00 04/06/2016 12:45
NUOVE TENDENZE

Nuove chiese

 



Scordatevi la riconoscibilità a distanza degli edifici religiosi: oggi le nuova chiese sono costruite secondo criteri architettonici finalizzati a nascondere lo scopo. Insomma, le chiese non sono più a forma di chiesa: col tetto a spiovente e il campanile con la croce sopra. Oggi se ne parla in un convegno della Cei.



di Rino Cammilleri


Quando, anni fa, il fumino Vittorio Sgarbi disse che il medievale Duomo di Pisa era stato trasformato in un cesso un’ondata di indignazione nazionale ed ecclesiale si strinse a coorte a difesa dell’allora arcivescovo, che aveva autorizzato l’opera. Si trattava di un paio di artistici mezzi pulpiti scolpiti, di marmo e quasi cubici, piazzati davanti all’altare maggiore. 

In effetti, gli storici dell’arte sanno che su quell’altare stanno anche bronzei angeli settecenteschi, e affreschi rinascimentali campeggiano qua e là sulle pareti, perciò un tocco di moderno era del tutto coerente col mix di epoche. É tuttavia un fatto che, a chi entra, quei due cosi bianchi laggiù in fondo sembrano lì per lì proprio dei sanitari, e solo avvicinandosi si scopre che –ovviamente- non lo sono. Chissà se si discuterà anche di questo, magari incidentalmente, nel convegno internazionale “Viste da fuori” (da oggi al 4 giugno) organizzato dalla Cei (vescovi) e dal Cna (architetti) che si svolgerà, significativamente, al monastero di Bose e dibatterà di chiese moderne. 

L’articolo di Leonardo Servadio (del 29 maggio su Avvenire online) che lo annuncia è corredato dauna foto della chiesa detta Resurrezione di Gesù a Sesto San Giovanni, un “gizmo” (gergo scientifico per dire “boh”) a strisce bianche e nere che non sfigurerebbe su Krypton (il pianeta natale di Superman). Tant’è che l’articolista si affretta a chiosare preoccupato: «Se il barocco fu interprete puntuale del Concilio tridentino, col proteiforme moderno ci troviamo di fronte a linguaggi lontani dalla tradizione, a volte incerti nel trasmettere il messaggio del Concilio Vaticano II». Per forza, dico io, dal momento che, se c’è una cosa incerta e magmatica, è proprio tale “messaggio”. L’incipit, poi, è perfettamente condivisibile: «C’era un tempo in cui si sapeva com’erano fatte le chiese: si riconoscevano a prima vista. Ma oggi come si distinguono nell’affastellarsi delle molteplici suggestioni architettoniche?». 

Bella domanda. Ma temiamo che neanche il convegno caverà un ragno dal buco, viste le interviste all’(arci)vescovo Bruno Forte e al (don) responsabile per la Cei dei Beni culturali & nuovi edifici. Con alate parole e circonvoluzioni semantiche essi dimostrano come e qualmente le cose non solo resteranno così, ma la direzione è ormai fissa, perciò scordatevi la riconoscibilità a distanza degli edifici religiosi. Se volete un saggio delle pezze giustificative andate a leggervi le magnificazioni, sulle riviste di architettura, della chiesa a strisce dell’ex Stalingrado d’Italia. 

La prosa è la solita che campeggia nelle didascalie dei quadri astratti: voi non ci capite niente, ma l’«esperto» vi spiega che quel che state guardando è bellissimo. L’ultimo intervistato nell’intervista è un liturgista, il quale così conclude: «Tra artisti, architetti e presbiteri si richiede una reciproca formazione, alimentata da momenti e luoghi di dialogo e di confronto». 

Par di capire, al di là, della retorica e forse anche delle (remote) intenzioni, che l’unico assente in tutto questo gran dialogo è il popolo bue. Al quale –si accettano scommesse- se venisse chiesto un parere magari direbbe che a lui le chiese piacciono a forma di chiesa. Sapete, quelle dei film western, col tetto a spiovente e il campanile con la croce sopra. 

Oppure, come le grandi cattedrali americane, che, nella patria della modernità, sono tutte gotico-replica. Sì, perché il senso comune popolare, chissà come mai, si è fermato lì, ai “secoli bui” per quanto riguarda la forma delle chiese. Qualcosa vorrà pur dire. Ma la Chiesa ha cessato da tempo di essere del cosiddetto “popolo di Dio”. Appartiene ai preti, è cosa loro, e guai a dirgli niente. 


<header class="entry-header">

Signor Papa Francesco, quale problema avete con l’Eucarestia?

</header>

«Ecclesia de Eucharistia: la Chiesa vive dell’Eucarestia», scriveva S. Giovanni Paolo II nella sua ultima enciclica, dal medesimo titolo.

Siamo sempre lì, lo confessiamo che a pensar male non è un bene, epperò… Non imitateci per favore, ma prendiamo atto di alcuni fatti e poi, se volete, preghiamo per il Papa e per la Chiesa. Il 10 dicembre 2015 prendevamo atto di una stranissima notizia, vedi qui, che il Papa non avrebbe fatto alcun viaggio in Italia durante il Giubileo, ma senza un comunicato ufficiale, così, per vie traverse e dirette, certamente e diplomaticamente, solo ai diretti interessati.

Pope Francis laughts during a special Jubilee audience with 'vulnerable' pilgrims from the French dioceses of Lyon in the Pope Paul VI hall, at the Vatican, on July 6, 2016. / AFP / GABRIEL BOUYS (Photo credit should read GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images)

Il 30 maggio c’è stato poi l’appello di Marco Tosatti al Papa (vedi qui) supplicandolo ad “andare” almeno alla chiusura del Congresso Eucaristico che si terrà a Genova a settembre. Ma la supplica non ha avuto alcun esito, nessuna emozione, nessun sentimento, diremo indifferentismo allo stato puro.

Ma ecco la “notizia” del giorno: “Papa Francesco visiterà la Porziuncola nel pomeriggio del 4 agosto prossimo”. È Radio Vaticana a darne l’annuncio (vedi qui), spiegando che:“l’occasione è offerta dall’VIII Centenario del Perdono di Assisi, che cade provvidenzialmente nell’Anno Santo straordinario della Misericordia”. Il comunicato non dice altro perché, il resto, è tratto dal sito web della Porziuncola e la visita perciò sarà privata: “Papa Francesco – si legge – si farà pellegrino in forma semplice e privata nella Basilica papale di Santa Maria degli Angeli, dove si raccoglierà in preghiera ed offrirà il dono della sua parola”.

Se la visita è in forma “privata”, chi saranno i “fortunati” in ascolto della sua parola? Siamo all’interno di una sétta, o di privilegiati? Che cosa vuol dire in forma privata se poi a qualcuno lascerà il “dono” della sua parola? Va bene, domande che non avranno mai risposte come tante altre.

Ma ecco un’altra notizia ufficiale interessante, di oggi, 7 luglio: “Papa Francesco ha nominato il cardinale Angelo Bagnasco suo inviato speciale al Congresso Eucaristico Nazionale Italiano che si terrà a Genova dal 15 al 18 settembre” (vedi qui).

Quindi questo conferma che il Papa non andrà ad omaggiare l’Eucaristia. Quindi, per l’Anno della Misericordia, di cui l’Eucaristia è il Protagonista, il Datore unico ed assoluto, non avrà l’omaggio e l’adorazione pubblica del Pontefice, il Suo Vicario in terra. Mentre andrà ad omaggiare il “Perdono di Assisi” il quale, però, senza l’Eucaristia non solo non esisterebbe, ma non servirebbe a nulla.

Ora, per carità, confessiamo che da una parte siamo anche sollevati da questa rinuncia ad andare a Genova perché l’attenzione sarebbe centrata tutta sul Papa e non più sull’Eucaristia e, chissà e ce lo vogliamo augurare, che forse è proprio questo che il Papa teme. Ma d’altra parte però, non possiamo non fare una domanda inquietante: “Santità, ci consenta, Lei quali problemi ha con la Santissima Eucaristia?“.

Da tre anni a questa parte ci siamo resi conto come, molte parti liturgiche spettanti al Pontefice, siano letteralmente scomparse. Nei viaggi apostolici il Papa ha eliminato gli incontri di preghiera eucaristica con i giovani, trasformandoli, inevitabilmente, in una liturgia di divinizzazione del popolo con il suo leader, il Papa. Le forme di preghiera si sono trasformati in incontri di spiritualità laicista dai quali, giustamente, sono scomparsi i segni e i simboli del culto cattolico quali l’incensazione, gli abiti liturgici, e così via. Quando un Papa entrava in una Chiesa, il suo primo saluto era di inginocchiarsi davanti al Tabernacolo, anche questo gesto, in questo pontificato, è letteralmente scomparso. Il Papa entra e tutti gli onori sono per lui, Gesù Cristo è messo da parte, anzi, non lo si saluta più.

Siamo passati da un Giovanni XXIII che amabilmente rimproverava i fedeli che applaudivano il suo ingresso in chiesa (vedi qui), proprio perché lì dentro c’è Gesù Ostia Santa, ad un Papa che non si preoccupa minimamente di andare a salutare Gesù nel Tabernacolo, non se lo fila proprio, ma non disdegna il bagno di folla in onore alla sua persona. Però vorrebbe farci pensare che non va al Congresso Eucaristico per non togliere visibilità all’Eucaristia, come sta facendo per la processione del Corpus Domini, l’unica testimonianza che il Papa potrebbe ancora dare di questa adorazione, con i fedeli, all’urbe e all’orbe, e invece dopo la Messa, se la svigna alla chetichella per farsi trovare già in dirittura d’arrivo, senza inginocchiarsi, per i  saluti finali.

Così come è sparita quella adorazione, seppur breve ma significativa, del Giovedì Santo della Coena Domini, la Cena del Signore “nella notte in cui fu tradito” e volle istituzionalizzare il sacerdozio, trasformata oggi in una cena festosa con i “bisognosi”, e senza che questi “bisognosi” debbano adorare il loro Salvatore Gesù Cristo, basta che vedano il Papa e tutto è a posto, mica si offende Gesù Cristo! Senza nulla togliere all’aspetto misericordioso che potrebbe esplicarsi in altre forme non andando a distruggere il senso della liturgia propria di quel giorno, va da sé che l’immagine che è passata è quella di una trasformazione del sacerdozio stesso e della Messa. E mica dottrinalmente eh! La dottrina “non si tocca”, è la parola d’ordine, ma intanto con i gesti e la pastorale del popolo te la faccio sotto il naso.

Stiamo volando con la fantasia? Magari! Saremo ben lieti di ricevere qualche smentita. Qualcuno potrebbe forse smentire questa raccolta di fatti concreti e reali?

È certo che al centro della vita di San Francesco stava il Cristo nell’Eucaristia. Un giorno volle mandare dei frati per il mondo con pissidi preziose, perché riponessero in luogo il più degno possibile il prezzo della redenzione, ovunque lo vedessero conservato con poco decoro. Poi invitava anche i poveri ad andare ad adorare l’Eucaristia. Egli vedeva nell’Eucaristia il prolungamento dell’Incarnazione e intuiva l’universalità e la perennità del sacrificio di Cristo e la necessità di associarsi ad esso. Forse molti non sanno che le famose parole: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, poiché con la tua santa croce hai redento il mondo. San Francesco le compose proprio per l’adorazione eucaristica e la insegnava a tutti i poveri che incontrava e con i quali si intratteneva. La fede di Francesco abbracciava tutti i segni esterni della presenza di Cristo nell’Eucaristia, dagli altari, alle pissidi, agli abiti, agli incensi, unendo nella preghiera, l’adorazione e la lode, l’Eucaristia e la croce. Per lui tutta la preparazione liturgica eucaristica aveva la precedenza su tutto. E dopo aver servito qualche povero, quando si avviava in una chiesa, il suo unico pensiero era la Custodia Eucaristica. San Francesco, quello di Assisi, non ha mai messo i poveri al posto dell’Eucaristia, anzi, diceva ai suoi fraticelli che «la povertà si ferma ai piedi dell’Altare» (vedi qui).

E allora, Signor Papa, ci dica, se può, quali problemi ha Lei con la Santissima Eucaristia? San Francesco non sarebbe affatto contento di quel mettere il povero — sia materiale quanto maggiormente povero spirituale — al posto della Santissima Eucaristia.


IPSE DIXIT

«Vi sono ambienti, che esercitano notevole influenza, che cercano di convincerci che non bisogna inginocchiarsi. Dicono che questo gesto non si adatta alla nostra cultura (ma a quale, allora?); non è conveniente per l’uomo maturo, che va incontro a Dio stando diritto, o, quanto meno, non si addice all’uomo redento, che mediante Cristo è divenuto una persona libera e che, proprio per questo, non ha più bisogno di inginocchiarsi. […] L’adorazione è uno di quegli atti fondamentali che riguardano l’uomo tutto intero. Per questo il piegare le ginocchia alla presenza del Dio vivo è irrinunciabile. […] L’inginocchiarsi non è solo un gesto cristiano, è un gesto cristologico. Il passo più importante sulla teologia dell’inginocchiarsi è e resta per me il grande inno cristologico di Fil 2,6-11. […] L’incapacità a inginocchiarsi appare addirittura come l’essenza stessa del diabolico. […] Chi impara a credere, impara a inginocchiarsi; una fede o una liturgia che non conoscano più l’atto di inginocchiarsi, sono ammalate in un punto centrale. […]» (Joseph card. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, 2001).

VATICANO
Movimenti Popolari, motto
 

Papa Francesco ha concluso ieri il Terzo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari. Ma chi sono costoro che si presentano all'insegna dello slogan "terra, casa e lavoro per tutti"? Dietro alle belle parole troviamo movimenti marxisti, sindacati e formazioni di estrema sinistra che mirano all'instaurazione del socialismo.

di Marinellys Tremamunno

Papa Francesco ha concluso ieri il Terzo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari. Dopo il primo incontro del 2014 a Roma e quello dell’anno scorso in Bolivia, la Santa Sede l’ha accolto con lo stesso grido: “terra, casa e lavoro per tutti”. Lo ha affermato il pontefice nel suo discorso ai partecipanti, sottolineando che i movimenti popolari sono “seminatori del cambiamento”. Ma che tipo di cambiamento?

Tanto per farsi un'idea dell'aria che tira: “la nuova sinistra o sinistra latinoamericana ai tempi della globalizzazione è rappresentata dai movimenti popolari, che criticano l'ordine nazionale e globale stabilito e che hanno un progetto di cambiamento sociale”. Così vengono definiti i movimenti popolari dal professore Hugo Casino, in un articolo pubblicato sul Brasilian Journal of International Relations, aggiungendo che i movimenti popolari sono un fenomeno ricorrente nella storia del Sudamerica, continente che ha dato i natali al Papa. 

“I movimenti popolari sudamericani sono di ispirazione marxista”. Lo ha rimarcato Casino, spiegando che sono movimenti organizzati da “caudillos” demagogici: il defunto Hugo Chávez ed Evo Morales, tutti e due carismatici e carenti di un vero progetto sociale. Ecco perché la presenza del presidente boliviano nei primi due incontri. Ora sorge spontanea una domanda: cosa sono questi movimenti popolari venuti dal Sudamerica?

Da evidenziare la delegazione argentina, quelli dei “movimientos piqueteros”. Il nuovo consulente di Giustizia e Pace del Vaticano, il marxista dichiarato Juan Grabois, ha portato dal suo paese i principali protagonisti delle proteste contro il governo Macri: “Barrios de Pie”, il movimento “Evita-CTEP” e la “Corriente Clasista Combativa” (CCC), secondo quanto ha riferito il giornale argentino La Nación. Il “Movimento Barrios de Pie” sarebbe il braccio operativo del partito politico di sinistra denominato “Movimentos Libres del Sur”. La Confederazione di Lavoratori dell’Economia Popolare (CTEP) è un’aggregazione sindacale che lotta contro il “neoliberalismo” ed è guidata da Grabois stesso all’insegna del “Socialismo del XXI Secolo” del populista Chávez. Questo è largamente documentato nei tre volumi di formazione scritti per i lavoratori e pubblicati sul sito ufficiale. Infine la CCC è una organizzazione sindacale creata dal “Partito Comunista Revolucionario”. 

Ma siamo sicuri che i movimenti popolari non sono partiti politici? Non solo, l’ideologia “chavista” del Socialismo del XXI Secolo è presente in ogni manifesto: il “Movimiento Nacional Campesino Indigena” (MNCI), un altro dei partecipanti, ha la Segreteria Operativa della “Coordinadora Latinoamericana de Organizaciones del Campo” (CLOC). Un movimento di “resistenza” che ha come obiettivo la costruzione del Socialismo del XXI Secolo, come si legge nel documento del 21 dicembre 2012, letto da Evo Morales in un discorso presso il lago Titicaca. 

Il Socialismo è la meta dei movimenti popolari. “Adesso il capitale imperialista si trova sotto il controllo finanziario e delle multinazionali, di conseguenza il socialismo è l'unico sistema in grado di raggiungere la sovranità dei nostri popoli, mettendo in evidenza i valori della solidarietà, l'internazionalizzazione e la cooperazione tra i nostri popoli”. Si legge nel documento conclusivo del V Congresso della CLOC, realizzato nell’aprile 2015 a Quito (Ecuador) alla presenza dei movimenti popolari sudamericani, di Evo Morales e Rafael Correa.

Oggi Jorge Mario Bergoglio porta dentro al Vaticano i movimenti popolari. I suoi predecessori, invece, avrebbero forse pensato in modo diverso. Giovanni Paolo II “sapeva quale mostro di oppressione si acquattava nelle pieghe delle belle parole ricamate dal marxismo e nell’illusione della uguaglianza sociale. Sapeva che il socialismo reale era l’altra faccia della moneta nazifascista. Poiché come il nazifascismo, il socialismo reale – quello del comunismo – predicava l’uguaglianza attraverso l’oppressione e la frustrazione dell’individuo, l’ateismo e l’avvilimento della persona umana”. Sono parole di Papa Benedetto XVI.



L'INTERVENTO DEL PAPA di Lorenzo Bertocchi










[Modificato da Caterina63 08/11/2016 19:26]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)