00 28/04/2016 22:23
<header class="post-header">

  Spaemann: "È il caos eretto a principio con un tratto di penna"



</header>

spaemann
Il professor Robert Spaemann, 89 anni, coetaneo e amico di Joseph Ratzinger, è professore emerito di filosofia presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera. È uno dei maggiori filosofi e teologi cattolici tedeschi. Vive a Stoccarda. Il suo ultimo libro uscito in Italia è: "Dio e il mondo. Un'autobiografia in forma di dialogo", edito da Cantagalli nel 2014.

Questa che segue è la traduzione dell'intervista sulla “Amoris lætitia” che egli ha dato in esclusiva ad Anian Christoph Wimmer per l'edizione tedesca di Catholic News Agency del 28 aprile:

> "Ein Bruch mit der Lehrtradition" – Robert Spaemann über "Amoris lætitia"

*

D. – Professor Spaemann, lei ha accompagnato con la sua filosofia i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Molti fedeli oggi si chiedono se l’esortazione postsinodale “Amoris lætitia” di papa Francesco possa essere letta in continuità con l’insegnamento della Chiesa e di questi papi.

R. – Per la maggior parte  del testo ciò è possibile, anche se la sua linea lascia spazio a delle conclusioni che non possono essere rese compatibili con l’insegnamento della Chiesa. In ogni caso l’articolo 305, insieme con la nota 351, in cui si afferma che i fedeli "entro una situazione oggettiva di peccato" possono essere ammessi ai sacramenti "a causa dei fattori attenuanti", contraddice direttamente l’articolo 84 della "Familiaris consortio" di Giovanni Paolo II.

D. – Che cosa stava a cuore a Giovanni Paolo II?

R. – Giovanni Paolo II dichiara la sessualità umana "simbolo reale della donazione di tutta la persona" e, più precisamente, "un’unione non temporanea o ad esperimento". Nell’articolo 84 afferma, dunque, in tutta chiarezza che i divorziati risposati, se desiderano accedere alla comunione,  devono rinunciare agli atti sessuali. Un cambiamento nella prassi dell’amministrazione dei sacramenti non sarebbe quindi "uno sviluppo" della "Familiaris consortio", come ritiene il cardinal Kasper, ma una rottura con il suo insegnamento essenziale, sul piano antropologico e teologico, riguardo al matrimonio e alla sessualità umana.

La Chiesa non ha il potere, senza che vi sia una conversione antecedente, di valutare positivamente delle relazioni sessuali, mediante l’amministrazione dei sacramenti, disponendo in anticipo della misericordia di Dio. E questo rimane vero a prescindere da quale sia il giudizio su queste situazioni sia sul piano morale che su quello umano. In questo caso, come per il sacerdozio femminile, la porta qui è chiusa.

D. – Non si potrebbe obiettare che le considerazioni antropologiche e teologiche da lei citate siano magari anche vere, ma che la misericordia di Dio non è legata a tali limiti, ma si collega alla situazione concreta di ogni singola persona?

R. – La misericordia di Dio riguarda il cuore della fede cristiana nell’incarnazione e nella redenzione. Certamente lo sguardo di Dio investe ogni singola persona nella sua situazione concreta. Egli  conosce ogni singola persona meglio di quanto essa conosca se stessa.  La vita cristiana, però, non è un allestimento pedagogico in cui ci si muove verso il matrimonio come verso un ideale, così come pare presentata in molti passi della "Amoris lætitia". L’intero ambito delle relazioni, particolarmente quelle di carattere sessuale, ha a che fare con la dignità della persona umana, con la sua personalità e libertà. Ha a che fare con il corpo come "tempio di Dio" (1 Cor 6, 19). Ogni violazione di questo ambito, per quanto possa essere divenuta frequente, è quindi una violazione della relazione con Dio, a cui i cristiani si sanno chiamati; è un peccato contro la sua santità, e ha sempre e continuamente bisogno di purificazione e conversione.

La misericordia di Dio consiste proprio nel fatto che questa conversione è resa continuamente e di nuovo possibile. Essa, certamente, non è legata a determinati limiti, ma la Chiesa, per parte sua, è obbligata a predicare la conversione e non ha il potere di superare i limiti esistenti mediante l’amministrazione dei sacramenti, facendo, in tal modo, violenza alla misericordia di Dio. Questa sarebbe orgogliosa protervia.

Pertanto, i chierici che si attengono all’ordine esistente non condannano nessuno, ma tengono in considerazione e annunciano questo limite verso la santità di Dio. È un annuncio salutare. Accusarli ingiustamente, per questo, di "nascondersi dietro gli insegnamenti della Chiesa" e di "sedere sulla cattedra di Mosè… per gettare pietre contro la vita delle persone" (art. 305), è qualcosa che nemmeno voglio commentare.  Si noti, solo per inciso, che qui ci si serve, giocando su un fraintendimento intenzionale, del passo evangelico citato. Gesù dice, infatti, sì, che i farisei e gli scribi siedono sulla cattedra di Mosè, ma sottolinea espressamente che i discepoli devono praticare e osservare tutto quello che essi dicono, ma non devono vivere come loro (Mt 23, 2).

D. – Il papa vuole che non ci si concentri su delle singole frasi della sua esortazione, ma che si tenga conto di tutta l’opera nel suo insieme.

R. – Dal mio punto di vista, concentrarsi sui passi citati è del tutto giustificato.  Davanti a un testo del magistero papale non ci si può attendere che la gente si rallegri per un bel testo e faccia finta di niente davanti a frasi decisive, che cambiano in maniera sostanziale l’insegnamento della Chiesa. In questo caso c’è solo una chiara decisione tra il sì e il no. Dare o non dare la comunione: non c’è una via media.

D. – Papa Francesco nel suo scritto ripete che nessuno può essere condannato per sempre.

R. – Mi risulta difficile capire che cosa intenda. Che alla Chiesa non sia lecito condannare personalmente nessuno, men che meno eternamente – cosa che, grazie a Dio, nemmeno può fare – è qualcosa di chiaro. Ma, se si tratta di relazioni sessuali che contraddicono oggettivamente l’ordinamento di vita cristiano, allora vorrei davvero sapere dal papa dopo quanto tempo e in quali circostanze una condotta oggettivamente peccaminosa si muta in una condotta gradita a Dio.

D. – Qui, dunque, si tratta davvero di una rottura con la tradizione dell’insegnamento della Chiesa?

R. – Che si tratti di una rottura è qualcosa che risulta evidente a qualunque persona capace di pensare che legga i testi in questione.

D. – Come si è potuti giungere a questa rottura?

R. – Che Francesco si ponga in una distanza critica rispetto al suo predecessore Giovanni Paolo II lo si era già visto quando lo ha canonizzato insieme con Giovanni XXIII, nel momento in cui ha ritenuto superfluo per quest’ultimo il secondo miracolo che, invece, è canonicamente richiesto. Molti a ragione hanno percepito questa scelta come manipolativa. Sembrava che il papa volesse relativizzare l’importanza di Giovanni Paolo II.

Il vero problema, però, è un'influente corrente di teologia morale, già presente tra i gesuiti nel secolo XVII, che sostiene una mera etica situazionale. Le citazioni di Tommaso d’Aquino prodotte dal papa nella "Amoris lætitia" sembrano sostenere questo indirizzo di pensiero. Qui, però, si trascura il fatto che Tommaso d’Aquino conosce atti oggettivamente peccaminosi, per i quali non ammette alcuna eccezione legata alle situazioni. Tra queste rientrano anche le condotte sessuali disordinate. Come già aveva fatto negli anni Cinquanta con il gesuita Karl Rahner, in un suo intervento che contiene tutti gli argomenti essenziali, ancor oggi validi, Giovanni Paolo II ha ricusato l’etica della situazione e l’ha condannata nella sua enciclica "Veritatis splendor".

"Amoris Laetitia" rompe anche con questo documento magisteriale.  A questo proposito, poi, non si dimentichi che fu Giovanni Paolo II a mettere a tema del proprio pontificato la misericordia divina, a dedicarle la sua seconda enciclica, a scoprire  a Cracovia il diario di suor Faustina e, in seguito, a canonizzare quest’ultima. È lui il suo interprete autentico.

D. – Che conseguenze vede per la Chiesa?

R. – Le conseguenze si possono vedere già adesso. Crescono incertezza, insicurezza e confusione: dalle conferenze episcopali fino all’ultimo parroco nella giungla. Proprio pochi giorni fa un sacerdote dal Congo mi ha espresso tutto il suo sconforto davanti a questo testo e alla mancanza di indicazioni chiare. Stando ai passaggi corrispondenti di "Amoris lætitia", in presenza di non meglio definite "circostanze attenuanti", possono essere ammessi alla assoluzione dei peccati e alla comunione non solo i divorziati risposati, ma tutti coloro che vivono in qualsivoglia "situazione irregolare", senza che debbano sforzarsi di abbandonare la loro condotta sessuale, e, dunque, senza piena confessione e senza conversione.

Ogni sacerdote che si attenga all’ordinamento sacramentale sinora in vigore potrebbe subire forme di mobbing dai propri fedeli ed essere messo sotto pressione dal proprio vescovo. Roma può ora imporre la direttiva per cui saranno nominati solo vescovi “misericordiosi”, che sono disposti ad ammorbidire l’ordine esistente. Il caos è stato eretto a principio con un tratto di penna. Il papa avrebbe dovuto sapere che con un tale passo spacca la Chiesa e la porta verso uno scisma. Questo scisma non risiederebbe alla periferia, ma nel cuore stesso della Chiesa. Che Dio ce ne scampi.

Una cosa, però, mi sembra sicura: quel che sembrava essere l’aspirazione di questo pontificato – che la Chiesa superi la propria autoreferenzialità, per andare incontro con cuore libero alle persone – con questo documento papale è stato annichilito per un tempo imprevedibile. Ci si deve aspettare una spinta secolarizzatrice e un ulteriore regresso del numero dei sacerdoti in ampie parti del mondo. Si può facilmente verificare, da parecchio tempo, che i vescovi e le diocesi con un atteggiamento non equivoco in materia di fede e di morale hanno il numero maggiore di vocazioni sacerdotali. Si deve qui rammentare quel che scrive san Paolo nella lettera ai Corinti: "Se la tromba emette un suono confuso, chi si preparerà alla battaglia?" (1 Cor 14, 8).

D. – Che cosa succederà ora?

R. – Ogni singolo cardinale, ma anche ogni vescovo e sacerdote è chiamato a difendere nel proprio ambito di competenza l’ordinamento sacramentale cattolico e a professarlo pubblicamente. Se il papa non è disposto a introdurre delle correzioni, toccherà al pontificato successivo rimettere le cose a posto ufficialmente.

<<<  >>>

NOTA BENE !

Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Gli ultimi tre servizi di "www.chiesa":

28.4.2016
> L'opzione tedesca del papa argentino
Il cardinale Kasper e l'ala progressista della Chiesa di Germania hanno ottenuto ciò che volevano. Sulla comunione ai divorziati risposati Francesco è dalla loro parte. L'aveva deciso da tempo e così ha fatto

25.4.2016
> Matrimonio indissolubile? Sì, ma per pochi eletti
Non solo la dottrina della Chiesa, ma le stesse parole di Gesù sul matrimonio sono ormai reinterpretate nei modi più diversi. Secondo il biblista Silvio Barbaglia, nei Vangeli l'indissolubilità assoluta vale solo per le coppie che vivono come fratello e sorella "per il regno dei cieli"

20.4.2016
> "Il popolo, categoria mistica". La visione politica del papa sudamericano
È uscito in Argentina e in Italia un saggio del professor Zanatta sul "populismo" di Francesco. Il filo rosso che unisce la sua visita a Lesbo alla simpatia per i "movimenti popolari" anticapitalisti e no global







“Progetto Kasper” e attacco alla divina costituzione della Chiesa


Verso una “Nuova Chiesa”, passando dal matrimonio? 

17 ottobre 2015, Santa Margherita Maria Alacoque



Fra la nozione di matrimonio e quella di Chiesa intercorre un nesso profondo che la Scrittura sancisce a chiare lettere. Osservando quindi attentamente le tesi “kasperiane” si scopre che esse non hanno solo una dimensione di destrutturazione della morale, ma comportano un aspetto - ancora non sufficientemente messo in luce - che finisce per corrompere più o meno indirettamente la stessa nozione di Chiesa cattolica. Walter Kasper non per nulla è un ecclesiologo[1].

Il Matrimonio è anzitutto un istituto di diritto naturale, voluto espressamente dal Creatore “fin dal principio” e iscritto in perpetuo nel cuore degli uomini come tutta la legge naturale. Basterebbe questo per rendere sacra per sempre l’unione familiare tra un uomo e una donna in vista della procreazione. E tale “sacralità naturale” che deriva dall’onore dovuto alla legge eterna, è non solo comprensibile con la sola ragione, ma anche contenuta nel Decalogo, oltre ad essere il modello che San Paolo utilizza per parlarci della società soprannaturale voluta da Cristo.

L’importantissima battaglia per la famiglia e per il matrimonio, già in corso al Sinodo e i cui prolungamenti futuri sono ormai evidenti, comporta quindi la difesa del “diritto naturale” ed implica un altro aspetto strettamente ad essa connesso: la difesa del dogma della divina costituzione della Chiesa, eterno bersaglio dei modernisti.

Non a caso è di questi giorni la notizia di proposte sinodali di allargamento indiscriminato della comunione eucaristica non solo ai pubblici concubini, ma anche agli eretici e agli scismatici, in coerente logica con la liquefazione della stessa nozione di “Chiesa cattolica”. 
Non esiste infatti una pastorale indipendente dalle verità rivelate, ancor meno una teologia morale avulsa dalla dogmatica. Tutte le verità sono connesse in quella che è scientia Dei, siano esse di carattere più propriamente rivolto alla contemplazione di Dio o siano esse maggiormente rivolte a descrivere la giusta via che a Dio conduce[2]. Sempre di Dio si tratta e un’unità profonda le pervade tutte, al punto che ogni mutamento sostanziale nel campo morale sottende un’altra teologia dogmatica: simul stabunt aut simul cadent.

L’impressione fondata è che ci troviamo davanti ad un unico grandioso progetto di Antichiesa di cui non si è reso visibile per ora che un solo aspetto, seppur importantissimo.
Analizzeremo in questo articolo come le cosiddette “tesi Kasper” (e il correlativo, anche se più sfuggente, “progetto Tagle”) comportino di fatto, non solo una contraddizione flagrante con la legge naturale e le parole di Cristo sul matrimonio, ma anche il germe di un attacco alla dottrina tradizionale sulla natura della Chiesa cattolica. 


Matrimonio e Chiesa: una significativa connessione mistica  

Per capire cos’è la Chiesa bisogna capire cos’è il matrimonio cristiano, per capire cos’è il matrimonio cristiano bisogna conoscere la Chiesa. Dice San Paolo agli Efesini (5, 25-28):  “E voi o mariti amate le vostre mogli, così come Cristo amò la Chiesa e diede se stesso per lei nel fine di santificarla, purificandola col lavacro dell’acqua mediante la parola di vita, per far comparire egli stesso davanti a sé gloriosa la Chiesa, affinché sia senza macchia, senza ruga o altra cosa siffatta, ma anzi santa e immacolata”. Ne scaturisce un parallelismo fra la santità, che deve avere il vero matrimonio cristiano, e la santità con cui il Verbo incarnato ha santificato e amato la Chiesa, che è “santa e immacolata” perché divina; così come a sua volta - analogicamente - deve essere santa l’unione di un uomo e una donna sotto lo sguardo di Cristo. E l’Apostolo continua poco righe dopo (5, 32-33): “Grande è questo sacramento ; io dico a riguardo di Cristo e della Chiesa. Pertanto anche ciascuno di voi ami la sua sposa come se stesso, la sposa poi abbia in riverenza il marito”. Per San Paolo il matrimonio è talmente importante per l’ecclesiologia da esserne un segno sacro, e ciò addirittura fin dai tempi dell’Antico Testamento in cui esso era già “annuncio” della Chiesa che Cristo avrebbe fondato. 

Il Concilio di Trento riprende questo legame inscindibile fra la grazia che Cristo meritò nella Sua Passione, la grazia sponsale della Chiesa e l’indissolubile unità del matrimonio che la rappresenta[3]. Mons. Piolanti così sintetizza questa sublime verità: “si deve pertanto ritenere che nel Vecchio Testamento il Matrimonio fu un simbolo ordinato da Dio a significare la futura unione di Cristo con la Chiesa (signum prognosticum, senza alcuna efficacia santificatrice), e che nel Nuovo Testamento rimane, per volere divino, come segno di una realtà compiutasi sulla Croce, le mistiche nozze di Cristo con la Chiesa; è pertanto un signum rememorativum, che appartenendo alla Nuova Legge possiede la prerogativa di santificare interiormente (signum demonstrativum gratiae)”[4].

Non solo quindi il matrimonio è elevato alla dignità di Sacramento dal Sacrificio di Cristo che effonde sugli sposi la grazia matrimoniale, ma il matrimonio rimane nei secoli come un “segno della realtà compiutasi sulla Croce”, come un segno perenne delle “mistiche nozze di Cristo con la Chiesa” e, così come per gli altri Sacramenti, dello stesso disegno dell’Incarnazione del Verbo. Ogni Sacramento infatti, nella sua natura come nel rito e negli obblighi che lo accompagnano, è un riflesso dell’Incarnazione del Verbo - dice San Tommaso - e a un tale mistero, in quanto causa universale di salvezza, necessariamente deve essere conforme[5]. Ecco il progetto divino che affonda le radici nel Vecchio Testamento e che vuol fare del matrimonio cristiano un’immagine della santità salvatrice dell’unica immacolata Sposa di Cristo, e un segno dello stesso mistero dell’Incarnazione. Ed ecco del pari schiudersi pian piano la gravità di quel disegno che, aggredendo il matrimonio cristiano, implica di fatto anche un’idea di Chiesa che non è quella voluta da Cristo.


Dal “divorzio cattolico” al divorzio della Chiesa da Cristo

 Dall’approvazione del concubinaggio - ed anche peggio - come via che comporterebbe in sé aspetti positivi in merito all’eterna salvezza quindi alla grazia stessa (!), all’idea di una Chiesa senza confini visibili, senza regole irreformabili, indipendente dalle immutabili verità di Cristo e in fondo non più divina, il passo è breve. Anzi brevissimo. Senza contare che se il modello - e quindi il segno ecclesiale, come visto - può anche diventare quello del pubblico adulterio, vuol dire che ci si sta avviando verso la ricercata immagine di una chiesa non solo lontanissima dalla santità di Dio, non solo in continua instabile “evoluzione sponsale” a seconda dei tempi nuovi, ma anche interprete e quasi propagatrice del “culto dell’uomo” e persino dei peggiori vizi dell’umanità. Una Chiesa che, se si vuol restare conseguenti, permanendo nell’immagine biblica, potrebbe passare (ci scusi il lettore, ma l’errore va denunciato nella sua crudezza) da uno sposo all’altro, abbandonando il suo vero ed unico marito: Nostro Signore Gesù Cristo (la cui divinità i modernisti hanno sempre - di fatto, anche se non sempre in teoria - misconosciuto). 

Quei “teologi” che imboccano la via dell’imbrattamento della santità matrimoniale, finiscono - volenti o nolenti - per teorizzare di fatto una certa possibilità (con risvolti persino connessi all’economia di salvezza!) del tradimento matrimoniale, e ciò anche quando lo Sposo tradito è Gesù Cristo. Se si prosegue il discorso con logica, dunque, è anche l’unicità salvifica di Gesù Cristo a farne le spese in ultima analisi, come del resto è già avvenuto. In un nostro articolo su “L’interessata riesumazione del Père Dupuis, Prove generali del Vaticano III contro la Dominus Jesus” [6] cui rinviamo, facevamo notare che nel contesto del dibattito sinodale è anche in atto un tentativo, velato ma organizzato, di riabilitazione di quelle teorie - condannate - che sostenne anche il noto gesuita belga. 

Tale tentativo, che si scaglia persino contro le definizioni della Dominus Jesus, viene da quegli stessi ambienti che sono i più convinti fautori anche della comunione ai concubini pubblici. E il dato non è casuale. Quanti non riconoscono infatti l’unicità salvifica di Cristo e forse - benché s’ammantino di vernice cristiana - nemmeno la Sua divinità, sono in coerente sintonia con i sovvertitori dell’indissolubilità matrimoniale. E ciò anche per quei descritti motivi, connessi ad una certa perversa coerenza del loro discorso “teologico”. Infatti, da un punto di vista speculativo, per così dire, se il “divorzio cattolico” diventa lecito è perché anche la Chiesa può in certo senso divorziare da Cristo o peggio vivere una sorta di concubinaggio salvifico per cui tutte le vie più o meno religiose ( e anche più o meno naturali…) sono buone per andare in Paradiso. Omosessualità compresa. Anzi, siamo già tutti più o meno in Paradiso fin da quaggiù, immersi in una sorta di pervadente panteismo che, dopo aver rinunciato alla sana metafisica e aver svuotato ogni verità d’ordine naturale (matrimonio compreso), ha falsificato il senso della stessa dottrina dell’Incarnazione del Verbo[7], snaturando al contempo la divina costituzione della Chiesa, che dell’Incarnazione è il prolungamento nella storia. 

E quando si afferma ripetutamente che bisogna andare “oltre le parole di Gesù Cristo” - forse troppo chiare per certe orecchie - si sta spesso celando che il vero disegno soggiacente è quello di andare semplicemente “oltre Gesù Cristo” (che quasi diventa solo uomo) ed oltre la Sua Chiesa (che “coerentemente” diventa società solo umana). 

Aggiungiamo che un tale “divorzio da Cristo” comporta anche il divorzio da quell’altra difficile verità: il sacrificio. Come le mistiche nozze fra Cristo e la Chiesa si consumarono sul Golgota, e da quell’acqua e quel sangue nacque quella società santa per la fede e i sacramenti ch’è la Chiesa, ebbene così anche il matrimonio cristiano si nutre certo della gioia della prole e del mutuo scambio d’amore, ma anche del pane del sacrificio. Sacrificio. Questa parola cui l’udito contemporaneo - compreso quello di certi “teologi” - è ormai allergico. Sacrificio soprannaturalmente fecondo “nella gioia e nel dolore”, “nella salute e nella malattia” e che è scaturigine di grazia anche nella società matrimoniale, ad immagine della vita di Cristo che si offre per la Sua Santa Chiesa. Ma per capire questo discorso bisogna accettare che esiste un ordine soprannaturale.

Il naturalismo contemporaneo invece, che si ben si sposa (“indissolubilmente” stavolta, oseremmo dire…) all’edonismo sfrenato, soffoca nell’antropocentrismo le nozioni di soprannaturalità, di sacrificio, di grazia meritata nella fedeltà al disegno di Dio. E ciò anche perché rifiuta la divinità della Chiesa, come ha già rifiutato la divinità di Cristo ed anche perché, in quell’accecamento dello spirito di cui parla la Bibbia (altro che “Chiesa dello Spirito”…), non riesce più a percepire non solo l’aspetto soprannaturale e l’inviolabilità di un Sacramento, ma nemmeno la semplice legge naturale.


Conclusioni

In dottrina cattolica c’è un’osmosi mistica e densa di significato che, dall’immagine della santità del matrimonio (addirittura di quello vetero-testamentario, non ancora sacramentale) va alla Chiesa; e questo stesso scambio va dall’intima natura della Chiesa al matrimonio cristiano, che è “immagine vivente” del mistero dell’unione di Cristo con la Chiesa. Il matrimonio cristiano “non è soltanto un esemplare che rimane fuori, ai margini delle mistiche nozze di Cristo, ma una copia, una riproduzione germogliata da quell’unione, impregnata della medesima essenza, che non solo raffigura, ma riproduce, attivo efficiente dentro di sé, il mistero dei rapporti di Cristo con la Chiesa”[8].

Teologia della Chiesa e teologia del matrimonio - per così dire - s’abbracciano. E ciò vale per i pensatori cattolici, ma anche per gli eretici. O le verità stanno insieme in piedi o insieme crollano, simul stabunt aut simul cadent. Unità, indissolubilità e santità sono le irrinunciabili caratteristiche del matrimonio cristiano che dell’unità, indissolubilità e santità della Chiesa è “immagine vivente”. Non c’è una via di mezzo.

Ecco perché pressoché tutti gli eretici, che hanno attentato alla santità della Chiesa e alla sua indissolubile unità con il Suo Sposo, hanno contemporaneamente attentato alla santità matrimoniale. Vi è certo una squallido calcolo politico, volto a procacciarsi facili consensi allentando le redini della morale, ma c’è anche qualcosa di più profondamente dottrinale. Si vedano le contraddizioni di Lutero, l’incoerente sistema della grazia dei giansenisti, la piaggeria statalista dei gallicani e dei regalisti o il naturalismo massonico degli illuministi; tutti hanno tentato di scardinare il matrimonio cristiano e con esso la divina costituzione della Chiesa. Persino gli scismatici greci associano la loro distorta teologia della Chiesa alla facoltà di rompere l’unità matrimoniale in alcuni casi, seppur più limitatamente che tra i protestanti. In ultimo, e non per importanza, citiamo il pensiero dei modernisti di ieri e di oggi, sfuggente, anguillesco ma sempre - pur tra le sue ambiguità - nemico giurato della divina costituzione della Chiesa ed insieme del vero matrimonio cristiano. La ragione ce l’ha detta San Paolo.

Compreso quindi questo nesso necessario si comprende anche perché la battaglia per la verità in ambito ecclesiologico, anche se talvolta è apparsa ad occhi poco attenti una disputa tra specialisti, è di importanza primaria, al fianco di quella per il matrimonio. Dalla corretta “teologia della Chiesa” deriva un corretto pensiero anche su verità basilari come quelle della famiglia, e lo scambio è vicendevole. E’ l’unità della fede.



                                                                                                  Don Stefano Carusi



[1] Il dato è stato già messo in valore da Mons. Livi commentando le teorie eucaristiche del prelato tedesco, A. Livi,L’Eucarestia secondo Kasper, in Disputationes Theologicae (2015), 31 luglio 2015.
[2] San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia Pars, q. 1, a.4.
[3] Denz. 1799.
[4] A. Piolanti, I Sacramenti, Roma 1990, p. 554.
[5] S. Tommaso d’Aquino, Contra Gentes, 4, 56.
[6] L’interessata riesumazione del Père Dupuis, in Disputationes Theologicae (2015), 29 gennaio 2015.
[7] Cfr. B. Gherardini, Il Dio di Gesù Cristo, in Disputationes Theologicae (2010), 29 gennaio 2010, in cui si analizzano le posizioni di Bruno Forte in merito alla teologia dell’Incarnazione. Sulla posizione di Walter Kasper in materia rimandiamo al riferimento di cui alla nota n.1 del presente scritto.




<header class="entry-header">

Mons. Forte svela un retroscena: “Questi non sai che casino ci combinano”

</header>

forte“Non giudicare, ma raggiungere tutti con lo sguardo della misericordia, ma senza rinunciare alla Verità di Dio. E’ facile dire “quella famiglia è fallita”, più difficile aiutarla a non fallire. Nessuno deve sentirsi escluso dalla Chiesa”. Questo il senso dell’esortazione Amoris laetitia secondo Mons. Bruno Forte, vescovo di Chieti-Vasto e segretario speciale del sinodo.

Ne ha parlato in recente un incontro pubblico presso il Testro Rossetti di Vasto, dove ha sottolineato che Amoris laetitia “non è una nuova dottrina, ma l’applicazione misericordiosa di quel “vino vecchio” che, come si sa, è sempre il più buono”.

Insomma, secondo mons. Forte, l’esortazione apostolica tiene insieme tutto, misericordia e verità, pastorale e dottrina, anche se lo sguardo di fondo è quello per cui “nessuno deve sentirsi escluso.”

Però mons. Forte ha svelato anche un retroscena dei lavori sinodali che, forse, aiuta a superare un linguaggio politicamente correttissimo per arrivare a comprendere meglio il documento. Almeno per quanto riguarda il tema mediaticamente più rilevante, ovvero la disciplina dei sacramenti per le coppie di divorziati risposati.

“Se parliamo esplicitamente di comunione ai divorziati risposati – ha riportato Mons. Forte riferendo una battuta di Papa Francesco – questi non sai che casino che ci combinano. Allora non ne parliamo in modo diretto, fa in modo che ci siano le premesse, poi le conclusioni le trarrò io.” Dopo aver riportato questa battuta lo stesso Forte ha scherzato dicendo: “Tipico di un gesuita.”



  non c'è che dire..... il Papa che fa del popolino un mare di idioti   




Un problema analogo all'affermazione (gravissima) di mons. Forte, ci viene da un articoletto di questo stesso periodo, che aiuta a far comprendere la drammaticità di questa situazione.....

Citarsi non è fine, lo so. Però…

di Marco Tosatti

Pubblicato il 28 aprile 2016 sul blog dell'Autore, San Pietro e dintorni
in calce riportiamo la nota pubblicata da Tosatti il 20 settembre 2014: 
Sinodo; come lo lavoro…
 




Citarsi non è fine, lo so. Però in certi casi è utile a capire come si siano formate certe situazioni. Mi riferisco all’esortazione post-sinodale del Pontefice, e delle controversie che sta – giustamente – sollevando su un punto che il Pontefice stesso non considera centrale, rispetto al tema più ampio della famiglia e del matrimonio; ma tant’è continua a monopolizzare l’interesse e le polemiche.  

 
La cosa abbastanza interessante e straordinaria, di questo documento, e che lo rende anomalo rispetto ai testi, magisteriali, dei precedenti pontefici in tema, è la sua possibilità di essere interpretato in maniera totalmente opposta. C’è chi sostiene che si tratta di una conferma della dottrina bimillenaria della Chiesa in tema di matrimonio, adulterio e divorzio. E chi invece sostiene che siamo di fronte a un qualche cosa che cambia tutto; un partito che accomuna alcuni dei più accesi sostenitori delle innovazioni e le ali più conservatrici della Chiesa.  

 
Per questo un vescovo, mons. Schneider, ha giustamente chiesto un’interpretazione autentica del documento [«Amoris Laetitia»: chiarire per evitare una confusione generale]; che sgombri il campo da ambiguità e confusioni. Speriamo che avvenga; ma siamo molto pessimisti. Perché nelle sue risposte sull’aereo di ritorno dal Messico il Pontefice non è stato chiaro; e ha rimandato alla conferenza stampa di un cardinale, per avere una lettura corretta del documento.   

 
Il che è una novità, e non da poco: cioè il rimando a una conferenza stampa, non a un testo ponderato e studiato, per risolvere i dubbi dei fedeli in punta di dottrina.  

 
Ma forse c’è un motivo; e qui veniamo alla citazione. In una cena dell’estate 2014, il personaggio principale di entrambi i Sinodi sulla Famiglia, quello dell’ottobre 2014 e dell’ottobre 2015, rivelava, conversando, in una cena elegante e alla presenza di laici e prelati, quale sarebbe stata la strategia per condurre i lavori dove si voleva. Vedete il testo completo: Sinodo; come lo lavoro….    

 
Ma per quanto riguardava il documento finale, il succo delle sue esternazioni, due anni e mezzo prima che Amoris Laetitia vedesse la luce erano: “E in effetti non tanto il Sinodo, sarà importante, ma la sintesi che ne verrà preparata, e che porterà la firma del Papa come “Esortazione post-sinodale”. E’ molto probabile che non sarà un testo chiaro e definitivo, ma basato su un’interpretazione “fluttuante”. In modo che ciascuno leggendolo, possa tirarselo dalla parte che più gli fa comodo. Cioè un testo diretto non a fare chiarezza, ma ad alimentare confusione. 
Il tutto annunciato con un largo anticipo. 

Sinodo; come lo manovro…


Il Sinodo sulla Famiglia parlerà di tante cose, ma i mass media parleranno probabilmente di una cosa sola, e cioè della possibilità per persone sposate, in chiesa, divorziate (senza riconoscimento di nullità del precedente legame) e risposate di poter avere la comunione.  

 
Succede già in una quantità di casi, in cui i sacerdoti, anche quelli “conservatori”, esaminano la situazione personale e prendono su di sé la responsabilità di dire: fai la comunione, ma in maniera discreta. Così è dai tempi di Giovanni Paolo II.  

 
Ma tant’è! Il cardinale Kasper, che già vent’anni fa aveva una sua idea in proposito, non accettata in quei due regni, ha visto con l’avvento di Bergoglio l’opportunità di riproporla. A dispetto del fatto che da Manila a Berlino, da New York all’Africa la grande maggioranza dei suoi colleghi abbiano, ancora una volta, riaffermato la Dottrina della Chiesa, basata, ahimé, sulle parole di Gesù; uno dei pochi casi in cui l’enunciazione appare netta, chiara, definitiva, e neanche messa in dubbio dai tagliuzzatori professionisti di pericopi…  

 
Insomma, le cose per Kasper & C. non hanno l’aria di mettersi molto bene. Ma forse c’è un modo, per aiutarlo. E per cercare di impedire che le voci fastidiose lo siano troppo rumorose. 

 
Il primo punto consiste nel chiedere che gli interventi scritti siano consegnati con largo anticipo. Il che è stato fatto. Entro l’8 settembre chi voleva intervenire al Sinodo dove far pervenire il suo temino.  

 
Secondo: leggere attentamente tutti gli interventi, e nel caso che alcuni di essi fossero particolarmente pepati, dare la parola a un oratore che prima dell’intervento spinoso, cercasse già di rispondere, in tutto o in parte, ai problemi sollevati dall’intervento stesso.  

 
Terzo: se qualche intervento appare proprio problematico, dire che purtroppo non c’è il tempo necessario per dare la parola a tutti, ma comunque il testo è stato acquisito, e resta agli atti e di sicuro se ne terrà conto nell’elaborazione finale.  
E in effetti non tanto il Sinodo, sarà importante, ma la sintesi che n verrà preparata, e che porterà la firma del Papa come “Esortazione post-sinodale”. E’ molto probabile che non sarà un testo chiaro e definitivo, ma basato su un’interpretazione “fluttuante”. In modo che ciascuno leggendolo, possa tirarselo dalla parte che più gli fa comodo.  

 
Umile osservazione di un povero cronista: ma se uno ha un piano così elaborato e astuto, perché parlarne di fronte a perfetti estranei durante una cena sontuosa? 



[Modificato da Caterina63 04/05/2016 12:09]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)