00 06/01/2017 00:13
Cari confratelli, non abbiate paura a riscoprire la Messa tradizionale!



  Pubblichiamo la predica (del 29 novembre 2016) di Don Rinaldo Bombardelli, Rettore della chiesa della SS. Annunziata, a Trento,
dove la Domenica e nelle feste di precetto egli celebra la S. Messa tradizionale.



Il testo (per la quale pubblicazione è stato ottenuto il permesso del vescovo locale) è stato reso noto con la Lettera n° 87, del 2 gennaio 2017, di Paix Liturgique

Le immagini sono nostre


 
 



S. Messa all'Abbazia benedttina di Le Barroux, Francia


Fratelli e sorelle,

Le letture di oggi ci parlano del desiderio di Dio, del bisogno di cercare Dio e finalmente di poterlo trovare nella persona di Gesù. Isaia parla di nazioni che lo cercano con ansia, Gesù si rivela essere Lui e nessun altro la nostra salvezza. Il profeta descrive nei particolari sia la nostalgia di Dio che alberga nel cuore degli uomini sia la pienezza che solo Dio può offrire loro.

C’è un bellissimo motto che risale ai tempi di San Benedetto che fonda gran parte della spiritualità benedettina e che descrive molto bene l’atteggiamento dell’uomo che desidera aprirsi al mistero di Dio: QUAERERE DEUM. Cercare Dio. 

Oggi più che mai il compito della Chiesa di ciascuno di noi battezzati laici e sacerdoti, è quello di cercare Dio e aiutare i nostri fratelli a trovarLo insieme con noi. La cosa bella è che il Signore ci dà tanti aiuti e strumenti perché la nostra ricerca non sia vana o non si perda nelle mille preoccupazioni della vita e nei vicoli ciechi che troppo spesso essa ci offre.

La nostra bella fede cattolica ci offre la possibilità di poter ascoltare la Sua parola vivente nel Vangelo, nel magistero millenario della Chiesa, nella sicurezza che ci offre la dottrina, nella grazia dei sacramenti, della preghiera e della liturgia. 

E a proposito di liturgia. 

In questa chiesa dedicata a Maria Santissima Annunziata a Trento, (senza nascondere una punta d’orgoglio per appartenere a quella Chiesa Tridentina che ha avuto il dono di ospitare qui a poche decine di metri da dove vi sto parlando uno dei più grandi concili della storia della Chiesa, il Concilio di Trento, concilio che ha portato una grande riforma nella Chiesa interpretata da uno stuolo di Santi e di Sante)... bene a proposito di liturgia abbiamo la grazia di celebrare qui tutte le Domeniche la Santa Messa secondo il rito antico.

Una liturgia che contiene in sé: nei suoi silenzi, nella sua sacralità, nella centralità che essa lascia al Sacrificio di Gesù sulla Croce la risposta a quel Quaerere Deum, cercare Dio, di cui dicevo all’inizio. È una liturgia che attira molto i giovani, anche se questo può sembrare incredibile. 

In realtà, e qui mi permetto di dare un consiglio ai miei confratelli sacerdoti che ora mi stanno ascoltando: noi abbiamo tentato in tanti modi di attirare le giovani generazioni in chiesa e alla Santa Messa. Ricordo da piccolo le “messe beat”, poi talora le messe rock o le messe caratterizzate da particolari e talora stravaganti modi di attirare i giovani. Lo abbiamo fatto in buona fede, magari con grandi aspettative che spesso ci hanno lasciato delusi. 

Cari confratelli sacerdoti, provate a riscoprire la Santa Messa Antica, oltre che essere un nutrimento straordinario per la nostra spiritualità sacerdotale essa attira, e molto, i giovani. Succede in tutto il mondo. Succede anche qui. Perché non dovrebbe succedere anche da voi?

Il mondo ha bisogno di Dio. Le nazioni cercano Dio. La Chiesa può e deve offrire Dio. È il nostro compito, è nostro preciso dovere ed è allo stesso tempo la gioia che riempie la nostra vita. Quella gioia ha un nome preciso: Gesù Cristo Figlio di Maria Santissima.

Ho cominciato la mia riflessione con un motto benedettino, la concludo con un altro motto questa volta attribuito a San Bruno fondatore dei monaci certosini: STAT CRUX DUM VOLVITUR ORBIS, “La Croce sta ferma mentre il mondo vi gira atorno”. Gesù è la via, la verità e la vita. Gesù è la nostra salvezza. Abbiamo avuto la fortuna, e Gesù ci chiama beati per questo, di aver visto, di aver sentito e così di avere creduto. 

E quando le preoccupazioni, l’incertezza per il futuro, le angosce del presente, il peso del nostro passato rischieranno di chiuderci di nuovo il cuore, guardiamo la Croce, guardiamo a Gesù. Aggrappiamoci ai sacramenti, in particolare la confessione e la Santa Messa. 

La Croce sta ferma mentre il mondo vi gira attorno, e stare accanto alla Croce qualsiasi cosa accada, significa avere la possibilità di essere tra coloro che vedranno le luci dell’alba del mattino di Pasqua, le lacrime asciugarsi, lo spettacolo del trionfo della vita sulla morte.

Sia lodato Gesù Cristo!





L'ANNIVERSARIO
 

A cento anni dalla nascita, il movimento Familiaris Consortio celebra il suo fondatore, don Pietro Margini.
Da una piccola parrocchia del reggiano ha ispirato quella che oggi è una delle realtà ecclesiali più vivaci.
Come? Intuendo 50 anni prima la crisi odierna del matrimonio e correndovi ai ripari. "Perché le famiglie sante salveranno la Chiesa".

di Andrea Zambrano
Don Pietro Margini

Nel testamento spirituale lasciato alla comunità parrocchiale e alle comunità di famiglie, don Pietro Margini scriveva: “Voglio passare il mio Paradiso a fare del bene con voi”. Quando morì la mattina dell’8 gennaio 1990 le già nutrite comunità di famiglie nate dal suo carisma nei comuni di Sant’Ilario d’Enza e Correggio, le due città in provincia di Reggio Emilia dove dagli anni 40 aveva svolto il ministero sacerdotale di curato e di parroco, non avevano ancora chiaro che cosa volesse dire quella strana profezia.

Ma oggi, a 27 anni dalla sua nascita al cielo e a cento anni dal suo dies natalis (era nato il 5 gennaio 1917, alla vigilia delle apparizioni di Fatima e della Rivoluzione d'Ottobre) si può dire che i frutti di quella lunga semina compiuta nel nascondimento di una parrocchia così periferica nella stessa diocesi di Reggio e Guastalla, siano chiari e soprattutto patrimonio di tutta la Chiesa universale: perché solo la Chiesa ha la capacità di essere glocal, di parlare a tutti gli uomini anche da avamposti considerati provinciali.

Così è stato e il movimento che oggi si ispira alla sua azione instancabile di sacerdote cristocentrico ed eucaristico è una delle realtà del cattolicesimo italiano più vivaci e da guardare con qualche cosa in più del semplice interesse. Si chiama Familiaris Consortio e prende il nome dall’esortazione apostolica di San Giovanni Paolo II Papa che ha rimesso la famiglia cristiana al centro della scena ecclesiale e laicale. Perché tutto nella vita di don Pietro è stato fatto per affermare la famiglia come luogo ordinario, ma privilegiato, in cui cercare la santità. Famiglie unite a Cristo, famiglie amiche e vicine, famiglie che condividono il bene della fede nella quotidianità, famiglie che si mettono insieme per rispondere a quell’emergenza educativa oggi così sotto gli occhi di tutti.

In occasione di questi due anniversari il movimento Familiaris Consortio ha iniziato ieri un triduo speciale che si concluderà domenica 8 in Cattedrale a Reggio Emilia dove il vescovo Massimo Camisasca celebrerà la messa solenne in memoria di un figlio della Chiesa reggiana, che ha dovuto compiere nel corso del ‘900 la tipica traversata nel deserto così comune a tante esperienze di santità.

Quando infatti negli anni ’60 del secolo scorso il giovane curato di Correggio prese possesso della parrocchia di Sant’Eulalia a Sant’Ilario d’Enza, ultimo avamposto reggiano prima del parmense, molte famiglie continuarono ad andare a direzione spirituale e alla confessione da lui. Quel continuo peregrinare lungo la via Emilia trovò una svolta pochi anni dopo, quando alcune famiglie di Correggio, sempre più attratte dalla proposta di vita cristiana del sacerdote, decisero di andare a vivere vicino a lui per continuare quell’opera di Dio che all’epoca, siamo alla vigilia del ’68 e durante il Concilio Vaticano II, era così di difficile decifrazione.

Fu una decisione che provocò scandalo in Diocesi. Per anni, i “correggesi”, così venivano chiamati con quel misto di sufficienza e fastidio, erano visti come una setta. Non mancò negli anni chi mise in giro le più astruse leggende nere sul loro modo di vivere come se si trattasse di comunità di esaltati contro la modernità.

Ma don Pietro continuò nella fedeltà al suo ministero e alla sua Diocesi, convinto com’era che “come i monaci salvarono l’Occidente cristiano, le famiglie sante salveranno la Chiesa dei nostri tempi”, una frase pronunciata molto prima che Benedetto XVI la cristallizzasse nel quaerere Deum delle minoranze creative. Credette nell’istruzione parentale come unico modo per riaffermare quella libertà di educazione che oggi vediamo messa in pericolo dallo statalismo ideologico scolastico; credette nella castità feconda degli sposi, credette nella figura del sacerdote mediator Dei con nel cuore la vita liturgica e ai fianchi le opere di Dio da promuovere. E credette nella centralità di Cristo come unico modo per conoscere Dio. Il tutto in anni in cui la famiglia, la castità, l’educazione, la confessione e il sacerdozio iniziavano a perdere il favore del mondo, fino ad essere palesemente contestati anche in ambito cattolico. E mentre il Gesù della fede iniziava a sganciarsi dal Gesù della storia.

Oggi che il movimento Familiaris Consortio è cresciuto a tal punto da avere più di un migliaio di associati, un movimento giovani, scuole famigliari e una comunità sacerdotale che, tra preti, diaconi e seminaristi, costituisce una delle principali fucine del clero diocesano, quel passato fatto di calunnie sembra soltanto un pallido ricordo, che quasi fa sorridere. La Chiesa di Reggio ha canonicamente approvato gli statuti e forse soltanto oggi si può capire che cosa intendesse don Pietro nel voler passare il suo Paradiso “a fare del bene con voi”.

Il suo lascito spirituale più attuale è stato analizzato ieri sera a Reggio nel corso della presentazione di una raccolta di scritti inediti (“Ti amo Signore”) da don Luca Ferrari, la cui vocazione sacerdotale è maturata proprio sotto la direzione di don Margini e che nel suo ruolo di fondatore della comunità sacerdotale ha tratteggiato la sua visione della Chiesa e del mondo dalla quale si intravede una straordinaria capacità di aver anticipato i tempi correndovi al riparo.

“Don Pietro venne consacrato fin dalla nascita alla Madonna del Carmelo dalla madre e al Sacro Cuore di Gesù dal padre al fronte – spiega don Luca alla Nuova BQ anticipando la relazione -. Il legame alla Madonna e al Sacro Cuore di Gesù, cresciuto fino al pieno compimento della sua vita terrena tanto da aderire in tutto alla volontà di Dio, è la radice tenace di tutto il suo ministero sacerdotale”.

Una vocazione che lo ha portato a scelte precise e coraggiose. “Cerchiamo soltanto di vivere integralmente il Vangelo”, era solito dire a chi gli chiedeva se fosse un’integralista. “Era una sua precisa convinzione: non si può credere a metà, scommettere a metà, vivere a metà. Solo nella sincera adesione alle esigenze di una proposta, puoi conoscerla davvero e sperimentarne i frutti. A questa radicalità evangelica, in un amore vero a Dio e ai fratelli, si ispirano tutti i grandi riformatori nella Chiesa. Ecco perché possiamo guardare alla vita di don Pietro in termini di attualità”. 

Ma quali sono le sue grandi intuizioni in anni, siamo tra la metà degli anni ’60 e la fine degli anni ’80, che oggi hanno portato frutto?

“Don Pietro ha scommesso sulla modernità di un uomo che riconosce la santità della sua chiamata, e la fonda non nella sua passiva adesione alla moda o alla natura creata, ma nel dialogo di amore con Dio creatore e Signore della storia”, prosegue don Luca.

L’attenzione ai bambini “perché vivano pienamente in ogni età della vita quella ricchezza di fede, speranza e carità che li renderà lieti e fecondi”, l’accompagnamento dei giovani “in un’avventura di fede, valorizzando l’amicizia autentica ed esplorando il cammino del fidanzamento nella scoperta che i ragazzi fanno l’uno dell’altra nel tempo della conoscenza, con un senso di grande libertà e dignità, attraverso proposte graduali ed esigenti”.

Quella di don Pietro è stata una pedagogia dell’educazione all’amore che esaltava “l’accoglienza e la cura della vita di grazia, la valorizzazione della preghiera, della purezza del cuore e della fedeltà”.

E non è un caso che don Pietro fosse sacerdote fino al midollo che ha proposto il sacramento della Riconciliazione valorizzandolo nella libertà di amare e lasciarsi amare unita ad un “paziente lavoro di ascolto, consiglio e aiuto al discernimento, svolto particolarmente attraverso la direzione spirituale personale e di coppia, per educare i giovani e le ragazze a riconoscere il significato del loro cammino”.

“Ai genitori ha proposto di crescere i figli con energia, per educarli all’amore di Dio e dei fratelli “spinto fino al sacrificio di sé”. Se c’è un richiamo che appare oggi controcorrente nella cultura occidentale – prosegue don Luca, che è stato riconfermato recentemente da Papa Francesco Missionario della misericordia -, è proprio questo: una educazione esigente. Ma su questo appello siamo invitati a misurarci. Diceva: “La vita non è un gioco per qualcuno e una tragedia per altri. È una responsabilità per tutti”.

Ecco perché per don Pietro “l’educazione è stata uno strumento eletto di carità. Educare significa aiutare ciascuno a far brillare quella scintilla divina spesso nascosta nel proprio cuore. Il dono più prezioso, vissuto in una infaticabile opera educativa, è stato quello di accompagnare tanti giovani e famiglie a vivere pienamente la loro vocazione, per essere insieme protagonisti della propria vita e della missione della Chiesa. Tanti di questi laici sono così diventati preziosi amici e collaboratori del suo ministero sacerdotale”.

La nascita delle comunità di famiglie, che vivono vicine, anche se questa vicinanza oggi non è più intesa in modalità esclusivamente geografiche, “ci fa testimoniare la bellezza di vivere in comunità, in risposta alla profonda e desolante solitudine che inghiottisce tante promesse di libertà e indipendenza”.

Così oggi “nel Movimento, nato dal suo cuore ed accompagnato con una straordinaria benedizione in questi anni, ancora tanti sposi possono trovare un modo cristiano di vivere ed annunciare il vangelo della famiglia, e a tanti giovani è offerto un cammino di educazione al dono di sé nell’amore, anche attraverso la memoria viva di questo santo sacerdote”.


   


[Modificato da Caterina63 06/01/2017 15:38]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)