono, come ho detto ai carcerati in Bolivia, un uomo perdonato. Sono un uomo perdonato, Dio mi ha guardato con misericordia e mi ha perdonato. Ancora adesso commetto errori e peccati, e mi confesso ogni quindici o venti giorni. E se mi confesso è perché ho bisogno di sentire che la misericordia di Dio è ancora su di me.
Mi ricordo – l’ho già detto molte volte – di quando il Signore mi ha guardato con misericordia. Ho avuto sempre la sensazione che avesse cura di me in un modo speciale, ma il momento più significativo si verificò il 21 settembre 1953, quando avevo 17 anni. Era il giorno della festa della primavera e dello studente in Argentina, e l’avrei trascorsa con gli altri studenti; io ero cattolico praticante, andavo alla messa della domenica, ma niente di più... ero nell’Azione Cattolica, ma non facevo nulla, ero solo un cattolico praticante. Lungo la strada per la stazione ferroviaria di Flores, passai vicino alla parrocchia che frequentavo e mi sentii spinto a entrare: entrai e vidi venire da un lato un sacerdote che non conoscevo. In quel momento non so cosa mi accadde, ma avvertii il bisogno di confessarmi, nel primo confessionale a sinistra – molta gente andava a pregare lì. E non so cosa successe, ne uscii diverso, cambiato. Tornai a casa con la certezza di dovermi consacrare al Signore e questo sacerdote mi accompagnò per quasi un anno. Era un sacerdote di Corrientes, don Carlos Benito Duarte Ibarra, che viveva nella Casa del Clero di Flores. Aveva la leucemia e si stava curando in ospedale. Morì l’anno successivo. Dopo il funerale piansi amaramente, mi sentii totalmente perso, come col timore che Dio mi avesse abbandonato. Questo è stato il momento in cui mi sono imbattuto nella misericordia di Dio ed è molto legato al mio motto episcopale: il 21 settembre è il giorno di San Matteo, e Beda il Venerabile, parlando della conversione di Matteo, dice che Gesù guardò Matteo “miserando atque eligendo”. Si tratta di un’espressione che non si può tradurre, perché in italiano uno dei due verbi non ha gerundio, neppure in spagnolo. La traduzione letterale sarebbe “misericordiando e scegliendo”, quasi come un lavoro artigianale. “Lo misericordiò”: questa è la traduzione letterale del testo. Quando anni dopo, recitando il breviario latino, scoprii questa lettura, mi accorsi che il Signore mi aveva modellato artigianalmente con la Sua misericordia. Ogni volta che venivo a Roma, poiché alloggiavo in via della Scrofa, andavo nella Chiesa di San Luigi dei Francesi a pregare davanti al quadro del Caravaggio, appunto la Vocazione di san Matteo.

3. Secondo la Bibbia, il luogo dove dimora la misericordia di Dio è il grembo, le viscere materne, di Dio. Che si commuovono al punto da perdonare il peccato. Il Giubileo della misericordia può essere un’occasione per riscoprire la “maternità” di Dio? C’è anche un aspetto più “femminile” della Chiesa da valorizzare?

Sì, Lui stesso lo afferma quando dice in Isaia che si dimentica forse una madre del suo bambino, anche una madre può dimenticare... “io invece non ti dimenticherò mai”. Qui si vede la dimensione materna di Dio. Non tutti comprendono quando si parla della “maternità di Dio”, non è un linguaggio popolare – nel senso buono della parola – sembra un linguaggio un po’ eletto; perciò preferisco usare la tenerezza, propria di una mamma, la tenerezza di Dio, la tenerezza nasce dalle viscere paterne. Dio è padre e madre.

4. La misericordia, sempre se ci riferiamo alla Bibbia, ci fa conoscere un Dio più “emotivo” di quello che talvolta ci immaginiamo. Scoprire un Dio che si commuove e si intenerisce per l’uomo può cambiare anche il nostro atteggiamento verso i fratelli?

Scoprirlo ci porterà ad avere un atteggiamento più tollerante, più paziente, più tenero. Nel 1994, durante il Sinodo, in una riunione dei gruppi, dissi che si doveva instaurare la rivoluzione della tenerezza, e un Padre sinodale – un buon uomo, che io rispetto e al quale voglio bene – già molto anziano, mi disse che non conveniva usare questo linguaggio e mi diede spiegazioni ragionevoli, da uomo intelligente, ma io continuo a dire che oggi la rivoluzione è quella della tenerezza perché da qui deriva la giustizia e tutto il resto. Se un imprenditore assume un impiegato da settembre a luglio, gli dissi, non fa la cosa giusta perché lo congeda per le vacanze a luglio per poi riprenderlo con un nuovo contratto da settembre a luglio, e in questo modo il lavoratore non ha diritto all’indennità, né alla pensione, né alla previdenza sociale. Non ha diritto a niente. L’imprenditore non mostra tenerezza, ma tratta l’impiegato come un oggetto – tanto per fare un esempio di dove non c’è tenerezza. Se ci si mette nei panni di quella persona, invece di pensare alle proprie tasche per qualche soldo in più, allora le cose cambiano. La rivoluzione della tenerezza è ciò che oggi dobbiamo coltivare come frutto di questo anno della misericordia: la tenerezza di Dio verso ciascuno di noi. Ognuno di noi deve dire: “sono uno sventurato, ma Dio mi ama così; allora anche io devo amare gli altri nello stesso modo”.

5. È famoso il “discorso alla luna” di papa Giovanni XXIII, quando, una sera, salutò i fedeli dicendo: “Date una carezza ai vostri bambini”. Quell’immagine divenne un’icona della Chiesa della tenerezza. In che modo il tema della misericordia potrà aiutare le nostre comunità cristiane a convertirsi e a rinnovarsi?

Quando vedo i malati, gli anziani, mi viene spontanea la carezza.… La carezza è un gesto che può essere interpretato ambiguamente, ma è il primo gesto che fanno la mamma e il papà col bambino appena nato, il gesto del “ti voglio bene”, “ti amo”, “voglio che tu vada avanti”.

6. Ci può anticipare un gesto che intende fare durante il Giubileo per testimoniare la misericordia di Dio?

Ci saranno tanti gesti che si faranno, ma un venerdì di ogni mese farò un gesto diverso.



[Modificato da Caterina63 09/02/2016 00:27]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)