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  3. Perfettibilità della prassi vigente

L’attuale posizione dottrinale e disciplinare della Chiesa nei confronti dei divorziati risposati e dei conviventi è coerente e solidamente fondata nella Scrittura e nella Tradizione. Tuttavia nei confronti di essa c’è un diffuso malessere. Molte coppie irregolari percepiscono l’esclusione dalla comunione eucaristica come un’esclusione totale dalla Chiesa. Si sentono respinte dalla Chiesa e non avvertono più la vicinanza misericordiosa di Dio. Sono tentate di uscire dalla comunità ecclesiale e di perdere la fede.

È ovvio che il primo rimedio debba consistere nell’attuare con maggiore impegno le sagge indicazioni del Magistero. Ma c’è anche chi propone di aggiungere modalità più concrete e specifiche di attenzione alle coppie irregolari, in modo da conferire maggiore risalto e visibilità alla loro appartenenza ecclesiale e sostenere più efficacemente la loro vita spirituale. Si potrebbero affidare con maggiore larghezza ai divorziati risposati alcuni compiti ecclesiali finora vietati, almeno quando non lo sconsiglino inderogabili esigenze di esemplarità. Si potrebbero creare per essi (e anche per i conviventi) celebrazioni mirate al loro progresso spirituale. Si potrebbe sostituire con un gesto di benedizione la loro mancata ammissione all’Eucaristia, come a volte si fa con i cristiani non cattolici.

La proposta più impegnativa riguarda l’istituzione di uno specifico itinerario, finalizzato a discernere e compiere sempre meglio la volontà di Dio nella propria vita: un cammino personale e in piccole comunità, di riflessione e dialogo, preghiera e ascolto della Parola, impegno ecclesiale, familiare e sociale, servizio caritativo; un cammino prolungato nel tempo, fino al superamento della situazione incompatibile con l’Eucaristia o addirittura fino al termine della vita terrena, tenendo desta la fiducia nella misericordia di Dio e la speranza della vita eterna. Queste e altre analoghe proposte hanno aspetti sicuramente positivi; ma comportano anche il rischio di umiliare le persone e di emarginarle in una categoria a sé stante. Esigono in ogni caso prudenza, rispetto, delicata attenzione.

All’attuale prassi pastorale della Chiesa molti rimproverano che, escludendo in modo generalizzato tutte le coppie irregolari dalla comunione eucaristica, non terrebbe conto in misura sufficiente della cosiddetta legge della gradualità, enunciata peraltro con chiarezza dal Magistero stesso (cfr san Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 34). Ci si domanda se non sia possibile fare delle eccezioni, almeno in alcuni limitati casi particolari. Riprenderò tra poco la riflessione sull’argomento, che ora lascio sospeso.

 

4. Le proposte innovative

Un deciso cambiamento pastorale è fortemente caldeggiato dai media; è largamente atteso dall’opinione pubblica e anche da molti cattolici, laici e chierici. La recente Assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi (5-19 ottobre 2014) ne ha fatto oggetto di un vivace dibattito.

«In ordine a un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa svelare loro la divina pedagogia della grazia nelle loro vite e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro [...] Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia [...] Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate da diversi fattori psichici oppure sociali» (Relatio Synodi, nn. 25 e 52).

Il cambiamento pastorale è ispirato dal desiderio di rendere la Chiesa più accogliente e attraente verso tante persone ferite dalla crisi del matrimonio, largamente diffusa nella società contemporanea, testimoniando in modo concreto la misericordia di Dio verso di loro e verso tutti, riconoscendo i valori positivi presenti anche nelle convivenze irregolari, presentando il vangelo come un dono più che come un obbligo.

Le proposte più autorevoli non mettono in discussione l’indissolubilità del matrimonio cristiano. Anzi affermano che dovrebbero professarla gli stessi divorziati risposati, ammettendo di aver peccato con la rottura della precedente unione coniugale, domandando perdono e sottomettendosi alla penitenza. Non si considera la seconda unione come un matrimonio naturale, perché per i battezzati uno solo è il matrimonio valido, quello sacramentale. Tantomeno la si considera come un secondo matrimonio canonico, perché, rimanendo indissolubile il primo, si avrebbe una bigamia. Si preferisce per lo più parlare di unione imperfetta, quasi matrimoniale, o di vita comune, basata su alcuni valori umani e cristiani (per esempio l’affetto, la tenerezza, l’aiuto reciproco, la cura dei figli). Alcuni però parlano apertamente di secondo matrimonio naturale, non sacramentale, o di matrimonio civile. In sintesi, al di là delle variazioni terminologiche, si ritiene che la seconda unione sia compatibile con l’indissolubilità della prima, almeno in certi casi; anzi, che debba essere apprezzata come un bene da tutelare, rinunciando ad esigere sia la separazione sia la continenza sessuale, che sarebbe eccessivamente gravosa e difficile.

Nell’Assemblea straordinaria del 2014, quella parte dei padri sinodali che si è mostrata favorevole al cambiamento ha ammesso come accettabile solo «un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari e a condizioni ben precise» (Relatio Synodi, 52). Ai divorziati risposati la comunione eucaristica sarebbe da concedere solo nei casi irreversibili, dopo che sono stati soddisfatti gli obblighi derivanti dal primo matrimonio e una volta compiuto un cammino penitenziale disciplinato dal vescovo.

Quanto agli esperti, alcuni ipotizzano l’ammissione parziale all’Eucaristia, solo in circostanze particolari, assai significative per la vita personale o familiare, oppure una sola volta all’anno, a Pasqua. Alcuni poi affermano che la nuova disciplina dovrebbe rimanere circoscritta ai soli divorziati risposati civilmente, lasciando esclusi i conviventi di fatto, i conviventi registrati, i conviventi omosessuali.

Personalmente ritengo che questa ultima limitazione sia poco realistica, perché i conviventi sono molto più numerosi dei divorziati risposati. Per la pressione sociale e per la logica interna delle cose finiranno senz’altro per prevalere le opinioni orientate verso un più largo permissivismo.

 

5. Obiezioni contro l’ammissione dei conviventi irregolari all’Eucaristia.

Autorevoli pastori e qualificati esperti hanno sollevato contro le proposte innovative, che rivoluzionano la prassi della Chiesa, varie obiezioni degne della massima attenzione.

a. Non va sottovalutato il rischio di compromettere la credibilità del Magistero del Papa, che anche recentemente con san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ha escluso ripetutamente e fermamente la possibilità di ammettere ai sacramenti i risposati e i conviventi. Con quella del Papa, viene indebolita anche l’autorità di tutto l’episcopato cattolico, che per secoli ha condiviso la stessa posizione.

b. Accoglienza ecclesiale verso i divorziati risposati e più in generale verso i conviventi irregolari non significa necessariamente accoglienza eucaristica. È vero che l’Eucaristia è necessaria per la salvezza, ma ciò non significa che di fatto si salvano solo quelli che ricevono questo sacramento. Anche la Chiesa è necessaria per la salvezza, ma ciò non significa che di fatto si salvano solo quelli che appartengono ad essa in modo visibile.

L’Eucaristia è l’espressione suprema della comunione con Cristo, per la santificazione dei singoli cristiani e per l’edificazione della Chiesa. È vero che tutti abbiamo dei difetti e non siamo degni di ricevere il Santissimo Sacramento; ma ci sono difetti e difetti; c’è indegnità e indegnità. «Chiunque mangia o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore [...] mangia e beve la propria condanna» (1Cor 11, 27.29). Costantemente la Chiesa ha insegnato che il peccato mortale esclude dalla comunione eucaristica e deve essere rimesso mediante il sacramento della penitenza (cfr per esempio Concilio di Trento, DH 1647; 1641; Catechismo della Chiesa Cattolica 1415).

Inoltre l’ammissione alla comunione eucaristica non è solo una questione di santificazione individuale. Un cristiano non cattolico o addirittura un credente di altra religione non battezzato, potrebbe essere spiritualmente più unito a Dio di un cattolico praticante e tuttavia non può venire ammesso alla comunione eucaristica, perché non è in piena comunione visibile con la Chiesa.

L’Eucaristia è vertice e fonte della comunione spirituale e visibile. Anche la visibilità è essenziale, in quanto la Chiesa è sacramento generale della salvezza e segno pubblico di Cristo Salvatore nel mondo. Ma, purtroppo, i divorziati risposati e gli altri conviventi irregolari si trovano in una situazione oggettiva e pubblica di grave contrasto con il vangelo e con la dottrina della Chiesa.

Nell’odierno contesto culturale di relativismo c’è il rischio di banalizzare l’Eucaristia e ridurla a un rito di socializzazione. È già successo che persone neppure battezzate si siano accostate alla mensa, pensando di fare un gesto di cortesia, o che persone non credenti abbiano reclamato il diritto di comunicarsi in occasione di nozze o di funerali, semplicemente in segno di solidarietà con gli amici.

c. Si vorrebbe concedere l’eucarestia ai divorziati risposati affermando l’indissolubilità del primo matrimonio e non riconoscendo la seconda unione come un vero e proprio matrimonio (in modo da evitare la bigamia). Questa posizione è diversa da quella delle Chiese Orientali che concedono ai divorziati risposati civilmente un secondo (e terzo) matrimonio canonico, sia pure connotato in senso penitenziale. Anzi, per certi aspetti, appare più pericolosa, in quanto conduce logicamente ad ammettere il lecito esercizio della sessualità genitale fuori del matrimonio, anche perché i conviventi sono molto più numerosi dei divorziati risposati. I più pessimisti prevedono che si finirà per ritenere eticamente lecite le convivenze prematrimoniali, le convivenze di fatto registrate e non registrate, i rapporti sessuali occasionali, e forse le convivenze omosessuali e perfino il poliamore e la polifamiglia.

d. È senz’altro auspicabile che nella pastorale si assuma un atteggiamento costruttivo, cercando di «cogliere gli elementi positivi presenti nei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze» (Relatio Synodi, n. 41). Certamente anche le unioni illegittime contengono autentici valori umani (ad esempio, l’affetto, l’aiuto reciproco, l’impegno condiviso verso i figli), perché il male è sempre mescolato al bene e non esiste mai allo stato puro. Tuttavia bisogna evitare di presentare tali unioni in se stesse come valori imperfetti, mentre si tratta di gravi disordini. «Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio» (1Cor 6, 9-10).

La legge della gradualità riguarda solo la responsabilità soggettiva delle persone e non deve essere trasformata in gradualità della legge, presentando il male come bene imperfetto. Tra vero e falso, tra bene e male non c’è gradualità. Mentre si astiene dal giudicare le coscienze, che solo Dio vede, e accompagna con rispetto e pazienza i passi verso il bene possibile, la Chiesa non deve cessare di insegnare la verità oggettiva del bene e del male, mostrando che tutti i comandamenti della legge divina sono esigenze dell’amore autentico (cfr Gal 5, 14; Rom 13, 8-10) e che l’amore, sostenuto dalla grazia dello Spirito Santo, può osservare i comandamenti e perfino andare oltre.
Perciò la castità, anche se difficile, è possibile a tutti, secondo la loro condizione: agli sposati, ai celibi, ai divorziati risposati. Questi ultimi, anche se per necessità dei figli o propria non interrompono la vita comune, possono almeno ricevere la grazia e la forza di praticare la continenza sessuale, vivendo una relazione di amicizia e di aiuto reciproco ‘come fratello e sorella’ e rinunciando ad avere i rapporti sessuali, i quali invece sono propri del matrimonio e caratterizzano l’amore coniugale (cf. san Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 84).

e. L’ammissione dei divorziati risposati e dei conviventi alla mensa eucaristica comporta una separazione tra misericordia e conversione, che non sembra in sintonia con il vangelo.

Questo sarebbe l’unico caso di perdono senza conversione. La misericordia di Dio opera la conversione dei peccatori: non solo li libera dalla pena, ma li guarisce dalla colpa; non ha nulla a che fare con la tolleranza. Da parte sua Dio concede sempre il perdono; ma lo riceve solo chi è umile, si riconosce peccatore e si impegna a cambiar vita. Invece il clima di relativismo e soggettivismo etico-religioso, che oggi si respira, favorisce l’autogiustificazione, particolarmente in ambito affettivo e sessuale. Il bene è ciò che si sente come gratificante e rispondente ai propri desideri istintivi. Onestà e rettitudine d’animo è la cosiddetta autenticità, intesa come spontaneità.
D’altra parte si tende a sminuire la propria responsabilità, attribuendo gli eventuali fallimenti ai condizionamenti sociali. Si diffonde l’opinione che, se i matrimoni falliscono, la responsabilità principale non è degli stessi coniugi, ma delle condizioni economiche e lavorative, della mobilità professionale, delle esigenze di carriera, insomma della società. È facile inoltre attribuire la colpa del fallimento all’altro coniuge e proclamare la propria innocenza. Non si deve però tacere il fatto che, se la colpa del fallimento può qualche volta essere di uno solo, almeno la responsabilità della nuova unione (illegittima) è di ambedue i conviventi ed è questa soprattutto che, finché perdura, impedisce l’accesso all’Eucaristia.

Non ha fondamento teologico la tendenza a considerare positivamente la seconda unione e a circoscrivere il peccato alla sola precedente separazione. Non basta fare penitenza per questa soltanto. Occorre cambiare vita.

f. Di solito i favorevoli alla comunione eucaristica dei divorziati risposati e dei conviventi affermano che non si mette in discussione l’indissolubilità del matrimonio. Ma, al di là delle loro intenzioni, stante l’incoerenza dottrinale tra l’ammissione di queste persone all’Eucaristia e l’indissolubilità del matrimonio, si finirà per negare nella prassi concreta ciò che si continuerà ad affermare teoricamente in linea di principio, rischiando di ridurre il matrimonio indissolubile a un ideale, bello forse, ma realizzabile solo da alcuni fortunati.

Istruttiva al riguardo è la prassi pastorale sviluppatasi nelle Chiese Orientali Ortodosse. Esse nella dottrina affermano l’indissolubilità del matrimonio cristiano. Tuttavia nella loro prassi si sono progressivamente moltiplicati i motivi di scioglimento del precedente matrimonio e di concessione di un secondo (o terzo) matrimonio. Inoltre sono diventati numerosissimi i richiedenti. Ormai chiunque presenta un documento di divorzio civile ottiene anche dall’autorità ecclesiastica l’autorizzazione al nuovo matrimonio, senza neppure dover passare attraverso un’indagine e valutazione canonica della causa. È prevedibile che anche la comunione eucaristica dei divorziati risposati e dei conviventi diventi rapidamente un fatto generalizzato. Allora non avrà più molto senso parlare di indissolubilità del matrimonio e perderà rilevanza pratica la stessa celebrazione del sacramento del matrimonio.

 








Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)