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I. I carismi secondo il Nuovo Testamento

Grazia e carisma

4. «Carisma» è la trascrizione della parola greca chárisma, il cui uso è frequente nelle Lettere paoline e compare anche nella prima Lettera di Pietro. Esso ha il senso generale di «dono generoso» e nel Nuovo Testamento è usato soltanto in riferimento a doni che provengono da Dio. In alcuni passi, il contesto gli conferisce un senso più preciso (cf. Rm 12, 6; 1 Cor 12, 4. 31; 1 Pt 4, 10), il cui tratto fondamentale è la distribuzione differenziata di doni [12]. Esso costituisce anche il senso prevalente nelle lingue moderne delle parole derivate da questo vocabolo greco. Ogni singolo carisma non è un dono accordato a tutti (cf. 1 Cor 12, 30), a differenza delle grazie fondamentali, come la grazia santificante, o i doni della fede, della speranza e della carità, che sono invece indispensabili ad ogni cristiano. I carismi sono doni particolari che lo Spirito distribuisce «come vuole» (1 Cor 12, 11). Per rendere conto della necessaria presenza dei diversi carismi nella Chiesa, i due testi più espliciti (Rm 12, 4-8; 1 Cor 12, 12-30) adoperano il paragone del corpo umano: «Come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi» (Rm 12, 4-6). Tra le membra del corpo, la diversità non costituisce un’anomalia da evitare, ma al contrario è una necessità benefica, che rende possibile l’espletamento delle diverse funzioni vitali. «Se tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo» (1 Cor 12, 19-20). Una stretta relazione tra i carismi particolari (charísmata) e la grazia (cháris) di Dio viene affermata da Paolo in Rm 12, 6 e da Pietro in 1 Pt 4, 10 [13]. I carismi vengono riconosciuti come una manifestazione della «multiforme grazia di Dio» (1 Pt 4, 10). Non si tratta, quindi, di semplici capacità umane. La loro origine divina viene espressa in diversi modi: secondo alcuni testi essi provengono da Dio (cf. Rm12, 3; 1 Cor 12, 28; 2 Tm 1, 6; 1 Pt 4, 10); secondo Ef 4, 7, provengono da Cristo; secondo 1 Cor 12, 4-11, dallo Spirito. Poiché quest’ultimo passo è il più insistente (nomina sette volte lo Spirito), i carismi vengono solitamente presentati come «manifestazione dello Spirito» (1 Cor 12, 7). È chiaro, tuttavia, che questa attribuzione non è esclusiva e non contraddice le due precedenti. I doni di Dio implicano sempre l’intero orizzonte trinitario, come è stato sempre affermato dalla teologia fin dai suoi inizi, sia in occidente che in oriente [14].

Doni elargiti «ad utilitatem» e il primato della carità

5. In 1 Cor 12, 7 Paolo dichiara che «la manifestazione dello Spirito è data a ciascuno per l’utilità». Molti traduttori aggiungono: «per l’utilità comune», perché la maggior parte dei carismi menzionati dall’Apostolo, anche se non tutti, hanno direttamente un’utilità comune. Questa destinazione all’edificazione di tutti è stata ben compresa, ad esempio da Basilio Magno, quando dice: «E questi doni ciascuno li riceve più per gli altri che per sé stesso […]. Nella vita comune è necessario che la forza dello Spirito Santo data all’uno venga trasmessa a tutti. Chi vive per conto suo, può forse avere un carisma, ma lo rende inutile conservandolo inattivo, perché lo ha sotterrato dentro di sé» [15]. Paolo, comunque, non esclude che un carisma possa essere utile soltanto alla persona che l’ha ricevuto. Tale è il caso del parlare in lingue, differente sotto questo aspetto dal dono della profezia [16]. I carismi che hanno un’utilità comune, siano essi carismi di parola (di sapienza, di conoscenza, di profezia, di esortazione) o di azione (di potenza, di ministero, di governo), hanno anche una utilità personale, perché il loro servizio al bene comune favorisce in coloro che ne sono portatori il progresso nella carità. Paolo osserva, in proposito, che, se manca la carità, anche i carismi più elevati non giovano alla persona che li riceve (cf. 1 Cor 13, 1-3). Un passo severo del Vangelo di Matteo (cf. Mt 7, 22-23) esprime la stessa realtà: l’esercizio di carismi vistosi (profezie, esorcismi, miracoli) può purtroppo coesistere con l’assenza di una relazione autentica con il Salvatore. Di conseguenza, tanto Pietro quanto Paolo insistono sulla necessità di orientare tutti i carismi alla carità. Pietro offre una regola generale: «mettere il carisma ricevuto al servizio gli uni degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio» (1 Pt 4, 10). Paolo si preoccupa in particolare dell’impiego dei carismi nei raduni della comunità cristiana e dice: «tutto si faccia per l’edificazione» (1 Cor 14, 26).

La varietà dei carismi

6. In alcuni testi troviamo un elenco di carismi, talvolta sommario (cf. 1 Pt 4, 10), altre volte più dettagliato (cf. 1 Cor 12, 8-10. 28-30; Rm 12, 6-8). Tra quelli elencati vi sono doni eccezionali (di guarigione, di opere di potenza, di varietà di lingue) e doni ordinari (di insegnamento, di servizio, di beneficenza), ministeri per la guida delle comunità (cf. Ef 4, 11) e doni concessi per mezzo dell’imposizione delle mani (cf. 1 Tm 4, 14; 2 Tm 1, 6). Non è sempre chiaro se tutti questi doni siano considerati o meno come «carismi» propriamente detti. I doni eccezionali, menzionati ripetutamente in 1 Cor 12-14, spariscono infatti dai testi posteriori; l’elenco di Rm 12, 6-8 presenta soltanto carismi meno vistosi, che hanno un’utilità costante per la vita della comunità cristiana. Nessuna di queste liste pretende la completezza. Altrove, ad esempio, Paolo suggerisce che la scelta del celibato per amore di Cristo sia intesa come frutto di un carisma, così come quella del matrimonio (cf. 1 Cor 7, 7, nel contesto di tutto il capitolo). Le sue sono esemplificazioni che dipendono dal grado di sviluppo raggiunto dalla Chiesa di quel tempo e che sono quindi suscettibili di ulteriori aggiunte. La Chiesa, infatti, sempre cresce nel tempo grazie all’azione vivificante dello Spirito.

Il buon esercizio dei carismi nella comunità ecclesiale

7. Da quanto rilevato, appare evidente che non si dà nei testi scritturistici una contrapposizione tra i diversi carismi, ma piuttosto una loro armonica connessione e complementarietà. L’antitesi tra una Chiesa istituzionale di tipo giudeo-cristiano e una Chiesa carismatica di tipo paolino, affermata da certe interpretazioni ecclesiologiche riduttive, non trova in realtà un fondamento adeguato nei brani del Nuovo Testamento. Lungi dal situare i carismi da una parte e le realtà istituzionali dall’altra, o dall’opporre una Chiesa “della carità” ad una Chiesa “dell’istituzione”, Paolo raccoglie in un unico elenco coloro che sono portatori di carismi di autorità e insegnamento, di carismi che giovano alla vita ordinaria della comunità e di carismi più clamorosi [17]. Lo stesso Paolo descrive il suo ministero di Apostolo come «ministero dello Spirito» (2 Cor 3, 8). Egli si sente investito dell’autorità (exousía), donatagli dal Signore (cf. 2 Cor 10, 8; 13, 10), un’autorità che si estende anche nei confronti dei carismatici. Sia lui che Pietro donano ai carismatici delle istruzioni sul modo con cui esercitare i carismi. Il loro atteggiamento è anzitutto di accoglienza favorevole; si mostrano convinti dell’origine divina dei carismi; non li considerano tuttavia come doni che autorizzino a sottrarsi all’obbedienza verso la gerarchia ecclesiale o conferiscano il diritto ad un ministero autonomo. Paolo si mostra consapevole degli inconvenienti che un esercizio disordinato dei carismi può provocare nella comunità cristiana [18]. L’Apostolo quindi interviene con autorità per stabilire regole precise per l’esercizio dei carismi «nella Chiesa» (1 Cor 14, 19. 28), cioè nei raduni della comunità (cf. 1 Cor 14, 23. 26). Egli limita, ad esempio, l’esercizio della glossolalia [19]. Regole simili vengono date anche per il dono della profezia (cf. 1 Cor 14, 29-31) [20].

Doni gerarchici e carismatici

8. In sintesi, da un esame dei testi biblici riguardo ai carismi, risulta che il Nuovo Testamento, pur non offrendo un insegnamento sistematico completo, presenta affermazioni di grande importanza che orientano la riflessione e la prassi ecclesiale. Si deve anche riconoscere che non vi troviamo un uso univoco del termine “carisma”; piuttosto occorre constatare una varietà di significati, che la riflessione teologica e il Magistero aiutano a comprendere nell’ambito di una visione complessiva del mistero della Chiesa. Nel presente documento l’attenzione viene posta sul binomio evidenziato nel n. 4 della Costituzione dogmatica Lumen gentium, ove si parla di «doni gerarchici e carismatici», i rapporti tra i quali appaiono stretti e articolati. Essi hanno la stessa origine e lo stesso scopo. Sono doni di Dio, dello Spirito Santo, di Cristo, dati per contribuire, in modi diversi, all’edificazione della Chiesa. Chi ha ricevuto il dono di guidare nella Chiesa ha anche il compito di vigilare sul buon esercizio degli altri carismi, in modo che tutto concorra al bene della Chiesa e alla sua missione evangelizzatrice, ben sapendo che è lo Spirito Santo a distribuire i doni carismatici a ciascuno come vuole (cf. 1 Cor 12, 11). Lo stesso Spirito dona alla gerarchia della Chiesa la capacità di discernere i carismi autentici, di accoglierli con gioia e gratitudine, di promuoverli con generosità e di accompagnarli con vigilante paternità. La storia stessa ci testimonia la pluriformità dell’azione dello Spirito, mediante la quale la Chiesa, edificata «sopra il fondamento degli Apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù» (Ef 2, 20), vive la sua missione nel mondo.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)