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  Il vero teologo del Papa: “I vescovi locali non possono cambiare la Dottrina”


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«L’idea di una coscienza soggettiva – spiega P. Wojciech Giertych OP, teologo della Casa Pontificia – che inventi i principi morali è assurda. È totalmente sbagliata». Traduzione di Cristianesimo Cattolico per i suoi lettori.

Roma, 4 novembre 2015 — (LifeSiteNews). La coscienza è una finestra aperta verso la verità, spiega il (vero, ndt) teologo del Papa. Agire secondo coscienza è agire secondo la ragione, senza lasciarsi confondere dai sentimenti.

Wojciech Giertych OP
Wojciech Giertych OP

Padre Wojciech Giertych, OP, teologo della Casa Pontificia, ha parlato con LifeSiteNews, durante l’ultima settimana del sinodo sulla famiglia, per discutere su alcuni dei temi presi in considerazione dai padri sinodali per affrontare le sfide alla famiglia.

Padre Giertych, non avendo preso parte al sinodo, non era al corrente di quello che stava avvenendo durante le discussioni a porte chiuse, né era in grado di fare previsioni su eventuali specifici sviluppi sinodali.

Tuttavia Padre Giertych, essendo l’unico vero teologo del Papa (nota nostra- i teologi del Papa sono due e per tradizione uno domenicano ed uno francescano, oggi, con padre Cantalamessa), è una risorsa preziosa sulla dottrina della Chiesa. Egli è stato molto chiaro riguardo le cosiddette “aree morali” discusse ampiamente durante il sinodo.

Essendo stata la “coscienza” la questione fondamentale durante il raduno sinodale, LifeSiteNews ha discusso con il padre domenicano riguardo la diffusa indifferenza al peccato nella nostra società e le sue conseguenze. Egli ha concordato che è stato perduto il senso del peccato in molte parti del mondo, portando effetti e conseguenze reali nelle vite delle persone.

«Se la percezione della verità morale non è chiara, allora le persone sono perdute», ha detto P. Giertych. «Le persone non sono del tutto sicure di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato». Così la “coscienza” viene usata per dare il permesso alle persone di agire secondo i propri impulsi e desideri, senza preoccuparsi del peccato o delle conseguenze.

Al sinodo, in modo particolare, un’espressione che ha avuto molta attenzione è stata la cosiddetta “inviolabilità della coscienza”, usata per far capire l’importanza fondamentale della coscienza personale di un individuo, ma senza prima definire cosa sia la coscienza.

Padre Giertych ha detto a LifeSiteNews che dobbiamo stare attenti a ciò che intendiamo con il termine “coscienza”. «La coscienza agisce praticamente secondo la ragione», ha affermato.

«Molte persone identificano la coscienza con i sentimenti», ha aggiunto. «I sentimenti sono secondari, la coscienza è una finestra aperta verso la verità … La coscienza deve essere formata in modo che possa vedere chiaramente la verità».

Non dobbiamo identificare la nostra coscienza con i nostri sentimenti, ha continuato. Piuttosto, dobbiamo andare alla verità della questione. E l’applicazione della coscienza non è una cosa arbitraria. «Si deve percepire la verità della questione con la ragione». Questo significa prendere in considerazione tutti i fattori coinvolti.

Per far sì che la coscienza di un individuo possa percepite la verità, sono necessari tre specifichi criteri: l’intenzione, l’oggetto dell’atto e le circostanze. «Se ne manca uno solo, la decisione presa è inadeguata», ha detto Padre Giertych a LifeSiteNews. La verità di una scelta di coscienza può variare in base a tali criteri.

Un esempio potrebbe essere il caso in cui un medico deve decidere urgentemente se amputare oppure no l’arto di un paziente. Questa è una cosa estremamente seria, perché prima di tutto il chirurgo deve cercare di salvare quell’arto. Tuttavia, è un’altra questione se quell’arto sarà la causa certa della morte del paziente.

Padre Grietych ha chiarito che, mentre le condizioni che stabiliscono e circondano i criteri in cui la coscienza è chiamata a decidere possono variare, la definizione stessa della “coscienza” e del suo agire non possono variare. «L’idea di una coscienza soggettiva, che inventi i principi morali a seconda del bisogno, è assurda. È assolutamente sbagliata».

Il concetto di coscienza è stato molto dibattuto durante il sinodo, in quanto si riferisce direttamente alle questioni in discussione. Infatti l’argomento più conteso è stato la riammissione ai sacramenti di quei cattolici divorziati che si risposano civilmente.

Padre Giertych ha ribadito che è fondamentale che ogni fedele esamini se stesso/a prima di presentarsi a ricevere l’Eucarestia. «Ogni cattolico, prima di ricevere la Santa Comunione, deve prepararsi a farlo degnamente, credendo fermamente che, sotto le specie del pane e del vino, l’Eucarestia è il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Gesù Cristo», aggiungendo che «solo in stato di grazia si può riceverlo degnamente. Questo significa che è impossibile non essere consapevoli di aver commesso peccato mortale, quando non si è in stato di grazia».

Chiunque è in stato di peccato mortale, deve essere assolto prima di presentarsi a ricevere la Comunione: «Se questo è il caso (il peccato mortale), è richiesto andare a confessarsi ed essere assolto dal peccato».

Una perfetta conversione è necessaria per ricevere degnamente la Comunione, ribadisce il teologo pontificio, e ciò significa una conversione verso Dio e un’avversione verso il peccato. Lo stesso si può dire di ogni tentazione, come nel caso di quei cattolici che vivono oggettivamente in una situazione contraria alla verità.

La Comunione non è un diritto, ma un dono che abbiamo ricevuto dal Signore e che deve essere custodito, mai manipolato: «Le grazie di Dio che riceviamo da Lui sono un dono» perciò «dobbiamo persistere in un atteggiamento di gratitudine… Ma se il nostro approccio ai doni di Dio è caratterizzato da una lista di pretese, questo distrugge la purezza del nostro rapporto con Lui. Quindi, è scorretto, arrancare qualche sorta di “diritto”. È inadeguato».

«L’insegnamento di San Paolo è chiaro», spiega il teologo domenicano. «Dobbiamo ricevere l’Eucarestia solo degnamente, non possiamo farlo indegnamente. E l’affermazione nel peccato rende la persona indegna».

Quando chiediamo riguardo la tesi secondo cui la Comunione non è un premio per i perfetti, ma una medicina per i malati, ci chiarisce che questo non significa che non ci siano elementi necessari per essere degni di ricevere la Comunione: «I sacramenti sono un nutrimento, ma sono il nutrimento che deve essere ricevuto nella verità, in una pura relazione di gratitudine verso Dio, nel riconoscimento della luce che Dio ci ha dato».

Padre Giertych ha sottolineato che anche i Comandamenti e l’insegnamento morale trasmessi nella Chiesa sono un dono, e che i doni di Dio non solo vanno accettati, ma vanno accettati correttamente: «Riceviamo Gesù non solo nei sacramenti, ma anche nell’insegnamento che li accompagnano».

E Padre Giertych respinge l’idea di una “Chiesa-supermercato”: «Si entra nel supermercato dicendo: “Voglio questo, quest’altro non lo voglio…”. Ma nella nostra relazione con Dio, non possiamo imporGli la nostra lista di pretese. “Queste grazie le voglio, queste altre invece no….”. Se il nostro rapporto con Dio è puro, accettiamo tutto ciò che viene da Lui», i suoi “sì”, ma soprattutto i suoi “no”.

Alla tesi secondo cui la Chiesa deve adattare il suo Insegnamento allineandolo verso gli standard della società di oggi, il sacerdote della famiglia domenicana replica che i tempi di oggi non sono così diversi da quelli precedenti, perché si è sempre cercato di compromettere i principi della Chiesa con la giustificazione che i “tempi cambiano”.

Non è una novità che i tempi cambino e che la Chiesa affronti nuove sfide, inventando, di volta in volta, modi pratici per aiutare i fedeli a vivere in pienezza il Vangelo, ma questo non ha mai cambiato la pienezza del Vangelo.

«La natura umana, i sacramenti, la grazia divina, ciò che riceviamo da Cristo, l’identità stessa della Chiesa e la sua missione, non sono mai cambiati. I principi non sono mai cambiati, la natura umana non è cambiata. Infine, la guida che Dio ci ha dato, il Verbo incarnato, Cristo, non cambia».

Per quanto riguarda la cosiddetta decentralizzazione della Chiesa – un altro tema affrontato al sinodo -, P. Giertych si è affrettato a correggere l’equivoco che il Vaticano controlli tutto. La decentralizzazione si riferisce al governo delle singole diocesi. La Chiesa, del resto, ha sempre difeso il concetto di sussidiarietà — l’idea che è meglio gestire le cose, quando è possibile, a livello locale.

Ma l’idea che ogni questione dottrinale possa essere gestita a livello diocesano è sbagliata, perché il vescovo diocesano non può farlo. I singoli vescovi devono gestire i problemi delle loro rispettive diocesi, ma solo nei confini di sostengo dell’insegnamento della Chiesa. Un vescovo non può decidere sulle questioni dottrinali, perché non ne ha l’autorità; come l’insegnamento della Chiesa viene dalla Chiesa, dunque non può essere modificato.

«Il vescovo locale», conclude padre Giertych, «deve occuparsi degli specifici problemi della propria diocesi, ma applicando il Vangelo, l’insegnamento della Chiesa e la Tradizione».



SANTA MESSA E ORDINAZIONE EPISCOPALE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Dedicazione della Basilica Lateranense
Basilica di San Giovanni in Laterano 
Lunedì, 9 novembre 2015

[Multimedia]



 

Fratelli e figli carissimi, ci farà bene riflettere attentamente a quale alta responsabilità ecclesiale viene promosso questo nostro fratello.

Il Signore nostro Gesù Cristo, inviato dal Padre a redimere gli uomini, mandò a sua volta nel mondo i dodici apostoli, perché pieni della potenza dello Spirito Santo, annunziassero il Vangelo a tutti i popoli, e riunendoli sotto l'unico pastore, li santificassero e li guidassero alla salvezza.

Al fine di perpetuare di generazione in generazione questo ministero apostolico, i Dodici si aggregarono dei collaboratori trasmettendo loro, con l'imposizione delle mani il dono dello Spirito ricevuto da Cristo, che conferiva la pienezza del sacramento dell'Ordine. Così, attraverso l'ininterrotta successione dei vescovi nella tradizione vivente della Chiesa, si è conservato questo ministero primario e l'opera del Salvatore continua e si sviluppa fino ai nostri tempi. 

Nel vescovo circondato dai suoi presbiteri è presente in mezzo a voi lo stesso Signore nostro Gesù Cristo, sommo sacerdote in eterno.

È Cristo infatti che nel ministero del vescovo continua a predicare il Vangelo di salvezza e a santificare i credenti mediante i sacramenti della fede; è Cristo che nella paternità del vescovo accresce di nuove membra il suo corpo che è la Chiesa; è Cristo che nella sapienza e prudenza del vescovo guida il popolo di Dio nel pellegrinaggio terreno fino alla felicità eterna.

Accogliete dunque con gioia e gratitudine questo nostro fratello che noi vescovi, con l'imposizione delle mani, oggi associamo al collegio episcopale. Rendete a lui l'onore che si deve al ministro di Cristo e al dispensatore dei misteri di Dio, al quale è affidata la testimonianza del Vangelo e il ministero dello Spirito per la santificazione. Ricordatevi delle parole di Gesù agli Apostoli: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me; e chi di-sprezza me, disprezza colui che mi ha mandato».

Quanto a te, fratello carissimo, eletto dal Signore, rifletti che sei stato scelto fra gli uomini e per gli uomini sei stato costituito nelle cose che riguardano Dio. Episcopato infatti è il nome di un servizio, non di un onore, poiché al vescovo compete più il servire che il dominare, secondo il comandamento del Maestro: «Chi è il più grande tra voi, diventi come il più piccolo, e chi governa come colui che serve».

Annunzia la Parola in ogni occasione opportuna e alle volte non opportuna; ammonisci, rimprovera, ma sempre con dolcezza; esorta con ogni magnanimità e dottrina. Le tue parole siano semplici, che tutti capiscano, che non siano lunghe omelie. Mi permetto di dirti: ricordati di tuo papà, quando era tanto felice di avere trovato vicino al paese un’altra parrocchia dove si celebrava la Messa senza l’omelia! Le omelie siano proprio la trasmissione della grazia di Dio: semplici, che tutti capiscano e tutti abbiano la voglia di diventare migliori.

Nella Chiesa a te affidata – qui a Roma in modo speciale – vorrei affidarti i presbiteri, i seminaristi: tu hai quel carisma! Sii fedele custode e dispensatore dei misteri di Cristo. Posto dal Padre a capo della sua famiglia, segui sempre l'esempio del Buon Pastore, che conosce le sue pecore, da esse è conosciuto e per esse non ha esitato a dare la vita.

Con il tuo cuore, ama con amore di padre e di fratello tutti coloro che Dio ti affida: come ho detto,  anzitutto i presbiteri e i diaconi, i seminaristi; ma anche i poveri, gli indifesi e quanti hanno bisogno di accoglienza e di aiuto. Esorta i fedeli a cooperare all'impegno apostolico e ascoltali volentieri e con pazienza: molte volte ci vuole tanta pazienza… ma il Regno di Dio si fa così.

Ricordati che devi avere viva attenzione a quanti non appartengono all'unico ovile di Cristo, perché essi pure ti sono stati affidati nel Signore.

Ricordati che nella Chiesa cattolica, radunata nel vincolo della carità, sei unito al collegio dei vescovi e devi portare in te la sollecitudine di tutte le Chiese, soccorrendo generosamente quelle che sono più bisognose di aiuto. E, vicini all’inizio dell’Anno della Misericordia, ti chiedo come fratello di essere misericordioso. La Chiesa e il mondo hanno bisogno di tanta misericordia. Tu insegni ai presbiteri, ai seminaristi la strada della misericordia. Con parole, sì, ma soprattutto con il tuo atteggiamento. La misericordia del Padre sempre riceve, sempre c’è posto nel suo cuore, mai caccia via qualcuno. Aspetta, aspetta… Questo ti auguro: tanta misericordia.

Veglia con amore su tutto il gregge, nel quale lo Spirito Santo ti pone a reggere la Chiesa di Dio: nel nome del Padre del quale rendi presente l'immagine; nel nome di Gesù Cristo suo Figlio, dal quale sei costituito maestro, sacerdote e pastore; nel nome dello Spirito Santo, che dà vita alla Chiesa e con la sua potenza sostiene la nostra debolezza.

Il Santo Padre, durante il rito della consegna dell'Anello episcopale, ha aggiunto queste parole:

Non dimenticarti che prima di questo anello c’era quello dei tuoi genitori. Difendi la famiglia.



Patriarca Rai: da noi il matrimonio continua a essere un istituzione divina

«Al Sinodo l’ho detto: “I problemi del matrimonio e della famiglia di cui sento parlare in tanti interventi, da noi non esistono. I nostri problemi sono totalmente diversi”. Lo ha confidato il Patriarca di Antiochia dei Maroniti, il cardinale Bechara Boutros Raï, al giornalista del settimanale Tempi Rodolfo Casadei. “L’uomo orientale e l’uomo occidentale restano molto differenti”, ha specificato il Patriarca. “Da noi il matrimonio continua a essere un’istituzione divina: è quello che pensano sia i musulmani sia i cristiani. Per noi si tratta di un sacramento, per i musulmani di un’istituzione divina, perciò le legislazioni salvaguardano il matrimonio come realtà religiosa: da noi non esiste nemmeno il matrimonio civile, figuriamoci le convivenze e i matrimoni fra persone dello stesso sesso!».

Certi problemi che sembrano pressanti e fondamentali per la cultura occidentale non sono per nulla rilevanti in oriente. “Per gli orientali la persona umana è totalmente definita dalla sua religione, e questo si riflette sul matrimonio: questioni come la custodia dei figli, i diritti ereditari, eccetera, sono definiti dal diritto familiare confessionale. Le convivenze fuori dal matrimonio e l’omosessualità sono semplicemente problemi morali, sono eccezioni che nulla hanno a che fare con l’istituzione familiare».

«All’assemblea sinodale dell’anno scorso ho detto: “Gli stati legiferano senza alcun riguardo per la legge divina: né per quella rivelata, né per quella naturale; e poi la Chiesa deve raccogliere i cocci dei danni che queste leggi producono! Facciamo un appello agli stati perché rispettino la legge naturale”.

Infine la bella intervista del cardinale offre uno sguardo interessante anche sulla stretta attualità, purtroppo attraversata dai tragici fatti di Parigi.
«I musulmani sono convinti che conquisteranno l’Occidente, anche quelli fra loro che non sono jihadisti o estremisti. Gliel’ho sentito dire molte volte: “Conquisteremo l’Europa con la fede e con la fecondità”. Professare la fede per loro è il principio essenziale della vita, nessuno che appartenga a una religione può astenersene. Che da parte loro la professione sia genuina o puramente sociologica è questione controversa, ma un fatto è certo: è generalizzata, nessuno può astenersene. Allora quando vengono in Europa e vedono le chiese vuote, e constatano l’incredulità degli europei, immediatamente pensano che loro riempiranno quel vuoto. Poi c’è la questione della natalità: per i musulmani il fatto che il matrimonio sia un’istituzione divina significa che la volontà di Dio è la procreazione. Perciò le famiglie devono essere numerose. In Europa vedono che i matrimoni e le nascite sono sempre meno, e questo li convince che loro prenderanno il vostro posto.”



[Modificato da Caterina63 17/11/2015 09:13]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)