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“IL MIO AMICO FULTON J.SHEEN, VERO PROFETA”



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Il ritratto donato da Sheen a Mons.Franco ai tempi della loro collaborazione.
Il ritratto donato da Sheen a Mons.Franco ai tempi della loro collaborazione.


Ho da poco
 terminato di leggere un bellissimo libro dal titoloBishop Fulton J.Sheen, Mentor and friend. Autore, il mio caro amico Mons.Hilary Franco, che ebbe il privilegio di lavorare parecchi anni come assistente personale del Venerabile Sheen (per maggiori dettagli, rimando a questa vecchia intervista che feci al Monsignore).


Il volume, pubblicato alla fine dello scorso anno, è una raccolta di memorie dell’attività e della lunga amicizia tra l’Arcivescovo Sheen e Mons.Franco, un rapporto mantenutosi ben oltre il periodo di collaborazione tra i due – che coprì anche i lavori del Concilio Vaticano II- e che si perpetuò negli anni attraverso una fitta corrispondenza di lettere tuttora gelosamente conservate dal Monsignore. E proprio queste missive, assieme ai ricordi personali raccolti e compilati da Lisa e Geno Delfino, costituiscono l’ossatura di un racconto che non è un semplice memoriale, bensì un formidabile insight, un approfondimento ricco di spunti sulla monumentale figura di Fulton J.Sheen.



Non intendo
 però fornire una recensione del libro (acquistabilequi), quanto condividerne alcuni estratti dalla seconda parte (strutturata in forma di intervista al Monsignore da parte dell’attivista pro-life T. Patrick Monaghan), eloquenti della grandezza di Sheen e dell’attualità delle sue riflessioni ed intuizioni di protagonista della Chiesa del ‘900, pienamente cosciente della portata dei cambiamenti e delle sfide che la toccarono, e che ancora si ripercuotono pesantemente sulla Barca di Pietro in questo inizio di secolo XXI.

Una traduzione italiana di un'opera di Sheen donata da questo alla madre di Mons.Franco.
Una traduzione italiana di un’opera di Sheen donata da questo alla madre di Mons.Franco in occasione della morte del marito. La dedica dice: “Alla mia cara amica Signora Franco, il cui cuore è stato spezzato in due dal dolore, ma la metà del quale è già in Paradiso”.


Sull’ecumenismo
 correttamente inteso dall’Arcivescovo, Mons.Franco racconta:

<<Un’altra categoria per cui provava interesse erano i protestanti ed i gruppi ecumenici. Ho sempre detto che l’ecumenismo scorreva nelle sue vene! Senza sosta, parlava a centinaia di persone ed a volte anche a migliaia nella stessa occasione. “Seicento ministri metodisti del Nord Carolina mi hanno invitato a parlare per tre giorni ad una conferenza sulla predicazione e la vita spirituale. Questo non sarebbe stato possibile dieci anni fa”. Poco dopo, scrisse che andava a rivolgersi a ventunomila giovani luterani a Houston, notando che “il potenziale di conversione è grande” laddove Cristo viene predicato. Provava interesse anche nel rivolgersi a varie organizzazioni secolari. “Non sono invitato nelle università cattoliche, ma in quelle secolari, nelle camere di commercio, in istituzioni commerciali. Mentre la Chiesa sta cercando di identificarsi con la cultura…ci sono gruppi in cerca di trascendenza”. Nel 1975 scriveva di dover rifiutare dieci inviti al giorno, molti dei quali provenienti da organizzazioni non religiose>>.

Insomma
, un eccezionale apostolo della Chiesa al quale tutte le confessioni protestanti (negli USA storicamente tutt’altro che ben disposte verso i cattolici, come appunto accenna lo stesso Sheen), ebrei e persino svariate associazioni di estrazione laica, si rivolgevano per ascoltare parole di sapienza e verità. Proprio mentre in seno alla Catholica torme di invasati cercavano di farla virare verso il mondo, questo quasi sembrava voler intraprendere la direzione opposta, alla ricerca di quella verità che, se efficacemente predicata, si mostra irresistibile.


Oggi invece
 dove ci ritroviamo? Eh, ce la dobbiamo vedere con certi cardinaloni teutonici che scrivono della Resurrezione come un mito letterario (per assicurarsi che l’unica conversione d’interesse per le istituzioni commerciali resti quella delle valute) od auspicano che“Lutero sia l’ispiratore delle riforme della Chiesa” (di quei ventunomila luterani raccoltisi attorno a Sheen costui avrebbe fatto un Concilio dogmatico, altro che incontrarli saldamente nella dottrina).

Un giovanissimo Sheen negli anni '30, quando la sua fama di grande predicatore si diffuse attraverso la radio.
Un giovanissimo Sheen negli anni ’30, quando la sua fama di grande predicatore si diffuse attraverso la radio.

Sulla premura dell’Arcivescovo per i sacerdoti:
<<L’Arcivescovo Sheen scelse di dedicare gran parte del suo tempo e delle sue energie ai sacerdoti, specialmente nell’ultima fase della sua vita. Sarebbe arduo stimare a quante centinaia di ritiri per preti partecipò in quel periodo [negli ultimi dieci anni di vita, giunta al termine nel 1979, ndt]. Una delle espressioni ricorrenti nelle sue lettere per me era che, sebbene trovasse la qualità dei preti generalmente soddisfacente, osservava con dolore che non tutti erano soddisfacenti.

Tuttavia
 riscontrava una complessiva reattività alla sua predicazione. Chiamava gli estremi tra i preti gli “ultravioletti” e gli “infrarossi”. In realtà, le sue parole erano in qualche modo più descrittive: “A ciascun estremo si trovano gli ultravioletti e gli infrarossi: i nevrotici che intendono cambiare il mondo senza Cristo, e gli psicotici che vogliono conservare la Chiesa ma ignorare il mondo”. Ma, devo comunque reiterare che in questo commento si riferiva ai comportamenti estremi>>.

Anche qui
, la ragionevolezza e l’equilibrio contro ogni deriva estremista, si tratti degli smantellamenti di marca modernista o il rischio, insito in certo tradizionalismo sclerotizzato nei formalismi, di raggomitolarsi chiudendo fuori gli uomini, invece di farli entrare.

Sull’abbigliamento dei sacerdoti:
<<Dismettendo l’idea che i vescovi debbano apparire “come uno dei ragazzi”, diceva che la Chiesa prospererebbe dall’essere innalzata invece che abbassata. Notava come nella sua esperienza quei preti che rifiutavano di indossare la talare erano spesso preti problematici che in pratica mostravano segni di difficoltà più profonde.

Una volta
 mi raccontò di un importante arcivescovo che si era lamentato di alcuni seminaristi che stavano causando parecchi grattacapi. Il Giovedì Santo, l’Arcivescovo Sheen si trovava in quel seminario per delle funzioni, e non un singolo seminarista era in talare. Si informò a riguardo, chiedendo a quello stesso arcivescovo perché non dicesse ai suoi seminaristi di vestirsi in maniera appropriata. Non vi fu risposta. In incidenti di questo tipo, Sheen vedeva il grande bisogno di leadership e buoni esempi.
Parallelamente al declinare dell’utilizzo dell’abbigliamento clericale vi era il declino nei gesti di devozione verso la Santa Eucaristia – come il genuflettersi- e, molto peggio, nel maneggiarla e nelle deviazioni liturgiche>>.

Come emerge anche dai ricordi di Mons.Franco, per Sheen l'abito faceva, eccome, il monaco.
Come emerge anche dai ricordi di Mons.Franco, per Sheen l’abito faceva, eccome, il monaco.


Mons.Franco
 prosegue sulle preoccupazioni di Sheen riguardo ai giovani sacerdoti:

<<Una delle tante tristi storie raccontatemi dall’Arcivescovo riguardava un giovane prete che era rimasto scandalizzato da una serie di pastori e perciò intendeva lasciare il sacerdozio. L’Arcivescovo lo convinse a restare e, immagino col suo inimitabile modo di fare, continuò ad aiutare il giovane sacerdote. (…) L’Arcivescovo Sheen parlava sempre di ritornare a Cristo, il bisogno di predicare il Vangelo e ritornare a predicare Cristo. “Nessuno parla di Cristo… eppure quando parlo ai non cattolici della Sua Passione, se ne innamorano… Cristo non è crocifisso. E’ abbandonato nell’uliveto. Ciò che vedo mi spezza il cuore. Ora so perché ‘il Pane è spezzato': a significare ciò che abbiamo fatto al Suo cuore”. (…)
Era molto preoccupato della mancanza di vocazioni mentre osservava diminuire il numero di seminaristi. Mi disse che ciò era dovuto “alla perdita di fede”. Affermò che “la Chiesa deve comprendere che le sue infermità non sono semplicemente psicologiche, ed i professori devono capire che la ‘maturità sociale’ non è un sostituto della riconciliazione”. (…) Mi disse molte volte che considerava i seminari statunitensi come uno dei più seri problemi della Chiesa. (…)
Posso dire che sopra ogni altra cosa lo preoccupava il fatto che i preti fossero carenti di sfide e leadership. “Essi sono desiderosi di fare di più, ma non vengono accesi”. Questa immagine dell’essere accesi dal fuoco per Cristo era da lui ripetuta spesso; questo era ciò che lui e i suoi colleghi vescovi dovrebbero fare: trasmettere la scintilla ai propri sacerdoti (…) “Il Signore è venuto sulla terra ad accendere un fuoco e sono certo che vorrebbe vedere un po’ di più che del fumo”. Mi diceva dell’importanza di vescovi “pii e preparati”, uomini in grado di leggere i segni dei tempi. Oltre a comprendere in che direzione sta andando il mondo, devono bruciare del fuoco di Cristo e i preti “coglieranno le scintille”.>>

Sheen (qui con dei missionari domenicani) ebbe tra le sue principali preoccupazioni la retta istruzione dei giovani sacerdoti e religiosi, ai quali i vescovi erano chiamati a trasmettere "il fuoco della fede".
Sheen (qui con dei missionari domenicani) ebbe tra le sue principali preoccupazioni la retta istruzione dei giovani sacerdoti e religiosi, ai quali i vescovi erano chiamati a trasmettere “il fuoco della fede”.


Sull’assenza
 di devozione e gli oltraggi al Santissimo Sacramento:<<Qualunque mancanza di rispetto per l’Eucaristia e la celebrazione della Messa gli facevano orrore. In quanto prete, la sua vita ruotava attorno all’Eucaristia, “la fonte e l’apice” della vita cristiana. Anche quando molto debilitato, si alzava per celebrare la Messa ed andare ad adorare il suo Signore nella sua cappella personale. E’ lì che fu trovato quando morì. Credo che questo contestualizzi tutto. (…) L’Arcivescovo osservava, nei suoi viaggi attraverso gli Stati Uniti, disturbanti deviazioni liturgiche. Questo era un insulto verso Nostro Signore e causa di grande sofferenza per l’Arcivescovo Sheen, il quale sapeva che le persone soffrivano molto a causa di tali scandali.

Sì, insisteva
 sulla presenza visibile del tabernacolo nelle chiese. Una volta mi raccontò che, in un noto monastero dove era stato invitato per un ritiro, nella chiesa non vi era il Santissimo Sacramento. “Ho annunciato che non avrei svolto il ritiro a meno che la Presenza Eucaristica fosse ristabilita”. Fu ristabilita per il ritiro. Ciò accadde anche in altre chiese.

Mi disse
 che troppi seminaristi rifiutavano di genuflettersi di fronte al tabernacolo. Lamentava il fatto che la gente si sedesse a parlare dopo la Comunione e che “il Signore è messo da parte in un angolo oscuro; in alcuni casi particole consacrate vengono portate in sacrestia e mescolate ad ostie non consacrate, ecc. (…) enfatizzava il bisogno, per la legislazione della Chiesa, di ristabilire la venerazione per il Santissimo Sacramento>>.

L'Arcivescovo celebra la Messa, al cui centro sta l'Eucaristia, "fonte e apice della vita cristiana".
L’Arcivescovo celebra la Messa, al cui centro sta l’Eucaristia, “fonte e apice della vita cristiana”.


Sui ribellismi
 degli ordini femminili:

<<Ciò che accadde alle religiose dopo il Vaticano II fu causa di grande angoscia per l’Arcivescovo. E’ una cosa che mi ripeteva costantemente! Credo che la sola altra questione che gli causava più dolore fossero le offese alla Santa Eucaristia. Era convinto che le suore “ci hanno considerevolmente deluso”. (…) Una volta chiese: “Quando, oh, quando verrà ricordato [da parte dei clerici adibiti a trattare il problema] alle sorelle che appartengono meno al mondo che alla Chiesa?”.

Nel 1973
, mi disse che normalmente rifiutava di offrire ritiri alle suore a causa della situazione. Quando li offriva, era solo per quelle suore che si presentavano tutte negli abiti della propria congregazione. (…) Cominciava sempre i suoi discorsi parlando a “sorelle riconoscibili”, e notava che i laici amavano sentir dire ciò. Non gli andò mai a genio che le suore non vestissero i propri abiti, in modo da non identificarsi con la missione della propria congregazione ed essere così un segno nel mondo. (…) Come spiegava a quel tempo, per molte “lo standard è il conformarsi al mondo, non a Cristo”. Era convinto che la seduzione del secolarismo costituisse la maggiore tentazione per i cattolici degli USA. (…)

Riguardo
 alle suore e alla secolarizzazione, Sheen scrisse così nel 1972: “La vita spirituale nei nostri tempi comincia con un ‘no’ al mondo. I cristiani russi sono passati per la prova del comunismo, i tedeschi quella del nazismo e noi quella del secolarismo. Solo coloro che hanno detto ‘sì’ al trascendente hanno il potere di dire ‘no’. Le autorità nei primi secoli non erano dei sognatori. Erano guerrieri. Andarono nel deserto per vedersela col Demonio e dirgli ‘no’. Oggi le persone sono così affamate di pane e noi gli diamo Rice Krispies”>>.


Sui deragliamenti
 dell’educazione religiosa dopo il Concilio:

<< [Sheen] era molto preoccupato riguardo l’educazione religiosa. Negli anni ’70 cominciò a mettermi in guardia sul deterioramento della catechesi. Le sue osservazioni erano profonde e profetiche. (…) Nel 1973 mi disse che era necessaria una lettera del Santo Padre che ristabilisse Cristo nella catechesi poiché i libri in uso per l’istruzione religiosa partivano dalla comunità, non da Cristo. Mi parlava di testi che “seguono Marx e non Marco”, ad intendere che eludevano Cristo o lo utilizzavano per altri fini. “Il marxismo è infine penetrato nella Chiesa”. Per lui, la catechesi fu uno dei “più grandi problemi” seguiti al Concilio. In tal senso, osservò in maniera profetica che la Chiesa negli Stati Uniti non necessitava un “rinnovamento”, bensì una “ri-Cristificazione”.

Nel 1976
 lo invitarono ad una conferenza sulla catechesi intitolata ‘Gesù oggi’. Riscontrò che i film presentati alla conferenza riguardavano il cantare e l’abbracciarsi…tutto meno che l’Eucaristia! Non è incredibile? Quando così arrivò il suo turno di parlare, cominciò dicendo che era “turbato da un ‘Gesù oggi’ distinto dal ‘Gesù Cristo, lo stesso ieri e per sempre”. Predicò Cristo come faceva sempre! I partecipanti alla conferenza risposero con un prolungato applauso che dovette essere interrotto dopo un buon minuto”. (…) Era profondamente consapevole del fatto che durante quegli anni di confusione erano soprattutto i fedeli a soffrire. “Il cuore di Cristo è spezzato! Così come quelli dei fedeli”. Questo era riferito a coloro ai quali veniva detto che non esisteva più un obbligo domenicale. Sì, è vero, la gente soffriva. E lui soffriva poiché, come diceva spesso, le persone erano molto ricettive, ma non ricevevano insegnamenti. Ne era conscio perché andava ad incontrare le persone, predicava loro Cristo e le vedeva rispondere alla predicazione del Vangelo. Diceva sempre che la gente vuol essere innalzata e non trascinata verso il basso>>.

Qui con Paolo VI, Sheen fu legato da filiale e profonda devozione a tutti i Papi della sua vita, che di lui ebbero tutti infinita stima.
Qui con Paolo VI, Sheen fu legato da filiale e profonda devozione a tutti i Papi della sua vita, che per lui provarono infinite stima e riconoscenza grazie al suo servizio alla Chiesa.


Sulla burocratizzazione
 e la mondanizzazione dei clerici americani (e, viene fondatamente da dire: non solo quelli):

<<Nel 1970, mi confidò una grande preoccupazione riguardo il futuro. Al centro di essa stavano i suoi fratelli vescovi. Vedeva la debolezza di un alto numero di loro, debolezza che minava la loro autorità come successori degli apostoli. In quel periodo critico, incontrò vescovi che cercavano di evitare problemi e decisioni difficili, delegando la propria autorità ad altri, fallendo nell’insegnamento e nella disciplina, ascoltando cattivi consiglieri e dimostrando apatia. “Così tanti hanno paura di non essere amati”, mi diceva. (…) Diceva che “la Chiesa negli USA sta andando alla deriva – non necessariamente verso un abisso- ma comunque alla deriva. In tanti si riposano sui loro remi, perché nessuno ha indicato loro la direzione. Fissiamo il giroscopio che registra ogni cosa che passa, ma non il radar bloccato in un punto”.

Era timoroso
 che la conferenza episcopale si stesse appesantendo di pratiche burocratiche e si stesse allontanando dalla centralità di Cristo per dirigersi verso questioni politico-sociali. Ricordo una discussione su una ricerca sociologica del 1970 commissionata dai vescovi i cui risultati furono però scoperti dalla stampa ben prima che i vescovi li visionassero. Diceva che il pericolo nello sponsorizzare tale tipo di indagini era che la dottrina e la moralità diventassero un fatto numerico. “La maggioranza” decide! (…) “Il potenziale per la conversione è grande, se solo annunciassimo Cristo invece che inezie sociologiche e scienze politiche”. (…) “Il nostro paese è pronto per la disciplina e il sacrificio di sé, ma nessuno ne parla”. (…)

Osservava
 il declino della cristianità nella nostra nazione, proprio lo stesso di cui stiamo facendo esperienza oggi. Al tempo, disse che eravamo prossimi ad entrare in un “nuovo mondo” la cui natura era difficile da scorgere, ma che non sarebbe stata più cristiana: “…siamo alla fine del cristianesimo – ma non della cristianità”. Con cristianesimo intendeva le questioni politiche, economiche e sociali di una nazione governata secondo l’etica del Vangelo.>>

Infine, sulle possibili soluzioni a tale deriva:

<<Credeva che la Chiesa fosse la sola autorità morale rimasta nel mondo. Per cui si può immaginare quanto gli premeva che la Chiesa avesse dei leader forti, pii e ben istruiti! “Più la Chiesa agisce divinamente, più eserciterà influenza. Il problema è che tantissimi sacerdoti non hanno dimestichezza con l’autorità comune, vale a dire il Magistero, e così i fedeli diventano confusi”. Diceva molte cose simili a Papa Francesco, ad esempio che la Chiesa restava chiusa in se stessa, “non sufficientemente attenta ai problemi del mondo ed in special modo all’evangelizzazione di quelli al di fuori della Chiesa”. Nel 1972 parlava di tre possibilità di rinnovamento per la Chiesa. La prima erano “le avversità”. La seconda era una guida potente “in alto che lascerà crescere nel raccolto il grano e il loglio, ma che ci dirà quale è l’uno e quale l’altro”. La terza era il bisogno di un santo, come San Filippo Neri>>.

Instancabile predicatore fino alla fine della sua vita.
Instancabile predicatore fino alla fine della sua vita.


Dai ricordi
 e dalle citazioni del Venerabile Sheen raccolte da Mons.Franco si mostrano dunque luminosi il suo amore per la Chiesa di Cristo, la lucidità e la capacità di leggere le cause profonde dei problemi e i segni del tempo, l’umiltà di un grande intelletto combattente per la Verità contro i facili compromessi col mondo, unicamente interessato a portare quante più anime al Signore e non ad innalzarsi nella vanagloria e l’autocompiacimento. Tutte qualità che oggi sembrano latitare in molti clerici, per i quali pregare ed augurarsi si conformino all’esempio dell’Arcivescovo Sheen, come descritto ancora una volta da Mons.Franco:


<<Era davvero un “ponte” tra l’uomo e Dio. Possedeva questo dono divino del trasmettere una grande autorevolezza e visione nella sua predicazione e nella conversazione. Insegnava in modo profondo, deciso ed incisivo, così che l’ascoltatore riusciva a rendersi conto delle proprie mancanze e cadute, sollecitando pentimento in coloro che lo ascoltavano. Poi, all’improvviso, vedevi apparire nei suoi occhi quell’irreprimibile scintillio ed un sorriso gentile. Era un segno di come il giudizio di Dio è sempre temperato dalla misericordia e il perdono, e sapevi che, quando ascoltavi predicare il Vescovo Sheen, stavi ricevendo qualcosa di vero e duraturo>>.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)