00 21/05/2015 14:38

  SALUTO AI GIOVANI CONVENUTI A BOLOGNA


IN OCCASIONE DELLA


XV GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU'


Domenica 13 agosto 2000 - ore 19,00 - Parco del Seminario


Siete in cammino verso Roma, desiderosi di incontrarvi con l'apostolo Pietro che continua a vivere e a guidare la Chiesa nella persona del suo Successore.


E proprio l'apostolo Pietro qui, a Bologna, ha cominciato a parlarvi. E voi qui, in questo Vespro, già avete cominciato ad ascoltarlo.


Che cosa vi ha detto? Vi ha detto che siete fortunati.


Avete la fortuna di sapere che c'è un Dio che ci ama e ha per noi una "grande misericordia" (l Pt 1,3): una misericordia più grande di ogni nostra debolezza e di ogni nostro peccato. Sapere che c'è un Dio che ci ama, vuol dire sapere che l'universo non è un deserto, che l'umanità non è un enorme orfanatrofio, che noi non siamo i balocchi di un "Caso" anonimo, gelido e cieco.


È un Dio che non è un essere lontano, distaccato, indifferente ai nostri guai. Al contrario, è un Dio che è "padre": è il "Padre del Signore nostro Gesù Cristo" (ib.).


Ed è la seconda fortuna: la conoscenza del Signore Gesù. Noi sappiamo che la creazione non è un'accozzaglia di oggetti dispersi e disparati: ha un "centro" e un "cuore" in Gesù di Nazaret, crocifisso per noi e risorto, oggi vivo come siamo vivi noi; vivo e attento a ciò che diciamo di lui, a ciò che facciamo per lui, a ciò che siamo capaci di donargli.


La terra nelle sue miserie e nelle sue sofferenze non può essere riscattata dalle immagini o dalle parole: ha bisogno di fatti. La storia - questa vicenda ripetitiva di errori e di crudeltà - non può essere redenta da una dottrina o da una ideologia: ha bisogno di avvenimenti.


Ebbene, il "fatto" decisivo è avvenuto, un "avvenimento" unico e imparagonabile ci è stato annunciato: è - ci ha detto san Pietro - 'la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe" (1 Pt 1,3-4).


E questa è la terza fortuna: abbiamo una speranza che non delude e non tramonta mai, a differenza di tutte le attese mondane. Essa - ci è stato detto dal Principe degli Apostoli - "è conservata nei cieli per noi, che dalla potenza di Dio siamo custoditi mediante la fede per la nostra salvezza" (lPt 1,4-5).


Perché di tre cose l'uomo ha un'assoluta necessità, per poter vivere decentemente e ragionevolmente da uomo: di essere certo che il suo esistere abbia un significato e la sua vita non sia una favola senza capo né coda raccontata da un idiota; di vedere sempre davanti a sé una mèta, un traguardo non illusorio, in modo che i nostri passi e le nostre giornate non siano quelli di un viandante pazzo che non sappia dove stia andando né quelli di un pellegrino smemorato che non si ricordi più quale sia la sua destinazione; di aver qualcuno da conoscere e amare, che abbia volto e cuore di uomo ma anche una bellezza divina ed eterna. Vale a dire, qualcuno come il Signore Gesù, il Figlio di Maria che è anche l'Unigenito del Padre, nel quale - come dice l'apostolo Paolo - "abita corporalmente tutta la pienezza della divinità" (Col 2.9).


Tali preziose verità sono già custodite nel vostro animo, e voi andate a Roma per essere confermati in questa fede, in questa speranza, in questa capacità di amare.


Si capisce allora perché san Pietro, nella breve lettura che abbiamo ascoltato, vi suggerisca di esprimere la vostra gioia e la vostra riconoscenza, e vi inviti a dire con lui: "Sia benedetto Dio, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo" (1 Pt 1,3).




SALUTO AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO:

"L'EUROPA DEL 9 MAGGIO 1950 HA CINQUANT'ANNI"

Sabato 13 maggio 2000 -

Sono lieto di porgere il mio saluto cordiale ai promotori, agli organizzatori, ai relatori e a tutti i partecipanti di questo incontro, posto al servizio e nella prospettiva di una presenza più consapevole e determinante della cultura cattolica nella costruzione della nuova Europa.

Questa giornata, che intende rievocare una data storica della comunità europea - il famoso discorso di Schuman del 9 maggio 1950 - prende le mosse dalla volontà di ricordare anche la figura di una personalità di eccezionale levatura intellettuale e morale, il conte Giovanni Acquaderni, considerato in questo contesto quale uomo europeo per la vastità dei suoi interessi e delle sue relazioni personali.

Dall'Acquaderni si arriva alla figura di Robert Schuman, nel 50mo anniversario del discorso suddetto, da cui si avvia il cammino dell'unità europea.

E a Schuman accostiamo infine - ed è naturale - i grandi nomi di De Gasperi e di Adenauer.

Mi è caro evidenziare che si tratta di tre cattolici, nei quali una fede sentita e vissuta si coniugava con una grande esperienza politica e culturale; fede ed esperienza che si avvertono già nelle premesse, doverosamente 'laiche', del trattato della prima realtà europea, la Ceca, ossia la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (1951): 'Gli stati membri sono risoluti a sostituire alle rivalità secolari una fusione dei loro interessi essenziali, a fondare una comunità economica, le prime assise di una comunità più vasta e più profonda tra i popoli per lungo tempo avversi per divisioni sanguinose, e a porre fondamenti di istituzioni capaci di indirizzare un destino ormai condiviso'.

I tre fondatori ebbero il merito di capire che l'europeismo poteva nascere solo dalla coscienza di appartenere a una civiltà fondata sui valori cristiani e sui principi di libertà.

Dal 1950, attraverso una serie di tappe intermedie, si è giunti al traguardo dell'Euro. È innegabile che l'impulso prevalente che ha consentito di raggiungere questa mèta è stata quella degli interessi economici. Anche nel 1950 gli accordi avevano una evidente natura economica, ma erano animati da una tensione morale protesa a rendere più confortevole e giusta la vita di tutti, con una sollecitudine preferenziale alle classi subalterne; tensione che si alimentava alle indicazioni delle Encicliche sociali dei Papi.

Quella ispirazione, purtroppo, sembra essersi estenuata: ha prevalso il calcolo senza uno slancio ideale, in uno scenario dominato dall'alta finanza e dal mercato.

Questa giornata potrà evidenziare - mi auguro - quanta distanza ci separa dal progetto dei padri fondatori dell'unità europea e come sia urgente riprenderne il discorso e le indicazioni.

Un personaggio anglosassone disse che l'Italia non deve venir meno al suo compito di 'custode della memoria': memoria della sua storia così profondamente inserita in quella europea; memoria come ritorno alle sorgenti umanistiche e cristiane; memoria come potenziamento del nostro presente mediante una ricchezza culturale ancora ben sedimentata nella coscienza collettiva.

Sull'esempio dei tre grandi fondatori dell'unità europea i cattolici sono sollecitati a lavorare per un progetto capace di ridare un'anima a una Europa sovrabbondante di agi e di mezzi, ma spiritualmente depressa e inaridita.

L'odierna impressionante povertà morale deve essere vinta con una rigenerazione nutrita ai temi perenni e universali della nostra tradizione.

Insieme coi cattolici, l'Italia tutta è chiamata a ravvivare i suoi miracoli di civiltà per ridonare all'Europa quel sentimento quasi messianico che essa ha sperimentato in altre situazioni, congiunto con una rinnovata attenzione ai valori trascendenti e con un ricupero della classicità senza i quali non è possibile nessun rinnovamento profondo.

Questa consapevolezza di avere una grande missione da compiere ci aiuterà a collocarci nell'Europa unita non come una colonia culturale del mondo anglosassone o come duplicato senza rigore e senza originalità della Francia o della Germania, ma con una precisa identità e con il convincimento di ripresentare, per quel che è possibile, quanto l'Italia seppe compiere ai tempi di San Benedetto, di San Fancesco, di Dante, dell'Umanesimo, del Rinascimento e della Riforma cattolica (amerei anzi dire della 'Riforma borromaica').

L'impresa è alta e difficile. Ma, come sta scritto, 'questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede' (cf. 1Gv 5,4).

Sono grato agli ideatori e agli artefici del Convegno, mentre a tutti auguro un buon lavoro.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)