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Santa Faustina: sono 11 i peccati mortali.

Io che ho visto l’inferno vi dico state lontani da loro

 
 
 
Santa Faustina è l’apostola della divina misericordia e potrebbe sembrare strano che proprio attraverso lei Gesù Cristo abbia deciso di darci la più esaustiva catechesi del secolo scorso sull’Inferno.
 
Queste sono le parole che la Santa mistica scrisse nel proprio diario:
 
 
“Oggi, guidata da un angelo, sono stata negli abissi infernali. E’ un luogo di grandi torture e lo spazio che occupa è vastissimo”.
 
“Queste le varie pene che ho viste: la prima pena, quella che costituisce l’inferno, è la perdita di Dio; la seconda, i continui rimorsi di coscienza; la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che penetra l’anima, ma non l’annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale acceso dall’ira di Dio; la quinta pena è l’oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri ed il proprio; la sesta pena è la compagnia continua di satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l’odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie”.
 
11 PECCATI MORTALI:
 
Ogni spirito dannato subisce tormenti eterni a seconda del peccato in cui si decise di perseverare in vita: è la cosiddetta pena del senso. Ci sono gradi di sofferenza diversi a seconda dell’intensità del peccato, ma tutti gli spiriti dannati soffrono.

I peccati intellettivi sono più gravi di quelli carnali, quindi vengono puniti con più gravità. I demoni non potevano peccare per debolezza carnale, come noi uomini, per questo i loro peccati sono gravissimi, eppure ci sono uomini dannati che soffrono più di alcuni demoni, perché l’intensità del loro peccato in vita superò addirittura quello di taluni spiriti angelici.

Tra i peccati, ce ne sono quattro particolarmente gravi, sono i cosiddetti peccati che invocano la vendetta divina: l’omicidio volontario, le perversioni sessuali che confondono la società (sodomia e pedofilia), l’oppressione dei poveri, il defraudamento della giusta mercede a chi lavora. Questi peccati gravissimi più di tutti“accendono l’ira di Dio”, perché egli ha cura di ogni suo figlio, soprattutto dei più piccoli, dei più poveri, dei più deboli.

Ci sono anche altri sette peccati, particolarmente gravi anche perché mortali per l’anima, e sono i sette peccati contro lo Spirito Santo: la disperazione della salvezza, la presunzione di salvarsi senza merito (questo peccato è molto diffuso tra i protestanti che credono di salvarsi “per sola fede”), impugnare la verità conosciuta, l’invidia della grazia altrui, l’ostinazione nei peccati, l’impenitenza finale. 

Gli esorcismi sono la prova che gli spiriti dannati convivono eternamente con il proprio peccato. I demoni, infatti, si differenziano proprio a seconda del loro “peccato”: ci sono demoni dell’ira e quindi si manifestano con rabbia e furore; demoni della disperazione e quindi si mostrano sempre tristi e senza speranza, demoni dell’invidia e quindi più degli altri odiano tutto ciò che li circonda, inclusi gli altri demoni.

Poi ci sono i peccati dettati dalla debolezza carnale e dalle passioni. Essi sono di intensità minore, perché dettati dalla debolezza della carne, ma possono essere egualmente gravi e quindi mortali per l’anima, perché comunque deformano lo spirito e allontanano dalla grazia. Sono proprio questi i peccati che più trascinano le anime all’Inferno, come ha detto la Beata Vergine Maria ai tre veggenti di Fatima. “Vegliate e pregate per non cadere in tentazione, lo spirito è pronto, ma la carne è debole” (Matteo 26,41).





Firenze: il Crocifisso miracoloso ritorna a San Francesco Poverino

 
Il 10 Maggio del 1723 un gruppo di confratelli della Compagnia di S. Francesco Poverino, guidato dal Correttore, si recò in pellegrinaggio a Roma per visitare le Basiliche e render omaggio al Papa regnante, Innocenzo XIII. Sulla via del ritorno fu deciso di passare da Loreto per venerar la Santa Casa. Qui i Confratelli si fermarono a lungo in preghiera e la loro profonda devozione indusse un’anziana terziaria francescana, priva di eredi, a donar loro un suo Crocifisso ligneo da secoli oggetto di devozione nella Basilica perché ritenuto miracoloso.
 
Tornati a Firenze, al Crocifisso furono via via tributati onori pubblici e sempre fu venerato per la sua fama, specie dopo che, nel 1749, durante una processione nel rione di S. Lorenzo o con fermate in tutti gli oratori e nei conventi e monasteri lungo il percorso, una monaca del monastero del Ceppo in via San Gallo, moribonda e storpiata, incapace da anni ed anni di qualsiasi movimento ma lucida e cosciente della sua imminente dipartita, avendolo toccato da dietro la grata, dove l’avevan portata in barella le consorelle oranti, guarì immediatamente.

È sempre stato anche chiamato Crocifisso “della buona morte”, perché, quando dal Bargello suonava la campana a giustizia, i Confratelli lo svelavano (di giorno era sempre velato, veniva svelato solo dalla Compagnìa della notte nelle veglie di preghiera) e intercedevano per ore ed intensamente per le anime dei moribondi.
 
Quando la Compagnia di S. Francesco Poverino, perduta dopo  quattro secoli la sua sede in via S. Zanobi, abbattuta nel 1844, trovò nel 1912 ospitalità nei locali  dell’Oratorio già di S. Filippo Benizi per la generosità della Buca di S. Girolamo - o Santa Maria della Pietà - ivi trasferitasi nel 1785 dalla primitiva sede (Spedale di San Matteo – Accademia), e con questa si fuse, il Crocifisso fu posto nella teca a sinistra dell’altare, sempre pubblicamente venerato.
 
Dipinto di nero, come usava nel periodo controriformistico per simulare il bronzo, per qualche secolo si presentava assai appesantito ma non tanto da non lasciar trasparire parte della sua bellezza.
Date le complesse e tormentate vicende che coinvolsero la Compagnia di S. Francesco Poverino nella sua lunga storia, non è certo ma è assai probabile che si tratti proprio del Crocifisso lauretano. Certo è che è sempre stato individuato come tale.
 
L’attribuzione, prima del recente magnifico restauro ad opera di Lisa Venerosi Pesciolini – che già ha riportato alla bellezza delle origini un nostro Crocifisso del Verrocchio, attualmente in deposito temporaneo presso il museo del Bargello, e la statua, conservata nell’Oratorio, di S. Girolamo penitente del 1454 (opera di Antonio del Pollaiolo o unica scultura di Andrea del Castagno? Si attendono nuovi studi) – oscilla tra scuola pisana della seconda metà del 1300 (Margrit Lisner) e scuola orcagnesca a cui rimandano grandi analogie col Crocifisso dell’Orcagna ora in S. Carlo (Lisa Goldemberg Stoppato)
 
E’ possibile che un’opera di scuola pisana o della cerchia orcagnesca provenga da Loreto? Il dubbio può risolversi pensando, con Ludovica Sebregondi in Tre Confraternite Fiorentine, Firenze, Salimbeni 1991, alla tradizione secondo la quale le compagnie che si recavano in pellegrinaggio a santuari mariani – che da Firenze partivano dalla piazza della SS.ma Annunziata – spesso donavano ad altri pii sodalizi per lo più un proprio Crocifisso e ne ricevevano un altro in segno di fratellanza in Cristo Redentore.
 
Mentre, dopo il restauro, si sollecitano nuovi e più approfonditi studi per una più sicura attribuzione, il Crocifisso – di altissimo pregio per eleganza di forme ed espressività dell’insieme e dei particolari – è tornato nell’Oratorio ed alla pubblica venerazione, previa benedizione, dopo la S. Messa del  31  Maggio, da parte del can. Brieuc de la Brosse dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote.

Dante Pastorelli




[Modificato da Caterina63 15/07/2015 15:52]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)