00 10/02/2016 13:58

«La Vera carità verso il popolo ebreo»
del Servo di Dio
Mons. Pier Carlo Landucci




Giovanni Paolo II
il giorno della canonizzazione di S. Teresa Benedetta della Croce - Edith Stein (1891-1942) 
ebrea convertita, Carmelitana Scalza, martire

Giovanni Paolo II
il giorno della canonizzazione di S. Teresa Benedetta della Croce - Edith Stein (1891-1942) 
ebrea convertita, Carmelitana Scalza, martire "per il suo popolo"

 


In un importante Simposio in memoria del centenario della nascita del Cardinale Agostino Bea, [1881 Ü nov 1968 n.d.r.] tenuto a Roma nel dicembre u.s., furono riferiti alcuni stralci di uno studio dell'illustre biblista, sugli Ebrei. Si trattava di un articolo che il cardinale aveva preparato per la "Civiltà Cattolica", ma che allora non fu pubblicato, presumibilmente perché i tempi non erano ancora maturi. Il testo è stato ora pubblicato integralmente nel n. 3161, 6 marzo u.s. della rivista. Si è infatti maturato frattanto un clima di distensione riguardo agli Ebrei, precisato nella Dichiarazione conciliare Nostra aetate, § 4.
Ma è rimasto entro i limiti di tale precisazione il Card. Bea, tutto proteso alla "benevola scusa" dei condannatori di Gesù, a distinguere la loro responsabilità "oggettiva" dalla "soggettiva", a collegare soltanto alla prima le 94 calamità" conseguenti profetizzate da Gesù, a suscitare la "doverosa carità" e "gratitudine" verso quel "popolo eletto", a giustificare tutto ciò per "amore di Gesù e di Maria", e tutto questo senza distinguere ilprima e dopo la tragedia del Calvario?
Per un sereno esame critico di tali posizioni non mi aggancerò ora strettamente alle parole di detto articolo, dato che in esso sono come riassunte e in qualche modo radicate tutte le posizioni filoebraiche, più spinte, che stanno sempre più diffondendosi nel mondo cattolico. Passo cioè senz'altro alla loro generale considerazione.

Qualunque siano le accuse che sì fanno, fra i motivi di benevolenza verso gli Ebrei, si adduce sempre il dovere della carità, da estendersi evangelicamente anche ai nemici.
Ora a me preme soprattutto rilevare che queste metodiche scuse a loro riguardo sono invece contro la illuminata e vera carità, perché contribuiscono a nascondere ad essi la drammatica e tragica situazione obiettiva in cui sono venuti a trovarsi dopo la condanna di Gesù.
La vera carità verso gli ebrei è di illuminarli lealmente su tale situazione, sollecitando in tal modo anche per essi - e come individui e come popolo - il "ravvedimento" e la redenzione ad essi promessa "per primi" (At. 3,26), essendo i «doni di Dio e la vocazione di Luiirrevocabili.» (Rm. 11,29)
Tale "irrevocabilità" infatti, come spiega San Paolo, non si riferisce a coloro che proseguono a rifiutare Gesù, i quali, «per la loro incredulità sono stati recisi (dall'olivo salvifico)» (11,20), ma a coloro che, «se non persistono nella incredulità (vi) saranno innestati / ... / di nuovo» (23), quando cioè avrà termine «l'accecamento di una parte d'Israele e tutto Israele si salverà.» (25,26)

San Paolo predica agli Ebrei
San Paolo predica agli Ebrei
mosaico XII secolo

Tornerò più avanti su questo punto fondamentale. Ma intanto è chiaro che tale "irrevocabilità" del "dono di Dio riguarda proprio il piano obiettivo (sempre concesso che ognuno, soggettivamente in buona fede, può salvarsi, parte la maggiore o minore difficoltà) e la vera carità deve mirare a togliere quell'"accecamento" e non ad alimentarlo, facendo dimenticare i fatti obiettivi e moltiplicando le scuse.
Dunque proselitismo? Certo. Non vi può essere dubbio, per chi ha veramente la carità verso gli Ebrei e quindi vuole il loro vero bene. Nel quadro anzi della missione apostolica, pur essendo essa rivolta a tutti (Mt. 28,19; Mc. 16,15) essi debbono avere una posizione privilegiata, un "primato", come ho già accennato, per condurli a riconoscere il Redentore.
Così si regolò Gesù inviando gli Apostoli «prima alle pecore sperdute della casa d'Israele» (Mt. 10,6), obiettando addirittura, alla Cananea, di «non essere stato mandato che per esse» (15,24), così da essere stato definito da San Paolo come «posto al servizio dei circoncisi / ... / compiendo le promesse fatte ai padri.» (Rm. 15,8) E, di fatto, dopo la Pentecoste, la prima predicazione degli Apostoli e le prime abbastanza vaste adesioni si ebbero tra gli Ebrei e San Paolo, nei suoi viaggi, iniziò sempre la predicazione nelle sinagoghe e nelle assemblee ebraiche (At. 9,20; 13,5; 13,14; 14, 1; 16,13; 17, 1-2; 17,10; 17,17; 18,4; 19,8).
Il dialogo quindi animato da vera carità verso gli Ebrei, non solo non esclude, ma deve mirare soprattutto alla loro conversione. È umanamente comprensibile che, prima di questa conversione, tale prospettiva sia ad essi sgradita. Ma non potranno, in definitiva, non ravvisarvi la lealtà e l'amorevole intenzione dell'interlocutore cattolico (il quale agisca, s'intende, con illuminata discrezione).
La traduzione, oggi non rara, del clima ecumenico come dialogo senza proselitismo è una errata interpretazione dell'ecumenismo, in antitesi con l'insegnamento evangelico. (Devo quindi supporre che, quando l'anno scorso, in una intervista, il nuovo arcivescovo di Parigi [Lustiger; n.d.r.], escluse, in relazione agli Ebrei, il proselitismo, si sia riferito soltanto ad una sua modalità artificiosa, non ispirata dal vangelo, indiscreta.)

Eugenio Zolli
l'ex rabbino capo di Roma Eugenio Zolli
convertio al cattolicesimo

La soggettiva scusante della ignoranza viene, in genere, addotta per scagionare gli Ebrei che vollero la morte di Gesù. Se ne addita la conferma nelle parole stesse di Gesù, dalla croce: «Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno» (Lc. 23,34) Anche San Pietro, parlando al popolo, nel portico di Salomone, dopo la clamorosa guarigione dello storpio, disse: «Io so che voi operaste per ignoranza, come anche i vostri capi.» (At. 3,17)
Ma sono rilievi ingannatori. Prima di tutto, Gesù non escluse la colpa, tanto è vero che chiese al Padre di "perdonare". Né la escluse San Pietro, tanto è vero che aggiunse: «Ravvedetevi dunque e convertitevi perché si cancellino i vostri peccati.» (19)
Inoltre le attenuanti, se vi sono, non eliminano la responsabilità grave. In fondo qualsiasi grande peccatore non sa pienamente "quello che fa", in quanto va incontro alla propria infelicità che non vorrebbe avere. Nel caso particolare del Sinedrio, l'ignoranza riguardava bensì la verità di Gesù come promesso Messia e tanto più come Dio.
Essi non intesero certo di uccidere un Dio.
Ma la responsabilità sta proprio in quella ignoranza la quale non era invincibile, come è provato dal fatto degli Apostoli e di tanti altri Giudei che seguirono Gesù.

Vi fu cioè la grave responsabilità di non aver vinto, con l'aiuto della grazia, quella ignoranza. Su questo punto dobbiamo, d'altra parte, stare alla rivelazione, che svela i motivi viziosi di tale oscuramento. Gesù ha parlato chiaro. Le profetizzate punizioni sono esplicitamente legate alla colpa (Castighi "esemplari per l'umanità", come dice il card. Bea, nel tentativo di non legarli alla colpa? "Esemplari" certamente; ma non lo sarebbero più, se fossero staccati dalla colpa): «Se non vi accolgono ... /vi dico che Sodoma in quel giorno avrà sorte più tollerabile / ... / Guai a te Corozain! Guai a te Betsaida, perché se in Tiro e Sidone fossero stati fatti i miracoli che sono stati fatti in voi, già da tempo / ... / avrebbero fatto penitenza / ... / E tu, Cafarnao, / ... /fino all'inferno sarai abbassata» (Lc. 10, 10-15) «Gerusalemme, Gerusalemme che uccidi i profeti e lapidi coloro che a te sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figlioli / ... / e voi non avete voluto! Ecco la vostra casa sarà abbandonata» (Lc. 13, 34-35) «Pianse su di essa (Gerusalemme) dicendo: Ah! se avessi / ... / anche tu riconosciuto il messaggio di pace! Ma ormai è rimasto nascosto ai tuoi occhi / ... / ti assedieranno, ti stringeranno da tutte le parti / ... / poiché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata» (Lc. 19, 41-44)

E, più direttamente, ecco le motivazioni peccaminose di quell'accecamento, rivelate da Gesù: «Sono le Scritture che rendono a me testimonianza / ... / Come potete credere voi, che andate in cerca di gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dal solo Dio? / ... / Se voi credeste a Mosè, credereste anche a me, perché egli di me ha scritto.» (Gv. 5, 39. 44. 46) «Se voi non credete che io sono, morirete nei vostri peccati / ... / Per qual ragione non comprendete il mio linguaggio? / ... / Voi avete per padre il diavolo / ... / egli è mentitore e il padre della menzogna/ ... /Voi non ascoltate le parole di Dio perché non siete da Dio.» (Gv. 8, 43. 44. 47) «Se non fossi venuto e non avessi loro parlato, non avrebbero colpa; ma ora non hanno scusa per il loro peccato... Se non avessi fatto tra loro le opere che nessun altro ha fatto, non avrebbero colpa; ma ora, benché abbiano veduto, pure odiano me e il Padre mio.» (Gv. 15,22.24). Confronto con la colpa di Pilato: Chi mi ha consegnato nelle tue mani è più colpevole.» (Gv. 19,11) Gli ebrei rigettati: «Voi non credete perché non siete delle mie pecore.» (Gv. 10,26)

Una sintesi generale, ovviamente riferibile, in particolare, ai condannatori di Gesù, è così espressa da San Giovanni: «La luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano cattive.» (Gv. 3,19)
Analoga e illuminante, circa le responsabilità soggettive degli Ebrei e, in particolare, del Sinedrio, è l'azione contro Santo Stefano e la reazione di questi, illuminato dallo Spirito Santo, ampiamente descritta dagli Atti.
Morì gridando a gran voce: «Signore non imputare a loro questo peccato» (7,40) V'è il perfetto eco delle prime parole del Signore dalla Croce. E la richiesta caritatevole del perdono per il peccato che era però effettivamente commesso.
Santo Stefano non nomina nemmeno le attenuanti della ignoranza che potevano, in qualche modo, esservi. Non manca anzi di svelare il colpevole atteggiamento interiore dei suoi carnefici: «O duri di cervice e incirconcisi di cuore e di orecchi: voi sempre contrastate con lo Spirito Santo. Come i padri vostri, così voi. Quale dei profeti i padri vostri non perseguitarono? Uccisero anche i preannunciatori della venuta del Giusto, del quale voi foste ora i traditori e gli omicidi» (7,51-52)

Il Ven. F. Libermann C.S.S.R.
ebreo convertito
Il Ven. F. Libermann C.S.S.R.
ebreo convertito

Si insiste, sempre a riguardo della responsabilità soggettiva, che essa è nota solo a Dio: nessuno avrebbe quindi il diritto di giudicarla. Questo è vero in generale e in senso assoluto. Ma nel caso della responsabilità giudaica per la condanna di Gesù, la responsabilità soggettiva risulta dalle parole di Gesù e dai testi scritturali sopra ricordati.
Ma, anche a prescindere da essi, si devono usare, a riguardo di quegli eventi storici, i criteri di valutazione normali nelle indagini storiche, nelle quali i fatti vengono valutati nelle loro manifestazioni esterne e i personaggi giudicati in relazione ad esse. È sottinteso che la misura intima della responsabilità è vista e giudicata solo da Dio e proprio per questo essa trascende il piano storico. Ma il giudizio umano è invece legittimamente formulato sul piano storico.
Precludersi quindi di giudicare gli Ebrei, che condannarono Gesù, per il fatto che Dio solo conosce appieno la intima responsabilità di ognuno è antistorico. La responsabilità va legittimamente affermata in base al comportamento storicamente provato, oltre che, come ho già detto, in base alle parole di Gesù e alle affermazioni scritturali.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)