00 10/11/2015 10:27

CONVEGNO
Si apre oggi a Firenze il convegno ecclesiale
 

Si ritroveranno tutti sotto la grande immagine del Cristo al centro del mosaico del Battistero di San Giovanni, dopo aver percorso le vie di Firenze in quattro processioni. Così, con una manifestazione di fede popolare, parte oggi il 5° Convegno Ecclesiale nazionale “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”.

di Lorenzo Bertocchi

Si ritroveranno tutti sotto la grande immagine del Cristo al centro del mosaico del Battistero di San Giovanni, dopo aver percorso le vie di Firenze in quattro processioni che partono oggi alle 15:30 dalle basiliche di Santa Croce, Santa Maria Novella, Santo Spirito e la Santissima Annunziata. Così, con una manifestazione di fede popolare, parte il 5° Convegno Ecclesiale nazionale, il convegno della Chiesa italiana nell’era di Papa Francesco. Le cinque “vie” che faranno da traccia ai lavori sono cinque parole molto “francescane”, cioè: uscire, abitare, educare e trasfigurare.  

Come ha scritto l’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, presidente del Comitato preparatorio, «i giorni di Firenze saranno quelli in cui definire i percorsi del necessario rinnovamento della presenza della Chiesa in Italia», per ritrovare «l’entusiasmo della missione, a servizio della nostra gente». Il titolo del Convegno, “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, indica che le giornate di Firenze cercheranno di ridare splendore al tesoro della fede, vale a dire che l’uomo è veramente e pienamente tale solo «in Gesù Cristo». Una soluzione disattesa in un’Italia sempre meno cristiana e sempre più sfilacciata tra crisi economiche e politiche, sociali e culturali. «Tutto sembra liquefarsi in un “brodo” di equivalenze», si legge nella Traccia del convegno. «Nessun criterio condiviso, per orientare le scelte pubbliche e private, sembra resistere e tutto si riduce all’arbitrio e alle contingenze».

Tornano alla memoria le parole del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, nella prolusione dello scorso gennaio. «Di quale uomo si sta oggi parlando? (…). La persona,  anziché in relazione con gli altri, è concepita come individuo sciolto da legami etici e sociali, perché l’unica cosa che conta diventa la libertà individuale assoluta». L’analisi, in effetti, corre come un filo rosso attraverso tutti e cinque i convegni ecclesiali italiani, dal primo del 1976, a Roma, poi Loreto, Palermo e Verona nel 2006. È un filo rosso, perché è questo il male dell’uomo ormai post-moderno, una certa idolatria della libertà.
San Giovanni Paolo II nel discorso al convegno di Loreto nel 1985 citava le conseguenze antropologiche di questa idolatria. Parlava di «tendenze negative», e ne faceva un elenco: «dalla crisi dell’istituto familiare, con l’aumento delle separazioni e dei divorzi, oltre che delle pratiche abortive, e con la connessa diminuzione dei matrimoni religiosi, ai problemi derivanti dalla presente fase nel processo di trasformazione sociale, anche per l’introdursi di nuove tecnologie nel campo dell’informazione, della comunicazione e della produzione, alle difficoltà soprattutto per i giovani e le donne di trovare un lavoro». Analisi che, purtroppo, sembra scritta per l’oggi.

Il rischio da evitare per Firenze 2015 è la «convegnite», così come l’ha definita il Segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino, riferendosi a quel parlarsi addosso un po’ troppo “accademico” e lontano dalla realtà. Il problema dell’uomo ormai richiede un’azione concreta e appassionata, non più risolvibile semplicemente con relazioni e documenti, sebbene nemmeno la cultura possa essere abbandonata in un eccesso iconoclasta. Martedì interverrà papa Francesco che darà il ritmo al convegno, mercoledì sarà la giornata di lavori nei gruppi per approfondire le cinque “vie” del dibattito. Questi ci sembrano essere i momenti di maggior rilievo per i lavori che si concluderanno venerdì attraverso le proposte e le prospettive finali presentate dal cardinale Bagnasco.
Lo stesso Galantino indica che, oggi, la gente ha bisogno di «ritrovarsi, discernere e dialogare», l’importante è che questo dialogo non sia quello che papa Francesco ha definito «dialogo-teatro», una «verniciatura» di confronto che alla fine non porta da nessuna parte. E’ solo su un dialogo autentico che si può costruire un rinnovato slancio missionario.

Cinque giorni di confronto e preghiera si aprono oggi a Firenze per un nuovo umanesimo. La sfida è importante, e come diceva il cardinale Giacomo Biffi non dobbiamo dimenticare che «una missione ecclesiale che non nascesse dalla convinzione di avere da offrire una verità a chi ancora non la possiede, sarebbe una deprecabile iniziativa ideologica».

 
l'arrivo del Papa a Prato e a Firenze


VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
A PRATO E A FIRENZE

(10 NOVEMBRE 2015)

INCONTRO CON LA CITTADINANZA 
E IL MONDO DEL LAVORO

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Piazza della Cattedrale, Prato
Martedì, 10 novembre 2015

[Multimedia]


 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Ringrazio il vostro Vescovo, Monsignor Agostinelli, per le parole molto cortesi che mi ha rivolto. Saluto con affetto tutti voi e coloro che non possono essere qui presenti fisicamente, in particolare le persone ammalate, anziane e quelle detenute nella casa circondariale.

Sono venuto come pellegrino - un pellegrino… di passaggio! Poca cosa, ma almeno la volontà c’è - in questa città ricca di storia e di bellezza, che lungo i secoli ha meritato la definizione di “città di Maria”. Siete fortunati, perché siete in buone mani! Sono mani materne che proteggono sempre, aperte per accogliere. Siete privilegiati anche perché custodite la reliquia della «Sacra Cintola» della Madonna, che ho appena potuto visitare.






Questo segno di benedizione per la vostra città mi suggerisce alcuni pensieri, suscitati anche dalla Parola di Dio. Il primo ci rimanda al cammino di salvezza che il popolo di Israele intraprese, dalla schiavitù dell’Egitto alla terra promessa. Prima di liberarlo, il Signore chiese di celebrare la cena pasquale e di consumarla in un modo particolare: «con i fianchi cinti» (Es 12,11). Cingersi le vesti ai fianchi significa essere pronti, prepararsi a partire, a uscire per mettersi in cammino. A questo ci esorta il Signore anche oggi, oggi più che mai: a non restare chiusi nell’indifferenza, ma ad aprirci; a sentirci, tutti quanti, chiamati e pronti a lasciare qualcosa per raggiungere qualcuno, con cui condividere la gioia di aver incontrato il Signore e anche la fatica di camminare sulla sua strada.
Ci è chiesto di uscire per avvicinarci agli uomini e alle donne del nostro tempo. Uscire, certo, vuol dire rischiare – uscire vuol dire rischiare – ma non c’è fede senza rischio. Una fede che pensa a sé stessa e sta chiusa in casa non è fedele all’invito del Signore, che chiama i suoi a prendere l’iniziativa e a coinvolgersi, senza paura. Di fronte alle trasformazioni spesso vorticose di questi ultimi anni, c’è il pericolo di subire il turbine degli eventi, perdendo il coraggio di cercare la rotta. Si preferisce allora il rifugio di qualche porto sicuro e si rinuncia a prendere il largo sulla parola di Gesù. Ma il Signore, che vuole raggiungere chi ancora non lo ama, ci sprona. Desidera che nasca in noi una rinnovata passione missionaria e ci affida una grande responsabilità. Chiede alla Chiesa sua sposa di camminare per i sentieri accidentati di oggi, di accompagnare chi ha smarrito la via; di piantare tende di speranza, dove accogliere chi è ferito e non attende più nulla dalla vita. Questo ci chiede il Signore.

Egli stesso ci dà l’esempio, avvicinandosi a noi. Il Sacro Cingolo, infatti, richiama anche il gesto compiuto da Gesù durante la sua cena pasquale, quando si strinse le vesti ai fianchi, come un servo, e lavò i piedi dei suoi discepoli (cfr Gv 13,4; Lc 12,37). Perché, come ha fatto Lui, facessimo anche noi. Siamo stati serviti da Dio che si è fatto nostro prossimo, per servire a nostra volta chi ci sta vicino. Per un discepolo di Gesù nessun vicino può diventare lontano. Anzi, non esistono lontani che siano troppo distanti, ma soltanto prossimi da raggiungere. Vi ringrazio per gli sforzi costanti che la vostra comunità attua per integrare ciascuna persona, contrastando la cultura dell’indifferenza e dello scarto. In tempi segnati da incertezze e paure, sono lodevoli le vostre iniziative a sostegno dei più deboli e delle famiglie, che vi impegnate anche ad “adottare”. Mentre vi adoperate nella ricerca delle migliori possibilità concrete di inclusione, non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà. Non rassegnatevi davanti a quelle che sembrano difficili situazioni di convivenza; siate sempre animati dal desiderio di stabilire dei veri e propri “patti di prossimità”. Ecco, prossimità! Avvicinarsi per realizzare questo.

C’è ancora un’altra suggestione che vorrei proporvi. San Paolo invita i cristiani a indossare un’armatura particolare, quella di Dio. Dice infatti di rivestirsi delle virtù necessarie per affrontare i nostri nemici reali, che non sono mai gli altri, ma “gli spiriti del male”. Al primo posto in quest’armatura ideale compare la verità: «attorno ai fianchi la verità», scrive l’Apostolo (Ef 6,14).
Dobbiamo cingerci di verità. Non si può fondare nulla di buono sulle trame della menzogna o sulla mancanza di trasparenza. Ricercare e scegliere sempre la verità non è facile; è però una decisione vitale, che deve segnare profondamente l’esistenza di ciascuno e anche della società, perché sia più giusta, perché sia più onesta. La sacralità di ogni essere umano richiede per ognuno rispetto, accoglienza e un lavoro degno.
Lavoro degno! Mi permetto qui di ricordare i cinque uomini e le due donne di cittadinanza cinese morti due anni fa a causa di un incendio nella zona industriale di Prato. Vivevano e dormivano all’interno dello stesso capannone industriale in cui lavoravano: in una zona era stato ricavato un piccolo dormitorio in cartone e cartongesso, con letti sovrapposti per sfruttare l’altezza della struttura. E’ una tragedia dello sfruttamento e delle condizioni inumane di vita. E questo non è lavoro degno! La vita di ogni comunità esige che si combattano fino in fondo il cancro della corruzione, il cancro dello sfruttamento umano e lavorativo e il veleno dell’illegalità. Dentro di noi e insieme agli altri, non stanchiamoci mai di lottare per la verità e la giustizia.

Incoraggio tutti, soprattutto voi giovani - mi hanno detto che voi giovani avete fatto una veglia di preghiera ieri, tutta la notte… Grazie, grazie! - a non cedere mai al pessimismo e alla rassegnazione. Maria è colei che con la preghiera e con l’amore, in un silenzio operoso, ha trasformato il sabato della delusione nell’alba della risurrezione. Se qualcuno si sente affaticato e oppresso dalle circostanze della vita, confidi nella nostra Madre, che è vicina e consola, perché è Madre! Sempre ci rincuora e ci invita a riporre fiducia in Dio: suo Figlio non tradirà le nostre attese e seminerà nei cuori una speranza che non delude. Grazie.





[Modificato da Caterina63 10/11/2015 20:08]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)