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Omelie e canto gregoriano per l'Avvento

Una guida al tempo di preparazione al Natale. Con il meglio della predicazione di Benedetto XVI e con i link a tutti i canti liturgici delle prossime domeniche e feste 

di Sandro Magister




ROMA, 28 novembre 2015 – Con i vespri della vigilia della prima Domenica di Avvento ha oggi inizio il nuovo anno liturgico. Vi fa eccezione il rito ambrosiano, in uso da secoli nell'arcidiocesi di Milano, dove l'Avvento è cominciato due domeniche fa.

La presente pagina web offre due modalità di accompagnamento di questo tempo di Avvento: l'omiletica e la musicale.

La prima modalità qui non è nuova. Come è già stato fatto nei periodi forti del trascorso anno liturgico, anche per questo tempo di Avvento www.chiesa propone una selezione di omelie tratte dall'archivio di Benedetto XVI e attinenti al ciclo C del lezionario, quello del nuovo anno liturgico che sta per iniziare.

E anche la seconda modalità, quella musicale, ha in questo sito dei precedenti. Due anni fa www.chiesa ha offerto per le feste maggiori dell'anno liturgico l'ascolto di un brano di canto gregoriano della messa del giorno, eseguito e commentato dai "Cantori Gregoriani" e dal loro Maestro, Fulvio Rampi.

Da oggi in avanti, però, l'offerta musicale sarà molto più ricca. Proprio grazie a una nuovissima, straordinaria iniziativa del Maestro Rampi e del suo coro.

A partire da questa prima Domenica di Avvento, infatti, in un sito inaugurato da pochi giorni, Rampi e i "Cantori Gregoriani" offrono al libero ascolto di tutti non solo qualche brano esemplificativo, ma l'intero repertorio gregoriano di ogni domenica e festa dell'anno liturgico, vale a dire l'introito, il graduale, l'alleluia, l'offertorio, il communio, oltre naturalmente al Kyrie, al Gloria, al Credo, al Sanctus, all'Agnus Dei.

Al momento attuale, nel nuovo sito è presente solo il repertorio gregoriano della prima Domenica di Avvento, che si celebra domani. Ma questo è appena l'inizio, perché ogni lunedì entrerà in rete il materiale musicale della domenica successiva, arricchendo così ogni volta la raccolta dei canti, fino a costruire un'imponente biblioteca musicale di canto gregoriano, alla quale ciascuno potrà attingere in ogni momento.

L'indirizzo del nuovo sito è il seguente:

> www.scuoladicantogregoriano.it

Una volta aperta la home page del sito, per accedere all'ascolto dei canti gregoriani della prima Domenica di Avvento e poi man mano delle domeniche e feste successive, basta aprire la finestra "La domenica liturgica" e fare click sulla domenica desiderata.

Dopo di che si avrà davanti l'indice completo dei canti di quella messa. Con la possibilità di ascoltare l'esecuzione di ciascuno e seguirne lo spartito musicale.

Il tutto con grande facilità di ricerca, anche per chi non conosce la lingua italiana.

Ecco dunque, per questo tempo di Avvento dell'anno C, una sequenza di brani omiletici tratti dall'archivio di Benedetto XVI, con i link ai canti gregoriani di ciascuna messa domenicale e festiva.

Tra le omelie, da non perdere quella del martedì della prima settimana di Avvento: una straordinaria riflessione del papa teologo su come "far bene teologia" alla luce delle parole di Gesù sul mistero nascosto ai sapienti e rivelato ai piccoli.

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> OMELIA DEI VESPRI DELLA VIGILIA DELLA I DOMENICA DI AVVENTO

1 dicembre 2007

1 Tessalonicesi 5, 23-24

… L’uomo è l’unica creatura libera di dire di sì o di no all’eternità, cioè a Dio. L’essere umano può spegnere in se stesso la speranza eliminando Dio dalla propria vita. Come può avvenire questo? Come può succedere che la creatura "fatta per Dio", intimamente orientata a Lui, la più vicina all’Eterno, possa privarsi di questa ricchezza? Dio conosce il cuore dell’uomo. Sa che chi lo rifiuta non ha conosciuto il suo vero volto, e per questo non cessa di bussare alla nostra porta, come umile pellegrino in cerca di accoglienza. Ecco perché il Signore concede nuovo tempo all’umanità: affinché tutti possano arrivare a conoscerlo! E’ questo anche il senso di un nuovo anno liturgico che inizia: è un dono di Dio, il quale vuole nuovamente rivelarsi nel mistero di Cristo, mediante la Parola e i Sacramenti. Mediante la Chiesa vuole parlare all’umanità e salvare gli uomini di oggi. E lo fa andando loro incontro, per "cercare e salvare ciò che era perduto" (Lc 19,10). In questa prospettiva, la celebrazione dell’Avvento è la risposta della Chiesa Sposa all’iniziativa sempre nuova di Dio Sposo, "che è, che era e che viene" (Ap 1,8). All’umanità che non ha più tempo per Lui, Dio offre altro tempo, un nuovo spazio per rientrare in se stessa, per rimettersi in cammino, per ritrovare il senso della speranza...

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Ma vedi anche tutte le altre omelie pronunciate da Benedetto XVI nei vespri d'inizio Avvento:

> 26 novembre 2005

> 2 dicembre 2006

> 29 novembre 2008

> 28 novembre 2009


> 27 novembre 2010

> 1 dicembre 2012


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> "ANGELUS" DELLA I DOMENICA DI AVVENTO

29 novembre 2009

Geremia 33, 14-16
1 Tessalonicesi 3, 12-4, 2
Luca 21, 25-28.34-36

… Ci rendiamo conto, vedendo crollare tante false sicurezze, che abbiamo bisogno di una speranza affidabile, e questa si trova solo in Cristo, il quale, come dice la Lettera agli Ebrei, “è lo stesso ieri e oggi e per sempre” (13,8). Il Signore Gesù è venuto in passato, viene nel presente, e verrà nel futuro. Egli abbraccia tutte le dimensioni del tempo, perché è morto e risorto, è “il Vivente” e, mentre condivide la nostra precarietà umana, rimane per sempre e ci offre la stabilità stessa di Dio. E’ “carne” come noi ed è “roccia” come Dio. Chiunque anela alla libertà, alla giustizia, alla pace può risollevarsi e alzare il capo, perché in Cristo la liberazione è vicina (cfr Lc 21,28) – come leggiamo nel Vangelo di oggi. Possiamo pertanto affermare che Gesù Cristo non riguarda solo i cristiani, o solo i credenti, ma tutti gli uomini, perché Egli, che è il centro della fede, è anche il fondamento della speranza. E della speranza ogni essere umano ha costantemente bisogno…

> CANTI GREGORIANI DELLA I DOMENICA DI AVVENTO


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> OMELIA DEL MARTEDÌ DELLA I SETTIMANA DI AVVENTO


1 dicembre 2009
Messa celebrata con i membri della commissione teologica internazionale

Isaia 11. 1-10
Luca 10, 21-24

… C’è un duplice uso della ragione e un duplice modo di essere sapienti o piccoli. C’è un modo di usare la ragione che è autonomo, che si pone sopra Dio, in tutta la gamma delle scienze, cominciando da quelle naturali, dove un metodo adatto per la ricerca della materia viene universalizzato: in questo metodo Dio non entra, quindi Dio non c’è. E così, infine, anche in teologia: si pesca nelle acque della Sacra Scrittura con una rete che permette di prendere solo pesci di una certa misura e quanto va oltre questa misura non entra nella rete e quindi non può esistere. Così il grande mistero di Gesù, del Figlio fattosi uomo, si riduce a un Gesù storico: una figura tragica, un fantasma senza carne e ossa, un uomo che è rimasto nel sepolcro, si è corrotto ed è realmente un morto. Il metodo sa “captare” certi pesci, ma esclude il grande mistero, perché l’uomo si fa egli stesso la misura: ha questa superbia, che nello stesso tempo è una grande stoltezza perché assolutizza certi metodi non adatti alle realtà grandi; entra in questo spirito accademico che abbiamo visto negli scribi, i quali rispondono ai Re magi: non mi tocca; rimango chiuso nella mia esistenza, che non viene toccata. È la specializzazione che vede tutti i dettagli, ma non vede più la totalità.

E c’è l’altro modo di usare la ragione, di essere sapienti, quello dell’uomo che riconosce chi è; riconosce la propria misura e la grandezza di Dio, aprendosi nell’umiltà alla novità dell’agire di Dio. Così, proprio accettando la propria piccolezza, facendosi piccolo come realmente è, arriva alla verità. In questo modo, anche la ragione può esprimere tutte le sue possibilità, non viene spenta, ma si allarga, diviene più grande. Si tratta di un’altra "sofìa" e "sìnesis", che non esclude dal mistero, ma è proprio comunione con il Signore nel quale riposano sapienza e saggezza, e la loro verità…

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> "ANGELUS" DELLA II DOMENICA DI AVVENTO

6 dicembre 2009

Baruc 5, 1-9
Flippesi 1, 4-6.8-11
Luca 5, 1-6

… L’evangelista punta il riflettore su Giovanni Battista, che del Messia fu il precursore, e traccia con grande precisione le coordinate spazio-temporali della sua predicazione. Scrive Luca: “Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto” (Lc 3,1-2). Due cose attirano la nostra attenzione. La prima è l’abbondanza di riferimenti a tutte le autorità politiche e religiose della Palestina nel 27/28 d.C. Evidentemente l’Evangelista vuole avvertire chi legge o ascolta che il Vangelo non è una leggenda, ma il racconto di una storia vera, che Gesù di Nazaret è un personaggio storico inserito in quel preciso contesto. Il secondo elemento degno di nota è che, dopo questa ampia introduzione storica, il soggetto diventa “la parola di Dio”, presentata come una forza che scende dall’alto e si posa su Giovanni il Battista.

Domani ricorrerà la memoria liturgica di sant’Ambrogio, grande Vescovo di Milano. Attingo da lui un commento a questo testo evangelico: “Il Figlio di Dio – egli scrive -, prima di radunare la Chiesa, agisce anzitutto nel suo umile servo. Perciò dice bene san Luca che la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria nel deserto, perché la Chiesa non ha preso inizio dagli uomini, ma dalla Parola” (Expositio in Lucam 2, 67). Ecco dunque il significato: la Parola di Dio è il soggetto che muove la storia, ispira i profeti, prepara la via del Messia, convoca la Chiesa. Gesù stesso è la Parola divina che si è fatta carne nel grembo verginale di Maria: in Lui Dio si è rivelato pienamente, ci ha detto e dato tutto, aprendoci i tesori della sua verità e della sua misericordia. Prosegue ancora sant’Ambrogio nel suo commento: “Discese dunque la Parola, affinché la terra, che prima era un deserto, producesse i suoi frutti per noi”…

> CANTI GREGORIANI DELLA II DOMENICA DI AVVENTO

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> OMELIA DELLA FESTA DELL'IMMACOLATA

8 dicembre 2005
Nel quarantesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II 

Genesi 3, 9-15.20
Efesini 1, 3-6.11-12
Luca 1, 26-38

… Se riflettiamo sinceramente su di noi e sulla nostra storia, dobbiamo dire che con questo racconto è descritta non solo la storia dell'inizio, ma la storia di tutti i tempi, e che tutti portiamo dentro di noi una goccia del veleno di quel modo di pensare illustrato nelle immagini del libro della Genesi. Questa goccia di veleno la chiamiamo peccato originale. Proprio nella festa dell'Immacolata Concezione emerge in noi il sospetto che una persona che non pecchi affatto sia in fondo noiosa; che manchi qualcosa nella sua vita: la dimensione drammatica dell'essere autonomi; che faccia parte del vero essere uomini la libertà del dire di no, lo scendere giù nelle tenebre del peccato e del voler fare da sé; che solo allora si possa sfruttare fino in fondo tutta la vastità e la profondità del nostro essere uomini, dell'essere veramente noi stessi; che dobbiamo mettere a prova questa libertà anche contro Dio per diventare in realtà pienamente noi stessi. Con una parola, noi pensiamo che il male in fondo sia buono, che di esso, almeno un po', noi abbiamo bisogno per sperimentare la pienezza dell'essere. Pensiamo che Mefistofele – il tentatore – abbia ragione quando dice di essere la forza "che sempre vuole il male e sempre opera il bene" (J.W. v. Goethe, Faust I, 3). Pensiamo che patteggiare un po' col male, riservarsi un po' di libertà contro Dio, in fondo, sia bene, forse sia addirittura necessario.

Guardando però il mondo intorno a noi, possiamo vedere che non è così, che cioè il male avvelena sempre, non innalza l'uomo, ma lo abbassa e lo umilia, non lo rende più grande, più puro e più ricco, ma lo danneggia e lo fa diventare più piccolo. Questo dobbiamo piuttosto imparare nel giorno dell'Immacolata: l'uomo che si abbandona totalmente nelle mani di Dio non diventa un burattino di Dio, una noiosa persona consenziente; egli non perde la sua libertà. Solo l'uomo che si affida totalmente a Dio trova la vera libertà, la vastità grande e creativa della libertà del bene. L'uomo che si volge verso Dio non diventa più piccolo, ma più grande, perché grazie a Dio e insieme con Lui diventa grande, diventa divino, diventa veramente se stesso. L'uomo che si mette nelle mani di Dio non si allontana dagli altri, ritirandosi nella sua salvezza privata; al contrario, solo allora il suo cuore si desta veramente ed egli diventa una persona sensibile e perciò benevola ed aperta. Più l'uomo è vicino a Dio, più vicino è agli uomini…

> CANTI GREGORIANI DELLA FESTA DELL'IMMACOLATA

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> "ANGELUS" DELLA III DOMENICA DI AVVENTO "GAUDETE"


13 dicembre 2009

Sofonia 3, 14-17
Filippesi 4, 4-7
Luca 3, 10-18

… La benedizione dei “Bambinelli” – come si dice a Roma – ci ricorda che il presepio è una scuola di vita, dove possiamo imparare il segreto della vera gioia. Questa non consiste nell’avere tante cose, ma nel sentirsi amati dal Signore, nel farsi dono per gli altri e nel volersi bene. Guardiamo il presepe: la Madonna e san Giuseppe non sembrano una famiglia molto fortunata; hanno avuto il loro primo figlio in mezzo a grandi disagi; eppure sono pieni di intima gioia, perché si amano, si aiutano, e soprattutto sono certi che nella loro storia è all’opera Dio, il Quale si è fatto presente nel piccolo Gesù. E i pastori? Che motivo avrebbero di rallegrarsi? Quel Neonato non cambierà certo la loro condizione di povertà e di emarginazione. Ma la fede li aiuta a riconoscere nel “bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”, il “segno” del compiersi delle promesse di Dio per tutti gli uomini “che egli ama” (Lc 2,12.14), anche per loro! Ecco, cari amici, in che cosa consiste la vera gioia: è il sentire che la nostra esistenza personale e comunitaria viene visitata e riempita da un mistero grande, il mistero dell’amore di Dio. Per gioire abbiamo bisogno non solo di cose, ma di amore e di verità: abbiamo bisogno di un Dio vicino, che riscalda il nostro cuore, e risponde alle nostre attese profonde. Questo Dio si è manifestato in Gesù, nato dalla Vergine Maria. Perciò quel Bambinello, che mettiamo nella capanna o nella grotta, è il centro di tutto, è il cuore del mondo…

> CANTI GREGORIANI DELLA III DOMENICA DI AVVENTO "GAUDETE"

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> OMELIA DEL I GIORNO DELLA NOVENA DI NATALE

17 dicembre 2009
Messa celebrata con la comunità del centro d'arte cristiana "Aletti" di Roma

Genesi 49, 2.8-10
Matteo 1, 1-17

… Nella genealogia di Gesù, oltre a Maria, vengono ricordate quattro donne. Non sono Sara, Rebecca, Lia, Rachele, cioè le grandi figure della storia d’Israele. Paradossalmente, invece, sono quattro donne pagane: Racab, Rut, Betsabea, Tamar, che apparentemente "disturbano" la purezza di una genealogia. Ma in queste donne pagane, che appaiono in punti determinanti della storia della salvezza, traspare il mistero della chiesa dei pagani, l’universalità della salvezza. Sono donne pagane nelle quali appare il futuro, l’universalità della salvezza. Sono anche donne peccatrici e così appare in loro anche il mistero della grazia: non sono le nostre opere che redimono il mondo, ma è il Signore che ci dà la vera vita. Sono donne peccatrici, sì, in cui appare la grandezza della grazia della quale noi tutti abbiamo bisogno. Queste donne rivelano tuttavia una risposta esemplare alla fedeltà di Dio, mostrando la fede nel Dio di Israele. E così vediamo trasparire la chiesa dei pagani, mistero della grazia, la fede come dono e come cammino verso la comunione con Dio. La genealogia di Matteo, pertanto, non è semplicemente l’elenco delle generazioni: è la storia realizzata primariamente da Dio, ma con la risposta dell’umanità. È una genealogia della grazia e della fede: proprio sulla fedeltà assoluta di Dio e sulla fede solida di queste donne poggia la prosecuzione della promessa fatta a Israele.…

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> OMELIA DEI VESPRI DEL I GIORNO DELLA NOVENA DI NATALE


17 dicembre 2009

ANTIFONA AL "MAGNIFICAT"

O Sapientia, quæ ex ore Altissimi prodiisti, 
attingens a fine usque ad finem,
fortiter suaviterque disponens omnia: 
veni ad docendum nos viam prudentiæ.

O Sapienza, che esci dalla bocca dell’Altissimo,
ti estendi ai confini del mondo,
e tutto disponi con soavità e con forza:
vieni, insegnaci la via della saggezza.

Questa stupenda invocazione è rivolta alla "Sapienza", figura centrale nei libri dei Proverbi, della Sapienza e del Siracide che da essa sono detti appunto "sapienziali" e nei quali la tradizione cristiana scorge una prefigurazione del Cristo. Tale invocazione diventa davvero stimolante e, anzi, provocante, quando ci poniamo di fronte al Presepe, cioè al paradosso di una Sapienza che, uscita "dalla bocca dell’altissimo", giace avvolta in fasce dentro una mangiatoia (cfr Lc 2,7.12.16).

Possiamo già anticipare la risposta alla domanda: quella che nasce a Betlemme è la Sapienza di Dio. San Paolo, scrivendo ai Corinzi, usa questa espressione: "la sapienza di Dio, che è nel mistero" (1 Cor 2,7), cioè in un disegno divino, che è rimasto a lungo nascosto e che Dio stesso ha rivelato nella storia della salvezza. Nella pienezza dei tempi, questa Sapienza ha assunto un volto umano, il volto di Gesù, il quale – come recita il Simbolo apostolico – "fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, discese agli inferi, il terzo giorno risuscitò da morte, salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente, di là verrà a giudicare i vivi e i morti". Il paradosso cristiano consiste proprio nell’identificazione della Sapienza divina, cioè il Logos eterno, con l’uomo Gesù di Nazaret e con la sua storia. Non c’è soluzione a questo paradosso se non nella parola "Amore", che in questo caso va scritta naturalmente con la "A" maiuscola, trattandosi di un Amore che supera infinitamente le dimensioni umane e storiche. Dunque, la Sapienza che questa sera invochiamo è il Figlio di Dio, la seconda persona della Santissima Trinità; è il Verbo, che, come leggiamo nel Prologo di Giovanni, "era in principio presso Dio", anzi, "era Dio", che con il Padre e lo Spirito Santo ha creato tutte le cose e che "si è fatto carne" per rivelarci quel Dio che nessuno può vedere…

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> "ANGELUS" DELLA IV DOMENICA DI AVVENTO

20 dicembre 2009

Michea 5, 1-4
Ebrei 10, 5-10
Luca 1, 39-45

… Il Vangelo di Luca narra che Gesù nacque a Betlemme perché Giuseppe, lo sposo di Maria, essendo della “casa di Davide”, dovette recarsi in quella cittadina per il censimento, e proprio in quei giorni Maria diede alla luce Gesù (cfr Lc 2,1-7). In effetti, la stessa profezia di Michea prosegue accennando proprio ad una misteriosa nascita: “Dio li metterà in potere altrui – dice – / fino a quando partorirà colei che deve partorire; / e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d’Israele” (Mi 5,2). C’è dunque un disegno divino che comprende e spiega i tempi e i luoghi della venuta del Figlio di Dio nel mondo. E’ un disegno di pace, come annuncia ancora il profeta parlando del Messia: “Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, / con la maestà del nome del Signore, suo Dio. / Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande / fino agli estremi confini della terra. / Egli stesso sarà la pace!” (Mi 5,3).

Proprio quest’ultimo aspetto della profezia, quello della pace messianica, ci porta naturalmente a sottolineare che Betlemme è anche una città-simbolo della pace, in Terra Santa e nel mondo intero. Purtroppo, ai nostri giorni, essa non rappresenta una pace raggiunta e stabile, ma una pace faticosamente ricercata e attesa. Dio, però, non si rassegna mai a questo stato di cose, perciò anche quest’anno, a Betlemme e nel mondo intero, si rinnoverà nella Chiesa il mistero del Natale, profezia di pace per ogni uomo, che impegna i cristiani a calarsi nelle chiusure, nei drammi, spesso sconosciuti e nascosti, e nei conflitti del contesto in cui si vive, con i sentimenti di Gesù, per diventare ovunque strumenti e messaggeri di pace, per portare amore dove c’è odio, perdono dove c’è offesa, gioia dove c’è tristezza e verità dove c’è errore, secondo le belle espressioni di una nota preghiera francescana…

> CANTI GREGORIANI DELLA IV DOMENICA DI AVVENTO

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Su una grande iniziativa didattica del Maestro Fulvio Rampi e dei "Cantori Gregoriani":

> Un libro di canto gregoriano come non s'è mai visto né udito

 



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28.11.2015 






Humiles ad cunas

Arriva Natale, e con esso i canti di Natale. Una festa dal doppio volto, uno sacro e uno profano, e questa dicotomia si ripresenta anche in musica. Da una parte, la festa del commercio e del capitalismo americano Anni Cinquanta ci presenta classiche filastrocche sulla neve e i pupazzi magici, canzoni slow rock e swing che immortalano i valori della famiglia Cunningham, e tradizioni rinforzate nel periodo tra le due guerre dalla Coca-Cola. Ma dall’altro rimangono gli inni sacri del Cristianesimo, anch’essi declinati in varie forme, dalle tradizionali come il Tu scendi dalle stelle, che il Signore ce l’abbia in gloria, alle più moderne influenze nere del blues e del gospel.

Un aspetto sul quale però si infrange persino lo spirito natalizio del più fervente cantore cattolico è quello linguistico. Dal giorno in cui il Concilio Vaticano II stabilì che le Messe e i Sacramenti tutti potessero (dovessero) essere celebrati nella lingua nazionale anziché in latino, fu una corsa alla traduzione dei testi dei canti sacri. Traduzione che non è ancora fissa neanche oggi: alcuni editori in particolare si divertono a cambiare versi, emiversi o anche singole parole da un’edizione ad un’altra. Ma il problema è un altro, e cioè che queste traduzioni, a volte, fanno veramente pena.

Adeste fideles

L’esempio principe, quello per cui lotto ogni Natale, è quello di Adeste fideles. A tutti quelli della mia generazione (siamo già cresciuti con MTV mica parlo dei nonni dei piccoli balilla) è stata insegnata in latino. Un testo del quale, al tempo, capivamo solo “lieti e trionfanti” e “venite adoremus”, anche perché quei pochi di noi che dopo hanno studiato latino all’epoca non sapevano neanche “rosa rosae”. Qualche anno dopo scopriamo che i “nuovi” bambini la cantano (gliela fanno cantare) in italiano. Rabbrividiamo.

Sia chiaro che il mio orrore non nasce da un retrogrado attaccamento ai ricordi dell’infanzia e un rifiuto conservatore di tutto ciò che è nuovo e diverso: viene dal fatto che il testo italiano è povero e smorto, completamente privo della poesia e dell’affetto dottrinale che era nel testo latino. Un po’ come prendere la Divina Commedia e riscriverla come se fosse una pagina di Wikipedia, con l’indice dei contenuti e deduzioni logiche raccolte in elenchi puntati. Lascerò che siate voi lettori a valutare personalmente.

Adeste fideles (originale)

Adeste, fideles,
laeti triumphantes,
venite, venite in Bethlehem.
Natum videte Regem angelorum.
Venite adoremus, venite adoremus,
venite adoremus Dominum.

En, grege relicto,
humiles ad cunas
vocati pastores adproperant.
Et nos ovantes gradu festinemus.
Venite adoremus…

Aeterni Parentis
splendorem aeternum
velatum sub carne videbimus.
Deum infantem pannis involutum.
Venite adoremus…

Pro nobis egenum
et foeno cubantem
piis foveamus amplexibus.
Sic nos amantem quis non redamaret?
Venite adoremus…

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Traduzione in italiano

Avvicinatevi, fedeli,
lieti e trionfanti,
venite, venite a Betlemme.
Vedrete il Re degli angeli appena nato.
Venite adoriamo, venite adoriamo,
venite adoriamo il Signore.

Ecco, abbandonato il gregge,
all’umile culla
si avvicinano i pastori, chiamati (dall’angelo).
E noi, pregando, ci affrettiamo volentieri.
Venite adoriamo…

Vedremo l’eterno splendore
dell’Eterno Genitore
nascosto in (un corpo di) carne.
Dio, bambino, avvolto in fasce.
Venite adoriamo…

Scaldiamo con devoti abbracci
(il bambino), che per noi è stato fatto
povero e adagiato nel fieno.
Chi non ricambierà l’amore di chi ci ama così tanto?
Venite adoriamo…

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Ecco invece il testo italiano, come riportato ne La Casa del Padre:

Venite, fedeli, l’angelo ci invita,
venite, venite a Betlemme.
Nasce per noi Cristo Salvatore.
Venite adoriamo, venite adoriamo, venite adoriamo
il Signore Gesù.

La luce del mondo brilla in una grotta:
la fede ci guida a Betlemme.
Nasce per noi Cristo Salvatore.
Venite adoriamo…

La notte risplende, tutto il mondo attende:
seguiamo i pastori a Betlemme.
Nasce per noi Cristo Salvatore.
Venite adoriamo…

Il Figlio di Dio, Re dell’universo,
si è fatto bambino a Betlemme.
Nasce per noi Cristo Salvatore.
Venite adoriamo…

Sia gloria nei cieli, pace sulla terra
un angelo annuncia a Betlemme.
Nasce per noi Cristo Salvatore.
Venite adoriamo…

Mentre il testo latino (risalente al Settecento, in parte trascritto da fonti più antiche andate perdute, in parte integrato dal vescovo di Versailles) mette in risalto l’aspetto amorevole della Natività e induce un sentimento di affetto dottrinale verso il Bambino (“piis foveamus amplexibus”, “Deum infantem pannis involutum”), quello italiano pare invece un’accozzaglia di immagini sterotipate, più adatte ad una gita fuori porta, che non ad un canto di adorazione al Divino Bambino.

Vediamo Stille Nacht - erroneamente attribuita alla tradizione Protestante tedesca, tre versioni diverse, ma tutto sommato accettabili e gradevoli entrambe, tranne l'ultima versione modernista.

Anche Stille Nacht ha avuto una traduzione non molto appropriata, cioò non fedele alla tradizione. Composta nel 1818 da due austriaci, il sacerdote Joseph Mohr e l’insegnante di musica Franz Gruber, è poi stata tradotta in italiano negli Anni Trenta dal sacerdote bergamasco Angelo Meli, che non si limitò ad una pura e semplice traduzione dal tedesco all’italiano, ma diede al canto un nuovo tenore poetico dal titolo Astro del Ciel. In tempi più recenti, ancora La Casa del Padre offre una versione decisamente meno aulica, intitolata Nato per noi, probabilmente anche per problemi di copyright (detenuto dalle Edizioni Carrara). Ecco il confronto tra i testi (solo la prima strofa):

Stille Nacht (originale)
Stille Nacht! Heilige Nacht!
Alles schläft; einsam wacht
Nur das traute hochheilige Paar.
Holder Knabe im lockigen Haar,
Schlafe in himmlischer Ruh!
Schlafe in himmlischer Ruh!
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Notte tranquilla, notte santa!
Tutto dorme; solitaria, veglia
soltanto la Coppia Santissima.
Bimbo grazioso, coi capelli pieni di ricciolini,
dormi in pace celeste!
Dormi in pace celeste!
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Astro del Ciel (di Meli)
Astro del Ciel, Pargol divin,
mite Agnello Redentor,
Tu che i vati da lungi sognar,
Tu che angeliche voci annunziar,
luce dona alle menti!
Pace infondi nei cuor!
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Nato per noi (quella più moderna)
Nato per noi, Cristo Gesù,
figlio dell’Altissimo,
sei cantato dagli Angeli,
sei l’atteso dai secoli,
vieni, vieni Signore,
salvaci Cristo Gesù!

Perché versioni così povere?

Sembra impossibile che la scarsa qualità delle versioni più recenti sia imputabile ad uno scarso investimento di tempo o energie. Evidentemente, anche per via delle disposizioni del Concilio Vaticano II, si vuole migliorare la comunicazione con l’assemblea, nella quale, non avendo tutti studiato il latino o i poeti pre-romantici, un canto latino potrebbe destare scarsa attenzione se non addirittura distrazione.

A questo punto però vale la pena porsi la domanda: è meglio comunicare male con tutti, per evitare di dover educare, oppure insegnare a comunicare meglio? Parlare bene è pensare bene; la comunicazione appropriata è più efficace di quella semplificata, anche se quest’ultima è accessibile a tutti. Invece di dire che “tanto i bambini non capiscono il latino”, non sarebbe meglio perdere mezz’ora a spiegare il testo latino (basterebbe tradurlo: è molto più comprensibile di quello italiano)?

La domanda ha implicazioni molto ampie, che vanno ben oltre la questione di un canto di Natale. Per rispondere in maniera sensata, dovremmo forse andare oltre la cocciutaggine di chi addita l’arretratezza e il carattere elitario del “latinorum”, e armarci invece di quella voglia e curiosità di imparare che da sempre è stata alla base della conoscenza e della scoperta. Solo così potremo andare ancora oggi “humiles ad cunas”, nel vero spirito natalizio (sacro e profano).



[Modificato da Caterina63 21/12/2015 21:54]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)