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  Un anno fa il martirio dei 21 egiziani copti in Libia


Egitto: la preghiera di una cristiana copta - AFP

Egitto: la preghiera di una cristiana copta - AFP

12/02/2016 

Oggi il primo anniversario del martirio dei 21 egiziani copti, rapiti e poi trucidati in Libia dai miliziani del sedicente Stato Islamico (Is). Sono diverse le iniziative di preghiera e commemorazione in programma in Egitto, in vista della ricorrenza. Per sapere in che modo la comunità copta viva questo momento, Eugenio Bonanata ha intervistato il vescovo di Giza, mons.Antonius Aziz Mina:

R. – È un dolore per tutto l’Egitto, non soltanto per i cristiani. È bene che si pensi alla situazione dei copti in Egitto, perché ci fa sentire la solidarietà di tutto il mondo. Ma non bisogna sempre prendere la vita in Egitto “a fette”: cioè i cristiani e gli altri. Credo che questo vada a nuocere alla vita sociale del Paese: dobbiamo evitare tali distinzioni. In Egitto la situazione è difficile per quanto riguarda la tutela dei diritti dell’uomo, che lascia tanto a desiderare. Dopo gli eventi di questi ultimi anni, noi credevamo veramente che le cose dovessero cambiare. Siamo una società libera e laica. Ma vedo che ci sono tanti problemi. Si sa di processi ai danni di pensatori accusati di offendere la religione. Ora, per esempio, ci sono giovani in carcere con l’accusa di aver effettuato attentati contro il vecchio regime, quando hanno fatto la rivoluzione. E quindi c’è tanto da dire, tanto da difendere in questi giorni, per arrivare ad uno Stato libero, uno Stato di diritto.

D. – Voi copti avete avanzato richieste specifiche alle autorità?

R. – Veramente no, perché la lotta c’è stata quando abbiamo redatto la Costituzione. Si è cercato di dare ad ognuno il suo diritto, consapevoli che - se tutti gli egiziani hanno i loro diritti - di conseguenza devono averli anche i copti, perché sono anche loro egiziani. C’era soltanto qualcosa di particolare per i cristiani sulla costruzione delle case di culto. E il Parlamento dovrà esaminare questa legge e dovrà approvarla al primo turno. Quindi, la nostra speranza è quella di poter vedere applicata questa Costituzione, approvata dalla popolazione a grande maggioranza, come mai era stato fatto fino ad ora per nessun’altra Costituzione. Tutto ciò per vedere uno Stato libero di diritto, che rispetta ogni persona e rispetta i diritti dell’uomo.

D. – Avete subito minacce terroristiche?

R. – Qui personalmente no. Ma talvolta succede. Si vede che gli attentati non si verificano con lo stesso vigore di prima. Succedono comunque e sono all’ordine del giorno: ci sono sempre attentati contro poliziotti, posti di blocco, edifici che bruciano. Sono episodi tragici che ci fanno male e ci procurano dolore, ma non accadono con la stessa intensità di prima.

D. – Quindi possiamo dire che la situazione sta migliorando per i copti in Egitto?

R. – Certamente c’è tanta positività. E soprattutto per il fatto che ora abbiamo un presidente che incoraggia il rinnovamento del linguaggio religioso e fa sempre dei passi positivi verso la comunità copta. Per la seconda volta a Natale è andato nella cattedrale per augurare “Buon Natale” ai cristiani; quando si costruisce una nuova città, si chiede sempre se è stata costruita la chiesa, così come la moschea. Quindi questi sono dei segni positivi. Dobbiamo soltanto vedere come si realizzerà questo volere e quanto potrà diffondersi questo spirito di apertura, per vedere tutti gli egiziani come cittadini, senza divisioni legate al colore, alla fede, alla confessione.























Santi 21 Martiri Copti in Libia

15 febbraio (Chiese Orientali)

 

 

Papa Tawadro, Patriarca della Chiesa Copta, ha annunciato di voler iscrivere i nomi di questi martiri nel Sinassario, l'equivalente del Martirologio Romano per i cattolici, canonizzandoli così e proponendoli alla venerazione quali santi. Il giorno della loro festa sarà l'8 Amshir (15 febbraio secondo il calendario gregoriano).



 

Un occidentale non esperto non avrebbe potuto accorgersene. Ma Antonios Aziz Mina, vescovo copto di Giza, cittadina egiziana, nel guardare il video della esecuzione dei ventuno lavoratori cristiani copti uccisi dall’Is ha osservato le labbra dei condannati negli ultimi istanti, e dal labiale ha letto che invocavano il nome di Gesù Cristo. Il vescovo lo ha dichiarato ieri alla Agenzia Fides, ma forse, nell’incendio che si va allargando sulla Libia, e nell’angoscia che da quel Paese riverbera sul Mediterraneo e l’Europa, a qualcuno potrà apparire una notizia minore.

Le “vere” notizie non sono forse i bombardamenti, le città conquistate e perdute, le cupe minacce lanciate dall’Is? E quel labiale invece, solo poche parole afone, subito travolte nel torrente di sangue che sale dal povero corpo di un uomo trucidato.

Eppure a volte proprio nelle parole dette piano sta qualcosa di molto grande. Non sarebbe stato umanamente più comprensibile, in quell’ultimo istante, supplicare pietà, o maledire gli assassini? Per noi europei, nati in una Chiesa non fisicamente minacciata, è ragione quasi di uno sbalordimento quell’estremo invocare Cristo, nell’ultimo istante. Noi, che, quanto alla morte, ci preoccupiamo che sia “dignitosa” e “dolce”, e magari convocata quando noi riteniamo che sia l’ora.

Questa morte dei ventuno giovani copti, non “dignitosa” e atroce, ci colpisce per la statura che assumono le vittime, morendo nell’atto di domandare Cristo.

Statura, anche questo particolare era stato previsto dall’attento regista dell’Is, nel girare quel video sulla riva del mare. Mentre carnefici e vittime camminano verso il luogo dell’esecuzione infatti è evidente come i boia siano stati scelti fra uomini molto alti, e come bassi, accanto a loro, appaiano i prigionieri.
Quasi a evocare tacitamente l’idea che i terroristi siano “grandi”, e le vittime solo “piccoli” uomini; dentro a un mondo sconvolto, giacché non è il nostro Mediterraneo solare, quella spiaggia livida su cui si frangono onde arrossate dal sangue. Ogni dettaglio, quindi, era stato previsto dagli assassini per evocare un mondo “altro”, in cui dominano i boia intabarrati di nero, a cancellarne perfino le umane sembianze.

Ma quell’ultimo labiale non lo avevano previsto, e non sono riusciti a censurarlo. Ostinato come il «no» di Asia Bibi all’abiura, fermo come il «no» di Meriam Ibrahim, in Sudan, quando era in prigione, in catene, con un figlio in grembo, e la prospettiva della impiccagione davanti a sé.

Noi cristiani del mondo finora in pace fatichiamo a capire. Ci paiono giganti quelli che muoiono, come ha detto il Papa dei ventuno copti, da martiri. Eppure se guardiamo le facce di quegli stessi prigionieri nel giorno della cattura, in fila, i tratti mediterranei che li fanno non così diversi da molti ragazzi nel nostro Sud, ci paiono uomini come noi, con gli occhi sbarrati di paura. E allora che cosa determina, nell’ultima ora, quella irriducibile fedeltà a Cristo?

Una grazia, forse, e insieme il riconoscere, con assoluta evidenza, nell’ultimo istante, il nome in cui, perfino nella morte, nulla è perduto: famiglia, figli, madri e padri e amori, non annientati ma ritrovati e salvati. Pronunciano davanti alla morte quel nome come un irriducibile «no» al nulla, in cui i boia credono di averli cancellati.


Autore: 
Marina Corradi



     






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)