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  ANTOLOGIA DI TESTI UTILIZZATA DURANTE L'INCONTRO


Ufficio catechistico di Roma
www.ucroma.it
 (cfr. anche www.gliscritti.it )

Premessa: il luogo in cui ci troviamo (le stanzette di Sant’Ignazio)

1/ La riforma cattolica

1.1/ I concetti di “riforma cattolica” e di “controriforma”

da H. Jedin, Riforma cattolica e controriforma, in H. Jedin (a cura di), Storia della chiesa VI, Jaca, Milano, 1975, pp. 513-514
Tanto il concetto di «riforma cattolica» quanto quello di  «controriforma» presuppongono nel termine «riforma» la designazione storica della crisi protestante con la conseguente frattura della fede e della chiesa. Con «controriforma» il giurista Pütter di Gottinga (1776) intese la riconquista alla fede cattolica, operata con la forza, delle regioni divenute protestanti. Ranke parlò inizialmente di controriforme (al plurale), ma presto riconobbe il carattere unitario del movimento e ne vide la radice nella «restaurazione, quasi piantagione ex novo, del cattolicesimo». Con l'opera di Moritz Ritter Deutsche Geschichte im Zeitalter der Gegenreformation (Storia della Germania al tempo della contro-riforma, 1889), il concetto di controriforma, contre-réformecounter-reformationcontrarreforma, prese piede anche in Germania, ma si urtò contro il rifiuto quasi unanime della storiografia cattolica, perché esso sembrava concepire il nuovo consolidarsi della chiesa cattolica in modo unilaterale, come reazione allo scisma protestante e perché portava il marchio dell'uso della forza in materia di religione. L. Pastor, J. Schmidlin e altri preferirono quindi la designazione di «restaurazione cattolica», nella quale tuttavia non si esprimono sufficientemente né la continuità col medioevo, né i nuovi elementi apportati dalla riforma tridentina.

Nel frattempo W. Maurenbrecher, in dipendenza dal Ranke, aveva adottato (1880) il termine di «riforma cattolica» per designare quel rinnovamento di sé operato dalla chiesa, specialmente in Italia ed in Spagna, che si riannodava ai tentativi di riforma del tardo medioevo
. Egli era stato preceduto dai cattolici Giuseppe Kerker (Katholische Reform, 1859) e Costantino Höfler (Romanische Reformation, 1878). Noi diamo la preferenza a questa designazione di «riforma cattolica», perché allude ai tentativi di rinnovamento che si ebbero nella chiesa dal XV al XVI secolo, senza escludere, come il termine «restaurazione», i nuovi elementi che fanno la loro comparsa e l'influsso esercitato dalla crisi protestante sullo sviluppo del movimento. Tale designazione ha tuttavia bisogno di venir completata dal concetto di controriforma, perché di fatto la chiesa rinnovata e rafforzata internamente, dopo il concilio di Trento, passa al contrattacco e riconquista parte del terreno perduto, sia pure mediante un'alleanza con l'assolutismo confessionale, il cui significato è stato messo in evidenza dall'Eder.

Entrambi i concetti hanno quindi una loro giustificazione, designano però dei movimenti non separati, ma connessi tra loro. Anche autori cattolici come Paschini e Villoslada ritengono di poter usare la designazione di controriforma per l'intero movimento di rinnovamento e di riconquista.
Soltanto collegati tra loro i concetti di riforma cattolica e di controriforma possono servire a designare quest'epoca della storia ecclesiastica
.

da G. Martina, Storia della chiesa, Ut unum sint, Roma, 1980, p. 244
In sostanza, il problema «riforma o controriforma?», rinnova in un altro contesto la questione del rapporto fra il momento carismatico e quello giuridico tante volte incontrato: la riforma cattolica corrisponde al momento carismatico, e mostra maggiore spontaneità e freschezza, ma è più limitata; la controriforma corrisponde al momento giuridico, e sembra rallentare lo slancio iniziale, mentre in realtà ne assicura la stabilità.
In questo senso è stato detto, da storici laicisti, che la riforma cattolica fu sconfitta proprio nel momento in cui sembrava riportare vittoria, acquistando l'appoggio della gerarchia, mentre storici cattolici hanno opposto che la riforma cattolica poté vincere proprio perché divenne controriforma
.

1.2/ Aspetti della riforma cattolica

da G. Martina, Storia della chiesa, Ut unum sint, Roma, 1980, p. 247-248
I tentativi di un rinnovamento della Chiesa, che precedono la riforma protestante, e si sviluppano poi parallelamente ad essa, ma con spirito e metodi propri, si possono schematicamente ridurre a questi:

a) Le varie associazioni laiche, che si propongono un doppio fine, la carità verso i poveri e la pietà eucaristica. In molte città italiane dalla fine del Quattrocento, a cominciare da Genova per opera di Ettore Vernazza, si diffondono con questi intenti le Compagnie del Divino Amore, composte prevalentemente da laici, ma anche da cardinali e vescovi.

b) La riforma degli antichi ordini religiosi. Si moltiplicano i conventi di stretta osservanza, che finiscono per raccogliersi in una congregazione riformata, governata da un proprio vicario generale, e con forti tendenze all'autonomia, per meglio salvare i caratteri propri della riforma. Osserviamo questo processo in vari paesi d'Europa, tra i francescani (che vedono il graduale distacco dai conventuali dei frati minori osservanti, di cui fu a lungo vicario generale S. Bernardino da Siena), le clarisse, che vogliono applicare nel suo pieno rigore la regola primitiva di Santa Chiara, i benedettini (in Italia con la congregazione di Santa Giustina), i cistercensi e i camaldolesi (per esempio con la congregazione di Montecorona, cosiddetta dall'eremo di questo nome, in Umbria), i domenicani, gli agostiniani.

c) Nascita di nuovi istituti. Il movimento si accentua dopo il 1517, ed è parte cospicua della controriforma. Tuttavia alcuni dei nuovi istituti sono lo sviluppo logico delle confraternite laiche di cui abbiamo fatto cenno: la loro genesi è piuttosto lenta, e le prime idee risalgono talora alla fine del Quattrocento, anche se l'approvazione pontificia è posteriore; molti di essi sono sorti senza nessun rapporto con l'eresia luterana. La stessa Compagnia di Gesù, che le circostanze storiche resero uno dei baluardi della Controriforma, alla sua nascita non si prefiggeva affatto di opporsi al protestantesimo.

d) L'opera riformatrice dei vescovi nelle loro diocesi. Se molti vescovi non mostrano particolare zelo pastorale, altri si prodigano, convocano sinodi, promuovono la predicazione, si preoccupano della formazione del clero. In Germania emerge Nicolò da Cues, vescovo di Bressanone, che estende la sua attività ben al di là della sua diocesi; in Spagna spiccano tre persone; il « gran cardinale», Pietro Gonzales de Mendoza, il primo arcivescovo di Granada, Ferdinando de Talavera, il cardinale Ximenes de Cisneros, arcivescovo di Toledo, che fonda l'università di Alcalá, cura l'edizione della Bibbia Compeutense, traduce la Imitazione di Cristo. In Italia, possiamo ricordare almeno Sant'Antonino, arcivescovo di Firenze.

e) Abbiamo ricordato ormai più volte i gruppi dell'umanesimo cristiano, che inculcano lo studio della Scrittura e dei Padri, e i circoli dell'evangelismo, anelanti ad un culto e ad una religiosità più intima, che si ricollegano in vario modo alla devotio moderna, che aveva avuto nell'Imitazione di Cristo la sua espressione più alta, e che ora hanno in Erasmo il loro campione più efficace, anche se non sempre coerente e talora non alieno da esagerazioni.


f) Le iniziative della curia e dei papi. Se la curia, come abbiamo detto, si mostrò in genere piuttosto distratta e restia, non mancarono alcuni gesti che avrebbero potuto essere efficaci se fossero stati accompagnati da una migliore volontà. Nel 1512 Giulio II convocò a Roma un concilio ecumenico, il Lateranense V, ecumenico XVIII: il Papa non si preoccupava però di rispondere all'attesa universale di una reformatio in capite et membris, e voleva soprattutto svuotare di ogni importanza un'assemblea aperta a Pisa dal re di Francia Luigi XII con cui egli era in guerra, e che si atteggiava a concilio ecumenico. Il concilio comunque continuò anche quando l'assise pisana era fallita, e fu proseguito dal successore di Giulio II, Leone X: se esso prese alcune decisioni utili, in sostanza non ebbe il coraggio di combattere in modo energico e definitivo gli abusi di cui tutti conoscevano l'esistenza, ma che erano di vantaggio ai prelati.

Nulla si disse sul fiscalismo della curia, che pure era una delle fonti di continui lamenti al di là delle Alpi, e quando si vietò il cumulo di uffici ecclesiastici nelle stesse mani, si fecero subito tali eccezioni da rendere praticamente nullo il divieto. Del resto, anche quei timidi ed incerti propositi espressi nel Lateranense V, restarono praticamente lettera morta. La bolla di riforma della curia è contemporanea alla autorizzazione data ad Alberto di Brandeburgo di reggere una terza diocesi (ossia di riscuotere altri redditi da una terza fonte), a condizione di pagare a Roma una forte tassa.

Jean Delumeau, Il cattolicesimo dal XVI al XVIII secolo, Mursia, Milano, 1976, pp. 33-36
Alla fine del XVI secolo, e nel XVII, la Chiesa cattolica conobbe una profonda trasformazione che fu preparata da un lavoro di ricerca durato per un periodo assai lungo, dalla santità di molti suoi membri, e da dolorose esperienze
 paragonabili a brancolamenti nel buio. Oggi nessuno storico penserebbe di datare gli inizi di questo rinnovamento al Concilio di Trento. La verità è che le due riforme, che si credettero e si vollero nemiche, e di cui solo ora noi scorgiamo gli aspetti comuni, trassero la propria linfa da un passato comune a entrambe, un passato fatto certamente di miserie e di «abusi» di ogni specie, ma anche di molti sforzi tesi a rinnovare la pietà, e a renderla più personale, a livello delle élites, e più viva, a livello della massa del popolo fedele. Il rinnovamento e la nuova giovinezza della Chiesa cattolica e l'evoluzione della sua spiritualità si sono determinati in due tempi: quello della Preriforma, e quello che iniziò con il Concilio di Trento; il tempo degli sforzi non organizzati, dispersi, e quello in cui l'autorità riprese in mano le redini della situazione, cosa che non avrebbe potuto produrre tali e tanti frutti se non fosse stata preceduta da tutto il lavoro degli anni precedenti il 1540, lavoro oscuro, e non di rado, almeno all'apparenza, deludente, privo di successo. È altrettanto vera l'impostazione che parta da un punto di vista rovesciato. In una Chiesa centralizzata quanto la Chiesa cattolica, il rinnovamento non avrebbe potuto imporsi a tutto il popolo dei fedeli per la sola virtù di iniziative espresse dalla base, nella misura in cui fosse venuta a mancare la volontà della gerarchia (papato e corpo episcopale).

Proprio quando gli « abusi» si facevano ogni giorno più gravi e numerosi (cumulo dei benefici, commende, crescente laicizzazione e vita sempre più mondana dell'alto clero, mancata residenza dei pastori e loro ignoranza) nasceva la Devotio Moderna che fu definita e diffusa, alla fine del XIV secolo, da Ruysbroeck il «mirabile », da Geert Groot, e dai Fratelli della Vita Comune. La Devotio Moderna non poneva l'accento sulla liturgia, e neppure sulla vita monastica, ma sulla meditazione personale, meditazione ben strutturata e condotta metodicamente (così da evitare di cadere nella rischiosa insidia del sentirsi «illuminati») e centrata sul Cristo. Benché ciascuno in modo diverso, tanto Lutero quanto Bérulle, Erasmo e sant'Ignazio sono eredi della Devotio Moderna. E vero che questa costituiva un nutrimento spirituale per anime di élite, tuttavia mai si era predicato per il popolo tanto quanto nel XV secolo. Quando Lutero, Calvino e i padri del Concilio di Trento insistettero perché la parola di Dio venisse annunziata e spiegata ai fedeli, essi si collocarono sulla stessa linea, nello stesso solco, dei grandi predicatori della Preriforma: Jan Hus, Bernardino da Siena, Savonarola, ecc.

Proprio quando la Cristianità stava perdendo la speranza di una purificazione profonda e vasta della Chiesa, negli ordini religiosi si produssero numerose riforme parziali, con ritorno a una disciplina più rigorosa: i Domenicani conobbero la creazione della cosiddetta Congregazione d'Olanda; tra i Camaldolesi la riforma si ebbe grazie a Paolo Giustiniani, che attribuiva la massima importanza all'esperienza e all'osservanza della solitudine assoluta; tra i Francescani, la secessione di un eroe della povertà e della devozione, Matteo da Bascio (1526), dava luogo alla nascita di una nuova famiglia religiosa, quella dei Cappuccini. In compenso, c'era un ordine che non aveva mai tralignato: i Certosini. Cartusia numquam reformata quia numquam deformata. Uno dei libri di pietà più letti, nel corso del XV secolo e all'inizio del XVI, fu la Vita Christi, di Ludolfo il Certosino, che il cavaliere Iñigo di Loyola ebbe nella sua biblioteca.

La vocazione del fondatore dei Gesuiti è fiorita in un paese di stupefacente vitalità religiosa, in cui i re vigilavano perché i vescovi facessero residenza nelle proprie diocesi; un paese che, grazie al cardinale Cisneros († 1517), aveva portato a termine una sua propria riforma quando ancora il nome di Lutero era sconosciuto
. All'università di Alcalá, creata da Cisneros, dominava la cultura umanistica, e Salamanca aveva fama di «piccola Roma ». La robustezza e il valore della teologia spagnola si affermeranno ben presto, nel corso del Concilio di Trento. Contrariamente al cardinale Cisneros, il legato papale in Francia, cardinale d'Amboise, e il cardinale Wolsey, legato in Inghilterra, non trassero profitto dalla propria autorità per attuare una riforma della Chiesa nei rispettivi paesi. Vari concordati, quali quello inglese del 1418 e quello francese del 1516, che era stato preceduto dalla Prammatica Sanzione del 1438, erano ostacoli ad una seria riforma della vita religiosa. Nelle mani dei sovrani, i benefici maggiori diventavano la migliore ricompensa per servigi di ordine e natura politica; si deve ritenere, a questo punto, che la pietà fosse in abbandono in questi due paesi?

A dire il vero, sia in Francia che in Inghilterra, nel periodo che chiamiamo della Preriforma, furono costruite o abbellite molte chiese.Numerose prove indicano d'altra parte che il popolo inglese era rimasto assai attaccato alla propria Chiesa, e la Francia, dove il clero era in aumento dalla fine della guerra dei Cento anni (nella diocesi di Sées quadruplicò tra il 1445 e il 1514), cercava, dal canto suo, la strada per un rinnovamento religioso. La prova che la volontà di riforma era viva nel paese è data dal Concilio di Sens (1485), e dai sinodi diocesani che lo seguirono, a Chartres, Langres, Nantes e Troyes, dalla azione di un severo riformatore come Standonck, e dallo zelo apostolico di vescovi come Poncher a Parigi, François d'Estaing a Rodez, Briçonnet a Meaux.

Anche la Chiesa tedesca, nel secolo che precedette la rivolta di Lutero, ebbe vescovi «rigeneratori» che cercarono di realizzare nelle proprie diocesi la riforma in capite et in membris: Heinrich di Hewen e Burchard von Randegg a Costanza, Matthias Ramung a Spira, Friedrich von Zollern ad Augusta, ecc. Recenti ricerche hanno molto mutato il quadro tradizionale delle condizioni della Chiesa e della vita religiosa tedesca agli inizi del secolo XVI. Scrive H. Jedin:

Non c'è dubbio che nella Chiesa tedesca si fecero riforme più che in ogni altra Chiesa. Se gli eventi presero la piega che conosciamo, non è perché il ministero pastorale fosse poi trascurato, il clero meno pio o morale, il popolo più ignorante o meno religioso che in altri paesi; al contrario, la borghesia cittadina, il laicato, la classe degli intellettuali, il cui peso cresceva, esigevano dal loro clero più che non altrove, avvertivano in modo più vivo la distanza tra l'ideale e la realtà, e soprattutto erano decisi a correggere in modo radicale ogni abuso, vero o presunto ...

L'Italia del Rinascimento, per certi aspetti così pagana, conobbe tuttavia i primi sintomi di una trasformazione religiosa in anni in cui Lutero non aveva ancora fatto parlare di sé
, e in cui, in ogni caso, concilio e papa non avevano ancora ripreso in mano le redini della Chiesa. La recente storiografia ha strappato all'oblio in cui giacevano i nomi di un uomo e di una confraternita che contribuirono a creare questo nuovo clima religioso.
L'uomo è Battista da Crema († 1534), «il padre pieno di lume», un domenicano che predicava la riforma individuale, assicurava che la Grazia non manca mai all'uomo, ma è l'uomo che non risponde a Dio (è l'inizio del molinismo), e fu un suscitatore di vocazioni. La confraternita è l'Oratorio del divino amore, creato a Genova nel 1497 da un devoto genovese e trasferito a Roma verso il 1514. Questa iniziativa laicale ricorda quella che diede origine ai Fratelli della Vita Comune. Si metteva l'accento sulla preghiera, sulla santificazione personale e sul servizio al prossimo. Tra i membri della confraternita furono Gaetano da Thiene, Giampietro Carafa (il futuro Paolo IV), l'umanista Sadoleto, G. M. Giberti, che sarà il riformatore della diocesi di Verona. Da essa uscirono i Teatini, la prima congregazione di chierici regolari della storia (1524).

La creazione dei Teatini, che rispondeva a un bisogno dei tempi, fu seguita ben presto da quella dei Barnabiti, dei Somaschi, e dei Gesuiti, tutte precedenti la convocazione del Concilio di Trento. Questi «preti riformati », vivendo in mezzo al popolo cristiano, intendevano dare l'esempio della virtù sacerdotale, insegnare il catechismo, occuparsi degli orfani, ridare al culto decoro e solennità, portare i fedeli alla pratica sacramentale. Contemporaneamente a queste congregazioni di preti regolari, sorgeva a Brescia, grazie ad Angela Merici, l'istituto delle Orsoline (1535), che non aveva clausura, come più tardi quello delle Serve dei Poveri di Vincenzo de' Paoli, e aveva per scopo l'educazione delle ragazze. Quanto poi ai vescovi italiani della prima metà del secolo XVI, la lista di coloro che non trascuravano i doveri del proprio stato, e consentirono al Concilio di Trento di giungere a buon porto, è tutto sommato abbastanza nutrita, Uno, sopra gli altri, è degno di attenzione: G. M. Giberti († 1543), ex «datario» di Clemente VII, e vescovo di Verona. Egli faceva vita da monaco, visitò senza sosta la propria diocesi, restaurò la dignità del culto, sorvegliò sulla predicazione, sospese i preti incapaci, mise in carcere i sacerdoti indegni, e riformò i monasteri. San Carlo Borromeo, a Milano, non avrà altro modello che questo «rude asceta».

dal sito dell’Almo Collegio Capranica

Il cardinale Domenico Capranica (1400-1458), con atto del 5 gennaio 1457, fondava un Collegio, cui dava il nome della sua famiglia, con lo scopo di offrire la possibilità di una adeguata formazione al sacerdozio ai giovani meno abbienti della città di Roma
. Tale fondazione si inseriva nell’ambito di una serie di iniziative analoghe che, specie nella Roma del Quattrocento, venivano suscitate dalla crescente attenzione verso l’istruzione ecclesiastica. Le intenzioni del fondatore rispondevano pertanto all'esigenza di offrire alla società del tempo un clero più preparato sotto l'aspetto culturale e spirituale, da qui la specificità e l'unicità dell'identità capranicense.

Domenico Capranica, col quale iniziarono le fortune della famiglia che prendeva nome dalla originaria Capranica Prenestina, feudo dei Colonna fino al 1563, fu personaggio di spicco nella Roma della prima metà del Quattrocento. Nato col secolo, formatosi alle Università di Padova e di Bologna, iniziò la sua carriera ecclesiastica e politica col papa Colonna, Martino V: chierico della Camera Apostolica nel 1423, vescovo di Fermo l’anno seguente, governatore della Romagna nel ‘26, cardinale del titolo di Santa Maria in Via Lata nel ‘30. In seguito alla morte del papa, questo grado gli fu contestato e riconosciuto solo due anni dopo, mentre partecipava al concilio di Costanza, concilio al quale il Capranica continuò a prendere parte dal ‘38 al ‘43 - seguendolo nei trasferimenti a Ferrara prima e poi a Firenze - durante il papato di Eugenio IV. Nel ‘43 veniva promosso vicario generale della marca di Ancona. Da Nicolò V Domenico riceveva, nel ‘49, la nomina a Penitenziere Maggiore, che l’avrebbe impegnato nell’imminente Giubileo e che richiedeva la sua stabile presenza a Roma; intorno a quella data egli avviò i lavori per la sua nuova residenza presso il Pantheon, nella piazza di Santa Maria in Aquiro. Nel ‘53 si rese benemerito del papa, denunciando la congiura di Stefano Porcari, e nell’ultimo periodo della non lunga vita svolse importanti incarichi diplomatici, in particolare presso il re di Napoli Alfonso V d'Aragona. Domenico Capranica fu un buon umanista (nel suo palazzo raccolse una preziosa biblioteca di codici, oggi alla Vaticana), ma soprattutto cultore degli studi teologici e filosofici ed autore di opuscoli di argomento morale, ecclesiastico e politico.

Due anni prima della morte fondò il “Collegio dei poveri scolari della Sapienza Firmana” (come suonava la denominazione originaria motivata dalla sua carica di vescovo di Fermo; ragione per la quale anche la piazza fu chiamata, per un certo periodo, “del Cardinale di Fermo”), destinato a giovani di umile condizione, romani di nascita, ma con l’eccezione per i fermani, che avevano deciso di intraprendere la carriera ecclesiastica, perché studiassero soprattutto teologia e diritto canonico. Veniva così anticipata di un secolo l’istituzione dei seminari, decisa dal Concilio di Trento nel 1563. Il Capranica predispose ogni cosa perché il progetto andasse in porto. Ne assicurò il mantenimento con le rendite immobiliari: una casa detta “delle due torri” presso Sant’Agostino ed un’altra in piazza di Pietra, nella parrocchia di Santo Stefano del Trullo; i due casali fuori porta Maggiore detti Boccamazzi e Monumento che formarono la tenuta della “Sapienza”: l’attuale borgata di Tor Sapienza. Fissò regole precise per ogni aspetto della vita collegiale, redigendone personalmente le “Constitutiones”: significativi, per quei tempi di non eccessivo rigore, gli obblighi per i futuri sacerdoti della messa quotidiana, del celibato, dell’obbedienza al Papa, dello studio costante della teologia e in particolare di San Tommaso. Gli alunni dovevano governarsi da soli, eleggendo tra di loro il rettore, i consiglieri e i bibliotecari, che dovevano essere confermati dai patroni e rimanevano in carica un anno.

La tutela e l’amministrazione il Capranica volle affidati all’autorità dei Conservatori dell’Urbe, dei Capi Rione e soprattutto dei Guardiani dell’Arciconfraternita del Santissimo Salvatore ad Sancta Sanctorum (alla quale egli stesso era iscritto), i quali assicurarono la loro disponibilità in tal senso il 24 dicembre 1456. Il 5 gennaio 1457 - data ritenuta come quella di fondazione dell’istituto - avvenne la presa in consegna dei beni. Domenico Capranica morì il 14 agosto 1458, a pochi giorni di distanza da Callisto III, al quale era ormai dato per scontato dovesse succedere: a un passo, dunque, dal massimo riconoscimento di una straordinaria carriera. 
Fu sepolto nella cappella gentilizia che aveva ottenuto nel ’49 in Santa Maria sopra Minerva, chiesa dell’ordine domenicano da lui prediletto, nel monumento funebre scolpito dal Bregno che gli eresse il fratello Angelo, suo erede ed esecutore testamentario.

Il Collegio venne dotato dal suo fondatore di una solida base economica, così da garantirne l’autonomia finanziaria. Lo stesso cardinal Domenico ne redasse le costituzioni, riedite con qualche aggiunta fino al XX secolo. Nel 1459 il Collegio Capranica aprì le sue porte a una trentina di alunni, e venne affidato alle cure dell’Arciconfraternita romana del SS. Salvatore ad Sancta Sanctorum, di cui il cardinal Capranica era membro fin dal 1452. 

Alcuni anni dopo, nel 1478, fu il cardinale Angelo Capranica (1423-1478), fratello di Domenico, ad ottenere da Sisto V licenza di costruire una sede specifica per il Collegio, a fianco dell’antico Palazzo Capranica presso la chiesa di Santa Maria in Aquiro. Il titolo di “almo” (che dà la vita), di cui il Collegio si fregia, ricorda con somma riconoscenza quei superiori e alunni che, durante il sacco di Roma del 1527, presso Porta Santo Spirito, sacrificarono la loro vita per la difesa del Pontefice.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)