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La Chiesa e l’ordine morale

Saggio pubblicato nel 1976 su "L'Osservatore Romano"a presentazione della Dichiarazione della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede su alcune questioni di etica sessuale "Persona Humana"



Sac. Carlo Caffarra
Membro della Commissione Teologica Internazionale

Benché dedicata ad "alcune questioni di etica sessuale" la Dichiarazione della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede affronta, né poteva essere diversamente, problemi fondamentali della riflessione etica, soprattutto nei nn. 1-4 e 10. Lo scopo del presente studio è di offrire una riflessione teologica su questi problemi di fondo partendo dai succitati numeri della Dichiarazione.

A nostro parere, la problematica etica che inquieta la coscienza dell’uomo contemporaneo è ormai discesa fino alla radice ed alla fonte primigenia di ogni questione morale. È necessario perciò, a modo di introduzione, individuare con rigorosa precisione questo nodo problematico fondamentale che il Magistero della Chiesa ha inteso sciogliere.

È nella determinazione ultima dell’essere rispetto ad una coscienza non creatrice come quella umana che si può agevolmente inscrivere il nucleo essenziale della problematica: o l’essere procede dalla coscienza così che esso coincide con la "presenza" alla (nella) coscienza oppure la coscienza procede dall’essere. L’alternativa è tanto radicale da non ammettere nessun tertium quid ed ogni riflessione che voglia mettersi alla sua ricerca non può che essere e creare confusione. Sullo sfondo e sopra la base di questa determinazione fondamentale ed alternativa radicale del significato dell’essere si iscrive la determinazione fondamentale e l’alternativa radicale del significato bene e quindi della natura della moralità. La differenza essenziale è quella fra la tesi della sua semplice idealità: o la coscienza procede dal bene ed è coscienza del bene oppure il bene procede dalla coscienza ed è bene della coscienza. Mai l’uomo, nella sua vicenda secolare, si era trovato così chiaramente di fronte all’alternativa essenziale entro cui deve decidersi il suo destino eterno.

Da questo nodo centrale si dipartono e si dipanano tutte le fila che danno origine alla trama del dibattito etico contemporaneo.

Innanzi tutto, come già accennato, il primo problema è quello della determinazione ultima del destino dell’uomo: l’asse portante della sua vicenda temporale è il suo rapporto con la Trascendenza cioè con Dio oppure esso deve essere rovesciato nel rapporto al mondo della natura e della storia in una specie di trascendenza immanente? In secondo luogo e di conseguenza si pone il problema della determinazione ultima della libertà umana: la libertà è da concepirsi come potere di riconoscimento (o di rifiuto) del Bene e delle norme obbiettive che ne conseguono oppure come potere di costituzione del bene stesso e quindi come farsi autonomo (individualisticamente o socialisticamente inteso è qui secondario) del soggetto che esclude ogni tipo di dipendenza a legge, autorità o princìpi che non coincidano con l’assolutezza del soggetto stesso? In terzo luogo si pone allora il problema della determinazione ultima del male dell’uomo: il male è da concepirsi come rifiuto di Dio o diretto e formale oppure in scelte che infrangono la norme obbiettive che ne derivano o come un momento dialetticamente necessario nello (dello) sviluppo autonomo del soggetto?

La Chiesa in una situazione del genere non poteva tacere; essa a cui Cristo ha affidato la cura della salvezza ultima dell’uomo, soprattutto nei più poveri e deboli, frastornati da tanta confusione. Infatti "Ne è risultato che, anche tra i cristiani, insegnamenti, criteri morali e maniere di vivere, finora fedelmente conservati, sono stati nel giro di pochi anni fortemente scossi, e sono numerosi quelli che oggi, dinnanzi a tante opinioni largamente diffuse e contrarie alla dottrina che hanno ricevuto dalla Chiesa, finiscono col domandarsi quel che devono ancora ritenere per vero" (n. 1).

La Dichiarazione è una espressione di questa cura pastorale della Chiesa il cui Magistero, in forza della missione ricevuta da Cristo, intende illuminare in questo modo autorevolmente le coscienze in continuità con tutto il Magistero precedente.

Vediamo allora come si articola il suo discorso circa quei tre nodi essenziali della problematica etica contemporanea.

1. Il principio della creazione: la trascendenza metafisica

Il punto di partenza fondamentale cui fanno riferimento continuamente i nn. 3-4 è la verità cristiana della creazione che fonda la trascendenza ad un primo livello o piano, quello di ordine metafisico: Dio è Dio e l’uomo è creatura! Vediamo come in forza di questa verità di fede si determini ultimamente il destino dell’uomo ed il concetto della sua libertà come potere di riconoscimento (o rifiuto) del Bene Assoluto e delle norme obbiettive che ne conseguono, seguendo le indicazioni della Dichiarazione.

Dio, secondo la fede cristiana, ha creato il mondo e l’uomo in esso consapevolmente e liberamente (cfr. DS. 1333, 3002, 3025) ed in forza di questo gesto creativo l’uomo possiede un significato ed una vocazione. Anzi dire "possiede" è dire poco in quanto il significato in questione non si aggiunge all’essere umano già costituito ma è questo stesso essere in quanto essere partecipato cioè liberamente creato. Questo principio della creazione è di importanza decisiva per il discorso etico cristiano in quanto si ha qui la determinazione ultima del concetto di bene. Bene infatti, ancora in senso formale, è cioè a cui l’uomo tende come alla sua realizzazione piena, come a ciò dal cui possesso deriva la pienezza del suo essere. Ora se l’uomo fosse privo come tale di una finalizzazione inscritta nel suo essere stesso ma questa dovesse essere radicalmente inventata e decisa dalla sua libertà allora qualsiasi scelta sarebbe buona o cattiva a seconda dell’arbitrio umano. Se al contrario, l’uomo in forza del libero gesto creativo di Dio possiede inscritta nel suo essere stesso una finalizzazione in quanto Dio non può che agire in vista di un fine che non può essere che Egli stesso e quindi l’essere dell’uomo è un essere essenzialmente-significato, allora il Bene ultimo dell’uomo è Dio stesso è ciò a cui naturalmente tende l’uomo come a valori umani costituisce la norma obbiettiva per il raggiungimento del suo Fine. La libertà perciò non dovrà concepirsi primariamente come libertas indifferentiae o possibilità di tutte le possibilità, ma come chiamata a realizzare un senso che non è essa stessa a darsi ma che essa riceve nella obbedienza. In un passo assai denso S. Tommaso scrive: "cum omnia naturalia naturali quadam inclinatione sint inclinata in fines suos a primo motore qui est Deus oportet quod illud in quod unumquodque naturaliter inclinatur sit id quod est volitum vel intentum a Deo. Deus autem cum non habeat alium suae voluntatis finem nisi seipsum et ipse est ipsa essentia bonitatis, oportet quod omnia alia sint inclinata naturaliter in bonum" (De Veritate q. 22, a 1c).

Naturalmente, sottolinea S. Tommaso, perché la libera volontà creatrice di Dio non sopraggiunge a qualcosa che già esiste ed è già determinato come la volontà dell’arciere sopraggiunge alla freccia che già esiste e la scaglia, ma è alla radice dell’essere dell’uomo e perciò i S. Dottore aggiunge: "ratione inditi principii dicuntur omnia appetere bonum".

Poiché l’uomo è creato ad immagine di Dio in quanto è libero, (cfr. S. Th. I, II, prol.) ne consegue che alla libertà è affidata la realizzazione di questo radicale significato. La congiunzione di questa due verità, finalizzazione intrinseca dell’uomo a Dio in forza del Suo gesto creativo e libertà dell’uomo, costituisce e definisce il concetto di obbligazione etica propria dell’uomo. Ancora S. Tommaso esprime tutto questo con il massimo rigore concettuale: "Ex hoc autem apparet quod necessarium fuit homini divinitus leges dari. Sicut enim actus irrationalium creaturarum diriguntur a Deo ea ratione qua ad speciem pertinet, ita actus hominum diriguntur a Deo secundum quod ad individuum pertinent, ut ostensum est (cap. pr.). Sed actus creaturarum irrationalium, prout ad speciem pertinent diriguntur a Deo quadam naturali inclinatione quae naturam specie consequitur. Ergo supra hoc dandum est aliquid hominibus quo in suis personalibus actibus dirigantur. Et hoc dicimus legem.

Adhuc. Rationalis creatura, ut dictum est (ibid.), sic divinae providentiae subditur quod etiam similitudinem quamdam divinae providentiae participat, inquantum se in suis actibus et alia gubernare potest. Id autem quo aliquorum actus gubernantur dicitur lex. Conveniens igitur fuit hominibus a Deo legem dari…

Amplius. Cum lex nihil aliud sit quam ratio operis, cuiuslibet autem operis ratio a fine sumitur, ab eo unusquisque legis capax suscipit legem a quo ad finem perducitur… Sed creatura rationalis finem suum ultimum in Deo et a Deo consequitur… Fuit igitur conveniens a Deo legem hominibus dari. Hinc est quod dicitur. Ier. 31, 33: Dabo legem meam in visceribus eorum et Oseae 8, 12: Scibam eis multiplices leges meas" (C. Gentes Lib. III, cap. CXIV).

E perciò assai giustamente la Dichiarazione inizia proprio così il suo discorso: "Gli uomini del nostro tempo sono sempre più persuasi che la dignità e la vocazione della persona umana richiedono che, alla luce della loro ragione, essi scoprano i valori inscritti nella loro natura, che li sviluppino incessantemente e li realizzino nella loro vita, in vista di un sempre maggiore progresso.

Ma, in materia morale, l’uomo non può emettere giudizi di valore secondo il suo personale arbitrio: nell’intimo del propria coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi e alla quale deve obbedire. Egli ha una legge scritta da Dio dentro il suo cuore, obbedire alla quale è la dignità stessa dell’uomo e secondo la quale egli sarà giudicato" (n. 3).

Su questa base la nostra riflessione esige allora di coerentemente continuarsi e completarsi. Poiché dunque l’uomo è realtà ontologicamente finalizzata in quanto liberamente creato da Dio e porta in sé inscritta una vocazione, gli elementi costitutivi e le relazioni essenziali di ogni persona umana diventano per la libertà umana valori che si impongono alla libertà stessa come valori da realizzare e sviluppare (facienda). Valori al plurale in quanto l’uomo è una realtà complessa. Si ha qui ancora una volta un esempio del mirabile equilibrio del discorso cristiano che respinge sia una visione fisicistica o cosmicistica della legge naturale sia una concezione della libertà umana come pura possibilità di tutte le possibilità. Non la natura umana come tale infatti si impone all’uomo (la concezione di una morale naturale "etsi Deus non daretur" è miseramente fallita) ma in quanto è espressione del progetto creativo di Dio (ed il concetto classico di legge naturale è questo, partecipazione formale cioè consapevole alla legge eterna di Dio) e dall’altra parte la libertà umana non è come tale il prius ontologico (Urseyn, Schelling in Philosophisce Untersuchungen ueber das Wesen der menschlichen Freheit, Werk Abt. I, Bd. 7, p. 370) ma le sue decisioni avvengono davanti ad una distinzione assoluta che le precede e le giudica, di vero e di falso, di bene e di male. E pertanto coerentemente la Dichiarazione continua: "Non può, dunque, esserci vera promozione della dignità dell’uomo se non nel rispetto dell’ordine essenziale della sua natura. Certo, nella storia della civiltà, molte condizioni concrete ed esigenze della vita umana sono mutate e muteranno ancora; ma ogni evoluzione dei costumi e ogni genere di vita devono essere contenuti nei limiti imposti dai principi immutabili, fondati sugli elementi costitutivi e le relazioni essenziali di ogni persona umana: elementi e relazioni che trascendono le contingenze storiche" (ibid.).

Quando va in crisi il principio della creazione e con esso la trascendenza metafisica, inevitabilmente anche il concetto vero di obbligazione etica si oscura così come il conseguente concetto di norme morali oggettive, immutabili ed universali diventa incomprensibile. Infatti nella misura in cui l’uomo nega il suo essere creato da Dio (e la crisi comincia col nominalismo per compiersi nella speculazione hegeliana) avviene un cambiamento radicale nella rotta dell’esistenza in quanto questa non si concepisce più come "chiamata da e a Dio" cioè come obbedienza ma come autonomia assoluta. E in questo contesto non possono più esistere valori che si impongono alla libertà ma è bene ciò che è costituito tale dalla stessa. Parlare di "legge naturale" e "norme obbiettive, assolute ed immutabili", è, fuori dalla prospettiva creazionistica, incomprensibile in quanto non può che suonare riduzione dell’uomo a pura "physis"; parlare di "oggettività" diventa impossibile dal momento che la negazione della trascendenza metafisica è finita logicamente col far coincidere l’essere con la (nella) presenza di (alla) coscienza così come di "assolutezza" in quanto, come Hegel ha magistralmente esposto nella breve Einleitung alla Fenomenologia dello Spirito, la coscienza è per se stessa il suo concetto, dà a se stessa la sua misura ed il suo stesso muoversi ed attuarsi è la sua prova di verità. Nel già citato scritto Schelling esprime molto bene questo radicale spostamento di asse della vita spirituale dell’uomo (Wendepunkt): "Es gibt in der letzten und hoechsten Instanz gar kein anderes Seyn als Wollen. Wollen ist Urseyn, un auf dieses passen alle Praedikate desselben: Grundlosigkeit, Ewigkeit, Unabhaegikeit von der Zeit, Selbstbejahung".

E già S. Kierkegaard aveva notato che in questo contesto continuare ancora a parlare di cose come obbligo morale e simili non era più serio dei colpi che si dava da solo Sancho Panza! (cfr. Diario, 1850, X2 A 396).

A questo punto il discorso fra teologi si fa estremamente serio. Infatti l’intelligenza umana e teologica ha i suoi diritti di coerenza: come è possibile accettare dal pensiero moderno la negazione di una legge naturale dalle norme obbiettive, assolute ed immutabili per salvare, si dice, la storicità dell’uomo senza rendersi sufficientemente conto che la affermazione di esse è conseguenza del principio della creazione così come la loro negazione è frutto della negazione della trascendenza metafisica? Voler elaborare un tertium quid nel tentativo di far coesistere in unità le due prospettive contrastanti non può essere che un tertium confusionis.

Nonostante le apparenze, solo il principio della creazione e la trascendenza metafisica salva appieno la storicità dell’uomo senza cadere nella contraddizione e nell’eresia (negazione della creazione) di identificare l’essere con il puro divenire. Infatti compito della libertà umana è di realizzare un compito senza fine chiamata come è, in forza del gesto creativo, a partecipare (amare e, se si vuole, imitare) l’infinita Realtà divina di cui l’uomo è chiamato ad essere immagine. Il "reditus in Deum" si realizza come movimento ascensionale e non come ripetizione mimetica. Pensare perciò che il principio della creazione e la conseguente affermazione di norme morali obbiettive, assolute ed immutabili sia negatrice della storia è non pensare affatto ma stare alle immagini perché il pensiero dice esattamente il contrario. La negazione della storia avviene invece in una prospettiva non creazionista in quanto in questo caso la storia non potrà che essere pensata o come puro sperimentare o come svolgimento necessario. Il tentativo hegeliano e poi marxista di pensare la storia fuori del principio della creazione è finito nella negazione della stessa e della libertà dell’uomo.

2. Il principio cristologico: la trascendenza storica

È una verità affermata esplicitamente dal Nuovo Testamento che la creazione è avvenuta nel e per il Cristo (cfr. Giov. 1, 5; Col. 1, 16-17; Ebr. 1, 2-3) così che la Dichiarazione nel già citato e fondamentale n. 3 afferma: "Inoltre, a noi cristiani, Dio mediante la sua rivelazione ha fatto conoscere il suo disegno di salvezza e ha proposto il Cristo, Salvatore e Santificatore, nella sua dottrina e nel suo esempio, come la norma suprema e immutabile della vita, Lui, il quale ha detto: Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita".

Si ha qui la trascendenza teologica, la trascendenza alla seconda potenza potremmo dire, Dio nel tempo, ed il secondo momento essenziale del discorso etico cristiano.

Dal punto di vista etico, come afferma la Dichiarazione, il Cristo è l’oggettiva, immutabile e definitiva rivelazione del progetto di Dio, è la Legge del cristiano. È il grande tema neo-testamentario della "sequela Christi".

Anche nel dibattito teologico contemporaneo, come l’assunzione non sufficientemente critica della categoria di storicità ha messo spesso in crisi la trascendenza metafisica così la stessa assunzione ha finito spesso e coerentemente col mettere in crisi anche la trascendenza storica riducendo abusivamente l’oggettività e definitività dell’Evento Cristo. La Dichiarazione infatti continua: "A torto, quindi, molti oggi pretendono che, per servire di regola alle azioni particolari, non si possa trovare né nella natura umana né nella legge rivelata altra norma assoluta e immutabile, se non quella che si esprime nella legge generale della carità e del rispetto della dignità umana. A prova di questa asserzione essi sostengono che nelle cosiddette norme della legge naturale o precetti della S. Scrittura, non si deve vedere altro che determinate espressioni di una forma di cultura particolare in un certo momento della storia" (n. 4).

Il problema è oggi fra i più gravi e merita una attenta considerazione. Al riguardo più che scendere alla discussione di singoli problemi, ci pare più importante e più conforme all’intento di questo studio ripensare la Struttura teologica di questa trascendenza alla seconda potenza, come l’abbiamo chiamata.

L’aggancio fondamentale e l’inserzione nella storia umana della Rivelazione di Dio in Cristo è stato operato dalla predicazione apostolica in quanto gli apostoli sono stati in contatto con il Padre divenuto visibile in Cristo. Per questo la loro predicazione resta la testimonianza assolutamente insuperabile della Verità e della Legge di Cristo e nessuno può sostituirsi ad essi senza distruggere la Rivelazione (cfr. S. Ireneo, Ad. Haer. III, 15, 2). Essi adempirono la loro missione quando " nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni, trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalle labbra, dalle opere e dal loro vivere insieme con Lui sia ciò che avevano imparato per suggerimento dello Spirito Santo" e quando essi o uomini della loro cerchia "per ispirazione dello Spirito Santo misero in iscritto l’annuncio della salvezza" (Con. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum n. 7). È questa predicazione apostolica, "che è espressa in modo speciale nei libri ispirati" (ibid. n. 8), la norma di fede e di vita per il cristiano. Essa pertanto viene come depositata nella Chiesa che, guidata dallo Spirito Santo, l’accoglie, la fa propria meditandola, comprendendola e vivendola, esplicitandone così tutte le ricchezze infinite. E si continua così, anche in questo modo, il "tradidit semetipsum" del Cristo il quale è il "traditum" della "traditio apostolica". La Chiesa, nella sua accoglienza di questo, trova in Maria il suo "typus" (cfr. Conc. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium n. 63) in quanto non elabora autonomamente progetti di vita, ma tutta la sua esistenza è con-senso alla parola di Dio che le viene trasmessa dalla predicazione apostolica.

La trascendenza alla seconda potenza si mostra ormai nella sua struttura. Essa consiste fondamentalmente nello stesso Mistero del Verbo Incarnato il quale "invisibilis in suis, visibilis factus est in nostris; incomprehensibilis voluit comprehendi; ante tempora manens, esse coepit ex tempore; universitatis Dominus servilem formam, obumbrata maiestatis suae dignitate, suscepit; impassibilis Deus non dedignatus est homo esse passibilis et immortalis mortis legi subiacere" (S. Leone Magno, in Nativitate Domini sermo II, 2; ed. SC 22, p. 78).

Essa si continua perciò nel fatto che dentro al tempo è de-posta (depositum fidei) per sempre la Verità e la Legge stessa di Dio; viene negata quando si riduce la predicazione apostolica e la sua continuazione nel Magistero a puro evento storico.

La permanenza del de-positum apostolico nella Chiesa che ne vive è assicurata dalla successione apostolica cui è stato affidato il compito di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa.

E così questo ultimo elemento della trascendenza nella storia ne compie la struttura così che la Verità e la Legge di Cristo vengono donate all’uomo mediante una "costellazione" di tre grandezze inseparabilmente unite fra loro: S. Scrittura - Tradizione - Magistero. Pensare di raggiungere la Rivelazione di Dio in Cristo trasmessaci dagli Apostoli per altra strada fuori da quella indicata da quella costellazione è mettersi su una strada sbagliata (cfr. S. Ireneo, Adv. Haer. IV, 26, 2).

Quale è la rilevanza di questa struttura nei confronti del discorso etico cristiano? Essa può essere pensata sia in forma negativa che in forma positiva.

Positivamente, la coscienza e la libertà del credente trova nel Cristo così come gli è annunciato dalla predicazione apostolica trasmessagli da S. Scrittura - Tradizione - Magistero la sua norma di vita. La trascendenza metafisica trova una soprannaturale attuazione nella trascendenza storica e la libertà che deve essere pensata come potere di riconoscimento e non di costituzione del Bene e delle norme obbiettive che ne conseguono si realizza soprannaturalmente come riconoscimento e consenso della e alla Legge di Cristo indicatagli dalla costellazione S. Scrittura - Tradizione - Magistero. In quanto poi il Cristo compie tutto l’ordine della creazione ed il credente è chiamato a vivere nel Cristo dentro ad esso aspettando la beata speranza e l’avvento del Signore, coloro a cui è affidato il compito di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa hanno per ciò stesso il compito di interpretare autenticamente anche i princìpi dell’ordine morale che scaturiscono, come si diceva, dalla stessa natura umana in quanto creata. Da un punto di vista teologico perciò il problema della esistenza o meno di norme naturali o rivelate non puramente formali ed aventi valore assoluto ed immutabile si identifica col problema della presenza o meno della loro affermazione dentro al de-positum apostolico trasmesso da S. Scrittura - Tradizione - Magistero. Assai propriamente perciò la Dichiarazione termina il n. 4 dicendo: "Inoltre, Cristo ha istituito la sua Chiesa come colonna e sostegno della verità. Con l’assistenza dello Spirito Santo, essa conserva incessantemente e trasmette senza errore le verità dell’ordine morale, e interpreta autenticamente non soltanto la legge positiva rivelata, ma anche i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana e che concernono il pieno sviluppo e la santificazione dell’uomo. Ora di fatto, la Chiesa, nel corso della sua storia, ha costantemente considerato un certo numero di precetti della legge naturale come aventi valore assoluto e immutabile, e ha visto nella loro trasgressione una contraddizione con la dottrina e lo spirito del Vangelo".

Negativamente la trascendenza storica cessa di esercitare la sua rilevanza quando la libertà e la decisione del cristiano vengono pensate all’infuori della sua struttura completa. E ciò avviene sia quando viene negata o si oscura la trascendenza metafisica sia quando si introduce nel pensiero cristiano il fenomeno della "etero-interpretazione" del Dato Rivelato. Questo consiste nell’assunzione di un criterio ermeneutico normativo diverso da quello posto dal Cristo, cioè il Magistero, al quale solo compete la interpretazione autentica e perciò normativa, o richiamandosi di volta in volta a rivelazioni avute per altra via che per la predicazione degli apostoli, continuata dai loro legittimi successori oppure richiamandosi a comprensioni umane (quali per es.: in morlae al marxismo o al freudianesimo) ritenendole criterio ultimo di verità. Il fenomeno della etero-interpretazione ha due conseguenze: da una parte rifiuta la predicazione apostolica come norma insuperabile della fede e dall’altra rifiuta la successione apostolica ed il ministero episcopale e primaziale come luogo in cui risuona sempre la testimonianza e la predicazione apostolica vedendo sempre e comunque la loro predicazione una espressione di una cultura particolare in un certo momento storico non avente perciò alcun valore normativo. Questo fenomeno ha alla base un errore formidabile perché costituisce la totale negazione del cristianesimo: la negazione della esistenza della Trascendenza dentro alla storia (mistero della Incarnazione) in quanto l’unica trascendenza è fatta consistere, dal punto di vista morale, in norme puramente formali che, anche se pure presenti nella Rivelazione, vengono ricondotte pienamente alla spontaneità del soggetto e quindi immanenti. La sferzante osservazione di Kierkegaard torna ancora in mente: si può anche allora continuare a parlare di Trascendenza nella storia, di Legge di Dio rivelata in Cristo, ma la cosa ha perso ogni serietà.

Tenendo presente quanto si diceva nel primo punto di questo studio allora ci permettiamo di esprimere una nostra convinzione: tutta l’attuale confusione in teologia morale dipende dal fatto forse di aver confuso o identificato il concetto classico di trascendenza con il trascendentale kantiano e post-kantiano che finisce inevitabilmente coll’affermare il primato della soggettività sull’oggettività e sulla trascendenza sia alla prima che alla seconda potenza.

3. Il principio pneumatologico: la libertà cristiana

La caratteristica fondamentale della Nuova Alleanza, come era già stato preannunciato dai profeti (cfr. Ger. 32, 38-40; Ez. 11, 19-20; 36, 26-29), consiste nel dono dello Spirito fatto ad ogni credente (cfr. At. 2, 14-21): questa affermazione è il terzo momento fondamentale del discorso etico cristiano.

   continua..........

[Modificato da Caterina63 02/01/2018 14:20]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)