00 12/01/2016 20:21

Attenzione, Roma...

 
Riprendiamo dal Father Ed's Blog - A Catholic priest reflects… [qui], grazie alla prontezza del nostro traduttore, un testo che deve farci molto riflettere.
L'Ordinariato inglese di Nostra Signora di Walsinghamè stato istituito per offrire assistenza pastorale ai fedeli già anglicani desiderosi di entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica, ai sensi dell'Anglicanorum Cœtibus di Benedetto XVI [Su Anglicanesimo e Ordinariato vedi precedenti nel blog: qui - qui - qui - quiqui - qui - qui - qui - qui]. 

È probabile che in questa settimana i media saranno intasati da meste notizie sulla fine dell’unità dell’anglicanesimo: persino l’Arcivescovo di Canterbury la riconosce! Egli ha infatti convocato una riunione in cui lo scisma possa essere consumato, perché la comunione è compromessa ormai in modo irreparabile. Ovviamente, sarà un processo doloroso e caotico, come tutti i divorzi.
 
Il fatto che vi sia uno scisma in atto è fuori questione; ciò che risulta meno chiaro a coloro cui interessa la verità più che le polemiche, è la sua causa. Vi chiedo quindi di prestare attenzione a questo punto quando leggerete i giornali o ascolterete la radio: verrà operata una distorsione intenzionale della realtà, poiché le alte sfere esigono che le notizie siano conformi alla loro agenda politica.

Prevedo che la fine dell’unità dell’anglicanesimo verrà presentata come un caso esemplare per il politicamente corretto, per i valori secolari e per il marxismo culturale. Saremo indotti a credere che la divisione verta solo sull’omosessualità; verrà architettato un teatrino in cui si contrapporranno progressisti buoni e illuminati da una parte, conservatori cattivi e intolleranti dall’altra. Se ciò succederà davvero, verrà offerto davvero un pessimo servizio alla verità, perché ciò che sta succedendo ha motivazioni molto più profonde e preoccupanti.
 
Bisogna comprendere che le divisioni che esistono all’interno dell’anglicanesimo – e che sono vive e pressanti anche nel cattolicesimo – non vertono su un solo tema morale e dottrinale specifico. È normale che ci si trovi in disaccordo quando sorgono questioni di questo tipo: tuttavia, esse sono solo sintomatiche, non causali.
 
Ciò che sta realmente facendo a pezzi il Corpo di Cristo è una ragione più profonda e fondamentale che minaccia l’essenza stessa del cristianesimo. È sorta infatti un’eresia che causa non solo differenze d’opinione, ma anche profonde differenze su temi di fede, e che si estende oggi dalla base alle alte sfere di ogni confessione cristiana principale. Per questo il problema è molto grave.
 
Il vero problema è che esiste oggi una bipartizione: da una parte ci sono i cristiani tradizionali, quelli che si attengono al chiaro insegnamento delle Scritture e della dottrina tradizionale e che credono che la nostra fede sia sempre la stessa, ieri, oggi e per sempre; un gruppo di credenti ortodossi che credono che Maria sia veramente vergine, che Cristo sia realmente Dio incarnato, che i miracoli esistano davvero,  che il cielo e l’inferno siano delle realtà. Questi fedeli si possono definire persone che credono che il mondo si debba conformare al Cristo.
 
Dall’altra parte ci sono i modernisti, quelli che in realtà si sono secolarizzati, che hanno perso la loro fede ma non vogliono perdere la loro cultura e identità cristiane. Molti di loro non credono che Gesù sia Dio e trovano spiegazioni alternative per i miracoli e per il concepimento verginale. Queste persone non vogliono che il mondo si conformi a Cristo, ma che la Chiesa si conformi al mondo! Pretendono che aderiamo ai valori della società moderna, non alla fede e ai valori della Chiesa tradizionale; non credono realmente nel cielo e nell’inferno e vogliono pertanto annacquare la rivelazione e cambiare quanto la Scrittura afferma chiaramente.
 
Il vero vólto della Chiesa è rappresentato ovviamente dalle persone ortodosse, da quanti si schierano coi martiri e coi santi di tutte le epoche, ossia da un gruppo che è in minoranza all’interno della liberalizzata e decadente Chiesa d’Occidente – dove per ragioni storiche risiede il potere politico ed economico – ma che tende ad essere in maggioranza nei territori dove la fede sta prosperando, per esempio nelle nazioni più povere dell’Africa e dell’Asia. E che la fede sia più prospera dove ci sono più persone ortodosse non è una coincidenza: Dio benedice infatti quanti Gli sono fedeli.
 
Capite adesso perché gli anglicani africani non vogliono avere più nulla a che fare con le loro controparti moderniste di Canterbury? Potete anche comprendere quindi perché questa contrapposizione tra Africa ed Europa si rifletta anche nel cattolicesimo romano: si pensi al conflitto verbale tra i cardinali Sarah e Kasper durante il Sinodo per la famiglia! Il modernismo, patrocinato dal potente apparato mediatico e dai governi della cultura secolare che esso sostiene, sta conducendo una lotta accanita contro quanti continuano ad aderire alla fede plurisecolare: è la dura battaglia dei nostri giorni.
 
E si deve combattere, perché i due punti di vista sono diametralmente opposti: sono come due binari le cui direzioni divergeranno sempre di più finché non sarà necessario rimuovere ciò che cerca di mantenerli uniti. Ciononostante, la folle tattica promossa tanto dai prelati anglicani come da quelli cattolici del XX secolo è stata proprio quella di continuare a mantenerli uniti. Sono stati promossi costantemente a posizioni importanti non degli energici e zelanti soldati di Cristo, ma burocrati inoffensivi la cui stupidità non poteva arrecare danno alcuno e manteneva in piedi le istituzioni. Almeno questo era il piano, che tuttavia non ha funzionato: di lì la minaccia di scisma che aleggia in tutto il mondo cristiano.
 
Al giorno d’oggi, i modernisti hanno preso il controllo della Chiesa anglicana solo in Occidente: ritengono che la perdita dell’Africa sia un prezzo accettabile da pagare pur di poter introdurre il matrimonio gay, le donne vescovo e tutte le altre medaglie al valore di una Chiesa che promuova i valori del marxismo culturale.
 
Il cattolicesimo non è ancóra arrivato a questi estremi... per il momento. Ma i modernisti esistono, e dato che tendono ad appartenere tutti alla stessa generazione, detengono un enorme potere e un’enorme influenza. Essi sono i promotori del cosiddetto “Spirito del Vaticano II” – ossia di quanto non è stato anticipato o disposto dal Concilio ma che è invece sorto sulla sua scia [anche loro sembrano non riconoscere le distorsioni in nuce presenti nei documenti conciliari]. Si tratta di una scuola di pensiero che disprezza la fede solida, i valori irremovibili, la devozione, le balaustre, etc. e che in compenso ha il culto della ‘comunità’, dell’attivismo politico, etc.
 
Come detto, lo scisma ha ormai raggiunto Canterbury. Dobbiamo quindi pregare per i nostri amici anglicani, ma anche per Roma: anche lì lo scisma è in agguato e anzi, se non interviene un miracolo di Dio, è già quasi certo e potrebbe portare a delle divisioni e a una confusione ancor più grandi.
 
Sia chiaro che il miracolo per cui dobbiamo pregare non è che la Chiesa rimanga in qualche modo unita, perché queste fedi così diverse non hanno alcuna possibilità di rimanere insieme in uno spirito di rispetto reciproco: come abbiamo già affermato, si oppongono reciprocamente. Il miracolo di cui abbiamo bisogno è che la Chiesa si svegli dal suo sonno, si erga in difesa della verità e refuti l’errore. Abbiamo bisogno di un martello degli eretici, come venne definito un tempo San Domenico. Ma come possiamo sperare che arrivi se sono così tanti i vescovi che sembrano essere proprio una parte del problema piuttosto che la sua soluzione, e se la virilità sembra così fuori moda?
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
 





 FOCUS 
di Massimo Introvigne
La copertina del libro del Papa: Il nome di Dio è misericordia
 

È stato presentato in Vaticano il libro Il nome di Dio è misericordia, dove Andrea Tornielli intervista Papa Francesco sul tema della misericordia. Il libro è un’utile e commovente guida all’Anno Santo della Misericordia, e chiarisce che la misericordia non ha nulla a che fare con la negazione del peccato.


 Il libro è un’utile e commovente guida all’Anno Santo della Misericordia, e chiarisce in modo netto che la misericordia non ha nulla a che fare con il buonismo o con presunte negazioni della realtà del peccato. Al contrario, il Pontefice spiega che solo chi si riconosce peccatore riesce a incontrare la misericordia di Dio, e che il luogo privilegiato di questo incontro è il confessionale. Il libro comprende cinque diversi nuclei tematici. Il primo è relativo alle fonti del Magistero di Francesco sulla misericordia. 

Dall’inizio del suo pontificato, spiega il Papa, ha voluto proporre una Chiesa che «non aspetta che iferiti bussino alla sua porta, li va a cercare per strada, li raccoglie, li abbraccia, li cura, li fa sentire amati», e a tutti annuncia la misericordia. Ma non si tratta, afferma il Pontefice, di una novità. Le fonti ispiratrici di questa proposta sono San Giovanni XXIII, il Beato Paolo VI e soprattutto l’enciclica di San Giovanni Paolo II Dives in misericordia, nella quale il Papa polacco ha affermato che «la Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e del Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia». 

Francesco insiste anche su Santa Faustina Kowalska, l’apostola della Divina Misericordia, la cui devozione unisce San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e l’attuale Pontefice. Francesco cita pure un’impegnativa affermazione teologica del Papa teologo, Benedetto XVI: «La misericordia è in realtà il nucleo centrale del messaggio evangelico, è il nome stesso di Dio, il volto con il quale Egli si è rivelato nell’antica Alleanza e pienamente in Gesù Cristo, incarnazione dell’Amore creatore e redentore». Ma ultimamente, insiste Francesco, le fonti del primato della misericordia sono nella Sacra Scrittura: «la misericordia è la carta d’identità del nostro Dio». Il Papa cita San Paolo nella Seconda Lettera a Timoteo (2, 13): «Se siamo infedeli, Lui rimane fedele, perché non può rinnegare sé stesso». «Tu puoi rinnegare Dio, commenta Francesco, tu puoi peccare contro di Lui, ma Dio non può rinnegare sé stesso, Lui rimane fedele». Ci sono poi delle fonti, per così dire, più personali. Il Papa cita il teologo gesuita padre Gaston Fessard e il suo libro La Dialectique des “Exercises spirituels” de S. Ignace de Loyola

In particolare, Francesco afferma di avere appreso da Fessard l’importanza della capacità di provare quella vergogna di fronte ai propri peccati che «è una delle grazie che sant’Ignazio fa chiedere nella confessione dei peccati davanti al Cristo crocifisso». Il Papa ha ritrovato questi concetti anche «nelle omelie del monaco inglese San Beda il Venerabile», e nell’esperienza concreta dei grandi confessori. Ne cita alcuni che ha conosciuto personalmente, e San Leopoldo Mandic, di cui ha letto in particolare nelle omelie di Papa Giovanni Paolo I. E cita anche il famoso teologo domenicano Antonio Royo Marín. Nel suo primo Angelus da Pontefice, Francesco aveva ricordato una vecchia penitente argentina, che in confessione gli aveva detto: «Se il Signore non perdonasse tutto il mondo non esisterebbe». «Durante quel primo Angelus – rivela ora il Papa –, dissi, per farmi capire, che la mia risposta era stata: “ma lei ha studiato alla Gregoriana!”. In realtà, la vera risposta fu: “Ma lei ha studiato con Royo Marín!”». 

Il secondo nucleo tematico del libro spiega la scelta di mettere oggi la misericordia al centro del Magistero. Questa scelta, afferma Francesco, è necessaria perché quella di oggi «è un’umanità ferita, un’umanità che porta ferite profonde. Non sa come curarle o crede che non sia proprio possibile curarle. E non ci sono soltanto le malattie sociali e le persone ferite dalla povertà, dall’esclusione sociale, dalle tante schiavitù del terzo millennio. Anche il relativismo ferisce tanto le persone: tutto sembra uguale, tutto sembra lo stesso».
Il relativismo porta a perdere il senso del peccato. Il venerabile Pio XII, ricorda Francesco, «più di mezzo secolo fa, aveva detto che il dramma della nostra epoca era l’aver smarrito il senso del peccato, la coscienza del peccato. A questo si aggiunge oggi anche il dramma di considerare il nostro male, il nostro peccato, come incurabile, come qualcosa che non può essere guarito e perdonato». Non si crede più al peccato, dunque non ci si confessa, ma si cercano gli aiuti più bizzarri nelle nuove religioni e nell’occultismo.Francesco ricorda di avere appreso dal cardinale Giacomo Biffi questa citazione dello scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton: «Chi non crede in Dio, non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto». E commenta: «Una volta ho sentito una persona dire: ai tempi di mia nonna bastava il confessore, oggi tante persone si rivolgono ai chiromanti… Oggi si cerca salvezza dove si può». 

Il terzo nucleo tematico riguarda la confessione. Non basta dire, ricorda il Papa, che riconosco il mio peccato e me ne pento davanti a Dio. «Ma è importante che io vada al confessionale, che metta me stesso di fronte a un sacerdote che impersona Gesù, che mi inginocchi di fronte alla Madre Chiesa chiamata a dispensare la misericordia di Dio. C’è un’oggettività in questo gesto, nel mio genuflettermi di fronte al prete, che in quel momento è il tramite della grazia che mi raggiunge e mi guarisce». Il Papa ricorda e spiega le sue immagini usate in omelie a Santa Marta secondo cui il confessionale non è né «una tintoria» né «una stanza delle torture». Quella della tintoria, spiega, era «un’immagine per far capire l’ipocrisia di quanti credono che il peccato sia una macchia, soltanto una macchia, che basta andare in tintoria perché te lavino a secco e tutto torni come prima». È l’atteggiamento di tanti che continuano a commettere lo stesso peccato, pensando che tanto poi se ne confesseranno. 

Quanto all’immagine della «stanza di tortura», Francesco spiega che era destinata ai confessori, qualche volta troppo curiosi specie nel campo sessuale. Il Papa li invita a guardare al dialogo di Gesù con l’adultera, un grande esempio per i confessori. Gesù non chiede alla donna quante volte lo ha fatto, con chi e come. Sta all’essenziale: «Vai e non peccare più». Mentre qualche volta tra i confessori «ci può essere un eccesso di curiosità, in materia sessuale, soprattutto. Oppure un’insistenza nel far esplicitare particolari che non sono necessari». L’invito ai confessori alla misericordia, afferma ancora il Papa, non significa che debbano assolvere sempre. Ci sono casi in cui l’assoluzione non si può dare. Ma in questi casi, «se il confessore non può assolvere, che spieghi il perché ma dia comunque una benedizione, anche senza assoluzione sacramentale» e non interrompa il dialogo con il penitente.  

Il quarto nucleo tematico riguarda l’atteggiamento giusto in cui dobbiamo porci nei confronti della Divina Misericordia e quindi della confessione. L’essenziale è che noi «siamo coscienti del nostro peccato, del male compiuto, della nostra miseria, del nostro bisogno di perdono, di misericordia». Se pensiamo di non essere capaci, chiediamolo al Signore. «Dio ci attende, aspetta che gli concediamo soltanto quel minimo spiraglio per poter agire in noi, col suo perdono, con la sua grazia». Ha atteso anche Simon Pietro, il cui tradimento – aggiunge Francesco – mostra che anche i Papi debbono riconoscersi peccatori.Dobbiamo anzitutto imparare e riconoscere che «c’è il peccato originale. Un dato del quale si può fare esperienza. La nostra umanità è ferita, sappiamo riconoscere il bene e il male, sappiamo che cosa è male, cerchiamo di seguire la via del bene, ma spesso cadiamo a motivo della nostra debolezza e scegliamo il male. È la conseguenza del peccato d’origine, del quale abbiamo piena coscienza grazie alla Rivelazione».

Il peccato originale non è una leggenda. La Sacra Scrittura «si serve di un linguaggio immaginifico per esporre qualcosa di realmente accaduto alle origini dell’umanità». Se il peccato originale non fosse una realtà, non si capirebbe perché Gesù Cristo «ha accettato di farsi torturare, crocifiggere e annientare per redimerci dal peccato». Al penitente, per fare una buona confessione, si chiede che «sappia guardare con sincerità a sé stesso e al suo peccato. E che si senta peccatore, che si lasci sorprendere, stupire da Dio. Perché lui ci riempia con il dono della sua misericordia infinita dobbiamo avvertire il nostro bisogno, il nostro vuoto». La verità sul peccato e la misericordia non si escludono, ma si richiamano. 

«La Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità: questo è un peccato. Ma allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, lo avvicina, gli parla della misericordia infinita di Dio». Senza riconoscere il proprio peccato non si può incontrare la misericordia. «La misericordia c’è, ma se tu non vuoi riceverla... Se non ti riconosci peccatore vuol dire che non la vuoi ricevere, vuol dire che non ne senti il bisogno». 

Rispondendo a una domanda di Tornielli sul famoso «chi sono io per giudicare» riferito alle persone omosessuali, Francesco spiega che «avevo detto in quella occasione: se una persona è gay, cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Avevo parafrasato a memoria il Catechismo della Chiesa cattolica, dove si spiega che queste persone vanno trattate con delicatezza e non si devono emarginare. Innanzitutto mi piace che si parli di “persone omosessuali”: prima c’è la persona, nella sua interezza e dignità. E la persona non è definita soltanto dalla sua tendenza sessuale: non dimentichiamoci che siamo tutti creature amate da Dio, destinatarie del suo infinito amore. Io preferisco che le persone omosessuali vengano a confessarsi». 
Sbaglia chi oppone la misericordia alla verità o alla dottrina: «la misericordia è vera, è il primo attributo di Dio. Poi si possono fare delle riflessioni teologiche su dottrina e misericordia, ma senza dimenticare che la misericordia è dottrina». Lo hanno negato le eresie «che riemergono sotto altre forme: i catari, i pelagiani che giustificano sé stessi per le loro opere e per il loro sforzo volontaristico, atteggiamento quest’ultimo già contrastato in maniera molto limpida nel testo della Lettera ai Romani di Paolo. Pensiamo allo gnosticismo, che porta quella spiritualità soft, senza incarnazione».

È difficile per la Chiesa tenere insieme verità e misericordia, evitando fraintendimenti? È difficile, ma è obbligatorio. «Bisogna entrare nel buio, nella notte che attraversano tanti nostri fratelli. Essere capaci di entrare in contatto con loro, di far sentire la nostra vicinanza, senza lasciarci avvolgere e condizionare da quel buio. Andare verso gli emarginati, verso i peccatori, non significa permettere ai lupi di entrare nel gregge». Ma, mentre vigila sui lupi, la Chiesa è attenta a incontrare le pecorelle smarrite che hanno mosso i primi timidi passi sulla via del ritorno all’ovile. «A volte c’è il rischio che i cristiani, con la loro psicologia di dottori della Legge, spengano ciò che lo Spirito Santo accende nel cuore di un peccatore, di qualcuno che sta sulla soglia, di qualcuno che comincia ad avvertire la nostalgia di Dio». 

Il quinto nucleo del libro riguarda la dimensione sociale e politica della misericordia.
Questa dimensione, afferma il Papa che ha antenati piemontesi, non può essere negata se «pensiamo al Piemonte della fine dell’Ottocento, alle Case della misericordia, ai santi della misericordia, il Cottolengo, don Bosco...». Santi che si sono anche occupati di rendere più umana la condizione dei carcerati, una causa che sta molto a cuore a Francesco. «Con la misericordia la giustizia è più giusta, realizza davvero sé stessa. Questo non significa essere di manica larga, nel senso di spalancare le porte delle carceri a chi si è macchiato di reati gravi. Significa che dobbiamo aiutare a non rimanere a terra coloro che sono caduti».

Francesco spiega anche perché è così severo sulla corruzione. Non si tratta di un peccato specifico – quasi che fosse corrotto solo il politico che ruba – ma di un atteggiamento mentale, che come tale riguarda tutti i peccati. «La corruzione è il peccato che invece di essere riconosciuto come tale e di renderci umili, viene elevato a sistema, diventa un abito mentale, un modo di vivere. Non ci sentiamo più bisognosi di perdono e di misericordia, ma giustifichiamo noi stessi e i nostri comportamenti».  «Il peccato, soprattutto se reiterato, può portare alla corruzione»: «il corrotto si stanca di chiedere perdono e finisce per credere di non doverlo più chiedere». In fondo, la corruzione è la manifestazione, che diventa sociale, della perdita sia del senso del peccato sia della vergogna di fronte ai peccati. Dobbiamo tutti «chiedere la grazia di riconoscerci peccatori, responsabili di quel male. Più ci riconosciamo bisognosi, più ci vergogniamo e ci umiliamo, più presto veniamo inondati dal suo abbraccio di Grazia». 

Il luogo dove apprendere il senso del peccato e della misericordia è la famiglia: «è l’ospedale più vicino: quando uno è malato ci si cura lì, finché si può. La famiglia è la prima scuola dei bambini, è il punto di riferimento imprescindibile per i giovani, è il miglior asilo per gli anziani». Lì si apprende anche la compassione, che è il nostro modo umano di corrispondere alla misericordia divina. E si cominciano a praticare le opere di misericordia, che il Papa ha più volte raccomandato di riscoprire nel Giubileo. Non solo le opere di misericordia corporale, ma anche quelle di misericordia spirituale, che non sono meno importanti: «avvicinare, saper ascoltare, consigliare, insegnare». È questo l’apostolato della misericordia.


EDITORIALE
Il loro del recente ecclesiale di Firenze
 

Le incertezze e le paralisi che la Chiesa italiana ha reso evidenti nella confusione sulla linea da prendere a proposito del disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili hanno un nome: il pastoralismo. Pensiero che ha fatto dire a tanti vescovi e sacerdoti che le manifestazioni di piazza rompono il dialogo e non costruiscono.

di Stefano Fontana


Le incertezze e le paralisi che la Chiesa italiana ha reso evidenti nella confusione sulla linea da prendere a proposito del disegno di legge Cirinnà hanno un nome: pastoralismo. Una Chiesa che si è così a lungo macerata e lacerata su una cosa in vero molto semplice da fare, come opporsi ad una legge disumana da tutti i punti di vista, richiede una ragione culturale: il pastoralismo. Il pastoralismo ha fatto dire a tanti vescovi e sacerdoti che le manifestazioni di piazza rompono il dialogo e non costruiscono. 

Il pastoralismo ha fatto pensare a molti che non bisogna piùintervenire sulle leggi, ma solo sulle coscienze delle persone. Il pastoralismo ha fatto pensare che la Chiesa debba solo formare – chissà poi chi, dove e come – e poi ognuno entra nella pubblica piazza con la propria coscienza. Il pastoralismo fa ritenere a tanti preti che la Chiesa non debba dire mai di no, ma piuttosto debba accompagnare tutti e sempre. Il pastoralismo ha fatto sì che per qualcuno una presa di posizione contro l’omosessualità toglierebbe spazio alla pastorale delle situazioni di frontiera, tra cui quella delle persone con tendenze omosessuali. 

Il pastorialismo fa ritenere che scendendo sul terreno delle leggi civili la fede cattolica diventiideologia. Il pastoralismo ha impedito a tante comunità cattoliche di trattare certi temi, perché troppo carichi di valenze politiche e quindi potenzialmente divisivi. Il pastoralismo ha indirizzato tante Diocesi a trattare certi temi, ma con l’intervento di tutte le opinioni in campo e senza prendere posizione. Il pastoralismo, per non precludere la via dell’azione pastorale, ha bloccato ogni azione. Una Chiesa molto pastorale, ma per questo afasica e aprassica.

Il pastoralismo è una malattia della Chiesa italiana di oggi. Secondo il pastoralismo non solo noi maanche Dio non deve giudicare le situazioni e i comportamenti, perché giudicando impedirebbe l’incontro pastorale con tutti. Anche questo dei pastoralisti è una forma di giudizio, naturalmente, dato che non si prende posizione nei confronti della realtà se non giudicandola, ma ciò non toglie che il nemico mortale del pastoralismo, pur contraddittoriamente, sia il giudicare. Nemmeno una legge, secondo il pastoralismo, si può giudicare perché in questo caso la fede diventerebbe dottrina imposta e impedirebbe la pastorale. Giudicata male una legge, ti tagli i rapporti con coloro che invece in quella legge credono. Il pastoralismo è senza verità, perché senza giudizio non c’è più verità. Il pastoralismo è un sentimento, un atteggiamento agnostico, un prendere posizione senza prendere posizione, un inganno.

La Chiesa italiana si sta spostando da una presenza strutturata, a partire da un bagaglio di visionidelle cose, con alle spalle un patrimonio dottrinale anche nella forma di dottrina sociale della Chiesa e con davanti un progetto culturale, ad una presenza destrutturata, immediata, priva di distinzioni di piani, fondata su un lodevole slancio di carità e di voglia di incontrare l’altro, ma priva ormai della volontà di incontrarlo all’interno di una costruzione del bene comune, complessa ed articolata. 

Gli immigrati vanno accolti: sì ma le politiche dell’integrazione come le impostiamo? La precarietàlavorativa va eliminata: sì ma le politiche del lavoro come le facciamo? Questa economia uccide: sì ma come impostiamo le politiche economiche e finanziarie oltre la buona volontà individuale e gli slogan moralistici? Delle istituzioni ce ne occupiamo ancora? E delle leggi? E della politica? Trasformiamo tutta la Chiesa in una Caritas o ricominciamo a insegnare e ad apprendere la dottrina sociale della Chiesa, che ci dia una cultura del sociale e del politico, un quadro dottrinale e teorico in grado di orientare al bene la nostra presenza, non solo nella solidarietà dei bisogni dei senzatetto – vera ma corta - ma anche in quella lunga della vita, della famiglia e della scuola?

Al convegno ecclesiale di Firenze non ho trovato traccia della dottrina sociale della Chiesa, che –almeno così mi sembra – non sia mai nemmeno stata nominata. Per andare a portare una bevanda calda e una coperta a chi dorme all’addiaccio di notte essa non serve, ma per prevenire quelle situazioni oltre che curarle è invece molto importante. La Chiesa italiana vuole solo andare tutta a portare le bevande calde a chi dorme all’addiaccio di notte? Vuole andare tutta a Lampedusa? O vuole ancora costruire una società secondo verità e per il bene dell’uomo? 

Se è così lo slancio pastoralistico non è sufficiente, ma bisogna occuparsi anche delle strutture, delleistituzioni, delle leggi ed avere una visione complessiva e coerente delle cose. Il pastoralismo odia le visioni complessive e coerenti delle cose e dice che non si addicono ai cattolici. Sanno troppo di “sistema” che avrebbe così la prevalenza sulle persone. Per il pastoralismo esistono solo casi unici e singolari, da affrontare uno per uno, con discernimento, come è in voga dire oggi. Si corre il rischio, però, di gettare via, con gli schemi, anche le idee.

   





[Modificato da Caterina63 13/01/2016 11:18]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)