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  8. Amore, indissolubilità, validità

L’indissolubilità conserva tutto il suo significato e la sua urgenza anche all’interno di una visione personalista del matrimonio, come è quella proposta dal Concilio Vaticano II. «L'intima comunità di vita e d'amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dall'alleanza dei coniugi, vale a dire dall'irrevocabile consenso personale… In vista del bene dei coniugi, della prole e anche della società, questo legame sacro non dipende dall'arbitrio dell'uomo. Perché è Dio stesso l'autore del matrimonio, dotato di molteplici valori e fini… Per la sua stessa natura l'istituto del matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento… Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità» (Gaudium et Spes, 48).

Certamente in questa visione del Concilio il matrimonio non è riducibile a un contratto giuridico; ma non è riducibile neppure a una sintonia affettiva, spontanea e senza legami. Esso è chiaramente delineato come una forma di vita comune plasmata dall’amore coniugale, che per natura sua è ordinato alla procreazione e all’educazione della prole e perciò comporta l’intimità sessuale, la donazione reciproca totalizzante, fedele e indissolubile.

L’apertura ai figli e l’intimità sessuale caratterizzano l’amore coniugale rispetto ad ogni altro amore. Esso include l’amicizia, la collaborazione e la convivenza con le loro molteplici dimensioni, ma tutto orienta e organizza in relazione alla generazione ed educazione della prole. Senza la comune donazione ai figli la relazione reciproca tra i coniugi scade facilmente a ricerca e precaria coincidenza di interessi e gratificazioni egoistiche. Comunque, il fondamentale vincolo coniugale indissolubile, che nessun divorzio può sciogliere, è impersonato dai figli. In vista di esso sorge il vincolo morale e giuridico dell’indissolubilità. Proprio perché chiamati ad essere uniti per sempre nella persona del figlio come padre e madre, i coniugi sono chiamati a rimanere uniti innanzitutto come marito e moglie. In questa prospettiva si intuisce perché l’alleanza coniugale, stabilita con il consenso, venga poi definitivamente perfezionata con il rapporto sessuale. “Questo amore è espresso e sviluppato in maniera tutta particolare dall’esercizio degli atti che sono propri del matrimonio” (Gaudium et Spes, 49).

La comunione coniugale “si esprime mediante sentimenti e gesti di tenerezza e pervade tutta quanta la vita dei coniugi” (Gaudium et Spes 49); coinvolge le persone e le loro attività, le anime e i corpi, l’intelligenza, la volontà, l’affettività; è prima dono di Dio e poi impegno dell’uomo, dono di Dio irrevocabile da accogliere in un progetto di vita comune per sempre. I credenti che nel battesimo sono stati inseriti in Cristo come singoli, nel matrimonio vengono inseriti in lui come coppia e chiamati a essere simbolo concreto, rappresentazione e partecipazione, dell’alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa. Il vincolo coniugale, come il carattere battesimale e come ogni altro dono, può essere rifiutato non però annullato. È un dono che urge un dovere e dà la capacità di compierlo.

A proposito viene spontaneo ricordare l’insegnamento di san Giovanni Paolo II sulla praticabilità delle norme date da Dio: «Con i comandamenti il Signore ci dona la possibilità di osservarli» (Veritatis Splendor, 102); «Il credente trova la grazia e la forza di osservare sempre la legge santa di Dio, anche in mezzo alle difficoltà più gravi» (Veritatis Splendor 103). In tale prospettiva l’indissolubilità del matrimonio appare come una vocazione realizzabile nel vissuto concreto: il dono irrevocabile di Dio diventa un vincolo indissolubile, che può e deve essere rispettato.

La visione del matrimonio come comunione di amore coniugale, che viene donata da Dio e vissuta dai coniugi in un corrispondente progetto di vita insieme, ha delle conseguenze riguardo alla validità o nullità della celebrazione nuziale. Per la validità, sembra necessario che l’eros non si riduca alla sola ricerca della gratificazione individuale, ma si integri con il dono di sé all’altro. Solo con l’amore oblativo reciproco si realizza una vera comunione interpersonale, diversa da una precaria coincidenza di egoismi. «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Per celebrare validamente il sacramento, che è rappresentazione e partecipazione dell’amore nuziale di Cristo per la Chiesa, appare necessario l’amore coniugale oblativo, almeno come progetto di vita, da parte dei nubendi. Tale amore comprende sia l’affetto, il rispetto e il servizio verso l’altro coniuge, sia l’apertura di ambedue alla procreazione ed educazione dei figli.

Per la valida celebrazione del matrimonio occorre la fede almeno implicita (cfr san Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 68), sulla quale la Terza Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo ha iniziato a riflettere (cfr Relatio, 48). Ritengo però che nell’odierno contesto culturale di individualismo egocentrico debbano essere ugualmente presi in considerazione, in ordine a una eventuale dichiarazione di nullità, il proposito e la capacità di amare in modo oblativo e che prima ancora sia necessario promuovere decisamente una seria educazione dei giovani alla verità dell’amore e un’adeguata preparazione dei fidanzati al matrimonio.

 











Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)