00 08/09/2016 00:31

UDIENZA GENERALE


Piazza San Pietro
Mercoledì, 7 settembre 2016

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28. È la misericordia che salva (cfr Mt 11,2-6)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Abbiamo ascoltato un brano del Vangelo di Matteo (11,2-6). L’intento dell’evangelista è quello di farci entrare più profondamente nel mistero di Gesù, per cogliere la sua bontà e la sua misericordia. L’episodio è il seguente: Giovanni Battista manda i suoi discepoli da Gesù – Giovanni era in carcere - per fargli una domanda molto chiara: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (v. 3). Era proprio nel momento del buio … Il Battista attendeva con ansia il Messia e nella sua predicazione lo aveva descritto a tinte forti, come un giudice che finalmente avrebbe instaurato il regno di Dio e purificato il suo popolo, premiando i buoni e castigando i cattivi. Egli predicava così: «Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco» (Mt 3,10). Ora che Gesù ha iniziato la sua missione pubblica con uno stile diverso; Giovanni soffre perché si trova in un doppio buio: nel buio del carcere e di una cella, e nel buio del cuore. Non capisce questo stile di Gesù e vuole sapere se è proprio Lui il Messia, oppure se si deve aspettare un altro.

E la risposta di Gesù sembra a prima vista non corrispondere alla richiesta del Battista. Gesù, infatti, dice: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (vv. 4-6). Qui diventa chiaro l’intento del Signore Gesù: Egli risponde di essere lo strumento concreto della misericordia del Padre, che a tutti va incontro portando la consolazione e la salvezza, e in questo modo manifesta il giudizio di Dio. I ciechi, gli zoppi, i lebbrosi, i sordi, recuperano la loro dignità e non sono più esclusi per la loro malattia, i morti ritornano a vivere, mentre ai poveri è annunciata la Buona Notizia. E questa diventa la sintesi dell’agire di Gesù, che in questo modo rende visibile e tangibile l’agire stesso di Dio.

Il messaggio che la Chiesa riceve da questo racconto della vita di Cristo è molto chiaro. Dio non ha mandato il suo Figlio nel mondo per punire i peccatori né per annientare i malvagi. A loro è invece rivolto l’invito alla conversione affinché, vedendo i segni della bontà divina, possano ritrovare la strada del ritorno. Come dice il Salmo: «Se consideri le colpe, Signore, / Signore, chi ti può resistere? / Ma con te è il perdono: / così avremo il tuo timore» (130,3-4).

La giustizia che il Battista poneva al centro della sua predicazione, in Gesù si manifesta in primo luogo come misericordia. E i dubbi del Precursore non fanno che anticipare lo sconcerto che Gesù susciterà in seguito con le sue azioni e con le sue parole. Si comprende, allora, la conclusione della risposta di Gesù. Dice: «Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (v. 6). Scandalo significa “ostacolo”. Gesù perciò ammonisce su un particolare pericolo: se l’ostacolo a credere sono soprattutto le sue azioni di misericordia, ciò significa che si ha una falsa immagine del Messia. Beati invece coloro che, di fronte ai gesti e alle parole di Gesù, rendono gloria al Padre che è nei cieli.

L’ammonimento di Gesù è sempre attuale: anche oggi l’uomo costruisce immagini di Dio che gli impediscono di gustare la sua reale presenza. Alcuni si ritagliano una fede “fai di te” che riduce Dio nello spazio limitato dei propri desideri e delle proprie convinzioni. Ma questa fede non è conversione al Signore che si rivela, anzi, gli impedisce di provocare la nostra vita e la nostra coscienza. Altri riducono Dio a un falso idolo; usano il suo santo nome per giustificare i propri interessi o addirittura l’odio e la violenza. Per altri ancora Dio è solo un rifugio psicologico in cui essere rassicurati nei momenti difficili: si tratta di una fede ripiegata su sé stessa, impermeabile alla forza dell’amore misericordioso di Gesù che spinge verso i fratelli. Altri ancora considerano Cristo solo un buon maestro di insegnamenti etici, uno fra i tanti della storia. Infine, c’è chi soffoca la fede in un rapporto puramente intimistico con Gesù, annullando la sua spinta missionaria capace di trasformare il mondo e la storia. Noi cristiani crediamo nel Dio di Gesù Cristo, e il nostro desiderio è quello di crescere nell’esperienza viva del suo mistero di amore.

Impegniamoci dunque a non frapporre alcun ostacolo all’agire misericordioso del Padre, ma domandiamo il dono di una fede grande per diventare anche noi segni e strumenti di misericordia.


Saluti:

 

Un saluto particolare rivolgo ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Domenica scorsa abbiamo celebrato la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta. Cari giovani, diventate come Lei degli artigiani di misericordia; cari ammalati, sentite la sua vicinanza compassionevole specialmente nell’ora della croce; e voi, cari sposi novelli, siate generosi: invocatela perché non manchi mai nelle famiglie la cura e l’attenzione per i più deboli.

   



UDIENZA GIUBILARE

Sabato, 10 settembre 2016

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Misericordia e Redenzione

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Il brano che abbiamo ascoltato ci parla della misericordia di Dio che si attua nella Redenzione, cioè nella salvezza che ci è stata donata con il sangue del suo Figlio Gesù (cfr 1 Pt 1,18-21). La parola “redenzione” è poco usata, eppure è fondamentale perché indica la più radicale liberazione che Dio poteva compiere per noi, per tutta l’umanità e per l’intera creazione. Sembra che l’uomo di oggi non ami più pensare di essere liberato e salvato da un intervento di Dio; l’uomo di oggi si illude infatti della propria libertà come forza per ottenere tutto. Si vanta anche di questo. Ma in realtà non è così. Quante illusioni vengono vendute sotto il pretesto della libertà e quante nuove schiavitù si creano ai nostri giorni in nome di una falsa libertà! Tanti, tanti schiavi: “Io faccio questo perché voglio farlo, io prendo la droga perché mi piace, sono libero, io faccio quell’altro”. Sono schiavi! Diventano schiavi in nome della libertà. Tutti noi abbiamo visto persone del genere che alla fine finiscono per terra. Abbiamo bisogno che Dio ci liberi da ogni forma di indifferenza, di egoismo e di autosufficienza.

Le parole dell’apostolo Pietro esprimono molto bene il senso del nuovo stato di vita a cui siamo chiamati. Facendosi uno di noi, il Signore Gesù non solo assume la nostra condizione umana, ma ci innalza alla possibilità di essere figli di Dio. Con la sua morte e risurrezione Gesù Cristo, Agnello senza macchia, ha vinto la morte e il peccato per liberarci dal loro dominio. Lui è l’Agnello che è stato sacrificato per noi, perché noi potessimo ricevere una nuova vita fatta di perdono, di amore e di gioia. Belle queste tre parole: perdono, amore e gioia. Tutto ciò che Lui ha assunto è stato anche redento, liberato e salvato. Certo, è vero che la vita ci mette alla prova e a volte soffriamo per questo. Tuttavia, in questi momenti siamo invitati a puntare lo sguardo su Gesù crocifisso che soffre per noi e con noi, come prova certa che Dio non ci abbandona. Non dimentichiamo mai, comunque, che nelle angustie e nelle persecuzioni, come nei dolori quotidiani siamo sempre liberati dalla mano misericordiosa di Dio che ci solleva a sé e ci conduce a una vita nuova.

L’amore di Dio è sconfinato: possiamo scoprire segni sempre nuovi che indicano la sua attenzione nei nostri confronti e soprattutto la sua volontà di raggiungerci e di precederci. Tutta la nostra vita, pur segnata dalla fragilità del peccato, è posta sotto lo sguardo di Dio che ci ama. Quante pagine della Sacra Scrittura ci parlano della presenza, della vicinanza e della tenerezza di Dio per ogni uomo, specialmente per i piccoli, i poveri e i tribolati! Dio ha una grande tenerezza, un grande amore per i piccoli, per i più deboli, per gli scartati della società. Più noi siamo nel bisogno, più il suo sguardo su di noi si riempie di misericordia. Egli prova una compassione pietosa nei nostri riguardi perché conosce le nostre debolezze. Conosce i nostri peccati e ci perdona; perdona sempre! È tanto buono, è tanto buono il nostro Padre.

Perciò, cari fratelli e sorelle, apriamoci a Lui, accogliamo la sua grazia! Perché, come dice il Salmo, «con il Signore è la misericordia / e grande è con lui la redenzione» (130,7).


 

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Un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana!

 

Saluto le Missionarie Catechiste di Gesù Redentore, l’Associazione Incontro Matrimoniale e vi ringrazio per tutto il bene che voi fate per aiutare le famiglie! Avanti! Saluto anche i membri di Federpesca. Esorto infine i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli ad invocare con particolare intensità i Nomi di Gesù e di Maria affinché ci insegnino ad amare con piena dedizione Dio e il prossimo.

 









UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 14 settembre 2016

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29. Imparate da me (cfr Mt 11,28-30)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Durante questo Giubileo abbiamo riflettuto più volte sul fatto che Gesù si esprime con una tenerezza unica, segno della presenza e della bontà di Dio. Oggi ci soffermiamo su un passo commovente del Vangelo (cfr Mt 11,28-30), nel quale Gesù dice: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. […] Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita» (vv. 28-29). L’invito del Signore è sorprendente: chiama a seguirlo persone semplici e gravate da una vita difficile, chiama a seguirlo persone che hanno tanti bisogni e promette loro che in Lui troveranno riposo e sollievo. L’invito è rivolto in forma imperativa: «venite a me», «prendete il mio giogo», «imparate da me». Magari tutti i leaders del mondo potessero dire questo! Cerchiamo di cogliere il significato di queste espressioni.

Il primo imperativo è «Venite a me». Rivolgendosi a coloro che sono stanchi e oppressi, Gesù si presenta come il Servo del Signore descritto nel libro del profeta Isaia. Così dice il passo di Isaia: «Il Signore mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato» (50,4). A questi sfiduciati della vita, il Vangelo affianca spesso anche i poveri (cfr Mt 11,5) e i piccoli (cfr Mt 18,6). Si tratta di quanti non possono contare su mezzi propri, né su amicizie importanti. Essi possono solo confidare in Dio. Consapevoli della propria umile e misera condizione, sanno di dipendere dalla misericordia del Signore, attendendo da Lui l’unico aiuto possibile. Nell’invito di Gesù trovano finalmente risposta alla loro attesa: diventando suoi discepoli ricevono la promessa di trovare ristoro per tutta la vita. Una promessa che al termine del Vangelo viene estesa a tutte le genti: «Andate dunque – dice Gesù agli Apostoli – e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19). Accogliendo l’invito a celebrare questo anno di grazia del Giubileo, in tutto il mondo i pellegrini varcano la Porta della Misericordia aperta nelle cattedrali, nei santuari, in tante chiese del mondo, negli ospedali, nelle carceri. Perché varcano questa Porta della Misericordia? Per trovare Gesù, per trovare l’amicizia di Gesù, per trovare il ristoro che soltanto Gesù dà. Questo cammino esprime la conversione di ogni discepolo che si pone alla sequela di Gesù. E la conversione consiste sempre nello scoprire la misericordia del Signore. Essa è infinita e inesauribile: è grande la misericordia del Signore! Attraversando la Porta Santa, quindi, professiamo «che l’amore è presente nel mondo e che questo amore è più potente di ogni genere di male, in cui l’uomo, l’umanità, il mondo sono coinvolti» (Giovanni Paolo II, Enc. Dives in misericordia, 7).

Il secondo imperativo dice: “Prendete il mio giogo”. Nel contesto dell’Alleanza, la tradizione biblica utilizza l’immagine del giogo per indicare lo stretto vincolo che lega il popolo a Dio e, di conseguenza, la sottomissione alla sua volontà espressa nella Legge. In polemica con gli scribi e i dottori della legge, Gesù pone sui suoi discepoli il suo giogo, nel quale la Legge trova il suo compimento. Vuole insegnare loro che scopriranno la volontà di Dio mediante la sua persona: mediante Gesù, non mediante leggi e prescrizioni fredde che lo stesso Gesù condanna. Basta leggere il capitolo 23 di Matteo! Lui sta al centro della loro relazione con Dio, è nel cuore delle relazioni fra i discepoli e si pone come fulcro della vita di ciascuno. Ricevendo il “giogo di Gesù” ogni discepolo entra così in comunione con Lui ed è reso partecipe del mistero della sua croce e del suo destino di salvezza.

Ne consegue il terzo imperativo: “Imparate da me”. Ai suoi discepoli Gesù prospetta un cammino di conoscenza e di imitazione. Gesù non è un maestro che con severità impone ad altri dei pesi che lui non porta: questa era l’accusa che faceva ai dottori della legge. Egli si rivolge agli umili, ai piccoli, ai poveri, ai bisognosi perché Lui stesso si è fatto piccolo e umile. Comprende i poveri e i sofferenti perché Lui stesso è povero e provato dai dolori. Per salvare l’umanità Gesù non ha percorso una strada facile; al contrario, il suo cammino è stato doloroso e difficile. Come ricorda la Lettera ai Filippesi: «Umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (2,8). Il giogo che i poveri e gli oppressi portano è lo stesso giogo che Lui ha portato prima di loro: per questo è un giogo leggero. Egli si è caricato sulle spalle i dolori e i peccati dell’intera umanità. Per il discepolo, dunque, ricevere il giogo di Gesù significa ricevere la sua rivelazione e accoglierla: in Lui la misericordia di Dio si è fatta carico delle povertà degli uomini, donando così a tutti la possibilità della salvezza. Ma perché Gesù è capace di dire queste cose? Perché Lui si è fatto tutto a tutti, vicino a tutti, ai più poveri! Era un pastore tra la gente, tra i poveri: lavorava tutto il giorno con loro. Gesù non era un principe. E’ brutto per la Chiesa quando i pastori diventano principi, lontani dalla gente, lontani dai più poveri: quello non è lo spirito di Gesù. Questi pastori Gesù rimproverava, e di loro Gesù diceva alla gente: “fate quello che loro dicono, ma non quello che fanno”.

Cari fratelli e sorelle, anche per noi ci sono momenti di stanchezza e di delusione. Allora ricordiamoci queste parole del Signore, che ci danno tanta consolazione e ci fanno capire se stiamo mettendo le nostre forze al servizio del bene. Infatti, a volte la nostra stanchezza è causata dall’aver posto fiducia in cose che non sono l’essenziale, perché ci siamo allontanati da ciò che vale realmente nella vita. Il Signore ci insegna a non avere paura di seguirlo, perché la speranza che poniamo in Lui non sarà delusa. Siamo chiamati quindi a imparare da Lui cosa significa vivere di misericordia per essere strumenti di misericordia. Vivere di misericordia per essere strumenti di misericordia: vivere di misericordia è sentirsi bisognoso della misericordia di Gesù, e quando noi ci sentiamo bisognosi di perdono, di consolazione, impariamo a essere misericordiosi con gli altri. Tenere fisso lo sguardo sul Figlio di Dio ci fa capire quanta strada dobbiamo ancora fare; ma al tempo stesso ci infonde la gioia di sapere che stiamo camminando con Lui e non siamo mai soli. Coraggio, dunque, coraggio! Non lasciamoci togliere la gioia di essere discepoli del Signore. “Ma, Padre, io sono peccatore, come posso fare?” – “Lasciati guardare dal Signore, apri il tuo cuore, senti su di te il suo sguardo, la sua misericordia, e il tuo cuore sarà riempito di gioia, della gioia del perdono, se tu ti avvicini a chiedere il perdono”. Non lasciamoci rubare la speranza di vivere questa vita insieme con Lui e con la forza della sua consolazione. Grazie.


Saluti:

 

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Un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana!

Rivolgo un pensiero infine ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Oggi celebriamo la Festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Cari giovani, riprendendo dopo le vacanze le consuete attività, rafforzate anche il vostro dialogo con Dio, diffondendo la sua luce e la sua pace; cari ammalati, trovate conforto nella croce del Signore Gesù, che continua la sua opera di redenzione nella vita di ogni uomo; e voi, cari sposi novelli, sforzatevi di mantenere un costante rapporto con Cristo Crocifisso, affinché il vostro amore sia sempre più vero, fecondo e duraturo.



UDIENZA GENERALE

 

Mercoledì, 21 settembre 2016

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30. Misericordiosi come il Padre (cfr Lc 6,36-38)

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

 

Abbiamo ascoltato il brano del Vangelo di Luca (6,36-38) da cui è tratto il motto di questo Anno Santo straordinario: Misericordiosi come il Padre. L’espressione completa è: «Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso» (v. 36). Non si tratta di uno slogan ad effetto, ma di un impegno di vita. Per comprendere bene questa espressione, possiamo confrontarla con quella parallela del Vangelo di Matteo, dove Gesù dice: «Voi dunque siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (5,48). Nel cosiddetto discorso della montagna, che si apre con le Beatitudini, il Signore insegna che la perfezione consiste nell’amore, compimento di tutti i precetti della Legge. In questa stessa prospettiva, san Luca esplicita che la perfezione è l’amore misericordioso: essere perfettisignifica essere misericordiosi. Una persona che non è misericordiosa è perfetta? No! Una persona che non è misericordiosa è buona? No! La bontà e la perfezione si radicano nella misericordia. Certo, Dio è perfetto. Tuttavia, se lo consideriamo così, diventa impossibile per gli uomini tendere a quella assoluta perfezione. Invece, averlo dinanzi agli occhi come misericordioso, ci permette di comprendere meglio in che cosa consiste la sua perfezione e ci sprona ad essere come Lui pieni di amore, di compassione, di misericordia.

 

Ma mi domando: le parole di Gesù sono realistiche? È davvero possibile amare come ama Dio ed essere misericordiosi come Lui?

 

Se guardiamo la storia della salvezza, vediamo che tutta la rivelazione di Dio è un incessante e instancabile amore per gli uomini: Dio è come un padre o come una madre che ama di insondabile amore e lo riversa con abbondanza su ogni creatura. La morte di Gesù in croce è il culmine della storia d’amore di Dio con l’uomo. Un amore talmente grande che solo Dio lo può realizzare. È evidente che, rapportato a questo amore che non ha misura, il nostro amore sempre sarà in difetto. Ma quando Gesù ci chiede di essere misericordiosi come il Padre, non pensa alla quantità! Egli chiede ai suoi discepoli di diventare segno, canali, testimoni della sua misericordia.

 

E la Chiesa non può che essere sacramento della misericordia di Dio nel mondo, in ogni tempo e verso tutta l’umanità. Ogni cristiano, pertanto, è chiamato ad essere testimone della misericordia, e questo avviene in cammino di santità. Pensiamo a quanti santi sono diventati misericordiosi perché si sono lasciati riempire il cuore dalla divina misericordia. Hanno dato corpo all’amore del Signore riversandolo nelle molteplici necessità dell’umanità sofferente. In questo fiorire di tante forme di carità è possibile scorgere i riflessi del volto misericordioso di Cristo.

 

Ci domandiamo: Che cosa significa per i discepoli essere misericordiosi? Viene spiegato da Gesù con due verbi: «perdonare» (v. 37) e «donare» (v. 38).

 

La misericordia si esprime, anzitutto, nel perdono: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati» (v. 37). Gesù non intende sovvertire il corso della giustizia umana, tuttavia ricorda ai discepoli che per avere rapporti fraterni bisogna sospendere i giudizi e le condanne. È il perdono infatti il pilastro che regge la vita della comunità cristiana, perché in esso si mostra la gratuità dell’amore con cui Dio ci ha amati per primo. Il cristiano deve perdonare! Ma perché? Perché è stato perdonato. Tutti noi che stiamo qui, oggi, in piazza, siamo stati perdonati. Nessuno di noi, nella propria vita, non ha avuto bisogno del perdono di Dio. E perché noi siamo stati perdonati, dobbiamo perdonare. Lo recitiamo tutti i giorni nel Padre Nostro: “Perdona i nostri peccati; perdona i nostri debiti come noi li perdoniamo ai nostri debitori”. Cioè perdonare le offese, perdonare tante cose, perché noi siamo stati perdonati da tante offese, da tanti peccati. E così è facile perdonare: se Di ha perdonato me, perché non devo perdonare gli altri? Sono più grande di Dio? Questo pilastro del perdono ci mostra la gratuità dell’amore di Dio, che ci ha amato per primi. Giudicare e condannare il fratello che pecca è sbagliato. Non perché non si voglia riconoscere il peccato, ma perché condannare il peccatore spezza il legame di fraternità con lui e disprezza la misericordia di Dio, che invece non vuole rinunciare a nessuno dei suoi figli. Non abbiamo il potere di condannare il nostro fratello che sbaglia, non siamo al di sopra di lui: abbiamo piuttosto il dovere di recuperarlo alla dignità di figlio del Padre e di accompagnarlo nel suo cammino di conversione.

 

Alla sua Chiesa, a noi, Gesù indica anche un secondo pilastro: “donare”. Perdonare è il primo pilastro; donare è il secondo pilastro. «Date e vi sarà dato […] con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (v. 38). Dio dona ben al di là dei nostri meriti, ma sarà ancora più generoso con quanti qui in terra saranno stati generosi. Gesù non dice cosa avverrà a coloro che non donano, ma l’immagine della “misura” costituisce un ammonimento: con la misura dell’amore che diamo, siamo noi stessi a decidere come saremo giudicati, come saremo amati. Se guardiamo bene, c’è una logica coerente: nella misura in cui si riceve da Dio, si dona al fratello, e nella misura in cui si dona al fratello, si riceve da Dio!

 

L’amore misericordioso è perciò l’unica via da percorrere. Quanto bisogno abbiamo tutti di essere un po’ più misericordiosi, di non sparlare degli altri, di non giudicare, di non “spiumare” gli altri con le critiche, con le invidie, con le gelosie. Dobbiamo perdonare, essere misericordiosi, vivere la nostra vita nell’amore. Questo amore permette ai discepoli di Gesù di non perdere l’identità ricevuta da Lui, e di riconoscersi come figli dello stesso Padre. Nell’amore che essi praticano nella vita si riverbera così quella Misericordia che non avrà mai fine (cfr 1 Cor 13,1-12). Ma non dimenticatevi di questo: misericordia e dono; perdono e dono. Così il cuore si allarga, si allarga nell’amore. Invece l’egoismo, la rabbia, fanno il cuore piccolo, che si indurisce come una pietra. Cosa preferite voi? Un cuore di pietra o un cuore pieno di amore? Se preferite un cuore pieno di amore, siate misericordiosi!

 


 

Saluti:

 

 


APPELLO

 

Oggi ricorre la XXIII Giornata mondiale per l’Alzheimer, che ha per tema “Ricordati di me”. Invito tutti i presenti a “ricordarsi”, con la sollecitudine di Maria e con la tenerezza di Gesù Misericordioso, di quanti sono affetti da questo morbo e dei loro familiari per far sentire la nostra vicinanza. Preghiamo anche per le persone che si trovano accanto ai malati sapendo cogliere i loro bisogni, anche quelli più impercettibili, perché visti con occhi pieni di amore.

 

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Porgo uno speciale saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Oggi ricorre la Festa di San Matteo, Apostolo ed Evangelista. La sua conversione sia di esempio a voi, cari giovani, per vivere la vita con i criteri della fede; la sua mansuetudine sostenga voi, cari ammalati, quando la sofferenza sembra insopportabile; e la sua sequela del Salvatore ricordi a voi, cari sposi novelli, l’importanza della preghiera nella storia matrimoniale che avete intrapreso.

 




[Modificato da Caterina63 22/09/2016 09:47]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)