00 15/11/2015 09:15





Parigi in guerra

A ventiquattro ore dal bagno di sangue, Parigi vive il suo primo giorno di guerra. L'opinione pubblica è sempre più consapevole del pericolo islamista. Ma la classe dirigente no. E l'attacco a Parigi non è affatto giunto di sorpresa, ma è stato preceduto da un'assidua predicazione all'odio.

A ventiquattro ore dal bagno di sangue della notte del venerdì 13, Parigi vive il suo primo giorno di guerra. Come reagirà? L'opinione pubblica è sempre più consapevole del pericolo islamista. Ma la classe dirigente no. Nei media continua a prevalere una narrazione politicamente corretta e pacifista della realtà. E l'attacco a Parigi non è affatto giunto di sorpresa, ma è stato preceduto da una assidua opera di propaganda e predicazione all'odio sulle riviste dello Stato Islamico, sia Dabiq che la francofona Dar al Islam.

LA REALTA' DEMOLISCE IL POLITICAMENTE CORRETTO di Stefano Magni

I terroristi in fase di identificazione potrebbero includere anche un cittadino francese cresciuto nelle Banlieue, una donna e un profugo siriano. Una vera demolizione dei cliché del politicamente corretto, anche se i media continuano a seguire la loro linea pacifista.

CRONACA DI UN ATTENTATO ANNUNCIATO di Valentina Colombo

L'attacco a Parigi non è affatto giunto di sorpresa, ma è stato preceduto da una assidua opera di propaganda e predicazione all'odio sulle riviste dello Stato Islamico, sia Dabiq che la francofona Dar al Islam. La Francia è il paese più esposto d'Europa, anche per la sua laicità.

Dopo il bagno di sangue della notte del venerdì 13, Parigi sta letteralmente vivendo il suo primo giorno di guerra. E le indagini, iniziando a identificare gli attentatori, stanno smontando tutti i cliché del politicamente corretto. Fra i terroristi, infatti, vi sarebbero anche un cittadino francese cresciuto nelle Banlieue e un profugo siriano sbarcato in Grecia.

Il giorno di guerra a Parigi, che per la prima volta dal 1944 è in stato d’assedio, è caratterizzato da metro ferme, scuole, università ed edifici municipali chiusi per tutto il sabato. Solo alcuni treni di lunga percorrenza sono ancora attivi. Un Tgv (treno ad alta velocità) deragliato a Strasburgo ieri pomeriggio ha provocato una breve ondata di panico nei social media: un nuovo attentato? Si trattava di un incidente, in realtà, era un treno in prova e i tester hanno esagerato con la velocità. I servizi di emergenza sono stati mobilitati come in tempo di guerra, tutte le ferie della polizia e dell’esercito cancellate, 1500 militari sono stati dislocati a Parigi e gli ospedali hanno richiamato tutto il personale possibile per far fronte all’ondata di feriti, circa 200, di una notte di terrore. L’emergenza assume anche la forma di piccoli ma importanti accorgimenti tecnologici, nell’era dei social network. Facebook ha salvato dalla follia molte famiglie delle potenziali vittime, attivando il servizio speciale “sto bene”, un semplice segnale da pubblicare sul proprio profilo per indicare la propria esistenza in vita. Le stazioni radio hanno invitato tutti i parigini a restare a casa, ma anche a fornire rifugio ai cittadini in pericolo colti per strada dall’inizio dell’attacco. A questo proposito, sia le autorità che i privati hanno lanciato anche la catena di messaggi su Twitter con l’hashtag #porteouverte, “porta aperta”.

Il presidente Hollande, che ha personalmente udito le esplosioni degli attentatori suicidi ed è stato fatto evacuare dallo Stadio di Francia nel corso della partita Francia-Germania, ha promesso una risposta dura allo Stato Islamico su “tutti i campi di battaglia in patria e all’estero”. Nel frattempo, per sicurezza, ha cancellato il suo viaggio in Turchia dove avrebbe dovuto prender parte al summit del G20. Alla fine del mese si terrà proprio a Parigi il summit sul clima Cop21. E dunque le forze di sicurezza e le autorità francesi hanno meno di due settimane di tempo per mettere la città in sicurezza da ulteriori attacchi.

Le indagini della polizia francese e belga non hanno ancora portato all’identificazione dei terroristi. Il procuratore generale francese François Molin dichiara che l’attacco sia stato condotto da tre commando terroristi fra loro coordinati. Uno dei jihadisti pareva esser stato arrestato, ma la notizia è stata smentita nel corso della giornata. Dopo una giornata di caccia all’uomo non risultano altri jihadisti ancora vivi e a sul posto. Otto sono certamente morti: tre si sono fatti esplodere nell’area dello Stadio di Francia, tre nel teatro Bataclan e due sono stati uccisi dalle teste di cuoio. Tuttavia si segue la pista di due auto, guidate da giovani, sui luoghi degli attacchi. Una di queste è stata trovata: è immatricolata in Belgio. La polizia ha anche rintracciato tre scontrini appartenuti agli attentatori e da questi è risalita sempre a Bruxelles, al quartiere Molenbeek, uno dei più a rischio nella galassia jihadista europea. Il ministro della Giustizia belga Koen Geens ha dichiarato ieri che la polizia ha arrestato cinque sospetti nel quartiere di Bruxelles. Stando, invece, alle impronte digitali ricavate dai resti di uno degli attentatori suicidi, la polizia francese sarebbe risalita (secondo la Tv Europe 1) all’identità di un cittadino francese trentenne, già noto ai servizi sociali, cresciuto delle Banlieue parigine, i quartieri poveri, abitati soprattutto da immigrati musulmani, che ogni anno danno molto filo da torcere alla polizia francese. Un passaporto siriano è invece stato rinvenuto vicino al corpo di un altro attentatore suicida, nell’area dello Stadio di Francia. Secondo il viceministro degli Interni greco Nikolaos Toskas: "Il passaporto ritrovato accanto ad uno dei kamikaze della strage di Parigi è stato identificato come appartenente ad un rifugiato siriano registrato a Lesbo il 3 ottobre". Un profugo era fra gli attentatori, dunque. Il quotidiano Le Parisien ipotizza anche la presenza di una donna fra gli attentatori. Ma siamo sempre nel regno delle ipotesi.

In ogni modo, sono già stati demoliti dalla realtà tutti i cliché del politicamente corretto, quelli secondo cui non vi è alcun legame fra l’islam e il terrorismo e quelli per cui gli immigrati islamici non costituiscono una minaccia, ma una risorsa. E’ anche probabile che nella stragrande maggioranza dei casi sia così. Ma non si può negare il pericolo, come invece si tende a fare. “Nelle ore successive agli attacchi dei terroristi suicidi jihadisti, dell’omicidio di massa a Parigi, i media europei parlavano di ‘flagello del terrorismo’ e ‘violenza degli estremisti’. Ma chi erano questi terroristi e questi generici estremisti che hanno massacrato innocenti parigini? Erano anti-abortisti, razzisti del Ku Klux Klan, membri del Tea Party, per caso? – si chiede ironicamente lo storico e opinionista militare Victor Davis Hanson – I professionisti della notizia gareggiano nel metterci in guardia, non dal pericolo di ulteriori attentati jihadisti o dalla natura dell’odio islamista che anima i fanatici, ma dalla ‘sovra-reazione’ occidentale all’orizzonte, da come i partiti identitari e di estrema destra possano colpevolizzare gli immigrati”.

“Quanto l’attentato di Parigi impatterà sull’opinione pubblica? – si chiede l’analista Daniel Pipes – e per quanto tempo ancora l’establishment europeo negherà la realtà? (…) Come suggeriscono queste stesse domande, la gente comune e la classe dirigente si sposteranno su posizioni opposte, la prima verso destra, la seconda ancora più a sinistra. Alla fine, questa divergenza ridurrà al minimo l’impatto di questi eventi (di Parigi, ndr) sulle decisioni politiche future”. Secondo Pipes, attentati di mega-terrorismo come quello di Parigi, oltre a tutta la catena di attacchi minori subiti dalla Francia e dall’Europa, hanno creato effettivamente una maggior presa di coscienza del pericolo islamico nell’opinione pubblica. “Questi eventi hanno reso gli occidental molto più preoccupati nei confronti dell’islam e di tutto ciò che ne consegue, dalla costruzione di un minareto alle mutilazioni genitali femminili. In complesso, è già in corso un notevole slittamento verso la destra politica”. Al contrario, “Coloro che hanno il compito di interpretare il significato di questi attacchi (per elaborare una risposta, ndr) vivono in una bolla che non permette loro di accettare la realtà per quella che è. Per lo meno in pubblico (quel che poi dicono in privato è un altro discorso), si sentono obbligati ad affermare che l’islam non abbia alcun ruolo nella violenza terroristica, temendo che il solo riconoscere questa relazioni possa causare ancora più problemi”. Non a caso, in Italia, l’unico titolo violentemente contestato dalla categoria giornalistica è stato quello del quotidiano Libero, l’unico che attaccava gli islamici con uno stile da tabloid popolare. Il suo direttore Maurizio Belpietro è stato denunciato il giorno stesso

Sono invece diffusi e incoraggiati i più pacifisti fra i commenti. Come quello rilasciato da Umberto Veronesi ad AdnKronos: “Occorre da parte nostra uno sforzo pacificatore, e siamo proprio noi come Occidente a doverlo fare. Sono contrario all'idea di fare guerra all'Is (Stato Islamico, ndr), perché violenza chiama violenza. Più loro tagliano teste, più noi bombardiamo: qualcuno deve fermare questa catena di azione e reazione e deve farlo con il dialogo e la tolleranza religiosa. L'Is va ascoltato”. Ma “va ascoltato”, perché lo stesso Veronesi dimostra, nella stessa intervista, di non conoscere né la natura né gli obiettivi dello Stato Islamico, che lui descrive come: “un gruppo di sunniti che si sentono emarginati in Iraq e hanno creato un movimento molto estremista, di fatto perché vogliono una patria e chiedono all'Iraq di cedere una piccola area, non più grande della Lombardia, per creare lo Stato islamico”. Ma l’Isis non punta all’indipendenza di una piccola area del Medio Oriente, ma a rifondare il Califfato, l’impero islamico che va dall’Atlantico al Pacifico. E puntualmente le milizie islamiche operano dall’Atlantico (Nigeria) al Pacifico (Indonesia) cooperando allo stesso progetto e colpendo gli occidentali anche in casa loro, come hanno dimostrato a Parigi. Il discorso dell’oncologo Veronesi è però finalizzato a dire: “Soprattutto non bisogna fomentare l'anti-islamismo o in generale il conflitto religioso”. E’ questo il pensiero “mainstream” nel giorno dopo l’attentato. Condiviso anche dall’Ong Emergency, che ha lanciato subito la sua interpretazione dei fatti: “Vediamo accadere in Europa quello che da anni accade in Afghanistan, in Iraq, in Siria: le nostre scelte di guerra ci stanno presentando il conto di anni di violenza e di distruzione. Diritti, democrazia e libertà sono l'unico modo di spezzare il cerchio della violenza e del terrore”. E il loro fondatore Gino Strada conclude: “L’unico modo per far finire la violenza è smettere di usarla”. Amen.



Nel settembre scorso il numero 6 di DAR AL-ISLAM, la rivista dello Stato Islamico in lingua francese, esordiva con le seguenti parole: “Noi scriviamo queste righe nel momento in cui il governo francese proclama sui mezzi di comunicazione che vuole amplificare la sua guerra contro lo Stato del califfato. […] oggi i governi crociati in mano agli ebrei usurai incitano gli idolatri sciiti e democratici dell’esercito libero o altri a combattere il califfato.” Un attacco indiscriminato alla Francia, agli ebrei, agli sciiti e a chiunque, su incitamento dell’Occidente, voglia combattere il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi.

Da un lato il presidente François Hollande viene accusato di essere alleato del “tiranno” re Salman di Arabia Saudita, dall’altro vengono attaccati i “sapienti del male” ovvero i salafiti e i Fratelli musulmani, non solo quelli egiziani, ma soprattutto quelli che operano in Europa, come Yusuf Qaradawi, e in Francia, come l’imam di Bordeaux Tareq Oubrou. Già il numero 2 di Dar al-Islam titolava “Che Allah maledica la Francia” e vi si ribadiva che la rivista in francese dello Stato islamico – rivista che non è la traduzione di DABIQ, ma un’edizione a se stante – non si rivolge “né ai ricercatori, né ai giornalisti miscredenti o pseudo-musulmani che desoderano studiare lo Stato islamico”, non si rivolge nemmeno “agli pseudo-partigiani del jihad che pensano di fare qualcosa per la loro religione trascorrendo le notti sulle reti sociali”. Si sottolineava che “Dar al-Islam non è che uno strumento che invita all’egira [verso lo Stato islamico] e al jihad.”

Nello stesso numero veniva sottolineata l’ostilità della Francia nei confronti dell’islam: “nessuno può ignorare che la Francia è abitata da un odio sordo e irrazionale contro l’islam e i musulmani che l’ha spinta a porsi al comando della coalizione contro il Califfato.” Infine l’intervista a un jihadista tunisino dello Stato islamico, Abou Mouqatil al-Tounsi, si concludeva con una richiesta di consigli per i “fratelli francesi”. Al-Tounsi rispose: “Per Allah, dovete risvegliarvi e combatterli, se solo vedeste quel che fanno con i loro aerei, come terrorizzano le nostre donne e i nostri bambini. […] Li incito a seguire la via dei fratelli che hanno condotto delle operazioni laggiù. Le armi sono facili da reperire in quei paesi. Riponete la vostra fiducia in Allah. Consiglio loro di non scegliere obiettivi specifici. Uccidete chiunque. Tutti i miscredenti sono per noi degli obiettivi. Non ti affaticare a cercare obiettivi specifici. Uccidi qualsiasi miscredente.” Alla domanda se avesse un messaggio per i miscredenti in Francia, al-Tounsi è laconico: “Dico loro. Ben presto vedrete la bandiera di la ilaha illa Allah [Non esiste altro dio al di fuori di Allah] sventolare sull’Eliseo. […] Non c’è che il mare tra noi e voi.” 

Dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi, quanto appena riportato appare una cronaca di una morte annunciata, con l’unica differenza che il mare non separa più perché lo Stato islamico e i suoi simpatizzanti sono in Francia, sono francesi.

La Francia è indubbiamente il paese più nel mirino dell’ISIS per il suo passato coloniale, per la sua laicità, per la sua battaglia contro lo Stato islamico, ma la Francia è anche il paese in cui più di ogni altro si stanno riproducendo le dinamiche e gli scontri che dilaniano da quasi un anno e mezzo il jihadismo in particolare e l’estremismo islamico in generale. Queste dinamiche vedono lo Stato islamico avanzare e raccogliere simpatizzanti, giuramenti di fedeltà di singole persone e altre organizzazioni jihadiste laddove Al Qaeda ha perso la presa. Al tempo stesso lo Stato islamico sta ricorrendo alle tattiche tipiche di Al Qaeda, quali gli attacchi multipli e contemporanei come nei recenti fatti parigini. 

Tuttavia lo Stato islamico, così come ha semplificato il messaggio rispetto ad Al Qaeda, sta “banalizzando” gli attacchi: l’11 settembre non era ripetibile, era spettacolare, mentre i recenti attacchi possono creare spirito di emulazione, considerata la facilità di messa in atto. Dall’arma da fuoco al coltello tutto è molto più semplice.

A pagina 34 dell’ultimo numero di DAR AL-ISLAM si trova un capitolo che cita il seguente versetto coranico: “Preparate, contro di loro, tutte le forze che potrete [raccogliere] e i cavalli addestrati, per terrorizzare il nemico di Allah e il vostro e altri ancora che voi non conoscete, ma che Allah conosce. Tutto quello che spenderete per la causa di Allah vi sarà restituito e non sarete danneggiati.” (8, 60) Da pagina 35 a pagina 38 segue invece la descrizione di come preparare e usare armi dal kalashnikov alla granata, proprio le armi che pare siano state usate negli attentati di Parigi.

E’ interessante comunque notare come il versetto appena citato sia il motto della Fratellanza musulmana. Il nemico di Allah è, a seconda dei casi, il crociato, l’ebreo, il musulmano ipocrita. La Francia non solo presenta il sostrato sociale (scontento, rabbia) che funge da terreno fertile per ogni fenomeno di radicalizzazione, non solo presenta terze generazioni che nutrono rancore nei confronti del proprio paese e vivono una schizofrenia identitaria che li porta a un ritorno alla religione nella sua forma più conservatrice e radicale, non solo è il simbolo di una laicità che è il nemico principale dell’ideologia islamista. In Francia la Fratellanza musulmana agisce, attraverso la rete l’Union des Organisations Islamiques de France (UOIF), dagli anni Ottanta del secolo scorso con le proprie moschee e i propri predicatori. Se è pur vero che oggi l’UOIF condanna gli attentati da Charlie Hebdo e supermercato kasher sino a quelli del 13 novembre, bisogna prendere atto che alcuni suoi predicatori di punta, quali Hassan Iquioussen, e alcuni dei suoi teologi di riferimento, come Yusuf Qaradawi,  giustificano gli attentati suicidi, hanno invocato il jihad in Siria, attaccano gli sciiti e gli ebrei alla stregua dello Stato islamico. Ed è questo sostrato ideologico e sociale che va analizzato e va controllato in Italia e altrove in Europa.

Quanto accaduto in Francia è un attacco ad hoc per la Francia che potrebbe facilmente replicarsi nel vicino Belgio che da sempre ha reti islamiste comuni alla Francia. L’Italia, in modo particolare Roma, rimane un obiettivo sensibile, ma soprattutto simbolico per la presenza del Vaticano.  L’Italia, al pari dell’Europa, deve scommettere sulle seconde generazioni e, unitamente all’Europa, deve comprendere, quanto affermato nel luglio scorso da David Cameron alla Ninestiles School di Birmingham:

“Nel contrastare l’estremismo islamista, una parte fondamentale della nostra strategia è di occuparci dei suoi due volti, quello non violento e quello violento. Questo significa che dobbiamo anche occuparci di quelle organizzazioni che non difendono la violenza, ma che comunque promuovono altre parti dell’estremismo. Dobbiamo dimostrare che se dici “condanno la violenza, ma l’infedele è un essere inferiore”, o “la violenza a Londra non è giustificata, ma gli attacchi suicidi in Israele sono un’altra faccenda”, anche tu sei parte del problema. Che tu lo voglia o no, e spesso lo vuoi, stai dando sostegno a chi vuole la violenza”.

In questo senso l’Europa dovrebbe avere il coraggio di riconoscere e combattere ogni ideologia radicale, da quella apparentemente moderata a quella jihadista, ma dovrebbe avere il coraggio di interrompere ogni rapporto economico e politico con tutti quegli Stati che promuovono la stessa ideologia e la stessa interpretazione radicale dell’Islam, primi fra tutti l’Arabia saudita e l’Iran. Il relativismo valoriale, la Realpolitik non aiuteranno a sconfiggere lo Stato islamico. I finanziamenti sauditi e qatarini ai Fratelli musulmani europei, alle università, ai centri studi occidentali non favoriranno certo né l’integrazione né la pace né la lotta al terrorismo, ma impediranno – come stanno già facendo – ogni critica all’islam politico “moderato” che punta alla conquista del potere proprio come lo Stato islamico con l’unica differenza dei metodi usati e dei tempi in cui raggiungere l’obiettivo.




 





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)