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"Renovatio Europae Christianae". Papa Benedetto XVI nella storia europea

L'autore è docente di studi germanici all'Università della Prefettura di Aichi, Giappone. Traduzione dall'originale tedesco di Simona Storioni


di Hajime Konno





Il presente saggio si basa sulla biografia di Joseph Ratzinger che ho pubblicato in giapponese: Hajime Konno, "Kyoko Benedikutusu Jurokusei. 'Kirisutokyoteki Yoroppa' no Gyakushu [Benedictus PP. XVI. Renovatio Europae Christianae]", Tokyo, University of Tokyo Press, 2015.

Ringrazio di cuore il professor dott. Horst Möller, all’epoca direttore dell’Istituto di storia contemporanea, come anche il signor Bernd Wilken e sua moglie Antonie per il sostegno che mi hanno dato durante il mio soggiorno di ricerca a Monaco nel 2012-13. Ringrazio inoltre il signor Reinhard Markner di Berlino per le correzioni linguistiche e per le utili informazioni.

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1. La posizione del problema



Le elezioni del papa nel 2005 furono vinte da un candidato tutt’altro che indiscusso: Joseph Aloisius Ratzinger, nato nel 1927. Quanti da anni lo criticavano all’inizio rimasero a corto di parole, poi presero d'assalto gli archivi bavaresi per trovare materiale incriminante del passato di Benedetto XVI, senza però riuscirci. Nell'opinione pubblica tedesca, e soprattutto in Baviera, l’elezione suscitò però anche entusiasmo. Molti scritti del nuovo papa furono ripubblicati e a Ratisbona l’Istituto Papa Benedetto XVI, appena fondato, cominciò a pubblicare i suoi "opera omnia". Le personalità politiche, scientifiche e religiose tedesche si espressero con ammirazione sul primo papa tedesco eletto dopo secoli. Nell’Alta Baviera fu perfino realizzata una “via di Benedetto”. Ciascuno dei suoi tre viaggi apostolici in Germania e parecchie delle sue affermazioni suscitarono molte discussioni. Per otto anni, il mondo intero osservò ogni passo e ogni mossa di quest’uomo, fino a quando, improvvisamente, nel febbraio 2013 annunciò le sue dimissioni, primo papa in assoluto a farlo.

La presente analisi vuole essere un tentativo di descrivere la sua vita e definire il suo ruolo storico. Chi è Joseph Ratzinger? E qual è il suo pensiero? Da dove veniva e dove voleva guidare la Chiesa cattolica? Perché ha attirato su di sé tanta avversione pubblica? Che cosa resterà di lui?

Mentre i tedeschi vivevano la guerra fredda e la rivolta studentesca, Joseph Ratzinger diventava uno tra i teologi più in vista della Chiesa cattolica. Pur essendo sacerdote sin dal 1951, fu attivo più nell'ambito scientifico che in quello pastorale. Giovane ordinario a Bonn, durante il concilio Vaticano II si segnalò come teologo progressista e dischiuse al pubblico tedesco scorci del futuro di una Chiesa rinnovata. Negli anni Sessanta, però, avvenne un cambiamento percettibile; l'atteggiamento di Ratzinger verso la Chiesa e la situazione del tempo si fece più pessimistico e lui stesso fu sempre più percepito come esponente di una teologia conservatrice. Pur avendo un contegno piuttosto riservato, il suo modo tagliente di esprimersi poteva mettere soggezione. La sua materia era la dogmatica cattolica, ma scrisse molto anche sulla liturgia, l’arte sacra e la pietà popolare. Cercava palesemente di comprendere la Parola di Dio a prescindere dallo spirito dei tempi e di giudicare la situazione del tempo sulla base della fede. Fino all'aprile del 2005 pubblicò circa 135 libri e 1375 saggi, senza contare i libri da lui curati, guadagnandosi l'epiteto di “bambino prodigio della teologia” (1). Di avversari ne aveva tanti, e le risposte che dava loro suscitavano altre antipatie nei suoi confronti. I media in parte lo criticavano, cosa che però non rallentò la sua ascesa nella gerarchia della Chiesa cattolica. Dopo aver servito per quattro anni come arcivescovo di Monaco e Frisinga, fu chiamato a Roma da papa Giovanni Paolo II, che lo nominò prefetto della congregazione per la dottrina della fede.

Questa nomina fece sì che Ratzinger venisse rappresentato come il “grande inquisitore”. Gli universalisti, che vogliono vincolare il mondo intero ai valori politici moderni (libertà individuale, democrazia, uguaglianza delle persone, e così via), considerano piuttosto problematico il fatto che la Chiesa cattolica romana si sia in parte opposta alle correnti dell’epoca moderna. Accolsero dunque con favore il concilio Vaticano II come progetto di riforma della Chiesa. In seguito, l’universalismo trovò sempre più sostenitori anche all’interno della Chiesa cattolica. Il cardinale Joseph Ratzinger, come prefetto della congregazione per la dottrina della fede, era da loro considerato un grosso ostacolo sul cammino verso la modernizzazione della Chiesa. Questo modo di vedere, propagato in modo determinante dal suo opponente di Tubinga Hans Küng, ha caratterizzato l’immagine di Ratzinger nei mass media, come per esempio in “Der Spiegel”. Küng sosteneva che il suo collega Ratzinger, che durante il concilio era ancora uno dei progressisti più in vista, a causa dello choc procuratogli dal movimento studentesco a Tubinga aveva irrigidito la sua posizione teologica e, ambendo a una carriera ecclesiastica, ora reggeva lo strascico del papa conservatore venuto dalla Polonia (2). Hermann Häring (collaboratore di Küng), John Allen (giornalista cattolico americano) e Christian Feldmann (allievo di Ratzinger a Ratisbona) condividevano questo punto di vista. Alan Posener ha addirittura definito il suo pontificato una crociata contro la modernità (3)

Ratzinger è stato però percepito e rappresentato anche in maniera del tutto diversa, ovvero come teologo timido e sempre aperto al dibattito. Amici, studenti, collaboratori e biografi di Ratzinger si sono opposti alla campagna di Küng, sottolineando che la sua rettitudine e il suo atteggiamento aperto nel corso del tempo non erano cambiati. “Papa Bemedetto XVI, nella sua bontà, veracità e umanità è una roccia in mezzo al mare che, con la sua teologia del cuore, dà sostegno e orientamento a molte persone (Alfred Läpple) (4). “È un’autorità, ma non è autoritario” (cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone) (5). Il giornalista italiano Gianni Valente negò che in Ratzinger vi fosse stato un cambiamento, proprio come il suo collega tedesco Peter Seewald, il quale spiegò che non era cambiato Ratzinger, bensì il mondo intorno a lui. Yasuaki Satono, uno studente giapponese di Ratzinger, affermò addirittura che egli aveva tutt'al più criticato la “teologia della liberazione” e l’islam (6).

Infine, la terza immagine di Ratzinger è quella di un liberatore della Germania e dell’Europa da tendenze masochiste, autodistruttive. Secondo questa interpretazione socio-psicologica, nel mondo moderno i cattolici, specialmente in Germania, sono esposti a pregiudizi negativi e per questo provano un senso di inferiorità. Dinanzi all’emergere del multiculturalismo, gli europei addirittura non possono nemmeno più fare riferimento al fatto storico che la loro cultura poggia su fondamenta cristiane. L’elezione di Ratzinger, invece, ha rafforzato tutti i cattolici, in particolare i tedeschi, e li ha incoraggiati a mostrare pubblicamente la loro identità. Il giornalista tedesco Martin Lohman ha definito una “svolta benedettina” la rinascita dell’identità europeo-cristiana che si aspettava, e il suo collega Matthias Matussek riteneva che l’elezione di un tedesco come papa potesse rafforzare la sua patria, esattamente come era accaduto alla Polonia con l’elezione di Giovanni Paolo II (7).

Al di là di tutti i malintesi e le esagerazioni, queste tre immagini riportano comunque ad aspetti importanti e si completano a vicenda. Qui di seguito, s’intende osservare Ratzinger da una prospettiva originale, ovvero quella del “paradosso dell’intellettualismo”, cioè dell’effetto di stratificazione dei valori occidentali moderni.


2. La Chiesa cattolica romana come “Oriente” in Occidente


Il mondo moderno ha un ordine autoritario. A tutti i paesi, alle organizzazioni e agli individui viene chiesto di essere pienamente coerenti con i suoi valori. Di fatto, però, è difficile pensare che tutti i soggetti, che possiedono bagagli storici differenti, possano rispondere in modo identico a questa pretesa. È dunque inevitabile che si produca una gerarchia che va dai “progressisti” ai “conservatori”. Non si tratta di una dicotomia, bensì di una gradazione tra i due poli. È paradossale il fatto che i valori politici moderni, intesi come idee "emancipatrici" dagli intellettuali occidentali, portino a una nuova stratificazione delle persone a livello globale (8).

Nella politica mondiale, i valori dell’età moderna sono la fonte di potere più importante dell’Occidente, specialmente degli Stati Uniti d'America, della Gran Bretagna e della Francia, poiché è soprattutto in questi paesi che si decide quali sono, in concreto, quei valori. Dalla metà del XX secolo, gli Stati Uniti hanno, in un certo senso, il diritto all'“aggiornamento” di questi valori, mentre gli intellettuali progressisti del resto del mondo si sforzano di “installare” al più presto nel proprio paese la versione aggiornata. Gli elementi conservatori sono esposti agli attacchi continui dei progressisti e devono difendersi contro critiche unilaterali e addirittura contro aggressioni violente. Le potenze non-occidentali come il Giappone e la Cina sono percepite dall’Occidente solo come potenze economiche o militari, difficilmente come partner intellettuali. Politica e cultura, però, in fondo sono inscindibili, sicché il dominio dei valori moderni forma per l’Occidente anche la base della sua egemonia culturale. La cultura occidentale attuale, che dalla seconda metà del XX secolo è soprattutto quella statunitense, intende se stessa come cultura mondiale, e tuttavia esclude quasi completamente le culture non occidentali, perlomeno dall’ambito politico. Al massimo possono emergere in ambiti non politici, ad esempio come attrazioni turistiche.

Su questo sfondo, anche nei paesi e nelle organizzazioni stigmatizzati come conservatori è iniziata una lotta di potere tra progressisti e conservatori. I progressisti vogliono salvare le loro rispettive organizzazioni attraverso riforme, renderle più moderne. I conservatori, al contrario, ritengono che quelle riforme non risolvono la crisi dell’organizzazione, ma l’aggravano. Così, per esempio, nel Giappone moderno i due fronti – gli universalisti e i nazionalisti – si combattono sin dall’apertura del paese al mondo, nel 1854. In paesi islamici come l’Iran e la Turchia, le due parti – gli occidentalisti e gli islamisti – lottano per l’egemonia. I paesi non occidentali non sono in grado di modernizzarsi completamente, poiché di fatto modernizzazione significa occidentalizzazione. D’altro canto non sono nemmeno in grado di rifiutare del tutto la modernizzazione.

Anche la Chiesa cattolica romana è in balia delle onde dei valori moderni: è “Oriente” in Occidente, per dirla con Manuel Borutta (9). Dal punto di vista storico, il cristianesimo cattolico è stato, di fatto, una fonte di tali valori. La somiglianza degli uomini a Dio, la loro uguaglianza dinanzi a Dio, la separazione dei poteri tra le autorità religiose e laiche: sono idee di fondamentale importanza. Per di più, il cattolicesimo, o il cristianesimo in generale, nei paesi non occidentali si contrappone all’autorità locale, come per esempio il divino impero in Giappone. Di conseguenza, rispetto all’ortodossia cristiana e alle religioni non cristiane il cattolicesimo si comporta con il senso di superiorità della religione “maggiormente occidentale”. D’altro canto, il cristianesimo cattolico come religione è inscindibile da concetti trascendenti, come ad esempio l’assunzione di Maria o l’immacolata concezione. Ogni tentativo di razionalizzazione porta a problemi dogmatici. Poiché il cristianesimo è la religione dell’antica area del Mediterraneo, rimane attaccato all’immagine che si aveva a quel tempo della società e della famiglia e ai corrispondenti concetti morali. Nei duemila anni della sua esistenza, nella Chiesa hanno gradatamente preso forma numerose usanze, rituali e istituzioni, che sono irrinunciabili per la pietà popolare attuale. È dunque piuttosto inevitabile che il cristianesimo – e proprio le Chiese antiche, sia quella cattolica romana sia quella ortodossa – non possa sempre corrispondere ai dettami dei valori moderni, costantemente attualizzati. 

Dopo la riforma, e ancor più dopo la rivoluzione francese, la Chiesa cattolica romana si è vista costretta ad assumere un ruolo antimodernistico. Nel XIX secolo a volte tra la curia antimodernista e i governi progressisti degli stati europei ci sono stati scontri violenti, cosa che ha influenzato il clima del concilio Vaticano I del 1870. Nel 1962 papa Giovanni XXIII inaugurò il concilio Vaticano II per sedare i conflitti. Non è però possibile affermare che il concilio abbia portato alla Chiesa la pace con se stessa e con il mondo. C’è anche da domandarsi se papa Giovanni XXIII possedesse una strategia realistica di adeguamento alla modernità. Ad ogni modo, dinanzi all’agitazione della Chiesa, le forze anticlericali inasprirono la loro critica all’“ingorgo delle riforme”.

Anche all’interno della Chiesa cattolica, dopo il concilio entrarono in campo forze progressiste che, indipendentemente dalle decisioni realmente prese, invocavano lo “spirito” del concilio. Hans Küng, che ne era il principale esponente, ottenne grande considerazione presso l’opinione pubblica mondiale. D’altro canto, anche i conservatori estremi si fecero notare. L’arcivescovo Marcel Lefebvre e i suoi seguaci si ribellarono al corso delle riforme del concilio e nemmeno la minaccia di scomunica riuscì a distoglierli dal loro cammino. Così, già negli anni Settanta la Chiesa cattolica piombò in una crisi senza precedenti. All'epoca sembrava addirittura possibile che potesse scomparire, come accadde nel decennio seguente all'Unione Sovietica con la perestroika. A quel tempo Ratzinger era arcivescovo di Monaco e Frisinga.

La carriera teologica di Joseph Ratzinger è strettamente collegata al concilio Vaticano II. In concilio, all'inizio egli apparteneva ai progressisti. In seguito ha sempre sostenuto che le sue idee effettivamente corrispondevano alle decisioni del concilio e che non c'era stato nessun cambiamento nei dogmi tra il periodo preconciliare e quello postconciliare. Ciò è corretto nella misura in cui le decisioni conciliari rappresentano un cangiante compromesso. A seconda dell’aspetto che si vuole evidenziare, sulla loro base è possibile fondare concezioni del tutto diverse. Ratzinger fu un “apprendista stregone” nel senso di Goethe. Dovette confrontarsi con le conseguenze in parte non volute delle riforme da lui appoggiate. I suoi principi si modificarono in maniera graduale, ma non totale, e i cambiamenti non furono così drammatici come sosteneva Küng.








Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)