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IX - A una donna che non si nomina

Proemio, di Niccolò Tommaseo:
Il dolore è mistero da accogliere con riverenza. Vedesi al lume della fede in quel Dio che sa e vuole e può il meglio. L'impazienza sperde il frutto delle fatiche, e viene da tenerezza di noi. Conduole della sventura, e congratula.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima suoro in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi alluminata della verità di Dio, perocchè in altro modo non potresti partecipare la vita della Grazia in questo mondo; saresti in continua amaritudine; e nell'ultimo riceveresti l'eterna dannazione. Perchè essendo privata del lume, vi scandalizzeresti in tutti e' suoi misteri, giudicando quello che vi dà per amore, in odio, e quello che vi dasse per vita, in morte. E che verità dobbiamo cognoscere, carissima suoro? Dobbiamo vedere che Dio sommamente ci ama, e per amore si mosse a crearci alla sua imagine e similitudine, per darci a godere l'eterna sua visione. Chi ci manifesta questa verità, e questo amore? Il sangue dell'umile e immacolato Agnello. Chè essendo noi privati, per lo peccato di Adamo, della visione di Dio e sbanditi di vita eterna, fu mandato questo dolce e amoroso Verbo dal Padre a sostenere morte per darci la vita, e a lavare le colpe nostre col suo prezioso sangue; ed egli come innamorato corse alla obbrobriosa morte della croce per compire l'obbedienza del Padre e la salute nostra. Non ci è nascosta questa verità; il sangue ce la manifesta. Che se Dio non ci avesse creati per lo fine che detto è, e non ci amasse inestimabilmente, già non ci avrebbe dato siffatto ricompratore. L'anima dunque, alluminata di questa verità, subito riceve nell'occhio dell'intelletto suo il lume della santissima fede, tenendo di certo che ciò che Dio dà e permette in questa vita alla sua creatura, il dà per amore, e perchè s'adempia questa verità in noi. Onde subito è fatta paziente, che di neuna cosa si turba; ma rimane contenta di ciò che gli è permesso dalla divina bontà, portando con vera e santa pazienzia, infirmità, privazione di ricchezze, di stato, di parenti e di amici. E non tanto che con pazienzia le porti, ma ella l'ha in debita riverenzia, come cosa mandata a lei dal suo Creatore dolce, per amore e per sua santificazione. E chi è quello matto e stolto, che del suo bene si possa turbare? solo chi è privato del lume, perchè non cognosce la verità, nè il suo bene.

Voglio adunque, carissima suoro, che apriate l'occhio dell'intelletto vostro, svellendo e disbarbicandone ogni radice d'amore proprio e tenerezza di voi; acciò che possiate cognoscere questa verità, e che vediate, che Dio è sommo medico, e fa e può e vuole darci le nostre necessità, e la medicina che ci hisogna alla nostra infirmità; sìche con una dolce, santa e reale pazienzia portiate la medicina che egli ci ha data per singolare amore che egli vi porta. A questo v'invito, dolcissima suoro, acciò che per impazienzia non perdiate il frutto delle vostre fadighe, ma in questa vita siate in perfetta pace e tranquillità, accordata con la dolce volontà di Dio; e di neuna cosa vi turbiate, se non solo dell'offese che sono fatte a lui e deldanno dell'anime. Facendo così dimostrerete d'essere alluminata della verità, e nell'ultimo riceverete infinito frutto delle vostre fadighe.

Fuvvi avuto compassione del caso avvenuto; ma se vi vedrò accordata colla volontà di Dio, e trarne quello che dovete, me ne goderò con voi insieme. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



X - A Benincasa di Iacomo fratello suo carnale.

Proemio, di Niccolò Tommaseo:
Consigli di sorella santa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso, e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù. lo Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi bagnato e annegato nel detto sangue, il quale vi farà forte a portare con vera pazienzia ogni fadiga e tribolazione, da qualunque lato elle vengano. Faravvi perseverante, che infino alla morte sosterrete con vera umiltà; perchè in esso sangue sarà illuminato l'occhio dell'intelletto vostro dalla verità. Ciò è, che Dio non vuole altro che la nostra santificazione, perchè ineffabilmente ci ama; che se non ci avesse molto amati, non avrebbe per noi pagato siffatto prezzo. State, dunque, state contento in ogni tempo, in ogni luogo; perchè tutti vi sono conceduti dallo eterno Amore. Per amore godetevi nelle tribolazioni; e reputatevene indegno, che Dio vi mandi per la via del suo Figliuolo; e in ogni cosa rendete gloria e loda al suo nome. Confortatevi in Cristo dolce Gesù. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezioue di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



XI - A Pietro Cardinal d'Ostia.

Proemio, di Niccolò Tommaseo:
Il disordinato amore di sè fa timore servile; e questo è causa di malgoverno e di guerra. Consiglia coraggio d'operosa carità: onde la pace. I prelati perdano le città piuttosto che le anime.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e reverendissimo Padre in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi uomo virile e non timoroso, acciocchè virilmente serviate alla Sposa di Cristo, adoperando per onore di Dio spiritualmente e temporalmente, secondo che nel tempo d'oggi questa dolce Sposa ha bisogno. Son certa che se l'occhio dell'intelletto vostro si leverà a vedere lasua necessità, voi il farete sollecitamente e senza alcuno timore o negligenzia. L'anima che teme di timore servile, neuna sua operazione è perfetta; e in qualunque stato si sia, nelle piccole cose e nelle grandi viene meno, e non conduce quello che ha cominciato, alla sua perfezione. Oh, quanto è pericoloso questo timore! Egli taglia le braccia del santo desiderio; egli acceca l'uomo, che non gli lassa cognoscere nè vedere la verità: perocchè questo timore procede dalla cecità dell'amore proprio di sè medesimo. Perocchè subito che la creatura, che ha in sè ragione, s'ama d'amore proprìo sensitivo, subito teme: e questa è la cagione perchè teme; perchè ha posto l'amore e la speranza sua in cosa debile che non ha in sè fermezza nè stabilità alcuna, anco passa come il vento. Oh, perversìtà d'amore, quanto sei dannosa a signori temporali e spirituali, e a sudditi! Onde, se egli è prelato, noncorregge mai, perocchè teme di non perdere la prelazione, e di non dispiacere a' sudditi suoi. E così medesimamente è ancora dannoso al suddito, perocchè umilità non è in colui che s'ama di cosiffatto amore; anco v'è una radicata superbia, e il superbo non è mai obediente. Se egli è signore temporale, non tiene giustizia; anco commette molte inique e false ingiustizie, facendo secondo al piacere suo o secondo il piacere delle creature. Così dunque per lo non correggere, e per lo non tenere giustizia, li sudditi ne diventano più cattivi; perocchè si notricano nelli vizi e nelle malizie loro. Poi, dunque, che tanto è pericoloso l'amore proprio, col disordinato timore; è da fuggirlo: ed è da aprire l'occhio dell'intellettonell'obietto dell'immacolato Agnello, il quale è regola e dottrina nostra, e lui doviamo seguitare. Perocchè egli è esso Amore e Verità; e non cercò altro che l'onore del padre e la salute nostra. Egli non temeva e' Giudei, nè loro persecuzione, nè la malizia delle dimonia, nè infamia nè scherni nè villania; e nell'ultimo non temette l'obbrobriosa morte della croce. Noi siamo li scolari, che siamo posti a questa dolce e soave scuola.

Voglio dunque, carissimo e dolcissimo padre, che con grandissima sollecitudine e dolce prudenza apriate l'occhio dell'intelletto in questa vita, in questo libro della vita; il quale vi dà sì dolce e soave dottrina. E non attendiate a neuna altra cosa, che all'amore di Dio e alla salute dell'anime, e al servizio della dolce sposa di Cristo. Perocchè con questo lume vi spoglierete dell'amore proprio di voi, e sarete vestito dell'amore divino; e cercherete Dio per la sua infinita bontà, e perchè egli è degno d'esser cercato e amato da noì; e amerete voi e le virtù, e odierete il vizio per Dio: e di questo medesimo amore amerete il prossimo vostro. Voi vedete bene, che la divina Bontà v'ha posto nel corpo mistico della santa Chiesa, notricandovi al petto di questa dolce sposa, solo perchè voi mangiate alla mensa della santissima Croce il cibo dell'onore di Dio e della salute delle anime. E non vuole che sia mangiato altro che in croce, portando le fadighe corporali con molti ansietati desiderii; siccome fece il Figliuolo di Dio, che insiememente sosteneva li tormenti nel corpo e la pena del desiderio; e maggiore era la croce del desiderio, che non era la croce corporale. E'l desiderio suo era questo: la fame della nostra redenzione per compire l'obedienza del Padre eterno: ed eragli pena infino che nol vedeva compiuto. E anco come sapienza del Padre eterno, vedeva coloro che partecipavano il sangue suo, e quelli che nol participavano per le colpe loro; e perocchè il sangue era dato a tutti, si doleva per l'ignoranzia di coloro che nol volevano partecipare. E questo fu quello crociato desiderio ch'egli portò dal principio infine alla fine: ma data ch'egli ebbe la vita,non terminò però il desiderio, ma si la croce del desiderio. E cosi dovete fare voi, e ogni creatura, che ha in sè ragione; cioè dare la fadiga del corpo e la fatiga del desiderio, dolendovi dell'offesa di Dio, e della dannazione di tante anime quaiite vediamo che periscono. Parmi che sia tempo, carissimo padre, di dare l'onore a Dio, e a fadiga al prossimo. Non è dunque da avere più sè con amore proprio sensitivo, nè con timore servile, ma con vero amore e santo timore di Dio adoperare.

Voi sete posto ora nel temporale e nello spirituale: e però vi prego per l'amore di Cristo crocifisso che facciate virilmente; e procuriate l'onore di Dio, quando e quanto potete, consigliando e aiutando, che li vizi siano spersi, e le virtù siano esaltate. Sopra l'atto temporale, 'lquale alla santa intenzione è spirituale, fate virilmente; procacciando quanto potete la pace e l'unione di tutto il paese. E per questa santa operazione, se bisognasse di dare la vita del corpo, mille volte, se fusse possibile, si dia. Chè oscura cosa è a pensare e a vedere, il vederci in guerra con Dio per la moltitudine dei peccati dei sudditi e de' pastori, e per la ribellione che è fatta alla santa Chiesa! e in guerra ancora corporale! E dove la guerra ogni fedele cristiano debbe essere apparecchiato a mandarla sopra gl'infedeli e li falsi cristiani la fanno l'uno contra l'altro. E così scoppiano li servi di Dio per dolore e amaritudine di vederli tanto offendere per la dannazione dell'anime; che per questa periscono; e le dimonia godono, chè veggono quello che vogliono vedere. Bene è dunque da darci la vita per esempio del Maestro della Verità: e non curare nè onore nè vituperio che 'l mondo ci volesse dare nelle penose pene e morte del corpo. Son certa che se voi sarete vestito dell'uomo nuovo Cristo dolce Gesù, e spogliato del vecchio, cioè della propria sensualità, che voi il farete sollecitamente, perocchè sarete privato del timore servile. Perocchè in altro modo non lo fareste mai; anco cadreste nelli difetti detti di sopra.

Considerando dunque me, che v'era necessario d'essere uomo virile e senza alcuno timore, e privato dell'amore proprio di voi, perchè sete posto da Dio in officio che non richiede timore se non santo; però vi dissi che io desideravodi vedervi uomo virile e non timoroso. Spero nella divina bontà che farà grazia a voi ed a me, cioè d'adempire la volontà sua, e il vostro desiderio ed il mio. Pace, pace, pace, padre carissimo. Ragguardate, voi e gli altri, e fate vedere al Santo Padre più la perdizione dell'anime, che quella delle città; perocchè Dio richiede l'anime più che le città. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



XII - All'Abbate di Sant'Antimo.

Proemio, di Niccolò Tommaseo:
Colle immagini del pastore e dell'ortolano lo conforta a guardare e coltivare le anime, e aver sete del bene loro. Di fanciulle da rinchiudere in modo che a lei piace poco.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi venerabile e reverendissimo padre in Cristo Gesù la vostra figliuola indegna, Catarina serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, si raccomanda; con desiderio di vedervi bagnato, e affogato nel sangue del Figliolo di Dio, il quale sangue ci farà parere ogni amaritudine dolce, e ogni grande peso leggiero, e faravvi seguitare le vestigie di Cristo. Il quale disse che era pastore buono, il quale poneva la vita per le pecorelle sue. E così desidera l'anima mia di vedere voi, padre; cioè che voi siate vero pastore, perduto ad ogni amor proprio di voi medesimo; e con desiderio virile abbiate e teniate l'occhio fisso, che non si serri mai a ragguardare l'onore di Dio e la salute dell'anime. Fate, fate buona guardia, sicchè il dimonio non involi le pecorelle vostre. Oh quanto sarà dolce e soave a voi e a me, se io vedrò che voi non curate nè morte nè vita nè onori nè vituperio nè scherni nè ingiurie nè alcuna persecuzione che il mondo vi potesse dare o i sudditi vostri; e solo attendere e curare delle ingiurieche sono fatte a Dio! E qui ponete, padre carìssimo, tutta la vostra sollecitudine, sicchè dimostriate d'essere pastore buono, e un vero ortolano: pastore per correggere; e ortolano per rivellere la terra sottosopra, e cioè rivellere la disordinata vita nell'ordinata, e divellerne il vizio, epiantarvi le virtù quanto sarà possibile a voi con l'adiutorio della dolce e divina Grazia; la quale viene abbondantemente all'anima che avrà fame e desiderio di Dio.

E questa fame acquisteremo in sul legno della santissima croce; perocchè ine troverete l'Agnello svenato e aperto per noi, con tanta fame e desiderio dell'onore del padre e della salute nostra, che non pare che possa mostrare in effetto per pena nel corpo suo quanto egli ha desiderio di dare. Questo parbe che egli volesse dire, quando gridò in croce Sitio quasi dicesse: «Io ho sì grande sete della vostra salute, che io non mi posso saziare: datemi bere». Dimandava il dolce Gesù di bere coloro ch'egli vedeva che non participavano la redenzione del sangue suo, e non gli fu dato bere altro che amaritudine. Oimè, dolcissimo padre! continuamente vediamo che non tanto al tempo della croce ma poi, e ora continuamente ci addomanda questo bere, e dimostra continua sete. Oimè, disavventurata me! non mi pare che la creatura gli dia altro che amaritudine e puzza di peccati. Adunque bene ci dobbiamo levare con fame e sollicitudine a ragguardare la fame sua, acciocchè inebriata l'anima non possa altro desiderare nè amare, se non quello che Dio ama, e odiare quello che Dio odia: e singolarmente voi che sete pastore. Correte, correte, venerabile padre, senza negligenzia e ignoranzia, perocchè il tempo è breve, ed è nostro.

Mandastemi a dire che avevate trovato l'orto senza piante. Confortatevi, e fate ciò che potete: chè io spero nella bontà di Dio, che l'ortolano dello Spirito Santo fornirà l'orto, e provvederà in questo e in ogni altro bisogno. Mando a voi costui che vi reca la lettera: ragioneravvi di madonna Moranda, donna di messer Francesco da Monte Alcino, che ha per le mani alcuna giovine e fanciulla che ha uno buono desiderio di fare la volontà di Dio; per la quale cosa ella vorrebbe rinchiuderle per modo, che a me non piace troppo. Per la qual cosa io vorrei che voi ed ella fuste insieme; e quanto fosse la vostra possibilità di poterlo fare, trovare uno luogo ordinato, acciocchè si potesse fondare un vero e buono monasterio, e mettervi dentro due buoni capi; perocchè delle membra ne abbiamo assai per le mani. Credo che, facendolo, sarebbe grande onore di Dio. Prego la somma Bontà che ne dispensi il meglio, e voi faccia sollecito in questo e in ogni vostra operazione; in tanto che voi diate la vita per Cristo crocifisso. Pregovi che mi mandiate a dire se 'l monasterio di Santo Giovanni di Valdarno è sotto la cura vostra; per alcuno caso che vi dirà costui che vi reca la lettera. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Io, serva inutile, mi vi raccomando. Gesù dolce, Gesù amore.




XIII - A Marco Bindi, mercatante.

Proemio, di Niccolò Tommaseo:
Bene usando la ragione, acquistasi la buona pazienza. Desiderarla è principio d'averla. Ragioni di lei, sono la fede in Dio; il pensare, anco per umano argomento, che da Dio è ogni cosa; che egli è bene e bontà somma, e il male è tutto da noi; ch'egli ci ama come Creatore e come Salvatore; che il dolore per sè non è male, anzi ci appura e ci affina. Confortandolo a ben patire, lo compatisce, e di nuovo conforta.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù.

Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi fondato in vera e santa pazienzia; perocchè in altro non potremo piacere a Dio, ma perderemo il frutto delle nostre fadighe. E però c'è bisogno questa gloriosa virtù della pazienzia. E se voi mi diceste, carissimo fratello: «io ho le grandi fadighe, e non mi sente forte ad avere questa pazienzia; e non so in che modo acquistarla»; - io vi rispondo che niuno è che voglia seguitare la ragione, che non la possa avere. Ma bene vi confesso che noi siamo fragili e debili per noi medesimi, secondo la sensualità; e specialmente, quando l'uomo ama molto sè, e le creature e la sostanza temporale sensualmente; onde amandole tanto d'un amore tenero sensitivo, quando poi le perde, ne riceve intollerabile pena. Ma Dio, ch'è nostra fortezza, se noi vorremo con la ragione, con la forza della volontà, e con la mano del libero arbitrio conculcare la fragilità nostra; Dio non dispregerà la forza che faremo a noi medesimi per non dolerci disordinatamente; perocchè egli è accettatore de' santi desiderii: e daracci questa dolce e reale virtù, e porteremo ognì fadiga con vera e santa pazienzia. Sicchè vedete che ognuno la può avere, se vorrà usare la ragione che Dio gli ha data, e non seguitare solamente la fragilità: perocchè sa rebbe cosa molto sconvenevole che noi, creature ragionevoli, non usassimo altra ragione che li animali bruti. Però che essi non possono usare la ragione, perchè non l'hanno; ma noi, perchè l'abbiamo, la doviamo usare; e non usandola, veniamo in impazienzia, e scandalizzianci nelle cose che Dìo ha permesse a noi, e così l'offendiamo.

Che modo dunque possiamo tenere ad avere questa pazienzia, poichè io la posso e debbo avere, e senz'essa offenderei Iddio? Quattro cose principali ci conviene avere e considerare. In primo, dico che ci conviene avere il lume della Fede, nel quale lume della Fede santa acquisteremo ogni virtù; e senza questo lume anderemo ìn tenebre, sì come il cieco a cui il dì gli è fatto notte. Cosìl'anima senza questo lume. Quello che Dio ha fatto per amore, il quale amore è uno di lucido sopra ogni luce, ella sel reca a notte, cioè a notte d'odio, tenendo che per odio Dio gli permetta le tribulazioni e le fadighe ch'egli ha. Sicchè dunque vedete che ci conviene avere il lume della santissima Fede.

La seconda cosa si è quella la quale s'acquista con questo lume, ciò è che in verità ci convien credere, e non tanto credere, ma essere certi ch'egli è, e che ogni cosa che ha in sè essere, procede da Dio, eccetto il peccato, che non è. La mala volontà dell'uomo che commette il peccato, non fa egli; ma ogni altra cosa: o per fuoco o per acqua o per altra morte o qualunque altra cosa si sia, ogni cosa procede da lui. E così disse Cristo nel Vangelio, che non cadeva una foglia d'arbore senza la sua providenzia: dicendo ancora più cioè che i capelli del capo nostro sono tutti numerati; e neuno ne cadeva che egli nol sapesse. Se dunque cosi dice delle cose insensibili, molto maggiormente ha cura di noi, creature ragionevoli; e in ciò che egli ci dà e permette, usa la providenzia sua; e ogni cosa è fatta con misterio e per amore, e non per odio.

La terza cosa è questa: ch'eglì ci conviene vedere e cognoscere in verità col lume della Fede, che Dio è somma eterna Bontà, e non può volere altro che il bene; perocchè la volontà sua si è che noi siamo santificati in lui; e ciò ch'egli ci dà e permette, ci dà per questo fine. E se noi di questo dubitassimo ch'egli volesse altro che il nostro bene; dico che noi non ne possiamo dubitare, se noi ragguardiamo il sangue dell'umile e immacolato Agnello, perocchè Cristo, aperto, appenato e afflitto di sete in croce, ci mostra che il sommo ed eterno Padre ci ama inestimabilmente; perocchè, per l'amore ch'egli ebbe a noi, essendo noi fatti nemici per lo peccato commesso, ci donò il Verbo dell'unigenito suo Figliuolo; e il Figliuolo ci diè la vita, correndo come innamorato all'obbrobriosa morte della croce. Chi ne fu cagione? L'amo- re ch'egli ebbe alla salute nostra. Sicchè dunque vedete che il sangue ci tolle ogni dubitazione che noi avessimo, che Dio volesse altro che il nostro bene. E come può la somma Bontà fare altro che bene? Non può. E la somma eterna Providenzia come usera altro che providenzia? Colui che ci ha amati prima che noi fossimo, e per amore ci creò alla imagine e similitudine sua, non può fare ch'egli non ci ami, e che non ci provegga in ogni nostro bisogno nell'anima e nel corpo. Sempre Dio ama, in quanto Creatore, le creature sue; ma solo il peccato è quello ch'egli odia in noi; e però egli ci permette molte fadighe in questa vita sopra li corpi nostri, o nella sustanzia corporale, in diversi modi, secondo ch'egli vede che noi abbiamo bisogno; e siccome vero medico, dà la medicina che bisogna alla nostra infirmità.

E questo fa o per punire i nostri difetti in questo tempo finito, acciocchè meno pene proviamo nell'altra vita, o egli il fa per provare in noi la virtù della pazienzia. Siccome fece a Giob, che per provare la pazienzia sua gli tolse i figliuolie tutta la sustanzia temporale ch'egli aveva, e nel corpo suo diè un'infirmità che continuamente menava vermini. La moglie gli riserbò per sua croce e stimolo; però che sempre tribolava Giob con molta villania e rimprovèrio. E poichè Dio ebbe provata la pazienzia sua, gli restituì a doppio ogni cosa. Giob mai in queste cose non si lagnò: anco diceva: «Dio me le diè, e Dio me l'ha tolte; sia sempre benedetto il nome suo». Alcuna volta Dio ce le permette acciocchè noi conosciamo noi medesimi, e la poca fermezza e stabilità del mondo; e perchè tutte le cose che noi possediamo, e la vita e la sanità, moglie e figliuoli, ricchezze e stati del mondo e delizie del mondo, tutte le possediamo come cose prestate a noi per uso da Dio, e non come cose nostre: e così le doviamo usare. Questo ci è a noi manifesto ch'egli è cosi, perchè neuna cosa possiamo tenere che nostra sia, che non ci possa esser tolta, se non sola la Grazia di Dio. Questa Grazia nè dimoni nè creatura nè per alcuna tribolazione ci può esser tolta, se noi non vogliamo.

Quando l'uomo cognosce questo, cioè la perfezione della Grazia, e l'imperfezione del mondo e della vita nostra corporale; gli viene in odio il mondo con tutte le sue delizie, e la propria fragilità sua, che è cagione spesse volte (quando ama sensitivamente) di tollerci la Grazia: e ama le virtù che sono strumento a conservarci nella Grazia. Sicchè vedete dunque che Dio per amore ce le permette, acciò che con cuore virile ci stacchiamo dal mondo con santa sollecitudine, e col cuore e coll'affetto, e cerchiamo un poco i beni immortali, e abbandoniamo la terra con tutte le puzze sue, e cerchiamo il cielo. Perocchè noi non fummo fatti per nutricarci di terra; ma perchè noi siamo in questa vita come pellegrini che sempre corriamo al termine nostro di vita eterna, con vere e reali virtù: e non ci dobbiamo restare fra via per alcuna prosperità o diletto che 'l mondo ci volesse dare, nè per avversità; ma correre virilmente, e non volgersi a loro nè con disordinata allegrezza nè con impazienzia, ma con pazienzia e santo timore di Dio tutte trapassare. Di grande necessità v'era questa tribolazione; perocchè Dio vi dava il desiderio di sciogliervi de' molti legami, e sviluppare la coscienzia vostra; onde dall'uno lato vi tirava il mondo, e dall'altro Dio.

Ora Dio per grande amore che gli ha alla salute vostra, vi ha sciolto, e datavi la via, se voi la sapete pigliare. A loro hadato vita eterna; e voi chiama col tesoro della tribolazione, perchè voi non ne siate privato, ma perchè in questo punto del tempo che v'è rimasto coguosciate la bontà sua e i difetti vostri. La quarta cosa che ci conviene avere per poter venire a vera pazienzia, è questa: che noi consideriamo i peccati e difetti nostri, e quanto abbiamo offeso Dio, il quale è Bene infinito; per la qual cosa seguiterebbe (non tanto che delle grandi colpe, ma d'una piccola) pena infinita; e degni siamo di mille inferni, considerando che siamo noi miserabi che abbiamo offeso il nostro Creatore. E chi è il dolce Creator nostro che è offeso da noi? Vediamo ch'egli è colui che è Bene infinito; e noi siamo coloro che non siamo per noi medesimi: pero che l'esser nostro, e ogni grazia che è sopra l'essere, abbiamo da lui; però che noi per noi siamo miseri miserabili. E nondimeno che noi meritiamo pena infinita, egli con misericordia ci punisce in questo tempo finito; nel qual tempo portando le fadighe con pazienzia si sconta e si merita.
Che non avviene cosi delle pene che sostiene l'anima nell'altra vita. Perocchè se ella è alle pene del purgatorio, sì sconta e non merita. Bene dobbiamo dunque portare questa piccola fadiga volontariamente. Piccola si può dire questa e ogni altra per la brevità del tempo; perocchè tanto è grande la fadiga, quanto è grande il tempo in questa vita. Quanto è il tempo nostro? è quanto una punta d'aco. Adunque bene è vero ch'ella è piccola; perocchè la fadiga ch'è passata, io non l'ho, perocchè è passato il tempo; quella che è avvenire, anco non l'ho, perocchè non son sicura di avere il tempo, con ciò sia cosa che io debba morire, e non so quando. Solo dunque questo punto del presente c'è, e non più. Adunque bene doviamo portare con grande allegrezza; però che ogni bene è remunerato, e ogni colpa è punita. E Paolo dice: «Non sono condegne le passioni di questa vita a quella futura gloria che riceve l'anima che porta con buona pazienzia». Or a questo modo potrete portare, e acquistare la virtù della vera pazienzia; laquale pazienzia, acquistata per amore col lume della santissima Fede, vi renderà il frutto d'ogni fadiga. In altro modo perdereste il bene della terra e il bene del cielo. Però che altro modo non c'è.

E però vi dissi che desideravo di vedervi fondato in vera e santa pazienzia; e così vi prego che facciate. Abbiate memoria del sangue di Cristo crocifisso; e ogni amaritudine vi tornerà in dolcezza, e ogni gran peso vi tornerà leggiero. E non vogliate eleggere nè tempo nè luogo a vostro modo; ma siate contento nel modo che Dio ve le ha date.

Hovvi avuta compassione del fatto che v'è avvenuto. Secondo l'aspetto, pare molto forte; e nondimeno egli è fatto con gran providenza, e per vostra salute. Pregovi che vi confortiate, e che non veniate meno sotto questa dolce disciplina di Dio. Altro non vi dico, se non che sappiate conoscere il tempo mentre voi l'avete. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



XIV - A tre suoi fratelli in Firenze.

Proemio, di Niccolò Tommaseo:
Ordine della carità. Ordine dell'amorevole soggezione fraterna.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli in Cristo dolce Gesù. Risovviemmi dello smisurato amore che ebbe il nostro dolce Salvatore, che diede a sè la morte per darci la vita della Grazia. Non volse fare altro il nostro dolce Salvatore, se non che, vedendo che noi uscivamo dell'ordine della carità, per renderci questa unione della carità, volse essere unito con la più vituperosa morte che potesse eleggere. Oimè, che il nostro Salvatore vedeva noi infermati per lo appetito disordinato che noi abbiamo in noi medesimi a queste cose transitorie, che passano come il vento, e vengono meno, o elle a noi o noi a loro. E però vi prego io, indegna serva e inutile, Catarina, che voi vogliate porre la vostra speranza in Dio, e non fidarvi di questa vita mortale che vien meno. Pregovi, come servi ricomperati, che il vostro desiderio e l'affetto dell'anima vostra voi il poniate con ogni sollecitudine al Signore vostro, che v'ha ricomperati, come dice Santo Pietro: «Non v'ha ricomperati d'oro nè d'argento, ma del suo dolcissimo sangue prezioso».

E però vi prego, fratelli carissimi, che voi questo dolce prezzo teniate molto caro, cioè che l'amiate; e per dimostrare che voi l'amiate, sempre siate amatori e osser- vatori de' comandamenti di Dio. E singolarmente vi prego e costringo, da parte di Cristo crocifisso, del primo ed ultimo comandamento di Dio, cioè della carità e dell'unione di Dio. Di questa carità santa io vi voglio vedere tutti innamorati, e piene l'anime vostre. E questo è l'animo mio. Volendomi voi mostrare questa carità, sempre vi voglio vedere uniti e legati con questo dolce vincolo; acciocchè nè dimonio nè detto di neuna persona vi possa partire.

Ricordomi della parola che disse Gesù Cristo: «che chi si umilia, sarà esaltato». Benincasa, tu che sei il maggiore, che tu vogli essere il minore di tutti; e tu, Bartolomeo, che voglia essere il minore del minore; e te, Stefano, prego che tu sia subiugato a Dio ed a loro. E così dolcemente vi conserverete in perfettissima carità. Dio vi dia sempre la sua perfettissima Grazia. Altro non vi scrivo. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)