00 15/08/2015 22:39

"OGNI CONFESSIONE È UNA PENTECOSTE"

LETTERA DEL CARD. MAURO PIACENZA, PENITENZIERE MAGGIORE,

A TUTTI I CONFRATELLI CONFESSORI E A TUTTI I PENITENTI,  IN OCCASIONE DELLA PENTECOSTE 2014

 

 Carissimi,

         raccolti spiritualmente nel Cenacolo insieme con la Beata Vergine Maria, in intensa comunione ecclesiale, riviviamo il mistero della “Pasqua rossa”, la discesa dell’Eterno Spirito di Amore, che vivifica la Chiesa e incessantemente la rinnova mediante il dono di grazia con il quale il Signore ci ha consacrati al suo servizio: il sigillo battesimale e sacerdotale.

         Poiché il Sacramento della misericordia costituisce come la “porta” mediante la quale, più potentemente, lo Spirito soffia nella storia e ne orienta il corso, desidero inviare a tutti i confratelli che esercitano il ministero di confessori e a tutti i penitenti un particolare pensiero per la solennità di Pentecoste ed assicurarli che ogni giorno sono nella mia preghiera.

Ben sappiamo che la nostra vita nuova affonda le radici nella missione dello Spirito Santo e così pure la stessa identità della Chiesa e la vitalità della sua missione. Nel grande “abbraccio” della Pentecoste, la persona stessa di Gesù, Risorto e Asceso al cielo, si fa presente, fino alla fine dei tempi, in tutti  suoi discepoli e, attraverso di loro, per opera del medesimo Spirito, si dilata in un eterno respiro di misericordia. Per questa opera divina la realtà della Persona e dell’Amore salvifico di Cristo non rimane “lontana”, come qualcosa da imitare, ma fondamentalmente inaccessibile, o come un “modello ideale” a cui rifarsi senza però poterlo mai raggiungere; al contrario diventa la radice stessa del nostro essere, la nuova realtà nella quale viviamo, quella potenza d’Amore dalla quale siamo ora “abitati” e che domanda, durante il pellegrinaggio terreno, di poter agire nel mondo anche attraverso di noi.

         Sappiamo bene che tutto ciò, valido ed attuale per ogni fedele, in forza del Battesimo, riguarda in particolare i Sacerdoti, poiché essi, sono stati introdotti, non per loro merito ma per grazia, ad un tale “livello d’essere”, ad una tale intimità con il Signore, da divenire partecipi dell’Amore del suo Cuore, della sua stessa opera di salvezza, tanto che, attraverso di essi, accade ora realmente, per i fratelli, l’incontro con Cristo. I sacerdoti sono stati costituiti ministri della divina misericordia, quindi servi del Dio d’Amore e compassione di Gesù.

         Per questa ragione il Sacerdote, oggetto di misericordia, non potrà che essere sempre, “uomo della misericordia”.

         Il suo nuovo essere lo testimonia e l’esercizio fedele quanto appassionato, del ministero ne diventa memoria continua.

         Per essere esperti di misericordia, sarà sufficiente essere “in ascolto” dell’opera dello Spirito in noi e nei fedeli; “in ascolto” del dono della Pentecoste, che ci ha tutti consacrati nel Battesimo, e i Confessori nell’ordinazione sacerdotale, e che ci “rinnova” per mezzo di ogni celebrazione dei Sacramenti; in modo del tutto particolare, nel Sacramento della Riconciliazione.

         Questo Sacramento, infatti, costituisce una esperienza sempre nuova dello Spirito Santo in azione, sia per il sacerdote che per il penitente.

         Per il penitente, perché il perdono sacramentale rappresenta una vera e propria “Pentecoste per l’anima”, che viene illuminata dalla sua luce divina, purificata dal sangue dell’Agnello immolato e adornata di ogni dono di grazia, a cominciare dalla rinnovata, piena comunione con Gesù. E per il sacerdote in quanto, profondamente unito a Cristo, termine vivo di ogni accusa dell’uomo peccatore, apprende ogni volta di più, il pensiero stesso di Cristo, nel correggere, valutare, guarire e, mentre pronuncia le parole dell’assoluzione, sente ravvivarsi nel cuore, per opera dello Spirito, il sigillo sacramentale e la personale immedesimazione con il Buon Pastore! Quale Amore ci viene mostrato!

         Chiediamo alla Beata Vergine Maria, Sposa dello Spirito Santo e Madre del Redentore, di insegnarci a custodire e a fare memoria di queste realtà, perché sempre più, possa ravvivarsi e splendere il fuoco della Pentecoste, che è fuoco d’Amore, fuoco di misericordia.




LECTIO MAGISTRALIS, CONVEGNO PER CONFESSORI

Card. Mauro Piacenza, Arcidiocesi di Augsburg
 

 

«Misericordia e verità si incontreranno:

Il Sacramento della Riconciliazione»

 Carissimi Confratelli,

          è per me fonte di particolare gioia intervenire in questo vostro Convegno per confessori, in qualità di Penitenziere Maggiore di Santa Romana Chiesa, ma, soprattutto, come vescovo e come sacerdote, che ha sempre visto nella dimensione sacramentale il cardine irrinunciabile del ministero ordinato, esercitando il quale, unitamente all’annuncio del Regno, si può essere certi di compiere la missione per la quale il Signore ci ha costituiti.

         In un tempo come il nostro, così particolarmente esposto ad una radicale desacralizzazione, che alcuni chiamano “post-modernità”, altri “demitizzazione”, altri ancora “secolarizzazione”, ma che, in definitiva, pare risolversi, da qualunque parte la si guardi, con un radicale indebolimento della ragione e, perciò, della fede, risulta particolarmente profetico il vostro volervi impegnare, per approfondire le dimensioni teologiche, giuridiche e pastorali del ministero di confessori, che Cristo, attraverso la Chiesa, vi ha affidato e sempre, continuamente vi affida.

         Anche Papa Francesco, nel suo ministero, ci ricorda continuamente come la misericordia rappresenti, insieme alla verità, uno dei cardini dello stesso annuncio cristiano, tanto da essere “luoghi identificativi” della stessa identità divina: Dio è Misericordia; Dio è Verità.

         Desidero pertanto proporvi questa mia riflessione suddividendola in nuclei tematici, attraversati da una domanda capitale per l’esistenza umana, la ragione, la fede e la spiritualità. Domanda che prendo in prestito dal più grande esperto del rapporto tra grazia e libertà, e quindi tra misericordia e verità, che è Sant’Agostino. Egli, ad un certo punto, si domanda: «Quid animo satis?» (che cosa basta all’animo umano?), intendendo, con tale espressione, significare in modo sintetico tutta la portata della domanda che l’uomo è, con i suoi limiti e le sue contraddizioni, ma sempre con la stabile intuizione di un “oltre”, di una ulteriorità, alla quale è misteriosamente chiamato e verso la quale l’impatto con la realtà lo rimanda costantemente.

         Vorrei che, nei  passaggi che proporrò alla comune riflessione, per ciascuno di noi confessori e per ogni penitente, ci fosse sempre, in filigrana, come il riverbero di questa ineludibile domanda: «Quid animo satis?», capace di ricondurre costantemente la riflessione all’essenza dell’io ed alla definitività di risposta, che l’incontro con la misericordia e la verità dischiude alla ricerca umana.

 1. Misericordia e verità: due segni ineludibili

         Laddove il Salmo 85, da cui prende spunto il titolo della nostra riflessione, annuncia: “Misericordia e verità si incontreranno”, si allude ad una realtà nuova, non costruita da mani d’uomo, desiderabile, profondamente attesa, ma realizzata unicamente in forza del dono di Dio.

         In tal senso, misericordia e verità sono segni eloquenti di una possibile, reale risposta alla domanda Quid animo satis?. Solo la misericordia e la verità bastano al cuore dell’uomo, sapendo che esse altro non sono, se non nomi dell’amore, di quell’unico Amore, che si è manifestato, si è fatto carne ed ha offerto Se stesso per noi.

         Il cuore dell’uomo è fatto, innanzitutto, per la misericordia. è fatto per essere oggetto di misericordia, cioè, per non restare prigioniero del proprio limite e del proprio male, ma anche per essere soggetto di misericordia, cioè per esercitare una inaudita sovranità su se stesso e sulle proprie passioni, capace di autentico perdono, di nuovo abbraccio all’altro, non determinato dal limite di alcuno.

         Vivere la misericordia significa, antropologicamente, sentire sulla propria esistenza una promessa di bene e di vita. Le parole “Io ti perdono”, coincidono, in certo modo con quelle: “Io voglio che tu esista, è bene che tu esista” e ciò non solo per se stessi, ma anche per il mondo. Tale passaggio, proprio perché il perdono ha una sua dimensione costitutivamente relazionale, è di fatto impossibile prescindendo da quello che la tradizione sacramentale chiama il pentimento. La disposizione a rivedere il proprio giudizio ed il proprio modo di vivere, l'umile ammissione della propria colpa, l'ardente desiderio di cambiamento, sia nei rapporti tra gli uomini, sia nel rapporto con Dio, costituiscono il presupposto perché l'offerta reale e costante della misericordia diventi oggettivamente “misericordia in atto”.

         Non si tratta in alcun caso di umiliare l'altro per concedere sovranamente la misericordia. Dio non fa così e gli uomini non possono fare così. Semplicemente, un cuore non disposto ad esaminare se stesso e a rivedere il proprio cammino, non è un cuore disposto ad accogliere la misericordia, cioè ad accettare quella radicale dipendenza, per la quale la propria esistenza è in relazione con altro da se stessi. E ciò non solo ai primordi della storia, o della propria storia biologica, ma in ogni istante presente dell’esistenza.

         In tal senso, la misericordia è come un segno supremo. Ogni volta che c’è un atto di misericordia tra gli uomini ed ogni volta che è celebrato il Sacramento della Misericordia divina, è affermata la dignità dell’uomo, è annunciata la scelta definitiva di Dio che, per l’uomo, ha mandato il Suo Figlio; nella misericordia è come ricostituita l’alleanza tra l’uomo e Dio, e, in essa, quella dignità perduta, o variamente opacizzata, che rende l’uomo stesso incapace di amare, stimare e gioire per se stesso e per i fratelli.

         La stessa difficoltà psicologica a perdonare fino in fondo se stessi, di cui tutti possiamo fare esperienza, è eco di quella radicale relazionalità della misericordia, per la quale ciascuno ha bisogno che un altro affermi la propria esistenza.

         Anche se filosoficamente “ridotti” ad un irragionevole relativismo concettuale, siamo e rimaniamo esistenzialmente realisti: possiamo giungere alla certezza di essere amati, solo se un altro ci ama! L’esperienza della misericordia, implorata da un altro, è il misterioso e reale segno di quella gratuità agapica, che vede nell’autodonazione del Figlio dell’uomo il suo vertice, compiuto e sempre rinnovato.

         La misericordia è così, nello stesso tempo, il supremo segno umano ed il supremo segno divino, ed ha in Cristo, Crocifisso e Risorto, vero Dio e vero Uomo, la sua piena realizzazione.

         Come i grandi mistici ci insegnano, guardando al Crocifisso, è possibile cogliere qualcosa dell’infinito Amore di cui siamo stati fatti oggetto, dell’amore al quale siamo chiamati, della speranza, che attraverso il Crocifisso, si dilata per ciascuno di noi: una speranza eterna, carica di misericordia, che ci dona certezza sul futuro in forza del fatto che la misericordia è “oggi” una Persona presente.

         Inoltre il cuore dell’uomo è fatto per la verità. Per la verità fuori di sé e per la verità in sé e di sé. A tal riguardo, si chiede Sant’Agostino: «Quid enim fortius desiderat anima quam veritatem? - che cosa l’animo umano desidera più fortemente se non la verità?» (S. Agostino, Com. in Ioan., XXVI, 5).

         In tal senso, è doveroso riconoscere come il primato della coscienza, ricordato con forza dal Beato John Henri Newman, esattamente nel modo in cui egli intende tale primato, corrisponde misteriosamente al primato della verità, come esigenza costitutiva dell’uomo, che non accetta di essere giustificato arbitrariamente da una menzogna, nè da una autorità estrinseca a sé, ma ha bisogno che la misericordia sia proclamata da un “altro”, fuori di sé, che sia in profonda sintonia con la verità di ciò che egli è e di ciò che egli spera.

         Non è un caso se lo stesso Gesù abbia proclamato il valore liberante della verità - «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» Gv 8,32 - e, nell’ottica del paradosso tipicamente cristiano, Egli stesso si è identificato con la Verità. Pur nella drammatica negazione della verità oggettiva, che vive questo nostro tempo, pur nell’oblio di ogni remoto afflato metafisico, da quel privilegiato osservatorio che è il confessionale possiamo quotidianamente scorgere il bisogno drammatico di verità, presente nel cuore di ciascun uomo, bisogno insopprimibile ed ineliminabile, perché posto da Dio stesso nel cuore dell’uomo quando disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza. […] A immagine di Dio lo creò» (Gen 1,26-27).

         L’uomo ha bisogno di verità perché è creato da un Dio che è verità, ed il suo bisogno di Dio si riverbera come segno eloquentissimo in quel bisogno di verità che determina gran parte dell’agire umano.

         Se a livello filosofico e speculativo, sembra quasi archiviato il tema della verità, esso emerge in tutta la sua forza non appena si paragona l’idea con la realtà. Nessuno accetta di vivere un amore non vero, relazioni finte, rapporti professionali alterati. Tutti, in ogni ambito il Signore ci ponga a vivere, abbiamo un estremo bisogno di verità, verità in noi, verità nell’altro, verità nell’ambiente nel quale viviamo.

         Il segno della verità greca, o ellenistica, tuttavia è come superato, o meglio integrato e completato, nel nuovo concetto di verità proposto dal cristianesimo. Per il cristianesimo la verità è una Persona; è Gesù di Nazareth, verità fatta carne, resasi visibile, toccabile e udibile; ed è proprio in questo straordinario equilibrio tra Logos e carne, tra ragione e realtà, tra Spirito e materia, che è possibile intravvedere il nuovo concetto di verità introdotto dal cristianesimo nella storia degli uomini.

         La verità non è più un’idea astratta, alla quale tirannicamente adeguarsi, nè un oggetto estrinseco, che possa autonomamente esistere nella personale consapevolezza, prescindendo dal concreto incontro con un soggetto consapevole. La verità è frutto sempre di un incontro; la verità è il rinnovarsi dell’incontro con se stessi, con l’altro e con il mistero; è il segno supremo dato all’uomo, insieme alla misericordia, per credere che sia possibile vivere un bene autentico, un amore autentico, che non dipenda dai propri meriti, o dalle proprie capacità, ma che sia un semplice arrendersi alla misericordia e alla verità. Un arrendersi ad una misericordia vera e ad una verità misericordiosa, o, se si preferisce, ad una misericordia che rivela all’uomo la verità di sé e ad una verità, che si rivela come misericordia.

         Se nell’annuncio cristiano, nella catechesi, nella formazione permanente del clero e dei laici, se nella celebrazione del Sacramento della Riconciliazione, siamo capaci di recuperare il segno eloquente che misericordia e verità rappresentano, ciò ci permetterà di intercettare le corde più profonde e vibranti dell’essere e dell’agire degli uomini, non solo del nostro tempo, ma di ogni tempo; si riaprirà così un dialogo forse troppo frettolosamente chiuso, riscoprendo il profondo valore umanizzante e, nel contempo, divinizzante, della verità e della misericordia, a condizione che esse siano intese non come conquiste, ma come doni, gratuitamente elargiti nella persona di Gesù.

 2. Misericordia e verità: reciproco inveramento nel Sacramento della Riconciliazione

     Proprio perché misericordia e verità non sono principalmente ideali a cui conformarsi, o idee platoniche da contemplare, ma, per il mistero dell’Incarnazione, sono divenuti fatti, avvenimenti toccabili, visibili, udibili nell’incontro personale con Cristo, Logos fatto carne, è possibile affermare che quanto accade nel Sacramento della Riconciliazione sia, in un certo modo, l’incontro supremo con la misericordia offerta da Dio all’uomo e con la verità dell’uomo e del suo rapporto con Dio, che egli è chiamato a riconoscere. In questo senso, tre paiono le caratteristiche della misericordia e della verità, vivibili ed incontrabili nel Sacramento della Riconciliazione: la coessenzialità, l’oggettività e la relazionalità.

 2.1 Coessenzialità

         Nel cristianesimo, è sempre frutto di una visione parziale la contrapposizione tra misericordia e verità. Tanto meno è concepibile una accentuazione sulla misericordia a discapito della verità, o, al contrario, una sottolineatura della verità, che non sia misericordia.

         Non di rado, questa polarizzazione, che appartiene alla continua tensione, determinata dal mistero dell’Incarnazione, che ha una sua certa legittimità qualora rimanga nei limiti del “et et” e non decada mai rovinosamente nel non-cattolico “aut aut”, ha una sua traduzione pratica nella contrapposizione artificiale tra dottrina e pastorale.

         Tutte le volte in cui si contrappone l’agire pastorale alla dottrina, un cosiddetto agire pastorale carico di misericordia ad una presunta dottrina foriera di una verità fredda e non misericordiosa, ci si rivela come prigionieri di uno schema precristiano, nel quale la verità e la radicale novità del Verbo fatto uomo non sono ancora sufficientemente e adeguatamente assimilati.

         è questo il vero scandalo del cristianesimo. E dopo duemila anni esso appare ancora intatto in tutta la sua forza dirompente e pretesa veritativa, rispetto ad ogni filosofia o spiritualità umana.

         Nel Cristianesimo, misericordia e verità sono coessenziali, inseparabili, perfino non adeguatamente distinguibili; potremmo dire, parafrasando Calcedonia, che misericordia e verità sono unite senza confusione, e distinte senza separazione.

         Non è cristiana una misericordia priva di verità, che non tenga conto della realtà, dei fatti, delle persone e delle loro azioni. Sarebbe una misericordia non rispettosa della dignità dell’uomo, sempre capace di compiere scelte guidate dalla ragione e dalla libertà; una tale misericordia sarebbe una spugna che cancella la storia, che cancella cioè il reale luogo teologico dell’Incarnazione.

         Nel contempo non è cristiana una verità priva di misericordia, cioè non in relazione alla persona, alla sua storia, al suo concreto vissuto e al giudizio della sua coscienza, formata ed informata. Una tale verità, per chi la brandisse anche vigorosamente, non apparterrebbe al reale deposito della fede cristiana, poiché sconfinerebbe in un idea astratta, dal sapore più platonico, o hegeliano, che autenticamente personale e cristiano. Il cristiano sa che la verità è una Persona, Gesù di Nazareth, che ha agito, attraverso gesti e parole, che si inveravano reciprocamente nella progressiva ed efficace automanifestazione che Dio ha fatto di Sé.

         In questo equilibrio e in questa unità tra gesti e parole, è come significata la complementarità tra l’auto-consegna, che Dio fa di Sè all’uomo, in un dialogo autentico, e ciò che Egli rivela di Sè, chiamando l’uomo a prestare un obbediente atto di fede. Non è quindi mai possibile staccare l’elemento dottrinale da quello relazionale, né quello relazionale può prescindere dal termine della relazione, così come Egli ha voluto rivelarsi. In questo senso, in ogni atto sacramentale e, a causa del coinvolgimento psicologico del penitente, particolarmente nel Sacramento della Riconciliazione, è sempre necessario ricordare che la Chiesa annuncia tutto ciò che essa è - dimensione della misericordia - e tutto ciò che essa crede - dimensione veritativa (cfr. Dei Verbum, 8) -, in maniera assolutamente non separabile.

 2.2 Oggettività

         La dimensione storica del Cristianesimo, con la conseguente e determinante importanza della “fattualità” degli avvenimenti riguardanti la Persona di Gesù di Nazareth, aggancia la nostra fede ad una costitutiva dimensione oggettiva, prescindendo dalla quale non si potrebbe più nemmeno parlare di fede cristiana.

         Se a questo dato si aggiunge che misericordia e verità sono realtà da interpretare innanzitutto in maniera personale e, solo successivamente se ne può intravedere la pur legittima dimensione concettuale, allora appare come ineludibile la dimensione oggettiva sia della misericordia, sia della verità.

         Tale oggettività è, per di più, inverata dalla stessa esperienza antropologica universale.

         La misericordia, infatti, ha costruttivamente bisogno di un “Tu” che ne permetta l’esperienza. Né a livello umano, né sul piano religioso, è possibile l’esperienza dell’auto-giustificazione, se non a prezzo della menzogna.

         Analogamente, se la verità fosse soltanto una conquista del soggetto e se le risposte alle domande dell’uomo fossero già presenti in lui, non permarrebbe quella drammatica e costante dimensione che chiamiamo domanda esistenziale.

         Il Quid animo satis? postula che la risposta sia fuori dall’animo umano, oggettiva, incontrabile come qualcosa che improvvisamente accade e che straordinariamente corrisponde al desiderio e alle domande del cuore.

         In tal senso, il buon confessore è sempre chiamato ad essere consapevole che, nella coessenzialità di misericordia e verità, egli è chiamato a quel delicato e attento servizio alla persona, che deve condurre alla disponibilità a riconoscere una verità oggettiva fuori di sé, perché data, rivelata, come condizione per una autentica, oggettiva esperienza di misericordia.

         La riduzione della verità ad opinione e della misericordia a sentimento mortificano non solo la Rivelazione divina e la sua dimensione costitutivamente relazionale, ma anche l’intelligenza e, perciò, la dignità umana, che proprio partendo dalla dimensione della domanda, della ricerca di significato e della radicale apertura al bisogno di amore ricevuto e donato, chiedono che tali esperienze siano reali, storiche, oggettive.

 2.3 Relazionalità

         La coessenzialità e l’oggettività di misericordia e verità conducono al riconoscimento della loro reciproca relazionalità. è come se, dopo Gesù Cristo, non ci potesse essere una reale esperienza di misericordia, prescindendo dalla verità e, per contro, una reale esperienza di verità, prescindendo dalla misericordia.

         Nel Sacramento della Riconciliazione, questa esperienza di reciprocità, si attualizza nelle stesse condizioni indicate dalla Chiesa come “atti del penitente”. è possibile l’abbraccio della misericordia divina, solo partendo da una verità su di sé, sugli atti compiuti e sulle conseguenze dei medesimi. E tale verità non è mai solo quella soggettivamente percepita, ma anche quella che emerge dall’oggettivo confronto con la verità rivelata ed autorevolmente insegnata dall’ininterrotto magistero ecclesiale.

         Si può essere certi di essere realmente amati, solo quando la verità di sé è totalmente abbracciata. L’autentica esperienza della misericordia e dell’amore dipendono  dalla verità di sé e dei propri atti.

         In maniera simmetrica e complementare, Dio si è rivelato proprio con il volto della misericordia. Egli, suprema Verità del mondo e della storia, ha voluto entrare nella vicenda umana con Volto umano, di Bambino, pronto ad offrire Se stesso per gli uomini, affinché potessero credere all’Amore che Dio ha per loro.

         Il mistero dell’Incarnazione e della morte e Risurrezione sono, in tal senso, la risposta definitiva di Dio alla menzogna della caduta originale; la verità di un Dio incarnato, morto e risorto risponde definitivamente alla menzogna di un uomo prigioniero della tentazione di essere come Dio, per paura di non essere amato.

         Per tale ragione, la verità cristiana non è mai uno scettro da brandire contro l’altro, ma è un umile servizio alla verità del suo essere ed un salutare richiamo all’unico autentico rapporto, che può condurre l’uomo al compimento di sé: il rapporto con Dio.

         è possibile fare autentica esperienza di Dio come verità solo nell’abbraccio della divina misericordia, un abbraccio carico di tenerezza e di compassione, che domanda sempre di essere accolto, vissuto in quell’abbandono di fede fiduciale, di fides qua creditur, inseparabile dalla fede come conoscenza, fides quae creditur.

         Misericordia e verità sono sperimentabili, dunque, solo nella loro reciproca relazionalità; per questo il Salmo dice: «misericordia e verità si incontreranno!».

         Dove si incontreranno? In quale modo si incontreranno? Esse si incontrano in Gesù Cristo e il “modo” è l’Incarnazione.

         Quid animo satis? Che cosa basta al cuore umano?

         Solo la misericordia e la verità, coessenziali, oggettive ed in relazione in Gesù Cristo, possono bastare al cuore dell’uomo.

         Solo Cristo basta al cuore dell’uomo, perché solo in Lui le domande profonde di ciascuno trovano adeguata risposta.

         Nel Sacramento della Riconciliazione, celebrata e ricevuta, tale esperienza, antropologicamente universale e radicalmente soprannaturale, accade e riaccade ogni volta che dalla misericordia divina sentiamo pronunciare quel giudizio di verità, che coincide con le parole: “Io ti assolvo dai tuoi peccati”.

        In tal senso, la celebrazione del Sacramento della Riconciliazione è realmente l’esercizio dell’Opus misericordiae. è il luogo in cui il desiderio umano di misericordia e di verità può trovare il proprio compimento; compimento che, proprio per il modo in cui si manifesta, in una Persona viva, eccede radicalmente anche la più grande delle speranze umane. Dio, verità e misericordia, si è reso visibile, toccabile e udibile; Egli ricostruisce l’uomo nella sua primordiale dignità filiale e lo rende partecipe di quella medesima vita divina che Egli stesso intende donare, inviando il proprio Figlio.

         Tutto questo è “a portata di mano”, o meglio “a portata di uomo” grazie alla Chiesa, Sacramento universale di Salvezza, e alla struttura stessa del cristianesimo, che è irrinunciabilmente sacramentale. Non solo un segno che indica il mistero, ma un Sacramento nel quale mistero e segno coincidono; un segno accessibile che porta con sé la partecipazione piena al mistero.

         Carissimi Confratelli, tutto questo accade ogni volta che entriamo in confessionale! Di tutto questo siamo responsabili; questo grande miracolo si palesa ai nostri occhi e, per questa ragione, lodiamo e glorifichiamo Dio, ogni volta che ci è dato, nel nostro limite e nella nostra carne, di ripetere, per i nostri fratelli, le parole di Cristo: “Io ti assolvo dai tuoi peccati”.

         Ci sostenga, in questo cammino di fedeltà, di verità e misericordia, la Beata Vergine Maria, Regina degli Apostoli, Rifugio dei peccatori, Madre di misericordia. Colei che ha generato nel suo grembo la Verità fatta carne, che L’ha amata come nessun altro e L’ha umilmente seguita. Sia per ciascun confessore modello di misericordia e di verità, di amore e di giustizia, di fedeltà e di tenerezza, perché alla dimensione petrina del ministero non manchi mai quella mariana, e la dimensione mariana sia sempre guidata e sostenuta dalla coessenzialità, dall’oggettività e dalla relazionalità della Verità che è Cristo.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)