00 06/01/2016 17:33

  Usa: salvato in extremis
dall’espianto d’organi 

di Alfredo De Matteo

pubblicato su Corrispondenza Romana


Il concetto di morte cerebrale, lungi dal soddisfare pienamente i criteri di accertamento della morte (storicamente determinata dalla cessazione di tutte le funzioni vitali di un organismo umano), fu elaborato nel 1968 da un comitato dell’Harvard Medical School, appositamente istituito per fornire una legittimazione scientifica e giuridica alla pratica dei trapianti di organi vitali, che notoriamente non può effettuarsi da cadavere. Emergono di tanto in tanto episodi di cronaca che gettano luce sulla totale inaffidabilità del criterio della morte cerebrale, evidenze anche clamorose che però non riescono a dipanare la coltre di menzogne e disinformazione che copre uno dei più grandi inganni dell’epoca moderna.

Negli Stati Uniti, ad esempio il signor George Pickering III era stato dichiarato morto cerebralmente in seguito ad un ictus ed i medici dell’ospedale Tomball Regional Medical Centre di Houston, in Texas, si erano subito attivati per espletare tutte le procedure necessarie per procedere all’espianto di organi, dato che i familiari del paziente avevano prestato il loro consenso alla “donazione” dei tessuti. Tuttavia, un incredibile imprevisto ha fermato la macchina dei trapianti: il padre del malcapitato, avendo notato che tutto si stava muovendo troppo in fretta (cosa che accade assai spesso nel caso dei trapianti), ha impugnato la pistola ed ha minacciato di sparare ai medici che si apprestavano a “staccare la spina” al figlio.

In tal modo egli è riuscito a tenere lontani per ben tre ore la polizia ed il personale di servizio, ossia il tempo sufficiente a notare che dietro sollecitazione il figlio riusciva a stringergli la mano. A circa un anno di distanza George Pickering III non solo non è morto ma ha pienamente recuperato la sua salute ed il padre è uscito dal carcere (Il Messaggero.it,  25 dicembre 2015).

Si potrebbe obiettare che tali incresciosi accadimenti rappresentino casi isolati, il frutto di diagnosi sbagliate o affrettate, e che essi non vadano ad inficiare la validità generale del criterio della morte cerebrale. Tuttavia, il fatto che siano casi isolati è una pura congettura, dal momento che spesso tali episodi, che in realtà sembrano verificarsi con una certa regolarità, passano sotto silenzio oppure tendono a venire rubricati, appunto, come semplici errori umani.

Per di più, raramente si verificano forme estreme di resistenza come quella messa in atto dal padre del sig. Pickering e che costringono poi a prendere atto dell’invalidità della diagnosi effettuata dall’ospedale. Inoltre, se il criterio di accertamento della morte basato sulla presunta cessazione delle sole funzioni cerebrali è soggetto ad errori, che siano essi accidentali, non voluti o semplicemente dovuti a scarsa professionalità degli operatori, significa che il criterio stesso non è affidabile al 100 per cento; pertanto, nel dubbio, bisognerebbe astenersi dal praticarlo, dal momento che riguarda direttamente la vita e la morte delle persone.

Purtroppo, quanti hanno creduto e tuttora credono, acriticamente, al mito della morte cerebrale ed al conseguente mito della donazione di organi vitali come gesto altruistico privo di conseguenze per il donatore? 




Mi è stato fatto notare che la Chiesa, con il Pontificato di Giovanni Paolo II era a favore della donazione degli organi...
ed è vero...
che cosa è accaduto? e che cosa è cambiato oggi?
che se ne sa di più e di certo si sa che LA MORTE CEREBRALE NON E' SUFFICIENTE PER DECRETARE LA MORTE DI UNA PERSONA

Il Vaticano: «La morte cerebrale 

non è la fine della vita». È polemica

«Valutare le ricerche scientifiche e le basi morali prima dei trapianti». Insorge la comunità scientifica

CITTÀ DEL VATICANO 4 sett. 2008 - Secondo L'Osservatore Romano, la dichiarazione di «morte cerebrale» non è più sufficiente per sancire la fine della vita, che va quindi rimodulata anche in base alle nuove ricerche scientifiche. L'organo di stampa del Vaticano lo scrive martedì in un editoriale firmato da Lucetta Scaraffia, membro del Comitato nazionale di bioetica e vice presidente dell'Associazione Scienza e vita, dedicato al 40° anniversario del Rapporto di Harvard, che modificò la definizione di morte, da allora non più basata sull'arresto cardiocircolatorio, ma sull'encefalogramma piatto.

CONTRADDIZIONE - La Chiesa accettò quella definizione e si disse favorevole al prelievo degli organi da pazienti considerati cerebralmente morti, ricorda l'editoriale. Ma poi la scienza ha dimostrato che «la morte cerebrale non è la morte dell'essere umano», perciò il concetto di «morte cerebrale entra in contraddizione con il concetto di persona secondo la dottrina cattolica, e quindi con le direttive della Chiesa nei confronti dei casi di coma persistenti. La giustificazione scientifica di questa scelta risiede in una peculiare definizione del sistema nervoso, oggi rimessa in discussione da nuove ricerche, che mettono in dubbio proprio il fatto che la morte del cervello provochi la disintegrazione del corpo», spiega Lucetta Scaraffia, che prosegue affermando che forse aveva ragione chi sospettava che la nuova definizione di morte, «più che da un reale avanzamento scientifico, fosse stata motivata dall'interesse, cioè dalla necessità di organi da trapiantare».

TRAPIANTI - Molti neurologi, giuristi e filosofi sono oggi concordi «nel dichiarare che la morte cerebrale non è la morte dell'essere umano», prosegue l'autrice dell'articolo. «Queste considerazioni aprono ovviamente nuovi problemi per la Chiesa cattolica, la cui accettazione del prelievo degli organi da pazienti cerebralmente morti, nel quadro di una difesa integrale e assoluta della vita umana, si regge soltanto sulla presunta certezza scientifica che essi siano effettivamente cadaveri». Inoltre «l'idea che la persona umana cessi di esistere quando il cervello non funziona più, mentre il suo organismo, grazie alla respirazione artificiale, è mantenuto in vita, comporta un'identificazione della persona con le sole attività cerebrali, e questo entra in contraddizione con il concetto di persona secondo la dottrina cattolica, e quindi con le direttive della Chiesa nei confronti dei casi di coma persistente».




ECCO IL TESTO DAL SITO VATICANO, PERCIO' UFFICIALE

Il rischio di confondere il coma (morte corticale) con la morte cerebrale è sempre possibile.
E questa preoccupazione venne espressa al concistoro straordinario del 1991 dal cardinale Ratzinger nella sua relazione sul problema delle minacce alla vita umana: "Più tardi, quelli che la malattia o un incidente faranno cadere in un coma "irreversibile", saranno spesso messi a morte per rispondere alle domande di trapianti d'organo o serviranno, anch'essi, alla sperimentazione medica ("cadaveri caldi")".

Queste considerazioni aprono ovviamente nuovi problemi per la Chiesa cattolica, la cui accettazione del prelievo degli organi da pazienti cerebralmente morti, nel quadro di una difesa integrale e assoluta della vita umana, si regge soltanto sulla presunta certezza scientifica che essi siano effettivamente cadaveri.
Ma la messa in dubbio dei criteri di Harvard apre altri problemi bioetici per i cattolici: l'idea che la persona umana cessi di esistere quando il cervello non funziona più, mentre il suo organismo - grazie alla respirazione artificiale - è mantenuto in vita, comporta una identificazione della persona con le sole attività cerebrali, e questo entra in contraddizione con il concetto di persona secondo la dottrina cattolica, e quindi con le direttive della Chiesa nei confronti dei casi di coma persistente.


http://w2.vatican.va/content/osservatore-romano/it/comments/2008/documents/205q01b1.html


A quarant'anni dal rapporto di Harvard

 

I segni della morte

 

di Lucetta Scaraffia


Quarant'anni fa, verso la fine dell'estate del 1968, il cosiddetto rapporto di Harvard cambiava la definizione di morte basandosi non più sull'arresto cardiocircolatorio, ma sull'encefalogramma piatto:  da allora l'organo indicatore della morte non è più soltanto il cuore, ma il cervello. Si tratta di un mutamento radicale della concezione di morte - che ha risolto il problema del distacco dalla respirazione artificiale, ma che soprattutto ha reso possibili i trapianti di organo - accettato da quasi tutti i Paesi avanzati (dove è possibile realizzare questi trapianti), con l'eccezione del Giappone.

Anche la Chiesa cattolica, consentendo il trapianto degli organi, accetta implicitamente questa definizione di morte, ma con molte riserve:  per esempio, nello Stato della Città del Vaticano non è utilizzata la certificazione di morte cerebrale. A ricordare questo fatto è ora il filosofo del diritto Paolo Becchi in un libro (Morte cerebrale e trapianto di organi, Morcelliana) che - oltre a rifare la storia della definizione e dei dibattiti seguiti negli anni Settanta, tra i quali il più importante è senza dubbio quello di cui fu protagonista Hans Jonas - affronta con chiarezza la situazione attuale, molto più complessa e controversa.
Il motivo per cui questa nuova definizione è stata accettata così rapidamente sta nel fatto che essa non è stata letta come un radicale cambiamento del concetto di morte, ma soltanto - scrive Becchi - come "una conseguenza del processo tecnologico che aveva reso disponibili alla medicina più affidabili strumenti per rilevare la perdita delle funzioni cerebrali". La giustificazione scientifica di questa scelta risiede in una peculiare definizione del sistema nervoso, oggi rimessa in discussione da nuove ricerche, che mettono in dubbio proprio il fatto che la morte del cervello provochi la disintegrazione del corpo.

Come dimostrò nel 1992 il caso clamoroso di una donna entrata in coma irreversibile e dichiarata cerebralmente morta prima di accorgersi che era incinta; si decise allora di farle continuare la gravidanza, e questa proseguì regolarmente fino a un aborto spontaneo. Questo caso e poi altri analoghi conclusi con la nascita del bambino hanno messo in questione l'idea che in questa condizione si tratti di corpi già morti, cadaveri da cui espiantare organi. Sembra, quindi, avere avuto ragione Jonas quando sospettava che la nuova definizione di morte, più che da un reale avanzamento scientifico, fosse stata motivata dall'interesse, cioè dalla necessità di organi da trapiantare.
Naturalmente, in proposito si è aperta nel mondo scientifico una discussione, in parte raccolta nel volume, curato da Roberto de Mattei, Finis vitae. Is brain death still life? (Rubbettino), i cui contributi - di neurologi, giuristi e filosofi statunitensi ed europei - sono concordi nel dichiarare che la morte cerebrale non è la morte dell'essere umano. Il rischio di confondere il coma (morte corticale) con la morte cerebrale è sempre possibile.

E questa preoccupazione venne espressa al concistoro straordinario del 1991 dal cardinale Ratzinger nella sua relazione sul problema delle minacce alla vita umana:  "Più tardi, quelli che la malattia o un incidente faranno cadere in un coma "irreversibile", saranno spesso messi a morte per rispondere alle domande di trapianti d'organo o serviranno, anch'essi, alla sperimentazione medica ("cadaveri caldi")".

Queste considerazioni aprono ovviamente nuovi problemi per la Chiesa cattolica, la cui accettazione del prelievo degli organi da pazienti cerebralmente morti, nel quadro di una difesa integrale e assoluta della vita umana, si regge soltanto sulla presunta certezza scientifica che essi siano effettivamente cadaveri. Ma la messa in dubbio dei criteri di Harvard apre altri problemi bioetici per i cattolici:  l'idea che la persona umana cessi di esistere quando il cervello non funziona più, mentre il suo organismo - grazie alla respirazione artificiale - è mantenuto in vita, comporta una identificazione della persona con le sole attività cerebrali, e questo entra in contraddizione con il concetto di persona secondo la dottrina cattolica, e quindi con le direttive della Chiesa nei confronti dei casi di coma persistente. Come ha fatto notare Peter Singer, che si muove su posizioni opposte a quelle cattoliche:  "Se i teologi cattolici possono accettare questa posizione in caso di morte cerebrale, dovrebbero essere in grado di accettarla anche in caso di anencefalie".
Facendo il punto sulla questione, Becchi scrive che "l'errore, sempre più evidente, è stato quello di aver voluto risolvere un problema etico-giuridico con una presunta definizione scientifica", mentre il nodo dei trapianti "non si risolve con una definizione medico-scientifica della morte", ma attraverso l'elaborazione di "criteri eticamente e giuridicamente sostenibili e condivisibili".
La Pontificia Accademia delle Scienze - che negli anni Ottanta si era espressa a favore del rapporto di Harvard - nel 2005 è tornata sul tema con un convegno su "I segni della morte".
Il quarantesimo anniversario della nuova definizione di morte cerebrale sembra quindi riaprire la discussione, sia dal punto di vista scientifico generale, sia in ambito cattolico, al cui interno l'accettazione dei criteri di Harvard viene a costituire un tassello decisivo per molte altre questioni bioetiche oggi sul tappeto, e per il quale al tempo stesso costa rimettere in discussione uno dei pochi punti concordati tra laici e cattolici negli ultimi decenni.

 

(© L'Osservatore Romano 3 settembre 2008)


[Modificato da Caterina63 06/01/2016 18:36]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)