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  PADRE MICHAEL SCRIVE A BERGOGLIO: NIENTE FURBERIE GESUITICHE, IL “LODO TORNIELLI” E’ IMPRATICABILE. SUI DIVORZIATI RISPOSATI LEI PUO’ SOLO CONFERMARE LA DOTTRINA CATTOLICA (E TORNIELLI SI RICORDI COSA SCRIVEVA POCO TEMPO FA…)





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Ricevo e pubblico questo articolo di un dotto ecclesiastico.

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In un recente articolo su Vatican Insider ( qui ) il giornalista Andrea Tornielli si è improvvisato teologo prospettando che il Papa, vista l’ambivalenza della Relatio synodi, diversamente interpretata da progressisti e conservatori, possa imitare Pio XII che nel definire il dogma dell’Assunta, nel 1950, non prese parte per nessuna delle due correnti teologiche che allora disputavano sulla modalità di questa assunzione, promulgando nella Muneficentissimus Deus una formula ambivalente.

Così facendo Tornielli fa un paragone non solo imprudente ed irriverente, ma fondamentalmente illogico. Tirare in ballo Pio XII per la definizione del dogma dell’Assunta e la sua via mediana fra assunzionisti e morientisti è semplicemente assurdo.

Infatti in quel caso, anche se Pio XII avesse  privilegiato una della due ipotesi, ossia che la Vergine era morta come tutti gli uomini (morientisti), o che era stata assunta senza conoscere il passaggio della morte (assunzionisti), il risultato non sarebbe cambiato perché ci saremmo sempre trovati dinnanzi alla sostanza del dogma, che è l’Assunzione al cielo in anima e corpo della beata Vergine Maria.

Diverso sarebbe il caso della Relatio sinodale; qui infatti il risultato cambierebbe  a seconda della lettura posta in essere: quella aperturista porterebbe a concedere la comunione ai divorziati risposati civilmente (con tutte le conseguenze annesse in ambito teologico e morale), quella conservatrice (chiamamola così!) porterebbe al mantenimento della prassi attuale.

Nel caso evocato di Pio XII poi, mi si passi l’esempio culinario, è come se uno dovesse scegliere se metter la pentola sulle braci vive di un fuoco o su un fornello a gas. L’una o l’altra opzione  non cambierebbe il contenuto della pentola. Si tratta di questioni accidentali, non sostanziali.

Non così accadrebbe con la Relatio: qui è proprio il contenuto della pentola che cambia! La formula allora più che ambivalente, caro Tornielli,  sarebbe contradittoria.

E’ questione di logica! Anche i teologi e i giornalisti debbono attenersi alla logica e nella logica prima di tutto al principio di non contraddizione : “E’ impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga o non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo” ( Aristotele, Metafisica, cap . 3 10005 b 19-20).

E non mi si contrapponga ora gesuiticamente  il Vangelo alla logica,  come se Gesù non si fosse rivolto a uomini dotati di logica per farsi intendere : “chi non è con me, è contro di me … non si possono servire due padroni perché si odierà uno e si amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e si disprezzerà l’altro…”, sono chiari esempi di sana logica senza ambivalenza né contradizione.

Inoltre, caro Tornielli, quando nella Chiesa c’è un dubbio,  ci si appella alla Tradizione vivente della Chiesa e al suo magistero costante , cosa che qui non si vuol fare per non trovarsi , nel caso della lettura aperturista della relatio synodi, dinnanzi ad una evoluzione non omogenea del dogma.

Sarebbe come se lei, caro Tornielli, crescendo,  fra qualche anno non solo cambiasse con l’invecchiamento, cosa perfettamente coerente, ma si mutasse in un altro essere diverso da quello che è. Il Magistero poi, nelle cose sostanziali, non potrà mai usare formule ambivalenti né tantomeno contraddittorie (a che servirebbe un magistero che dicesse in buona sostanza “intendetela come vi pare”?).

Ce lo vede lei un Romano Pontefice su una questione sostanziale per la fede o la morale dire in un atto di Magistero come Rigoletto: “Questa o quella per me pari sono..” .

Il Magistero è fatto per confermare (nella verità!), non per confondere! 

Come lei stesso ci ha ricordato il 27 aprile 2012, citando Ratzinger, allorché lei militava sotto ben diverse bandiere, dovrebbe essere finalmente chiaro anche che dire dell’opinione di qualcuno che essa non corrisponde alla dottrina della Chiesa cattolica non significa violare i diritti umani. Ciascuno deve avere il diritto di formarsi e di esprimere liberamente la propria opinione. La Chiesa con il Concilio Vaticano II si è dichiarata decisamente a favore di ciò e lo è ancora oggi. Ma ciò non significa che ogni opinione esterna debba essere riconosciuta come cattolica. Ciascuno deve potersi esprimere come vuole e come può davanti alla propria coscienza. La Chiesa deve poter dire ai suoi fedeli quali opinioni corrispondono alla loro fede e quali no. Questo è un suo diritto e un suo dovere, affinché il sì rimanga sì e il no no, e si preservi quella chiarezza che essa deve ai suoi fedeli e al mondo” (vedi articolo qui ).

Inoltre come non ricordare il suo preziosissimo commento del 5 Febbraio 2011,   all’omelia di papa Benedetto XVI sul rischio che i vescovi siano come canne di palude piegate dallo spirito del tempo:

“Ascoltando le parole (di Benedetto XVI, nda) sulla canna di palude che si piega secondo il soffio del vento assecondando lo spirito del tempo, non ho potuto fare a meno di pensare all’appello dei 143 professori delle facoltà teologiche della Germania, della  Svizzera e dell’Austria. Il documento, intitolato ‘Chiesa 2011 – una svolta necessaria’, chiede profonde riforme, come ad esempio l’abolizione celibato obbligatorio per i preti di rito latino e dunque l’ordinazione di uomini sposati, l’adozione di ‘strutture piu’ sinodali a tutti i livelli della Chiesa’, il coinvolgimento dei fedeli processo selezione dei parroci e dei vescovi, l’apertura alle donne ‘nel ministero della Chiesa’, l’accoglienza delle coppie gay e dei divorziati risposati. Proposte (anzi vecchie ri-proposte) già ascoltate da decenni, che molti teologi ripetono ciclicamente nonostante i ripetuti pronunciamenti del magistero”. ( l’intero articolo qui).

Ecco finalmente detta da lei stesso  la verità che forse nel frattempo lei si è scordato:  su questi temi, anche la comunione ai divorziati risposati,  i pronunciamenti del magistero già ci sono e ripetuti, ma non non c’è peggior sordo di chi non vuole ascoltare.

 

Michael

 

A questa puntuale precisazione di Michael aggiungo la segnalazione di due articoli molto preziosi per capire ciò che è accaduto al Sinodo e per illuminare quello che sta accadendo: il primo è di padre Riccardo Barile op qui e il secondo di Sandro Magister qui






Un sacerdote risponde
http://www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=4243 

A proposito della Comunione ai divorziati risposati ecco alcuni problemi che devono essere risolti

Quesito

Caro Padre Angelo,
mi reputo un ragazzo tendenzialmente progressista ma fedele a quello che è l'immutabile insegnamento del Magistero. In questo periodo, in cui il tema della famiglia è dirompente nella Chiesa che vive il Sinodo straordinario con grande fermento, m'interrogo sulle dichiarazioni del card. Kasper sulla cosiddetta ''zattera'' ai divorziati risposati che ne consentirebbe la comunione sacramentale e sulle dichiarazioni dell'arcivescovo Forte, segretario speciale del Sinodo, che è possibilista ad una soluzione del genere. Quest'ultimo considerato eccelso teologo di fama mondiale, ha dichiarato in un'intervista su Avvenire: ''E cosa diciamo loro? (riferendosi ai divorziati risposati) Che basta la comunione spirituale? Ma così c’è il rischio di svalutare la forza della struttura sacramentale visibile. Dobbiamo procedere con cautela ed esplorare tutte le vie che potrebbero riammettere queste persone all’Eucarestia''. Ecco, a suo modo di vedere, riammettere ai sacramenti queste persone attraverso un cammino penitenziale che seppur sincero permetterebbe di continuare una relazione al di fuori del matrimonio sacramentale, non andrebbe ad intaccare quello che è l'insegnamento in tema di morale? Quale differenza tra due conviventi e due divorziati risposati? Quale differenza tra due risposati che si uniscono sessualmente e una coppia di fidanzati fornicatori tale da giustificare l'Eucaristia ai primi e non ai secondi? Scusi se sono troppo diretto con gli esempi ma la situazione crea in me una certa confusione e le chiedo chiarimenti. Mi chiedo come sia possibile dottrinalmente spiegare tutto ciò.
La ringrazio per il suo tempo e le chiedo di pregare per la mia fede.
Patrizio


Risposta del sacerdote

Caro Patrizio,
1. Mi trovo a risponderti dopo alcuni mesi dalla chiusura della prima parte del Sinodo. Quando la mia risposta apparirà sul sito non mancherà molto alla seconda e conclusiva fase.
Il card. Kasper dice che bisogna offrire una zattera ai divorziati risposati.
La zattera, e anche qualcosa più della zattera, la troviamo nell’insegnamento di Nostro Signore, nel Vangelo.
Abbiamo sentito domenica scorsa le prime parole dell’insegnamento di Gesù secondo l’evangelista Marco: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino;convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15).
Ecco la zattera: la conversione. Anzi, mi piace sottolineare che nella traduzione latina non abbiamo semplicemente conversione, ma “Paenitentiam agite”,fate penitenza.
Le due espressioni mirano al medesimo obiettivo perché non c’è vera conversione se non c’è pentimento dei peccati e degli errori della vita passata.

2. Qualche giorno fa il card. Baldisseri, segretario del Sinodo, ha detto che il prossimo sinodo deve indicare “scelte pastorali coraggiose”.
Che cosa c’è di più coraggioso che dire: “Convertitevi e fate penitenza” (Mc 1,15)?
Nel Vangelo di san Luca Gesù replica per due volte nello spazio di due versetti l’avvertimento: “No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,3.5).

3. Mi sono chiesto tante volte come mai taluni non ricordino queste esigenze fondamentali del Vangelo.
Come mai non riprendano in mano quello che Gesù ha detto nel discorso della Montagna: “Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore” (Mt 5,27-28).
Secondo l’insegnamento del Signore chi dopo un vero matrimonio va a vivere insieme con un‘altra persona “more uxorio” commette adulterio. Anzi, si mette in uno stato di adulterio permanente e pubblico.

4. Gesù ha messo in guardia dal “guardare una donna per desiderarla” dicendo che si tratta già di una grave perversione del disegno santificante di Dio sulla sessualità e sull’amore umano.
In altri termini si tratta di un peccato grave.
Che dire allora di una situazione ben più grave di quella enunciata dal Signore? E cioè di un adulterio vero e proprio e non  soltanto metaforico?
Non c’è scelta più coraggiosa che ripetere l’insegnamento di Gesù: “Convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15).

5. Non è scelta coraggiosa invece per la quale si dice: copriamo tutto, usiamo misericordia.
Perché la misericordia non si limita a coprire il male compiuto, ma mira a formare un uomo nuovo.
In fondo è stata questa la differenza tra la misericordia proposta da Martin Lutero e quella della Chiesa Cattolica nel Concilio di Trento.  
La misericordia divina infatti “non è solo remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore, attraverso l’accettazione volontaria della grazia e dei doni, per cui l’uomo da ingiusto diviene giusto, e da nemico amico, così da essere erede secondo la speranza della vita eterna(Concilio di Trento, Capitolo VII sulla giustificazione). 
Proprio perché raggiunti dalla misericordia trasformante di Dio i peccatori “si rivolgono contro il peccato con odio e detestazione” (Capitolo VI sulla giustificazione).

6. La misericordia o grazia divina attua dunque una trasformazione interiore che porta a ripudiare il peccato e a cominciare una vita nuova.
Giovanni Paolo II ricorda che “in nessun passo del messaggio evangelico il perdono, e neanche la misericordia come sua fonte, significano indulgenza verso il male, verso lo scandalo, verso il torto o l’oltraggio arrecato.
In ogni caso, la riparazione del male e dello scandalo, il risarcimento del torto, la soddisfazione dell’oltraggio sono condizione del perdono” (DM 13 1).

7. Vera misericordia è anche quella di scongiurare di non farsi del male e a non trasformare la santa Comunione da strumento di salvezza in strumento di condanna.
L’ammonimento dello Spirito Santo per bocca di Paolo “Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11,28-29) è un ammonimento di autentica misericordia:.
“Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore” (1 Cor 11,27).

8. Sorge una domanda: perché non prendono in minima considerazione queste parole gravi della Sacra Scrittura?
Perché nelle loro disquisizioni non vi fanno alcun riferimento?
Anch’io sono desideroso che ai divorziati risposati venga dato il massimo dei beni che Cristo ci ha donato.
Ma desidero che si parta dalle parole di Cristo e non se ne scarti neanche una.

9. La zattera evangelica è quella della conversione, della penitenza.
È vero che le situazioni sono talora molto complesse.
È vero che ci si trova dinanzi a divorziati risposati che nel frattempo hanno ricuperato la fede e hanno vivo desiderio di vivere in sintonia con Cristo, che nella nuova unione hanno figli e questi reclamano che i loro genitori stiano insieme sebbene essi non siano marito e moglie.
È vero che proprio per questo ci sono divorziati risposati che non potrebbero separarsi senza compiere con la separazione un nuovo peccato…
Ma perché prima di passare alla Comunione ai divorziati risposati non si dice in prima istanza di verificare se il precedente matrimonio era valido?
E che comunque, anche se non fosse valido, per ora nella nuova unione non sono ancora uniti sacramentalmente in matrimonio?
Perché se si concede loro la Santa Comunione non bisognerebbe darla a qualsiasi convivente, anzi anche a quelli che, pur non essendo sposati, vivono abitualmente privi della grazia perché hanno rapporti sessuali in maniera abituale? 
E allora perché non darla senza confessione e senza cambiamento di vita a tutti quelli che compiono atti impuri? Costoro non sono più peccatori di chi vive in stato di adulterio pubblico e permanente.

10. Mons. Forte dice: “E cosa diciamo loro? (riferendosi ai divorziati risposati) Che basta la comunione spirituale? 
Ma così c’è il rischio di svalutare la forza della struttura sacramentale visibile.
Dobbiamo procedere con cautela ed esplorare tutte le vie che potrebbero riammettere queste persone all’Eucaristia”.
Ebbene, queste vie sono già state esplorate e indicate nella lettera della Congregazione per la Dottrina della fede “circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati” (14 settembre 1994): 
Vi si legge: “Per i fedeli che permangono in tale situazione matrimoniale, l'accesso alla Comunione eucaristica è aperto unicamente dall'assoluzione sacramentale, che può essere data «solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio.
Ciò importa, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, "assumano l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi" (Familiaris consortio 84).
In tal caso essi possono accedere alla comunione eucaristica, fermo restando tuttavia l'obbligo di evitare lo scandalo” (n. 4).

11. Mons. Forte dice anche che non dare la Comunione ai divorziati risposati significherebbe svalutare la struttura sacramentale della Chiesa.
Ma i sacramenti sono essenzialmente dei segni e come tali devono corrispondere al vero, perché diversamente non sono leggibili e inutilmente vengono posti.
Ebbene a tale proposito Giovanni Paolo II ha detto che i segni visibili dell’unione con la Chiesa (e la Santa  Comunione è segno visibile di quest’unione), devono essere segno dei vincoli invisibili, e cioè della vera comunione con Cristo e con la Chiesa mediante la grazia. 
Diversamente si compiono delle falsità proprio usando i segni santi dei Sacramenti.
Ecco le sue testuali parole: “L’integrità dei vincoli invisibili è un preciso dovere morale del cristiano che vuole partecipare pienamente all’Eucaristia comunicando al corpo e al sangue di Cristo. A questo dovere lo richiama lo stesso Apostolo con l’ammonizione: «Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice» (1 Cor 11,28).
San Giovanni Crisostomo, con la forza della sua eloquenza, esortava i fedeli: «Anch’io alzo la voce, supplico, prego e scongiuro di non accostarci a questa sacra Mensa con una coscienza macchiata e corrotta. Un tale accostamento, infatti, non potrà mai chiamarsi comunione, anche se tocchiamo mille volte il corpo del Signore, ma condanna, tormento e aumento di castighi» (Omelie su Isaia 6, 3).
In questa linea giustamente il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1385)stabilisce: «Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla comunione».
Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell’apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell’Eucaristia, «si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale»” (Ecclesia de Eucharistia 36).

12. Giovanni Paolo II sottolinea che non è la Chiesa a voler rompere questi rapporti visibili con  i suoi figli, ma che “sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia” (Familiaris consortio, 84).
E ricorda anche  che “la prassi di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati” è “fondata sulla Sacra Scrittura” (FC 84).
Questo perché “il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia” (FC 84).
Inoltre, da vero pastore, ricorda che “c'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio” (FC 84).

13. Infine, nella discussione sulla Comunione ai divorziati risposati vi sono altri problemi che vengono del tutto disattesi come quelli legati alla castità matrimoniale.
Gli sposi cristiani sono chiamati a vivere in maniera santa e casta il loro amore coniugale.
Per castità qui s’intende la castità  legata al loro stato di vita, che non è quello dei celibi o dei consacrati.
Di fatto gli sposi cristiani vivono in maniera casta e santa il loro amore coniugale quando seguono le vie di Dio.
Quelle vie di cui il Concilio Vaticano II ha detto: “Quando si tratta di comporre l’amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi che hanno il loro fondamento nella dignità stessa della persona umana e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana, e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale.
I figli della Chiesa, fondati su questi principi, non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina” (GS 51).
Purtroppo questo richiamo per i divorziati risposati è eliminato. 
Eppure Paolo VI scrive nell’Humanae vitae: “Non intendiamo affatto nascondere le difficoltà talvolta gravi inerenti alla vita dei coniugi cristiani: per essi, come per ognuno, è stretta la porta e angusta la via che conduce alla vita" (Humanae vitae, 25). E il Signore  soggiunge: “e pochi sono quelli che la trovano!” (Mt 7,14).
Un discorso pastorale che intenda portare tutti alla santità e alla salvezza non può prescindere da questo.

14. Ripeto di nuovo: anch’io sono desideroso che i tesori di grazia e di santità che Cristo ha messo nelle nostre mani vengano portati a tutti gli uomini.
Anzi, lo voglio con tutto il cuore. Sono prete per questo!
Sono convinto però che la soluzione non si trovi glissando i problemi, ma proprio partendo da quello che finora la Chiesa ha detto insegnando il Vangelo. 
Vi sono dei nodi: è realistico e doveroso prenderli in esame.
Ciò che attendo è la soluzione dei nodi, non l’accantonarli o l’aggrovigliarli ancora di più.
Io attendo questa soluzione.
Se verrà trovata tale soluzione ne ringrazierò il Signore con tutto il cuore, la farò mia e la proporrò a tutti a più non posso.
Ma se dopo tutta la discussione si dovesse dire: “non c’è soluzione al di fuori della conversione e del fare penitenza perché Cristo ha detto così” sarebbe bello che con umiltà, sì, con umiltà e coraggio la Chiesa scongiurasse tutti al cambiamento di vita, come ha fatto Pietro in At 2,40.

Molto volentieri assicuro la mia preghiera per la causa che mi ha indicato.
Ti auguro ogni bene e ti benedico.
Padre Angelo






[Modificato da Caterina63 01/11/2015 00:38]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)