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  Crepaldi: «Quanti danni dai cattolici in politica»
di Stefano Fontana22-02-2016
Monsignor Crepaldi

 

Pubblichiamo ampi stralci dell'intervista a monsignor Gianpaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste e presidente dell'Osservatorio Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa, apparsa sul numero di Febbraio del mensile Il Timone. Per leggere l'intervista integrale chiedere una copia omaggio del mensile a info@iltimone.org. 

Eccellenza, c’è chi dice che i cattolici in politica non ci siano più? È anche lei di questo parere?
Non sono di questo parere, però è vero che, se ci sono, si vedono poco e in modo confuso. La visibilità cattolica in politica può essere di due tipi: personale, quando si sa che quel politico è cattolico, egli stesso lo dichiara e mantiene evidenti rapporti con la Chiesa; comunitaria, quando i cattolici agiscono uniti ed elaborano, nella loro autonomia di laici, strategie politiche che partano da una visione cattolica delle cose. 

Può spiegare la distinzione iniziale tra visibilità individuale e visibilità comunitaria? 
Una volta stabilito che i cattolici impegnati in politica devono vedersi, perché altrimenti la loro non sarebbe testimonianza di fede, bisogna riconoscere che senza una visibilità comunitaria anche quella individuale tende a ridursi solo a coerenza morale personale. Abbiamo così politici che, pur coerenti con la loro morale personale, fanno scelte politiche che contrastano con la dottrina della Chiesa e, non di rado, con la stessa legge morale naturale. Il bene comune lo si fa in comune, ossia strettamente uniti sui principi fondamentali dell’impegno politico che la Chiesa ha sempre insegnato, soprattutto da quando ha cominciato ad elaborare una organica Dottrina sociale.  

A proposito dei cattolici presenti in Parlamento, si è pensato a lungo che essi potessero militare in tutti i partiti, per poi convergere uniti su leggi ad alta rilevanza etica, come quelle riguardanti la famiglia e la vita. Ritiene ancora valido questo schema?
Credo che questo schema, se mai sia esistito come paradigma strategico piuttosto che come adeguamento non voluto alla realtà dei fatti, non sia oggi più agibile. Non perché quella convergenza non sia auspicabile, ma perché i fatti ci dimostrano che non viene mai attuata. Le recenti prese di posizione sul disegno di legge Cirinnà lo ha ulteriormente dimostrato. Questa legge sembrava essere, a detta di molti degli stessi parlamentari sedicenti cattolici, il limite non oltrepassabile ed invece è stata oltrepassata. 

Si tratta solo di tattica politica o anche di carenza di visione?
I numeri in politica contano molto. Deputati dichiaratamente cattolici ce ne sono pochi in questo Parlamento e, tra costoro, molti dicono di esserlo ma si riservano poi un’ampia discrezionalità di scelte senza troppo farsi condizionare dalle indicazioni della morale cattolica o della dottrina sociale della Chiesa o degli appelli del magistero. Una piccola pattuglia può fare certamente ben poco. Però credo che il problema non sia solo quantitativo. C’è una buona dose di confusione di pensiero. Certi cedimenti alla legge Cirinnà, anche su punti profondamente in contrasto con la dignità della persona umana, hanno evidenziato una carenza di pensiero e, soprattutto, l’idea che la fede cattolica non possa – pena diventare ideologia – produrre una visione organica e coerente, una vera e propria cultura sociale e politica. Essa produrrebbe solo istanze moraleggianti, spinte verso una testimonianza di carità non ben precisata, ma non un sistema di pensiero e una coerente visione dei nostri doveri verso il bene comune. Si pensa che Dio dia solo consigli o proponga solo ideali

Oggi, la dottrina sociale della Chiesa che momento sta vivendo nella nostra Chiesa e nel nostro Paese?
Il pastoralismo a cui ho accennato e che avrebbe bisogno di ben altri approfondimenti, la mette in difficoltà. Perché per esso tutto ciò che sa di dottrinale, di culturale, di teorico impedisce l’incontro pastorale col bisognoso. Come se la fede fosse solo un agire e non anche un pensare. Mi chiedo, però: come discernere i bisogni veri da quelli falsi, senza una visione delle cose che nasce dalla fede e dalla ragione? Con buone intenzioni spesso i cattolici, nell’ansia pastorale di incontrare i bisognosi, operano per cause sbagliate e fanno danni, creando nuovi disagi. Inoltre vengono distolti dai problemi di struttura e di buona organizzazione della vita pubblica per concentrarsi solo su forme corte di solidarietà. Si fa del bene anche impegnandosi per leggi giuste o politiche adeguate, ma come farlo senza una visione complessiva delle cose che la dottrina sociale della Chiesa offre?






EDITORIALE
Padre Lombardi
 

Da "male intrinseco" a "pratica possibile": il portavoce vaticano interviene per chiarire il pensiero del Papa sulla contraccezione e modifica esplicitamente l'insegnamento della Chiesa. Fosse confermata questa interpretazione, si dovrebbe dire che non c'è più nulla di oggettivo nella morale cattolica. È troppo chiedere un chiarimento?

di Riccardo Cascioli

In un precedente commento, mettendo in discussione l’opportunità delle conferenze stampa del Papa visto che sono fonte di innumerevoli incomprensioni e polemiche, ci eravamo soffermati tra l’altro sulla risposta data a proposito di aborto e contraccezione in merito al caso del virus Zika. Se sull’aborto le parole sono state più che chiare, tutti i giornali del mondo hanno invece “visto” l’apertura di Papa Francesco alla contraccezione. In realtà nelle parole del Papa si parlava di evitare la gravidanza che, nella prospettiva della procreazione responsabile, è azione lecita, ovviamente seguendo i metodi naturali di regolazione della fertilità. Quindi, dicevamo, niente apertura alla contraccezione sebbene la modalità della domanda, il linguaggio colloquiale, la risposta sommaria e una certa cialtroneria giornalistica hanno inevitabilmente creato “il caso”.

Ora però accade che il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ci abbia clamorosamente smentito dando invece ragione a chi ha parlato di apertura alla contraccezione, oltretutto dando l’impressione che – “in casi di emergenza” – sia già un insegnamento tradizionale della Chiesa. Riprendiamo le parole esatte di padre Lombardi, in una conversazione per Radio Vaticana (rispondendo alla domanda se è vero che il Papa ha aperto alla contraccezione), perché pongono problemi che vanno ben oltre il caso specifico:

«(…) Il Papa distingue poi nettamente la radicalità del male dell’aborto come soppressione di una vita umana e invece la possibilità di ricorso a contraccezione o preservativi per quanto può riguardare casi di emergenza o situazioni particolari, in cui quindi non si sopprime una vita umana, ma si evita una gravidanza. Ora non è che lui dica che vada accettato e usato questo ricorso senza nessun discernimento, anzi, ha detto chiaramente che può essere preso in considerazione in casi di particolare emergenza. L’esempio che ha fatto di Paolo VI e della autorizzazione all’uso della pillola per delle religiose che erano a rischio gravissimo e continuo di violenza da parte dei ribelli nel Congo, ai tempi delle tragedie della guerra del Congo, fa capire che non è che fosse una situazione normale in cui questo veniva preso in considerazione. E anche - ricordiamo per esempio – la discussione seguita ad un passo del libro intervista di Benedetto XVI “Luce del mondo”, in cui egli parlava a proposito dell’uso del condom in situazioni a rischio di contagio, per esempio, di Aids. Allora il contraccettivo o il preservativo, in casi di particolare emergenza e gravità, possono anche essere oggetto di un discernimento di coscienza serio. Questo dice il Papa».

Riassumendo: secondo padre Lombardi – che interpreta il pensiero del Papa – la contraccezione non va bene, ma in alcuni casi (“di particolare emergenza”) si può fare, come già indicato concretamente da Paolo VI e Benedetto XVI. 

Il primo problema è che né Paolo VI né Benedetto XVI hanno mai avallato una posizione del genere. Sul caso delle suore del Congo, avevo già spiegato nel precedente articolo: semplicemente non si può parlare di contraccezione. Sul caso di Benedetto XVI è grave che il portavoce vaticano ignori la Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede del 21 dicembre 2010 in cui si mette fine alle strumentalizzazioni sull’argomento chiarendo che – anche qui – la contraccezione non c’entra un bel nulla (leggi qui la Nota).

Inoltre dalle parole del portavoce vaticano appare che “evitare la gravidanza” e “usare i metodi contraccettivi” siano sinonimi. Ma non è quello che ha finora insegnato la Chiesa. Dice il Catechismo della Chiesa cattolica: «La continenza periodica, i metodi di regolazione delle nascite basati sull'auto-osservazione e il ricorso ai periodi infecondi [Cf ibid., 16] sono conformi ai criteri oggettivi della moralità. Tali metodi rispettano il corpo degli sposi, incoraggiano tra loro la tenerezza e favoriscono l'educazione ad una libertà autentica. Al contrario, è intrinsecamente cattiva “ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione”».

In altre parole: regolazione della fertilità (con metodi naturali) sì, la contraccezione no. Anzi la contraccezione è «intrinsecamente cattiva» (no. 2270), vale a dire che non c’è alcuna circostanza che possa farla diventare accettabile. In Humanae Vitae e Familiaris Consortio l’esauriente spiegazione del caso: basti dire che il no alla contraccezione è solo un corollario all’affermazione della bellezza dell’amore coniugale. Diverso invece è l’utilizzo di questi strumenti per fini non contraccettivi, come appunto nei casi citati di Paolo VI e Benedetto XVI (per una sintetica descrizione di quanto la Chiesa insegna sulla contraccezione clicca qui).

Nel caso del virus Zika, oggetto della risposta di papa Francesco, parliamo invece di vera e propria contraccezione, oltretutto ponendo un rischio ipotetico di malformazione del feto tra «i casi di emergenza» (per capire le conseguenze del virus clicca qui). A questo punto è legittimo che un comune fedele chieda quali siano i casi di emergenza, e chi li decide: i motivi economici, laddove c’è grande povertà e miseria, rientrano in questi casi? Se sì, allora si giustifica anche l’uso della contraccezione nei Paesi in via di sviluppo o nei quartieri poveri delle città occidentali (si dovrà portare il 730 in confessionale per stabilire il confine?), e al diavolo decenni di lotte della Santa Sede alle Nazioni Unite per impedire le politiche di controllo delle nascite. E se il rischio di malformazioni del feto è il caso, allora per coerenza arriveremo a dire che la contraccezione è sempre giustificata perché nessuno ha la garanzia di un figlio sano.

Ma a parte l’introduzione di questa casistica, che farà felici i "dottori della legge", le parole di padre Lombardi indicano un oggettivo cambiamento del Magistero della Chiesa, il cui significato va ben oltre il caso in esame. Vale a dire che stiamo assistendo al cambiamento pratico del Magistero della Chiesa via intervista (anzi, attraverso un’intervista che vorrebbe chiarire una conferenza stampa). È una novità senza precedenti nella storia della Chiesa: saltato il Catechismo, ignorate un’enciclica (Humanae Vitae) e un’esortazione apostolica (Familiaris Consortio) per affermare un nuovo principio facendo finta che sia perfettamente coerente con la tradizione. Del resto, si può essere sicuri che quasi nessuno andrà a consultare catechismi, encicliche e documenti vari; a spiegare cosa dice la Chiesa ormai sono i titoli dei giornali.

Ma a questo punto – ed è qui che la questione diventa universale - qualsiasi altra affermazione definitiva del Magistero può essere messa in discussione: se ciò che la Chiesa ha sempre considerato un “male intrinseco” potrà diventare un giorno lecito, allora non c’è più nulla di oggettivo nella morale cattolica. E se è vero che il cristianesimo non è una morale, è altrettanto vero però che la morale è una conseguenza oggettiva del fatto cristiano, non è indifferente: il confine tra bene e male è netto e chiaro. Certe dichiarazioni – lo si voglia o meno - hanno la conseguenza di cancellare questo confine, tutto diventa relativo. E confuso per i semplici fedeli. È troppo chiedere un chiarimento?




MARTEDÌ 23 FEBBRAIO 2016

  «Formidabili quegli anni» di padre Scalese
 
 
Qualcuno potrebbe chiedersi se in questi anni di blackout informatico il sottoscritto sia diventato indifferente alle sorti della Chiesa. Ho piú volte citato su questo blog una delle Massime di perfezione cristiana del Beato Antonio Rosmini:
 
«TERZA MASSIMA: rimanere in perfetta tranquillità circa tutto ciò che avviene per disposizione di Dio riguardo alla Chiesa di Gesú Cristo, lavorando per essa secondo la chiamata di Dio».
 
Lo stesso Rosmini soleva ripetere due testi biblici: «In silentio et in spe erit fortitudo vestra» (Is 30:15); «Bonum est praestolari cum silentio salutare Domini» (Lam 3:26). Nei momenti di grave crisi, a nulla serve agitarsi e perdere la pace interiore: significherebbe dare la vittoria al nemico, che è all’origine della crisi. Meglio «aspettare in silenzio la salvezza del Signore», al quale la Chiesa solo appartiene. 
 
Ciò non significa però che uno smetta di pensare, di interrogarsi sul senso di quanto sta accadendo: la ricerca della serenità dello spirito non comporta l’arresto dell’attività della mente; Dio ci ha dato la ragione perché la usiamo per conoscere la realtà. E la conoscenza della realtà — qualunque essa sia, fosse anche la piú tragica — non è mai stata e non sarà mai inconciliabile con il sereno abbandono alla volontà di Dio. Anzi.
 
Quest’oggi Sandro Magister ha pubblicato sul sito www.chiesa un articolo in cui espone la posizione, per altro già nota, del Vescovo Marcello Semeraro a proposito della possibilità di dare la comunione ai divorziati risposati. Ebbene, per sostenere questa possibilità, si fa riferimento a una supposta “probata Ecclesiae praxis in foro interno”, che sarebbe stata in vigore negli anni Settanta. Era un po’ di tempo che andavo riflettendo sulla tendenza, che si è diffusa in questi ultimi anni, a tornare a quelli che Magister chiama i “felici anni Settanta”. 

Non so perché, ma mi viene in mente il libro che Mario Capanna pubblicò una trentina d’anni fa:Formidabili quegli anni, con riferimento alla contestazione del Sessantotto. Ecco, mi sembra che nella Chiesa oggi ci sia una grande nostalgia di quegli anni immediatamente successivi alla conclusione del Concilio Vaticano II: quello sí che era un periodo di grandi attese e di grandi speranze; la primavera iniziata col Concilio cominciava a diffondere i suoi effluvi; le gemme iniziavano a sbocciare; i prati si ammantavano di fori… Tutto lasciava sperare che la Chiesa, finalmente, dopo secoli di oscurantismo, sarebbe ringiovanita, si sarebbe riconciliata con il mondo e sarebbe diventata la casa aperta a tutti gli uomini di buona volontà. Ma poi venne improvvisamente l’autunno, un lungo, interminabile autunno, sfociato infine in un gelido inverno. Grazie a Dio, tre anni fa l’inverno è terminato; è arrivata di nuovo la primavera; e quindi diventa inevitabile tornare a quegli anni “formidabili”, per riprendere il cammino dove era stato interrotto, mettendo fra parentesi il cinquantennio trascorso. Non c’è bisogno di abrogarlo; basta ignorarlo, tamquam non esset
 
È abbastanza comprensibile che coloro che, nella loro gioventú, erano stati “sconfitti” e che avevano trascorso tutta la loro vita nella nostalgia del bel tempo che fu, nel risentimento per la sconfitta subita e nell’attesa che arrivasse il giorno della “rivincita”, ora che quel giorno — anche se forse con un certo ritardo — è arrivato, non vedano l’ora di dare attuazione a quei progetti che erano rimasti in sospeso, per dimostrare che la loro ricetta era quella giusta. Ma chiedo: è ragionevole comportarsi in questo modo? Attenzione: non chiedo se sia legittimo. 

Sarebbe troppo impegnativo dare una risposta in proposito; e inoltre non ho alcuna autorità per farlo. Mi limito solo a chiedere se sia ragionevole. È ragionevole pensare che si possano spostare all’indietro le lancette dell’orologio e far finta che il tempo trascorso non sia mai esistito? 
 
È un’illusione ricorrente nella storia. Pensate al Rinascimento: ci si illudeva di poter tornare all’antichità classica mettendo fra parentesi i mille (diconsi: mille!) anni dell’“oscuro” Medioevo. In quello stesso periodo il Protestantesimo (ma l’Umanesimo cristiano non fu da meno) pensava di poter tornare al Vangelo nella sua purezza originale. È l’illusione oggi nutrita da alcune frange tradizionaliste, le quali pensano che, per salvare la Chiesa, si debba tornare a prima del Concilio. Ma, a quanto pare, è anche l’illusione di quanti, pur considerandosi “progressisti”, identificano il “progresso” con ciò che si pensava e si faceva cinquant’anni fa. 
 
 
La storia non si ferma, né, tanto meno, torna indietro. La Chiesa in questi cinquant’anni (dal Vaticano II a oggi) ha fatto un cammino: sarebbe sciocco ignorarlo. Questo non significa che tutto ciò che è avvenuto sia giusto: possono esserci stati degli errori, ai quali si dovrà rimediare; ma ci sono state anche tante acquisizioni, che non potranno piú essere messe in discussione. In questi cinquant’anni i Papi che si sono avvicendati (diversi fra loro, ma con una sostanziale continuità) hanno approfondito col loro magistero la dottrina cattolica (si può ancora usare questo linguaggio?): mi sembra piuttosto arduo far finta che si possa tornare al periodo immediatamente postconciliare, quando sembrava lecito mettere tutto in discussione, come se ancora oggi si dovessero decidere questioni che sono state ormai da tempo definitivamente chiarite.
 
Oltre tutto, riproporre oggi le stesse ricette di cinquant’anni fa, come se non fossero mai state applicate, dimostra o malafede o scarsa capacità di giudizio. Mettendo da parte la malafede, che non sta a noi giudicare, rimane l’incapacità di guardarsi attorno e di “leggere” la storia. Se è vero che i vertici della Chiesa misero da parte le ricette che venivano proposte in quegli anni, preferendo percorrere, pur fra mille contraddizioni, l’accidentato sentiero della tradizione; è altrettanto vero che quelle ricette sono state attuate su base locale. Per cui abbiamo visto quali risultati abbiano dato: pensiamo all’Olanda (quest’anno ricorre il cinquantenario del Nuovo catechismo), al Belgio, alla Francia, alla Germania… ci si aspetterebbe di trovare in questi paesi una Chiesa rigogliosa; e invece non si vede altro che… deserto.
 
Ma c’è un altro aspetto che gli innovatori — che, dopo tanti anni, sono riusciti a conquistare il potere nella Chiesa — sono portati a trascurare. I Papi che si sono succeduti in questi cinquant’anni, oltre a lasciare un imponente corpus dottrinale, hanno anche lasciato il segno nel corpo vivente della Chiesa: hanno plasmato generazioni di fedeli, che si sentono a loro legati in maniera irreversibile e che li considerano in qualche modo loro “padri”. I preti piú giovani della Chiesa d’oggi, quando hanno percepito e abbracciato la vocazione al sacerdozio? I laici del Family Dayin quale Chiesa sono cresciuti e si sono formati? Voi pensate che sia cosí facile cancellare da queste generazioni di cattolici l’impronta che i vari Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno lasciato nella loro carne?
 
Un’accusa ricorrente sulle labbra dei novatores è che la “vecchia” Chiesa sarebbe “ideologica”. Non si rendono conto che, se c’è un’ideologia, sono proprio le loro formule e i loro schemi mentali, gli stessi di cinquant’anni fa.


 



TRIESTE
 

All'inaugurazione della Scuola di dottrina sociale, Crepaldi ha parlato della legge sulle unioni civili con toni durissimi verso i parlamentari cattolici: «Per giustificarsi hanno strumentalizzato Giovanni Paolo II intestandosi meriti che non esistono». Secondo il prelato «le pessime leggi producono pessimi rapporti sociali, di questo passo il sistema totalitario sarà completato». C'è bisogno di una scuola per «ripartire dalle fondamenta e non dare più nulla per scontato»

di Stefano Fontana
Mons. Crepaldi


Parole forti e chiare quelle del Vescovo mons. Giampaolo Crepaldi nell’inaugurare a Trieste la seconda edizione della Scuola diocesana di Dottrina sociale della Chiesa, parole che vanno ben oltre l’ambito locale: «Non posso non riferirmi ad eventi politici e legislativi accaduti nei giorni scorsi – ha iniziano col dire - e che hanno scosso in profondità la politica italiana. Mi riferisco all’approvazione della legge sulle unioni civili».

Su questo argomento Mons. Crepaldi non ha cercato compromessi verbali: «Essa è stata anche un banco di prova per la presenza dei cattolici in politica, banco che ha fornito gravi elementi di forte delusione e di viva preoccupazione per il futuro». Egli ha anche rincarato la dose: ricordando una sua recente intervista pubblicata sul mensile Il Timone ha detto: «A questa intervista, il mensile aveva messo un titolo piuttosto negativo: “Quanti danni dai cattolici in politica”. Subito avevo considerato questo titolo eccessivo, ma dopo la votazione  sulla Cirinnà devo riconoscere che era invece realistico, purtroppo».

La valutazione del Vescovo sul comportamento dei senatori “cattolici” è entrata anche più nel particolare: «Durante la votazione a Palazzo Madama abbiamo assistito a molti atteggiamenti indecorosi da parte di molti senatori cattolici (di “cattolici senatori” credo che non ce ne sia più nemmeno uno). Qualcuno di loro ha perfino chiamato a testimone del proprio voto Giovanni Paolo II, con una citazione corsara del paragrafo 73 della Evangelium vitae. Altri hanno rispolverato il trito (e falso) argomento del “male minore” che avrebbe  evitato il male maggiore. Altri ancora si sono intestati meriti che non esistono, come aver evitato l’adozione per le coppie omosessuali».

«La legge approvata – ha aggiunto - è una pessima legge. Le pessime leggi non sono solo norme astratte sbagliate, ma danno vita a pessimi rapporti sociali, producono sofferenze e ingiustizie sulla pelle delle persone. E questa pessima legge è stata approvata con il voto decisivo dei cosiddetti “cattolici”».

Dalla valutazione dei comportamenti, Mons. Crepaldi è passato alla valutazione della situazione: «Pensare che i dieci comandamenti – che secondo il Catechismo rappresentano una “espressione privilegiata” della legge naturale (CCC n. 2070) - possano essere messi da parte in politica, distorce la dottrina della fede cattolica. Se a questo siamo ormai arrivati nella pratica di moltissimi cattolici impegnati in politica, vuol dire che dobbiamo ripartire dai fondamenti e che non possiamo più dare nulla per scontato».

Molti hanno pensato che si potesse e fosse perfino conveniente accettare il riconoscimento delle unioni civili per avere in cambio lo stralcio dell’adozione per le coppie gay. Ma secondo l’Arcivescovo si tratta di una prospettiva miope: «Chi oggi accetta le unioni civili omosessuali e le equipara alla famiglia commette una grave ingiustizia e si prepara a commetterne altre in futuro. Se non ci sono criteri per votare contro l’unione omosessuale, perché dovrebbero esisterne, domani, per votare contro l’adozione? E perché dovrebbero esisterne dopodomani per votare contro l’utero in affitto? Non facciamoci ingannare. Chi sposta oggi in avanti il limite del lecito, domani lo sposterà ancora un po’ più avanti, e così via».

Il motivo di questo progressivo cedimento, ha detto Mons. Crepaldi, è semplice ed evidente: «Se è nelle nostre mani infrangere oggi un principio della legge morale naturale, non si capisce perché non possa essere nelle nostre mani infrangerne un altro domani. Si avvia così un processo che si fermerà solo ad un punto: quando saranno resi non negoziabili i principi contrari a quelli non negoziabili; quando diventerà obbligatorio non rispettare i principi della legge morale naturale. A quel punto, però, il sistema totalitario sarà completato».

Tornando alle finalità della Scuola di Dottrina sociale che si accingeva ad inaugurare a Trieste, egli ha aggiunto: «A cosa serve formare dei cattolici in modo talmente generico e debole da dover sopportare poi il loro “sì” a leggi pessime?». Abbiamo bisogno di politici cattolici che si battano per il bene contro il male, disposti anche a pagare qualcosa quando questa scelta si fa acuta: «La volontà, scriveva Benedetto XVI nellaSpe salvi, deve avere davanti a sé la ragione che le indica il vero, e la ragione deve avere davanti a sé la speranza cristiana che dà la forza del sacrificio per il rispetto della verità».

Siccome il tradimento del voto cattolico in Senato ha riguardato fondamentali della legge morale naturale, L’Arcivescovo Crepaldi ha concluso proprio su questo punto: «Formare laici cattolici che, al momento della prova politica, non si dimentichino di essere cattolici e di avere alle spalle la Chiesa con i suoi insegnamenti, compresa la difesa della legge morale naturale, ossia del progetto di Dio Creatore sulla comunità umana. Chi la nega o non la rispetta, dovrebbe dirci con cosa intenda sostituirla come criterio per discernere il bene e il male nelle relazioni sociali che non sia solo la ragione del più forte».













[Modificato da Caterina63 08/03/2016 09:24]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)