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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII 
AGLI UOMINI DI AZIONE CATTOLICA 
NEL XXX° DELLA LORO UNIONE*

 Domenica, 12 ottobre 1952


 

Nel contemplare questa magnifica adunanza di Uomini di Azione Cattolica, la prima parola che viene alle Nostre labbra é di ringraziamento a Dio per averCi fatto dono di un così grandioso e devoto spettacolo; poi, di riconoscenza a voi, diletti figli, per averlo voluto attuare dinanzi al Nostro sguardo esultante.

Noi ben sappiamo quali minacciose nubi si addensano sul mondo, e solo il Signore Gesù conosce la Nostra continua trepidazione per la sorte di una umanità, di cui Egli, Supremo Pastore invisibile, volle che Noi fossimo visibile padre e maestro. Essa intanto procede per un cammino che ogni giorno si manifesta più arduo. mentre sembrerebbe che i mezzi portentosi della scienza dovessero, non diciamo « cospargerlo di fiori », ma almeno diminuire, se non addirittura estirpare, la congerie di triboli e di spine che lo ingombrano.

Di tanto in tanto però — a confermarCi in questa trepida ansia — vuole Gesù nella sua bontà che le nubi si squarcino e appaia trionfante un raggio di sole; segno che i nembi anche più oscuri non distruggono la luce, ma soltanto ne nascondono il fulgore.

Ed ecco ora un pacifico esercito di uomini militanti nell'Azione Cattolica Italiana; cristiani vivi e vivificatori; pane buono e insieme preziosissimo fermento in mezzo alla massa degli altri uomini; centocinquanta mila, la maggior parte padri di famiglia, che vivono il loro battesimo e si adoperano a farlo vivere dagli altri. Né siete tutti. Centinaia di migliaia di Uomini Cattolici, trattenuti da gravi motivi, sono qui presenti con l'ardore del loro spirito, della loro fede, del loro amore. Uomini maturi e di ogni condizione: dirigenti, professionisti, impiegati, insegnanti, operai, lavoratori dei campi, militari: tutti fratelli ìn Cristo, tutti uniti come in un solo palpito di un unico cuore.

Vorremmo che poteste ammirare anche voi la stupenda visione che si offre in questo momento ai Nostri occhi; brameremmo che sentiste nel profondo dell'animo con quanto amore Noi vorremmo — se fosse possibile — scendere in mezzo a voi e abbracciarvi tutti, come se foste uno solo.

Diletti figli! Voi siete venuti a Roma per festeggiare il trentennio della vostra Unione — la prima delle Associazioni Nazionali di A. C. — Cinque anni or sono, gli Uomini che convennero nell'Urbe erano settanta mila; oggi quel numero è raddoppiato ed è qualche cosa di più che un simbolo del moltiplicato fervore della vostra vita cristiana.

In quell'ormai lontano settembre del 1947 Noi benedicemmo il vostro Labaro e vi appuntammo una medaglia d'oro. Vogliamo dirvi qui, al cospetto di Roma e dell'Italia, che voi avete ben corrisposto alla Nostra aspettazione in questi anni di lotte acute per la civiltà cristiana e italiana. Quella medaglia sta bene là, sul vostro vessillo, perchè voi siete stati fra i principali artefici della resistenza, che l'Italia, per sè e per il mondo, ha opposta alle forze del materialismo e della tirannia.

Oggi a mezzodì un nuovo concento di campane si è aggiunto allo squillo sonoro di tutti i sacri bronzi dell'Urbe, che salutano Maria e invitano i fedeli ad onorarla. In quell'ora voi avete inteso di fare a Noi, Vescovo di Roma, un dono particolarmente gradito. Nel cuore di un popolatissimo quartiere della Nostra diletta Città, per impulso dell'infaticabile vostro Assistente Ecclesiastico Centrale, sui disegni di un giovane architetto membro della Azione Cattolica, fra la meraviglia di quanti hanno potuto osservare la complessità del progetto e la rapidità della esecuzione, grazie alla bravura e alla tenacia delle maestranze, la vostra Unione ha fatto sorgere, con tutti gli edifici e le opere annesse, una bella e spaziosa chiesa, sede di parrocchia, intitolandola a S. Leone Magno.

Noi stimiamo di non far torto a nessuno dicendo che di questo Pontefice, grandissimo fra i grandi, pochi conoscono la intrepida attività per il bene civile e sociale di Roma e d'Italia, per conservare la purezza della fede e per riordinare e rafforzare l'organizzazione ecclesiastica; forse non molti ricordano che una gran parte della sua operosità fu spesa nella lotta contro l'eresia monofisita, la quale negava in Cristo due nature, la umana e la divina, realmente distinte, senza fusione nè mescolanza.

Ma tutti sanno che, mentre Attila, re degli Unni, scendeva vittorioso in Italia, devastando la Venezia e la Liguria, e si apprestava a marciare su Roma, Leone Papa rincorò Imperatore, Senato e popolo, tutti in preda al terrore; poi partì inerme e andò incontro all'invasore sul Mincio. E Attila lo ricevette degnamente e tanto si rallegrò della presenza del summus sacerdos, che rinunziò ad ogni azione di guerra e si ritirò oltre il Danubio. Questo memorabile fatto avvenne nell'autunno dell'anno 452, onde Noi siamo lieti di commemorarne qui solennemente con voi la decimoquinta ricorrenza centenaria. Diletti figli, Uomini di Azione Cattolica! Quando abbiamo appreso che il nuovo tempio doveva essere dedicato a S. Leone I, salvatore di Roma e dell'Italia dall'impeto dei barbari, Ci è venuto il pensiero che forse voi volevate riferirvi alle condizioni odierne. Oggi non solo l'Urbe e l'Italia, ma il mondo intero è minacciato.

Oh, non chiedeteCi qual è il « nemico », nè quali vesti indossi. Esso si trova dappertutto e in mezzo a tutti; sa essere violento e subdolo. In questi ultimi secoli ha tentato di operare la disgregazione intellettuale, morale, sociale dell'unità nell'organismo misterioso di Cristo. Ha voluto la natura senza la grazia; la ragione senza la fede; la libertà senza l'autorità; talvolta l'autorità senza la libertà. È un « nemico » divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio : Dio è morto; anzi : Dio non è mai stato. Ed ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo sopra fondamenti che Noi non esitiamo ad additare come principali responsabili della minaccia che incombe sulla umanità: un'economia senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio. Il « nemico » si è adoperato e si adopera perchè Cristo sia un estraneo nelle Università, nella scuola, nella famiglia, nell'amministrazione della giustizia, nell'attività legislativa, nel consesso delle nazioni, là ove si determina la pace o la guerra.

Esso sta corrompendo il mondo con una stampa e con spettacoli, che uccidono il pudore nei giovani e nelle fanciulle e distruggono l'amore fra gli sposi; inculca un nazionalismo che conduce alla guerra.

Voi vedete, diletti figli, che non è Attila a premere alle porte di Roma; voi comprendete che sarebbe vano, oggi, chiedere al Papa di muoversi e andargli incontro per fermarlo e impedirgli di seminare la rovina e la morte. Il Papa deve, al suo posto, incessantemente vigilare e pregare e prodigarsi, affinché il lupo non finisca col penetrare nell'ovile per rapire e disperdere il gregge (cfr. Io. 10, 12); anche coloro, che col Papa dividono la responsabilità del governo della Chiesa, fanno tutto il possibile per rispondere all'attesa di milioni di uomini, i quali — come esponemmo nello scorso febbraio — invocano un cambiamento di rotta e guardano alla Chiesa come a valida ed unica timoniera. Ma questo oggi non basta: tutti i fedeli di buona volontà debbono scuotersi e sentire la loro parte di responsabilità nell'esito di questa impresa di salvezza.

Diletti figli, Uomini di Azione Cattolica! L'umanità odierna disorientata, smarrita, sfiduciata, ha bisogno di luce, di orientamento, di fiducia. Volete voi con la vostra collaborazione — sotto la guida della sacra Gerarchia — essere gli araldi di questa speranza e i messaggeri di questa luce? Volete essere portatori di sicurezza e di pace? Volete essere il grande, il trionfante raggio di sole che invita a destarsi dal torpore e a fortemente operare? Volete divenire — se così a Dio piacerà — animatori di questa moltitudine umana, in attesa di avanguardie che la precedano?

Allora è necessario che la vostra azione sia anzitutto cosciente.

L'uomo di Azione Cattolica non può ignorare ciò che la Chiesa fa e intende di fare. Egli sa che la Chiesa vuole la pace; che vuole una più giusta distribuzione della ricchezza; che vuole sollevare le sorti degli umili e degl'indigenti; sa che Cristo, Dio fatto uomo, è il centro della storia umana; che tutte le cose sono state fatte in Lui e per Lui. Egli sa che la Chiesa, quando auspica un mondo diverso e migliore, pensa ad una società avente per base e fondamento Gesù Cristo con la sua dottrina, i suoi esempi, la sua redenzione.

In secondo luogo bisogna che la vostra azione sia illuminatrice.

Nelle vostre fabbriche, nei vostri uffici, per le strade, nei luoghi ove prendete il sano svago o il necessario riposo, vi capiterà d'imbattervi in uomini « che hanno occhi per vedere e non vedono » (Ezech. 12, 2). Oggi. per esempio, s'incontra povera gente persuasa che la Chiesa, che il Papa, vogliono lo sfrutta mento del popolo, vogliono la miseria, vogliono — parrebbe inimmaginabile — la guerra! Gli autori e i propagatori di queste orrende calunnie riusciranno a sfuggire alla giustizia degli uomini, ma non potranno sottrarsi al giudizio di Dio. « Verrà un giorno... »! Signore, perdona loro! Intanto però è necessario di cogliere ogni occasione per aprire gli occhi a quei ciechi, spesso piuttosto vittime d'inganno che colpevoli.

Ancora : occorre che la vostra azione sia vivificatrice.

L'Azione Cattolica non sarà veramente tale, se non agirà sulle anime. Le grandi adunanze, i magnifici cortei, le pubbliche manifestazioni, sono certamente utili. Ma guai a confondere gli strumenti col fine per il quale debbono essere adoperati! Se la vostra azione non portasse la vita dello spirito dove è la morte; se non cercasse di sanare quella stessa vita dove è malata; se non la fortificasse dove è debole; sarebbe vana. Sappiamo che la vostra Presidenza Generale ha approntato un programma di lavoro « capillare », per rendere efficiente la presenza dei cattolici militanti in ogni luogo e con tutte le persone, in mezzo a cui vivono. Di quella « base missionaria », come si è voluto chiamarla, siate dunque voi i principali componenti e propulsori.

La vostra azione sia inoltre unificatrice.

Siate uniti fra i membri di una stessa Associazione; uniti fra le diverse Associazioni; uniti con gli altri « rami » dell'Azione Cattolica. Ma siate uniti e fatevi promotori di unione anche con le altre forze cattoliche, che combattono le vostre stesse incruente battaglie e son protese a vincere la vostra stessa lotta. — Diletti figli! Volete essere forti? Volete essere, con l'aiuto di Dio, invincibili? Siate pronti a sacrificare al bene supremo dell'unione, non diciamo i capricci — è chiaro —, m, anche qualche idea o programma, che potesse sembrarvi geniale. L'unione, tuttavia, non è unicità; questa distruggerebbe la varietà delle forze; varietà che non ha soltanto un valore estetico, ma arreca altresì vantaggi strategici e tattici di primissimo ordine.

La vostra azione sia finalmente obbediente.

Nessuno più di Noi desidera che il laicato esca da un certo stato di minorità, oggi più che mai immeritato nel campo dell'apostolato. Ma, d'altra parte, è evidente la necessità di una obbedienza pronta e filiale, ogniqualvolta la Chiesa parla per istruire le menti dei fedeli e per dirigerne l'attività. Essa si guarda bene dall'invadere la competenza dell'Autorità civile. Ma quando si tratta di questioni che toccano la religione o la morale, è dovere di tutti i cristiani, e specialmente dei militanti di Azione Cattolica, di adempire le sue disposizioni, di comprendere e seguire i suoi insegnamenti. Vorremmo anzi aggiungere che anche nel seno dell'Azione Cattolica è necessario di osservare una stretta disciplina fra i vari gradi delle Associazioni. Quando infatti si ha di fronte un esercito di ferrea organizzazione, a quale pericolo si esporrebbe una milizia scompaginata, nella quale ognuno si credesse autorizzato a giudicare e ad agire di proprio arbitrio?

Ed ora, prima di conchiudere queste Nostre parole, vorremmo affidarvi una « consegna ». Voi certamente ricordate che nello scorso mese di febbraio abbiamo rivolto ai fedeli di Roma una calda esortazione, affinchè il volto anche esterno dell'Urbe appaia fulgido di santità e di bellezza. Dobbiamo dire che clero e popolo sono fervidi all'opera, acciocchè non rimangano vane le Nostre speranze, non sia frustrata la Nostra fiducia. Ma Noi abbiamo al tempo stesso espresso l'augurio che il potente risveglio, a cui abbiamo esortato Roma, sia « presto imitato dalle vicine e lontane diocesi, affinchè ai Nostri occhi sia concesso di veder tornare a Cristo non soltanto le città, ma le nazioni, i continenti, l'umanità intera ». Per questo, che potremmo chiamare « secondo tempo », Noi contiamo sugli Uomini di Azione Cattolica, su tutta l'Azione Cattolica.

Allora, mentre gli empi continuano a diffondere i germi dell'odio, mentre gridano ancora : « Non vogliamo che Gesù regni sopra di noi »: « nolumus hunc regnare super nos » (Luc. 19, 15), un altro canto si leverà, canto di amore e di liberazione, spirante fermezza e coraggio. Esso si leverà nei campi e nelle officine, nelle case e nelle strade, nei parlamenti e nei tribunali, nelle famiglie e nella scuola.

Diletti figli, Uomini di Azione Cattolica! Fra qualche istante Noi impartiremo con tutta l'effusione del Nostro cuore paterno l'Apostolica Benedizione a voi, ai vostri cari, alle vostre opere, alle vostre Associazioni. Poi riprenderete il vostro cammino, tornerete alle vostre dimore, ritroverete il vostro lavoro.

Portate dappertutto la vostra azione illuminatrice e vivificatrice.

E sia il vostro canto un canto di certezza e di vittoria.

Christus vincit! Christus regnat! Christus imperat!

 


 

*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XIV, 
 Quattordicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1952 - 1° marzo 1953, pp. 357 - 362
 Tipografia Poliglotta Vaticana

 A.A.S., vol. XXXXIV (1952), n. 16, pp. 830 - 835.




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san Pio X
Fin dalla prima ("Sillabo sociale")

Motu Proprio



Motu Proprio dell’AZIONE POPOLARE CRISTIANA

Fin dalla prima Nostra Enciclica all’Episcopato dell’Orbe, facendo eco a quanto i Nostri gloriosi Predecessori ebbero stabilito intorno all’azione cattolica del Laicato, dichiarammo lodevolissima questa impresa, ed ancor necessaria nelle presenti condizioni della Chiesa e della civile società. E Noi non possiamo non encomiare altamente lo zelo di tanti illustri personaggi, che da lungo tempo si diedero a questo nobile compito, e l’ardore di tanta eletta gioventù, che alacre è corsa a prestare in ciò l’opera sua. Il XIX Congresso Cattolico, tenuto testé a Bologna, e da Noi promosso e incoraggiato, ha sufficientemente mostrato a tutti la vigoria delle forze cattoliche, e quello che possa ottenersi di utile e salutare in mezzo alle popolazioni credenti, ove questa azione sia ben retta e disciplinata, e regni unione di pensieri, di affetti e di opere in quanti vi concorrono.
Ci reca però non lieve rammarico che qualche disparere sorto in mezzo ad essi, abbia suscitato delle polemiche pur troppo vive, le quali, se non represse opportunamente, potrebbero scindere le medesime forze e renderle meno efficaci. Noi, che raccomandammo sopra tutto l’unione e la concordia degli animi prima del Congresso, perché si potesse stabilire di comune accordo quanto si attiene alle norme pratiche dell’azione cattolica, non possiamo ora tacere. E poiché le divergenze di vedute nel campo pratico mettono capo assai facilmente in quello teoretico, ed anzi in questo necessariamente devono tenere il loro fulcro, è d’uopo rassodare i principii, onde tutta dev’essere informata l’azione cattolica.
Leone XIII di s. m., Nostro insigne Predecessore, tracciò luminosamente le norme dell’azione popolare cristiana nelle preclare Encicliche Quod Apostolici muneris del 28 dicembre 1878, Rerum novarum del 15 maggio 1891, e Graves de communi del 18 gennaio 1901; e ancora in particolare Istruzione emanata per mezzo della Sacra Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari, il 27 gennaio 1902.
E Noi, che non meno del Nostro Antecessore vediamo il grande bisogno che sia rettamente moderata e condotta l’azione popolare cristiana, vogliamo che quelle prudentissime norme siano esattamente osservate; e che nessuno quindi ardisca allontanarsene menomamente.
E però, a tenerle più facilmente vive e presenti, abbiamo divisato di raccoglierle come in compendio nei seguenti articoli, quale Ordinamento fondamentale dell’azione popolare cristiana riportandole da quegli stessi Atti. Queste dovranno essere per tutti i cattolici la regola costante di loro condotta.

ORDINAMENTO FONDAMENTALE

I.
La Società umana, quale Dio l’ha stabilita, è composta di elementi ineguali, come ineguali sono i membri del corpo umano: renderli tutti eguali è impossibile, e ne verrebbe la distruzione della medesima Società (Encycl. Quod Apostolici muneris).

II.<
La eguaglianza dei vari membri sociali è solo in ciò che tutti gli uomini traggono origine da Dio Creatore; sono stati redenti da Gesù Cristo, e devono alla norma esatta dei loro meriti e demeriti essere da Dio giudicati, e premiati o puniti (Encycl. Quod Apostolici muneris).

III.
Di qui viene che, nella umana Società, è secondo la ordinazione di Dio che vi siano principi e sudditi, padroni e proletari, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, nobili e plebei, i quali, uniti tutti in vincolo di amore, si aiutino a vicenda a conseguire il loro ultimo fine in Cielo; e qui, sulla terra, il loro benessere materiale e morale (Encycl. Quod Apostolici muneris).

IV.
L’uomo ha sui beni della terra non solo il semplice uso, come i bruti; ma sì ancora il diritto di proprietà stabile: né soltanto proprietà di quelle cose, che si consumano usandole; ma eziandio di quelle cui l’uso non consuma (Encycl. Rerum Novarum).

V.
E' diritto ineccepibile di natura la proprietà privata, frutto di lavoro o d’industria, ovvero di altrui cessione o donazione; e ciascuno può ragionevolmente disporne come a lui pare (Encycl. Rerum Novarum).

VI.
Per comporre il dissidio fra i ricchi ed i proletari fa mestieri distinguere la giustizia dalla carità. Non si ha diritto a rivendicazione, se non quando si sia lesa la giustizia (Encycl. Rerum Novarum).

VII.
Obblighi di giustizia, quanto al proletario ed ai padroni, sono questi: prestare interamente e fedelmente l’opera che liberamente e secondo equità fu pattuita; non recar danno alla roba, né offesa alla persona dei padroni; nella difesa stessa dei propri diritti astenersi da atti violenti né mai trasformarla in ammutinamenti (Encycl. Rerum Novarum).

VIII.
Obblighi di giustizia, quanto ai capitalisti ed ai padroni, sono questi: rendere la giusta mercede agli operai; non danneggiare i loro giusti risparmi, né con violenze, né con frodi, né con usure manifeste o palliate; dar loro libertà per compiere i doveri religiosi; non esporli a seduzioni corrompitrici ed a pericoli di scandali; non alienarli dallo spirito di famiglia e dall’amor del risparmio ; non imporre loro lavori sproporzionati alle forze, o mal confacenti coll’età o col sesso (Encycl. Rerum Novarum).

IX.
Obbligo di carità de’ ricchi e de’ possidenti, è quello di sovvenire ai poveri ed agl’indigenti, secondo il precetto Evangelico. Il qual precetto obbliga sì gravemente, che nel dì del giudizio dell’adempimento di questo in modo speciale si chiederà conto, secondo disse Cristo medesimo (Matth. XXV) (Encycl. Rerum Novarum).

X.
I poveri poi non devono arrossire della loro indigenza, né sdegnare la carità dei ricchi, sopra tutto avendo in vista Gesù Redentore, che, potendo nascere fra le ricchezze, si fece povero per nobilitare la indigenza ed arricchirla di meriti incomparabili pel Cielo (Encycl. Rerum Novarum).

XI.
Allo scioglimento della quistione operaia possono contribuir molto i capitalisti e gli operai medesimi con istituzioni ordinate a porgere opportuni soccorsi ai bisognosi, e ad avvicinare ed unire le due classi fra loro. Tali sono le società di mutuo soccorso; le molteplici assicurazioni private; i patronati per i fanciulli, e sopra tutto le corporazioni di arti e mestieri (Encycl. Rerum Novarum).

XII.
A tal fine va diretta specialmente l’Azione Popolare Cristiana o Democratica Cristiana colle sue molte e svariate opere. Questa Democrazia Cristiana poi dev’essere intesa nel senso già autorevolmente dichiarato, il quale, lontanissimo da quello della Democrazia Sociale, ha per base i principi della fede e della morale cattolica, quello sopra tutto di non ledere in veruna guisa il diritto inviolabile della privata proprietà (Encycl. Graves de communi).

XIII.
Inoltre la Democrazia Cristiana non deve mai immischiarsi con la politica, né dovrà mai servire a partiti ed a finì politici; non è questo il suo campo: ma essa dev’essere benefica a favore del popolo, fondata sul diritto di natura e sui precetti del Vangelo (Encycl. Graves de communi) (Istruz, della S. C. degli AA. EE. SS.).
I Democratici cristiani in Italia dovranno del tutto astenersi dal partecipare a qualsivoglia azione politica che nelle presenti circostanze, per ragioni di ordine altissimo, è interdetta ad ogni cattolico (Istruz, cit.).

XIV.
In compiere le sue parti, la Democrazia Cristiana ha obbligo strettissimo di dipendere dall’Autorità Ecclesiastica, prestando ai Vescovi ed a chi li rappresenta piena soggezione e obbedienza. Non è zelo meritorio, né pietà sincera intraprendere anche cose belle e buone in sé, quando non siano approvate dal proprio Pastore (Encycl. Graves de communi).

XV.
Perché tale azione democratico-cristiana abbia unità di indirizzo, in Italia, dovrà essere diretta dall’Opera de’ Congressi e de’ Comitati Cattolici; la quale Opera in tanti anni di lodevoli fatiche ha sì ben meritato della S. Chiesa, ed alla quale Pio IX e Leone XIII di s. m. affidarono l’incarico di dirigere il generale movimento cattolico, sempre sotto gli auspici e la guida dei Vescovi (Encycl. Graves de communi).

XVI. 
Gli scrittori cattolici, per tutto che ciò tocca gl’interessi religiosi e l’azione della Chiesa nella Società, devono sottostare pienamente, d’intelletto e di volontà, come tutti gli altri fedeli, ai loro Vescovi, ed al Romano Pontefice. Devono guardarsi sopra tutto di prevenire, intorno a qualunque grave argomento, i giudizi della Sede Apostolica (Istruz. della S.C. degli AA. EE. SS.).

XVII.
Gli scrittori democratici-cristiani, come tutti gli scrittori devono sottomettere alla preventiva censura dell’Ordinario tutti gli scritti, che riguardano la religione, la morale cristiana e l’etica naturale, in forza della Costituzione Officiorum et munerum (art. 41). Gli ecclesiastici poi, a forma della medesima Costituzione (art. 42), anche pubblicando scritti di carattere meramente tecnico, debbono previamente ottenere il consenso dell’Ordinario (Istruz. della S.C. degli AA. EE. SS.).

XVIII.
Debbono fare inoltre ogni sforzo ed ogni sacrifizio perché regnino fra loro carità e concordia, evitando qualsivoglia ingiuria o rimprovero. Quando sorgono motivi di dissapori, anziché pubblicare cosa alcuna sui giornali, dovranno rivolgersi all’Autorità Ecclesiastica, la quale provvederà secondo giustizia. Ripresi poi dalla medesima, obbediscano prontamente senza tergiversazioni e senza menarne pubbliche lagnanze; salvo, nei debiti modi ed ove sia richiesto dal caso, il ricorso all’Autorità superiore (Istruz. della S.C. degli AA. EE. SS.).

XIX.
Finalmente gli scrittori cattolici, nel patrocinare la causa dei proletari e dei poveri, si guardino dall’adoperare un linguaggio che possa ispirare nel popolo avversione alle classi superiori della società. Non parlino di rivendicazioni e di giustizia, allorché trattasi di mera carità, come innanzi fu spiegato. Ricordino che Gesù Cristo volle unire tutti gli uomini col vincolo del reciproco amore, che è perfezione della giustizia, e che porta l’obbligo di adoperarsi al bene reciproco (Istruz. della S.C. degli AA. EE. SS.). 


Le predette norme fondamentali, Noi, di moto proprio e di certa scienza, colla Nostra Apostolica Autorità le rinnoviamo in ogni loro parte, ed ordiniamo che vengano trasmesse a tutti i Comitati, Circoli ed Unioni Cattoliche di qualsivoglia natura e forma. Tali società dovranno tenerle affisse nelle loro sedi, e rileggerle spesso nelle loro adunanze. Ordiniamo inoltre che i giornali cattolici le pubblichino integralmente e dichiarino di osservarle; e le osservino infatti religiosamente: altrimenti siano gravemente ammoniti, e se ammoniti non si emendassero, verranno dalla Autorità Ecclesiastica interdetti.
Siccome poi a nulla valgono parole e vigoria d’azione, se non siano precedute, accompagnate e seguite costantemente dall’esempio; la necessaria caratteristica, che deve rifulgere in tutti i membri di qualunque Opera cattolica, è quella di manifestare apertamente la fede colla santità della vita, colla illibatezza del costume e colla scrupolosa osservanza delle leggi di Dio e della Chiesa. E questo perché è il dovere di ogni cristiano, e poi anche perché chi ci sta di contro, abbia rossore, non avendo nulla, onde dir male di noi (Tit. II, 8).
Di queste Nostre sollecitudini pel bene comune della azione cattolica, specialmente in Italia, speriamo colla divina benedizione, copiosi e felici frutti.

Dato in Roma presso S. Pietro il 18 decembre 1903, anno primo del Nostro Pontificato.

 



NON PIANGE PIU' NESSUNO di "Radicati nella fede".

 


 
Se non ci sono più preti non piange quasi più nessuno. È questa la triste constatazione che ci tocca fare.
Assistiamo alla più grande crisi sacerdotale della storia della Chiesa, intere terre in Europa sono ormai senza sacerdote e tutto tace. Non sentirete nemmeno un vescovo gridare all'allarme, piangere con i suoi fedeli, domandare a tutti una grande preghiera per le vocazioni sacerdotali; intimare un digiuno e una grande supplica perché il Signore abbia pietà del suo popolo.
 
Sentirete, questo sì, vescovi e responsabili di curia descrivere i numeri di questo calo vertiginoso di presenza dei preti nella Chiesa, li sentirete elencare i dati pacatamente, troppo pacatamente, in modo distaccato, come se fosse una situazione da accettare così com'è, anzi la chance per una nuova Chiesa più di popolo.
 
Nella nostra terra italiana, terra di antica cristianità, assisteremo in questi prossimi anni alla scomparsa delle parrocchie, allo stravolgimento, impensabile fino a qualche anno fa, della struttura più semplice del Cattolicesimo, di quella trama di comunità parrocchiali dove la vita cristiana era naturale per tutti... ma l'assoluta maggioranza dei cattolici impegnati farà finta di niente, perché i pastori hanno già fatto così.
È un “cataclisma”, un “terremoto”... ma nessuno piange, si fa finta di niente.
Si fa finta di niente, perché bisogna che la favola della primavera del Concilio continui. Ci si sottrae a qualsiasi verifica storica, si nega l'evidenza di una crisi senza precedenti.
 
E si prepara un futuro che ci sembra poco cattolico.
 
Sì, perché si parla di “ristrutturare” l'assetto delle comunità cristiane, di fare spazio ai laici (come se in questi anni non ne avessero avuto a sufficienza), si inventa un nuovo genere di fedeli cristiani che diventeranno gli addetti delle parrocchie, che di fatto sostituiranno i preti. Fedeli laici “clericalizzati”, un nuovo genere di preti che terranno le chiese... e nell'attesa di una qualche messa predicheranno loro, come cristiani adulti, il Verbo di verità...
 
...ma nessuno piange, nessuno prega gridando a Dio.
 
Forse non gridano perché da anni qualcuno ha preparato questo terremoto nella Chiesa.
 
Hanno svilito il sacerdozio cattolico, trasformando i preti da uomini di Dio ad operatori sociali delle comunità. Hanno ridotto loro il breviario e la preghiera, gli hanno imposto un abito secolare per essere come tutti, gli hanno detto di aggiornarsi perché il mondo andava avanti... e gli hanno detto di non esagerare la propria importanza, ma di condividere il proprio compito con i fedeli, con tutti.
 
E come colpo di grazia gli hanno dato una messa che è diventata la prova generale del cataclisma nella Chiesa: non più preghiera profonda, non più adorazione di Dio presente, non più unione intima al sacrificio propiziatorio di Cristo in Croce, ma cena santa della comunità. Tutta incentrata sull'uomo e non su Dio, tutta un parlare estenuante per fare catechesi e comunità. Una messa che è tutto un andirivieni di laici sull'altare, prova generale di quell'andirivieni di signori e signore che saranno le nostre ex parrocchie senza prete.
 
E con la messa “mondana”, hanno inculcato la dottrina del sacerdozio universale dei fedeli... stravolgendone il significato. I battezzati sono un popolo sacerdotale in quanto devono offrire se stessi in sacrificio, in unione con Cristo crocifisso, offrire tutta la loro vita con Gesù. I fedeli devono santificarsi: questo è il sacerdozio universale dei battezzati. Ma i fedeli non partecipano al sacerdozio ordinato che è di altra natura, che conforma a Cristo sacerdote. E’ attraverso il sacramento dell’Ordine che Cristo si rende presente nella grazia dei sacramenti. Se non ci fossero più preti sarebbero finite sia la Chiesa che la grazia dei sacramenti.
 
Martin Lutero e il Protestantesimo fecero proprio così: distrussero il sacerdozio cattolico dicendo che tutti sono sacerdoti: sottolineando appunto il sacerdozio universale, il laicato. 
Nella pratica della ristrutturazione delle parrocchie forse si finirà così: diverso sarebbe stato affrontare questa crisi con nel cuore e nella mente un'alta stima del sacramento dell'ordine, sapendo che il prete è uno dei doni più grandi per la Chiesa e per il popolo tutto; ma così non è: si affronterà questa crisi dopo anni di protestantizzazione e di relativizzazione del compito dei preti. Si affronterà questa crisi dopo anni di confusione totale nella vita del clero; dopo anni di disabitudine alla messa quotidiana e alla dottrina cattolica: così i fedeli faranno senza il prete, anzi già fanno senza. E quando un prete arriverà, non sapranno più che farsene, abituati a credere che il Signore li salva senza di loro e i loro sacramenti.
 
A noi sembra ingiusto far finta di niente.
 
Per questo chiediamo ai nostri fedeli di pregare con forza perché il Signore torni a concedere, come un tempo, tanti sacerdoti santi alla sua Chiesa.
Cari fedeli,abbiamo il coraggio di chiedere, anche con le lacrime, questa grazia al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria.
E teniamo come dono preziosissimo la Messa di sempre, la Messa della tradizione, che sola saprà dare nuovi sacerdoti alla Chiesa di Dio.

[Modificato da Caterina63 01/11/2016 16:57]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)