00 07/06/2016 10:07

<header class="entry-header">

Sacerdoti santi o sacerdoti buoni?



</header>

«I guai della Chiesa sono derivati da quanto hanno detto e fatto, dopo il Concilio, parecchie persone […]. Da questo punto di vista, il più pericoloso dei teologi non è Hans Kung, perché sostiene tesi così strampalate che nessuno (o quasi nessuno) gli crede. Il più pericoloso è il gesuita Karl Rahner, il quale scrive benissimo ed ha l’aria di essere ortodosso, ma ha sempre sostenuto che occorre una “nuova teologia”. Una teologia cioè che metta da parte Gesù e che vada bene per il nostro secolo» (Giuseppe card. Siri. Citato in Benny Lai, Il Papa non eletto. Giuseppe Siri, Cardinale di Santa Romana Chiesa, Laterza, Bari, 1993, pp. 291, nota 20).


In questo editoriale non vogliamo “prendercela con” il Santo Padre, quanto segnalare piuttosto una certa… pastorizia moderna, dilagante oramai da anni nella Chiesa, e che sta andando a sostituire per davvero l’essenza dell’antica e pura pastura della nostra fede cattolica. Parliamo della sostituzione del concetto puro della santità con il più generico, accomodante, o sincretista “essere buoni”.


Nelle tre meditazioni che Papa Francesco ha fatto ai Sacerdoti, in occasione del Giubileo per il 2 giugno u.s. nella seconda fatta in Santa Maria Maggiore (per altro molto bella) ha detto, però, testuali parole: «In quel momento trascorso da solo con Maria, che mi è stato regalato dal popolo messicano, con lo sguardo rivolto alla Madonna, la Vergine di Guadalupe, e lasciandomi guardare da lei, le ho chiesto per voi, cari sacerdoti, che siate buoni preti. L’ho detto, tante volte…».


Facendo scorrere per un momento le pagine delle preghiere più belle e più popolari della Chiesa, tra le pagine dei breviari e catechismi, si scorge immediatamente un cambiamento di intenzioni che non è solo il momento di una svista innocente, ma sembra essere diventato da anni la “nuova” immagine del prete e di cosa dovrebbe essere. Ci preoccupa l’occultamento di un certo più dottrinale munus sanctificandi.


Tutto sommato di cosa dovremo lamentarci? Se da cinquant’anni a questa parte non si fa altro che predicare: la “nuova” Chiesa, la nuova liturgia, la nuova messa, il nuovo catechismo, le nuove parrocchie (costruite secondo la desacralizzazione e la scristianizzazione di oggi), va da sé che alla fine della fiera, alla fine di tal mercato, ci stiamo addentrando anche nella nuova dottrina, nelle nuove concezioni di un presunto cattolicesimo che, in verità, più che di fede universale, ci conduce ad una fede da supermercato, i cui prodotti sistemati nelle varie scaffalature, è alla libera scelta dei consumatori.


I prodotti passati — preconciliari — sono in scadenza e perciò vengono offerti con lo sconto, dice infatti il Papa — nella prima meditazione in San Giovanni Laterano — su una delle ultime (davvero ultima) encicliche più belle e più evangeliche per la nostra santificazione: «Ricordo quando Pio XII ha fatto l’Enciclica sul Sacro Cuore, ricordo che qualcuno diceva: “Perché un’Enciclica su questo? Sono cose da suore…”», il centro, il Cuore di Cristo, è il centro della misericordia. Forse le suore capiscono meglio di noi, perché sono madri nella Chiesa, sono icone della Chiesa, della Madonna. Ma il centro è il cuore di Cristo. Ci farà bene questa settimana o domani leggereHaurietis aquas “Ma è preconciliare!” – Sì, ma fa bene! Si può leggere, ci farà molto bene!…».


Per carità, ringraziamo il Santo Padre per aver tirato in ballo questa enciclica ma… che tristezza udire dalle sue parole quel “è preconciliare, ma si può leggere”, e che contraddizione  l’averla definita prima una enciclica che parla del “centro del Cuore di Cristo”, per aggiungere poi con tono deprezzato che è sì preconciliare, ma “si può” leggere. Insomma come a dire: facciamola questa fatica, fatela questa fatica, è in offerta!! è un 3×2, anzi, è gratis perché in scadenza. Facendo anche pensare, magari, che tanti altri testi preconciliari, sono scaduti e non servono, non vale la pena leggere.


È il nuovo che avanza, inesorabilmente, che invece di integrarsi all’antico in una miscela omogenea, avanza con superbia rigettando del vecchio l’essenza più genuina della sana dottrina, e dunque anche della formazione dei “nuovi preti”.


Karl Rahner, SJ (1904-1984)
Karl Rahner, SJ (1904-1984)

Cari lettori, questo è il cuore del rahnerismo: un cattolicesimo di scelta, pieno di scaffali tra i quali scegliere ciò che più può far comodo e, spesse volte, aggiungendo una salsa di qua, ed una di la, tirare fuori un bel minestrone che possa soddisfare ogni clientela. Attenti a non dimenticare quel saggio detto che dice: il diavolo fa le pentole ma non i coperchi!


In tutta la Bibbia, spiegata poi negli insegnamenti dei Padri e di tutto il santo magistero della Chiesa bimillenaria, il concetto di “buono” non ha lo stesso significato assunto oggi in questa cultura moderna. Buono nella Scrittura è solo Dio e poi, naturalmente, vi si aggrega chi compie la sua volontà, chi si prodiga per la sua causa: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti» (Mt 19, 17); «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre» (Mc 10, 18-19).


Spiega ragionevolmente il grande Don Divo Barsotti che se il Signore ci avesse voluti “semplicemente buoni”, non avrebbe dato vita ai sacramenti, non si sarebbe Incarnato  e non avrebbe avuto la necessità di istituire il sacerdozio che ha a che fare con il peccato degli uomini. Desiderare sacerdoti buoni, cattolici buoni, va bene ma non basta perché il cristiano è battezzato per diventare santo! Il Papa non ha detto una cosa sbagliata, intendiamoci, ma è incompleta ed è, a ragion veduta, l’emergere di questa nuova pastorale di stampo rahneriano che ha invaso la Chiesa da cinquant’anni a questa parte.


I “buoni”, comunemente e socialmente intesi, li possiamo trovare un poco ovunque, anche nelle altre religioni, anche fra gli atei, persino tra gli agnostici, ma non è questo che è venuto a fare Gesù, non è venuto a “creare una classe o una società” di buoni, ma di Santi! È venuto per santificarci e nel Suo Regno non si entra se non ci siamo in qualche modo santificati, per questo è morto sulla Croce, per attirarci verso questa santificazione che è quella purificazione, alla fine, dalla contaminazione del peccato originale. Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica:


(n. 1989) La prima opera della grazia dello Spirito Santo è la conversione, che opera la giustificazione, secondo l’annuncio di Gesù all’inizio del Vangelo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino » (Mt 4,17). Sotto la mozione della grazia, l’uomo si volge verso Dio e si allontana dal peccato, accogliendo così il perdono e la giustizia dall’alto. «La giustificazione […] non è una semplice remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore». «Per i santi, che sono sulla terra, uomini nobili, è tutto il mio amore…» (Sal 15,3); «Diede ai santi la ricompensa delle loro pene, li guidò per una strada meravigliosa, divenne loro riparo di giorno e luce di stelle nella notte.» (Sap 10,17); «Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19,6); «A quanti sono in Roma diletti da Dio e santi per vocazione, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo…» (Rm 1,7). Essere “buoni” ed essere “santi”, non sono sinonimi, così come è ovvio che chi è santo è anche davvero buono, ma chi è buono non è detto che sia santo.


Per questo, sempre il Catechismo specifica che: n.2015


“Il cammino della perfezione passa attraverso la croce. Non c’è santità senza rinuncia e senza combattimento spirituale. Il progresso spirituale comporta l’ascesi e la mortificazione, che gradatamente conducono a vivere nella pace e nella gioia delle beatitudini”.


Non è un caso se in tutta la dottrina rahneriana è assente o capovolta la dottrina della Grazia, della grazia santificante e il tutto viene ridotto ad atti di bontà, al buonismo, all’essere buoni per ricevere la ricompensa del paradiso. In molti discorsi rivolti al Clero Papa Francesco continua a descrivere l’immagine del “sacerdote buono” senza specificare la necessità della sua santità nei confronti del peccato: “Quanti ne abbiamo conosciuti di preti buoni e fedeli, la cui esistenza parla la lingua della pazienza e della perseveranza” (2014, ai vescovi italiani riuniti ad Assisi per l’Assemblea straordinaria) e parla anche della loro santità, sì, ma sempre in vista al compimento di atti umanitari. E questo non vuol dire che ciò è sbagliato, ma le priorità diventano ambigue capovolgendone i valori: ci si salva per essere stati “buoni”, ci si santifica per essere stati “buoni”, indipendentemente dalla conversione al Cristo, da quell’amare Dio “sopra ogni cosa” e poi “ama il prossimo tuo come te stesso”.


Rahner nel suo Fondamenti della teologia pastorale spiega come per lui — la santità nella Chiesa e della Chiesa — è talmente scontata da non poterla assolutamente perdere, essa è palesemente “santa” sia nella realtà oggettiva (attraverso i sacramenti per cui “tutti devono” riceverli, tutti i peccatori anche se continuassero a peccare), quanto nella realtà soggettiva, semplicemente perché essa dipende da Dio; questa santità non scomparirà mai dalla Chiesa e quindi non bisogna preoccuparsene. Il discorso poi si complica e si amplifica, ma ci basti ricordare che per Rahner la Chiesa è “soltanto un segno di Dio” nel mondo; e la Chiesa “non può mai affermare che la grazia di Dio sia solo là dove c’è il segno“, questo porta a far parlare Rahner del famoso concetto dei “cristiani anonimi”, della grazia anche laddove gli uomini non fossero cristiani, battezzati. Non più “la Grazia”, ma semplicemente “grazia”.


Ci basti ricordare la “preghiera” che Karl Rahner ripeteva quando era perito al concilio: “Che lo Spirito Santo guidi la Chiesa in modo che rinunci ai dogmi e alle condanne; allora i teologi potrebbero col tempo, trovare ciò che è giusto” e, come se non bastasse, diceva: “gli enunciati della fede tradizionale (ossia i dogmi, la dottrina) sono inadeguati, in buona parte, per lo meno per quanto concerne ciò che è necessario prima di ogni altra cosa: l’annuncio della fede…”. L’ambiguità di Rahner è palese: in mezzo a pensieri chiaramente assurdi, ne infila uno buono “l’annuncio della fede”.


A parte il fatto di una preghiera che chiede alla Terza Persona della SS.ma Trinità di rinnegare Se stessa, o di agire in modo schizofrenico contro la Sposa di Cristo, ma che cosa è per Rahner questo annuncio della fede così urgente da non dover essere sottoposto al vaglio della dottrina che è Cristo stesso? È l’idealismo, il buonismo, l’esistenzialismo, il volemose bene se preferite, e per dirla più chiaramente è quellasvolta antropologica di cui avrete sentito parlare, la “nuova teologia” — o meglio,l’equivoca filosofia religiosa — di Rahner che “non si occupa di Dio” la cui dimostrazione è impossibile, e dunque ci si occupa dell’uomo nel quale il concetto di Dio appare.


Ci fermiamo qui perché, se siamo riusciti a mettervi in difficoltà, siamo riusciti nel nostro intento, ossia, far emergere le implicazioni confusionarie di certa pastorale modernista intrisa ovunque nella Chiesa ed oggi, purtroppo, anche in molti discorsi pontifici. Ma dobbiamo arrivare a delle conclusioni.


Per Rahner non abbiamo bisogno di santi, di sacerdoti santi, perché alla fine della fiera — santi — lo siamo tutti a prescindere da… La Chiesa allora deve “creare” uomini buoni, validi, servizievoli. Da cinquant’anni la Chiesa tutta ripete il pensiero di Rahner, dopo averlo trasformato nella nuova pastorale, secondo il quale la Chiesa “non deve trattare la secolarizzazione del mondo come una cosa negativa in sé, ma come una opportunità…” per predicare il vangelo in modo nuovo e senza dottrine, accettando il mondo come è, trovandoci piuttosto “ciò che è buono”. In parole semplici per noi comuni mortali e, potremo dire anche di pecore “senza pastori”, l’annuncio della fede non deve contenere nulla di religioso, via dunque il concetto dottrinale della santità e avanti tutta con il modello dell’uomo nuovo buono, filantropico, solidale! Sfidiamo chiunque a non trovare tutto questo nella pastorale attuale ed odierna della Chiesa.


Papa San Pio X
Papa San Pio X

Siamo allo stravolgimento del magistero ecclesiale di duemila anni di storia raccolto nei testi, soprattutto e non a caso, di San Pio X in quello mirabile della Pascendi Dominici grecis (che compirà 110 anni nel 2017), dove leggiamo:


Alludiamo, o Venerabili Fratelli, a molti del laicato cattolico e, ciò ch’è più deplorevole, a non pochi dello stesso ceto sacerdotale, i quali, sotto finta di amore per la Chiesa, scevri d’ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere, tutti anzi penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si dànno, senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima; e, fatta audacemente schiera, si gittano su quanto vi ha di più santo nell’opera di Cristo, non risparmiando la persona stessa del Redentore divino, che, con ardimento sacrilego, rimpiccioliscono fino alla condizione di un puro e semplice uomo…


Di qui, Venerabili Fratelli, quell’assurdissimo effato dei modernisti che ogni religione, secondo il vario aspetto sotto cui si riguardi, debba dirsi egualmente naturale e soprannaturale. Di qui lo scambiar che fanno, come di pari significato, coscienza e rivelazione. Di qui la legge, per cui la coscienza religiosa si dà come regola universale, da porsi in tutto a pari della rivelazione, ed alla quale tutti hanno obbligo di sottostare, non esclusa la stessa autorità suprema della Chiesa, sia che ella insegni, sia che legiferi in materia di culto o di disciplina.


Segnaliamo infine le tre Catechesi di Benedetto XVI sul Sacerdote, durante l’Anno Sacerdotale, dove spiega mirabilmente cosa deve essere un sacerdote, cosa è e cosa non è, e in base a queste catechesi supplicare Dio e chiedere a Dio che ci mandi “Santi Sacerdoti” perché, se sono santi ci santificano, se non lo sono rischiano di rovinare anche il gregge. Pensiamo ai grandi Sacerdoti come il Santo Curato d’Ars o San Padre Pio, ma per averli bisogna desiderarli e umilmente chiederli!


papstpresseUdienza Generale del 14 aprile 2010: Munus docendi; Udienza Generale del 5 maggio 2010: Munus sanctificandi; Udienza Generale del 26 maggio 2010: Munus regendi.


Benedetto XVI già denunciava la deriva rahneriana, e con le sue parole prese dall’Udienza del 5.5.2010, concludiamo con le sue riflessioni:


«Che cosa vuol dire la parola “Santo”? La risposta è: “Santo” è la qualità specifica dell’essere di Dio, cioè assoluta verità, bontà, amore, bellezza – luce pura. Santificare una persona significa quindi metterla in contatto con Dio, con questo suo essere luce, verità, amore puro. E’ ovvio che tale contatto trasforma la persona. (…) Negli ultimi decenni, vi sono state tendenze orientate a far prevalere, nell’identità e nella missione del sacerdote, la dimensione dell’annuncio, staccandola da quella della santificazione; spesso si è affermato che sarebbe necessario superare una pastorale meramente sacramentale. (…) È necessario riflettere se, in taluni casi, l’aver sottovalutato l’esercizio fedele delmunus sanctificandi, non abbia forse rappresentato un indebolimento della stessa fede nell’efficacia salvifica dei Sacramenti e, in definitiva, nell’operare attuale di Cristo e del suo Spirito, attraverso la Chiesa, nel mondo».




BIBLIOGRAFIA


Karl Rahner. Un’analisi critica. Le figure, l’opera e la recensione (AA.VV., Cantagalli, 2009)





L’avventura di un povero cristiano. Oggi

Scena prima. Esterno giorno. Cortile di una parrocchia. La catechista, seduta davanti al banchetto, registra le prenotazioni per l’oratorio estivo. In poche ore si arriva alla quota prevista: centosettanta ragazzi. Per tutti i genitori che lavorano l’oratorio estivo è una risorsa importantissima, ma ovviamente è stato necessario fissare un tetto. Nell’accettare la prenotazione si favoriscono i ragazzi che hanno frequentato il catechismo in parrocchia e che abitano nella zona. Raggiunta la quota massima prevista, si entra in una lista d’attesa. Arriva un papà, chiede l’ammissione per il figlio, gli viene risposto che per ora è in lista d’attesa e il signore reagisce duramente: «Ma come? Non ci posso credere! Papa Francesco accoglie tutti e voi invece no? Ma che parrocchia è mai questa? Siete rimasti indietro! L’esempio del papa non vi ha insegnato niente?». La signora catechista, dietro al banchetto, resta senza parole. Si vede che è un po’ spaventata.

Scena seconda. Interno sacrestia. Il parroco riceve un signore al quale è stato chiesto di fare da padrino a un battesimo. Il parroco si informa quindi circa i requisiti: caro signore, lei è credente? Va regolarmente a messa? È battezzato? Ha ricevuto prima comunione e cresima? Frequenta una parrocchia? Si scopre che il candidato è un  credente fai da te, uno dei tanti. Ha ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana ma non va più a messa da tempo e non si confessa. Si scopre poi che è divorziato e risposato. Il parroco spiega dunque che non ci sono i requisiti per poter fare il padrino, e l’uomo replica a muso duro: «Lei è un retrogrado! Guarda ancora a queste cose?  Papa Francesco apre a tutti e lei mi impedisce di fare il padrino! Si aggiorni! Ma per lei la misericordia non esiste?». E se ne va indignato.

Scena terza. Interno salone parrocchiale. Un gruppo di signore (catechiste, gruppo Caritas, coro) è riunito per uno degli appuntamenti settimanali. Entra un’altra signora e, con voce squillante, si rivolge a un’amica: «Carissima, sono proprio felice per te! Hai visto? Il papa ha detto che adesso anche tu puoi fare la comunione! Era ora!». La signora destinataria dell’annuncio, seduta fra le altre, resta un pochino sorpresa. È separata e da tempo ha intrapreso una nuova relazione. Di conseguenza, niente comunione. Lei ci soffre, ma ha accettato. Con il parroco sta facendo un cammino spirituale  e l’intera comunità è attenta e rispettosa nei suoi confronti. Sa di Amoris laetitia e del dibattito in corso. Quindi questa amica che, tutta felice e sorridente, proclama che adesso l’accesso alla comunione è cosa fatta, la sconcerta. Prova a replicare: «Ti ringrazio, ma non è proprio così. Si tratta di fare discernimento…». E l’altra: «Ma no, che cosa dici? Ti assicuro: ora puoi! L’ha detto papa Francesco! Sono così felice per te!».

Quelle appena riportate sono soltanto tre situazioni – reali – fra le tante che si potrebbero citare. Come interpretare il messaggio di misericordia lanciato da Francesco? Come applicare la sua richiesta di Chiesa «in uscita»? Inutile nasconderlo: nelle parrocchie e nelle comunità c’è una certa confusione.

Un fatto è evidente: pochi, pochissimi, hanno letto Evangelii gaudium, la magna charta del pontificato, e poi Amoris laetitia, che fra l’altro è un documento molto lungo, con le sue quasi trecento pagine e quasi quattrocento note. Di conseguenza, molti ne parlano per sentito dire, basandosi sui titoli dei giornali o su quanto hanno ascoltato, distrattamente, in programmi radiofonici e televisivi.

Un altro elemento poi balza agli occhi. Proprio chi (per mancanza di interesse, di passione, di fede) meno conosce l’insegnamento del papa, ma l’ha solo orecchiato qua e là cogliendone ciò che gli fa comodo, è portato a estremizzarlo nel senso di una generica «apertura» e di una non meglio precisata «modernità». Così non è difficile imbattersi in chi  sostiene che ora sarebbe possibile tutto ciò che prima possibile non era, ma non di rado ci si trova anche di fronte ad atteggiamenti molto rivendicativi, a volte perfino aggressivi, nei confronti di tutti quelli (preti, laici, suore, catechiste) che faticosamente cercano di far capire che, anziché lanciarsi in certe affermazioni, procedere con certe semplificazioni e avanzare certe richieste, sarebbe meglio almeno informarsi e studiare un po’.

Abbiamo dunque un magistero reale (quello costituito da ciò che il papa dice e scrive),  un magistero virtuale (quello trasmesso più o meno fedelmente dai mass media) e un magistero immaginario (quello che ciascuno si costruisce, modellandolo sulle proprie esigenze) che si intersecano, si sovrappongono e si confondono in molti modi. Risultato inevitabile: tante parole, poche certezze, tante diversità di vedute, poca sintesi credibile.

Qualcuno dirà: «Ma guarda che è sempre stato così, le encicliche papali sono sempre state lette da pochi». In una certa misura è vero, ma il livello attuale di confusione non ha riscontro nel passato. E continua a crescere.

C’è da aggiungere che replicare con pacatezza e, insieme, con rigore, alle affermazioni dei superficiali, degli ignoranti (nel senso che ignorano) e dei «rivendicativi» non è per niente facile. Chi chiede di distinguere e di usare prudenza, si trova fatalmente a mal partito di fronte a chi, al contrario, procede per slogan. Ma occorre anche riconoscere, in tutta onestà, che nel magistero stesso ci sono passaggi che prestano il fianco alle più diverse interpretazioni e possono quindi alimentare la confusione.

Essere credenti è sempre stata una bella avventura per un povero cristiano, ma oggi l’avventura si è fatta ancora più movimentata. Bisogna districarsi fra una quantità senza precedenti di documenti, discorsi, interviste, interpretazioni, rielaborazioni, chiarimenti che non chiariscono, spiegazioni che non spiegano. Diciamo che bisogna essere anche un po’ enigmisti. Ma di quelli provetti!

Credo che se un novello Rosmini mettesse mano oggi a un libro sulle piaghe della Chiesa non potrebbe evitare di riflettere sulla confusione imperante.

Papa Francesco, in Amoris laetitia, a un certo punto (n. 308) scrive: «Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione». Qui dimostra di rendersi conto egli stesso della situazione attuale. Viene però da osservare: non tutti coloro che sono preoccupati per la confusione vogliono una pastorale più «rigida». Semplicemente la preferirebbero più chiara, meno equivocabile.

Anche in questa attenzione risiede il munus docendi, cioè il compito di insegnare, esercitato dalla Chiesa e in particolare dal sacerdote.

Rileggiamo quanto disse Benedetto XVI: «Questa è la funzione in persona Christi del sacerdote: rendere presente, nella confusione e nel disorientamento dei nostri tempi, la luce della parola di Dio, la luce che è Cristo stesso in questo nostro mondo. Quindi il sacerdote non insegna proprie idee, una filosofia che lui stesso ha inventato, ha trovato o che gli piace; il sacerdote non parla da sé, non parla per sé, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito; non dice cose proprie, proprie invenzioni, ma, nella confusione di tutte le filosofie, il sacerdote insegna in nome di Cristo presente, propone la verità che è Cristo stesso, la sua parola, il suo modo di vivere e di andare avanti» (udienza generale, 14 aprile 2010).

E ancora: «Quella del sacerdote, di conseguenza, non di rado potrebbe sembrare “voce di uno che grida nel deserto” (Mc 1,3), ma proprio in questo consiste la sua forza profetica: nel non essere mai omologato, né omologabile, ad alcuna cultura o mentalità dominante, ma nel mostrare l’unica novità capace di operare un autentico e profondo rinnovamento dell’uomo, cioè che Cristo è il Vivente, è il Dio vicino, il Dio che opera nella vita e per la vita del mondo e ci dona la verità, il modo di vivere».

Prendere nota. Meditare. Quanto alle persone moleste, rivendicative, aggressive o superficiali, ricordare che sopportarle pazientemente è opera di misericordia spirituale. E già questa è una bella avventura!

Aldo Maria Valli




[Modificato da Caterina63 13/06/2016 12:26]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)