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II. La relazione tra doni gerarchici e carismatici nel Magistero recente

Il Concilio Vaticano II

9. Il sorgere dei differenti carismi non è mai venuto meno nel corso della secolare storia ecclesiale e, tuttavia, solo in epoca recente si è sviluppata una sistematica riflessione su di essi. Al riguardo, uno spazio significativo alla dottrina dei carismi è rinvenibile nel Magistero espresso da Pio XII nella Lettera enciclica Mystici corporis [21], mentre un passo decisivo nella comprensione adeguata della relazione tra doni gerarchici e carismatici viene compiuto con gli insegnamenti del Concilio Vaticano II. I passaggi rilevanti a questo proposito [22] indicano nella vita della Chiesa, oltre alla Parola di Dio, scritta e trasmessa, ai Sacramenti e al ministero gerarchico ordinato, la presenza di doni, di grazie speciali o carismi, elargiti dallo Spirito tra i fedeli di ogni condizione. Il passaggio emblematico a questo proposito è quello offerto da Lumen gentium, n. 4: «Lo Spirito […] guida la Chiesa verso la verità tutta intera (cf. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel servizio, la costruisce e la dirige mediante i diversi doni gerarchici e carismatici, e la arricchisce dei suoi frutti (cf. Ef 4,11-12; 1 Cor 12, 4; Gal 5, 22)» [23].In tal modo la Costituzione dogmatica Lumen gentium, nel presentare i doni del medesimo Spirito, mediante la distinzione tra i doni gerarchici e quelli carismatici, sottolinea la loro differenza nell’unità. Significative appaiono anche le affermazioni in Lumen gentium, n. 12 circa la realtà carismatica, nel contesto della partecipazione del Popolo di Dio all’ufficio profetico di Cristo, in cui si riconosce come lo Spirito Santo non si limiti «a santificare e a guidare il Popolo di Dio per mezzo dei Sacramenti e dei ministeri, e ad adornarlo di virtù», ma «dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi vari incarichi e uffici utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa».

Infine, si descrive la loro pluriformità e provvidenzialità: «questi carismi, dai più straordinari a quelli più semplici e più largamente diffusi, siccome sono soprattutto adatti alle necessità della Chiesa e destinati a rispondervi, vanno accolti con gratitudine e consolazione» [24]. Riflessioni analoghe si trovano anche nel Decreto conciliare sull’apostolato dei laici [25]. Il medesimo documento afferma come tali doni non debbano essere ritenuti facoltativi nella vita della Chiesa; piuttosto «dall'aver ricevuto questi carismi, anche i più semplici, sorge per ogni credente il diritto e il dovere di esercitarli per il bene degli uomini e ad edificazione della Chiesa, sia nella Chiesa stessa che nel mondo con la libertà dello Spirito» [26]. Pertanto, gli autentici carismi vanno considerati come doni di importanza irrinunciabile per la vita e per la missione ecclesiale. E’ costante, infine, nell’insegnamento conciliare, il riconoscimento del ruolo essenziale dei pastori nel discernimento dei carismi e per il loro esercizio ordinato all’interno della comunione ecclesiale [27].

Il Magistero postconciliare

10. Nel periodo successivo al Concilio Vaticano II, gli interventi del Magistero a questo proposito si sono moltiplicati [28]. A ciò ha contribuito la crescente vitalità di nuovi movimenti, aggregazioni di fedeli e comunità ecclesiali, insieme all’esigenza di precisare la collocazione della vita consacrata all’interno della Chiesa [29]. Giovanni Paolo II nel suo Magistero ha insistito particolarmente sul principio della coessenzialità di questi doni: «Più volte ho avuto modo di sottolineare come nella Chiesa non ci sia contrasto o contrapposizione tra la dimensione istituzionale e la dimensione carismatica, di cui i Movimenti sono un'espressione significativa. Ambedue sono co-essenziali alla costituzione divina della Chiesa fondata da Gesù, perché concorrono insieme a rendere presente il mistero di Cristo e la sua opera salvifica nel mondo» [30]. Papa Benedetto XVI, oltre a ribadire la loro coessenzialità, ha approfondito l’affermazione del Suo predecessore, ricordando che «nella Chiesa anche le istituzioni essenziali sono carismatiche e d’altra parte i carismi devono in un modo o nell’altro istituzionalizzarsi per avere coerenza e continuità. Così, ambedue le dimensioni, originate dallo stesso Spirito Santo per lo stesso Corpo di Cristo, concorrono insieme a rendere presente il mistero e l’opera salvifica di Cristo nel mondo» [31]. I doni gerarchici e quelli carismatici risultano in tal modo reciprocamente relazionati fin dalla loro origine. Il Santo Padre Francesco, infine, ha ricordato «l’armonia» che lo Spirito crea tra i diversi doni, e ha richiamato le aggregazioni carismatiche all’apertura missionaria, alla necessaria obbedienza ai pastori e all’immanenza ecclesiale [32], poiché «è all’interno della comunità che sbocciano e fioriscono i doni di cui ci ricolma il Padre; ed è in seno alla comunità che si impara a riconoscerli come un segno del suo amore per tutti i suoi figli» [33]. In definitiva, è dunque possibile riconoscere una convergenza del recente Magistero ecclesiale sulla coessenzialità tra doni gerarchici e carismatici. Una loro contrapposizione, come anche una loro giustapposizione, sarebbe sintomo di una erronea o insufficiente comprensione dell’azione dello Spirito Santo nella vita e nella missione della Chiesa.

III. Il fondamento teologico della relazione tra doni gerarchici e carismatici

Orizzonte trinitario e cristologico dei doni dello Spirito Santo

11. Per poter cogliere le ragioni profonde della relazione tra doni gerarchici e carismatici è opportuno richiamare il suo fondamento teologico. Infatti, la necessità di superare ogni sterile contrapposizione o estrinseca giustapposizione tra doni gerarchici e carismatici, è richiesta dalla stessa economia della salvezza, che comprende la relazione intrinseca tra le missioni del Verbo incarnato e dello Spirito Santo. In realtà, ogni dono del Padre implica il riferimento all’azione congiunta e differenziata delle missioni divine: ogni dono viene dal Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo. Il dono dello Spirito nella Chiesa è legato alla missione del Figlio, compiutasi insuperabilmente nel suo mistero pasquale. Gesù stesso relaziona il compimento della sua missione all’invio dello Spirito nella comunità dei credenti [34]. Per questo lo Spirito Santo non può in alcun modo inaugurare una economia diversa rispetto a quella delLogos divino incarnato, crocifisso e risorto [35]. Infatti, tutta l’economia sacramentale della Chiesa è la realizzazione pneumatologica dell’Incarnazione: perciò lo Spirito Santo viene considerato dalla Tradizione come l’anima della Chiesa, Corpo di Cristo. L’azione di Dio nella storia implica sempre la relazione tra il Figlio e lo Spirito Santo, che Ireneo di Lione chiama suggestivamente «le due mani del Padre» [36]. In tal senso, ogni dono dello Spirito non può che essere in relazione al Verbo fatto carne [37].

Il legame originario tra i doni gerarchici, conferiti con la grazia sacramentale dell’Ordine, e i doni carismatici, liberamente distribuiti dallo Spirito Santo, ha pertanto la sua radice ultima nella relazione tra il Logos divino incarnato e lo Spirito Santo, che è sempre Spirito del Padre e del Figlio. Proprio per evitare visioni teologiche equivoche che postulerebbero una «Chiesa dello Spirito», diversa e separata dalla Chiesa gerarchica-istituzionale, occorre ribadire come le due missioni divine si implichino vicendevolmente in ogni donoelargito alla Chiesa. In realtà, la missione di Gesù Cristo implica, già al suo interno, l’azione dello Spirito. Giovanni Paolo II, nella sua Lettera enciclica sullo Spirito Santo, Dominum et vivificantem, aveva mostrato l’importanza decisiva dell’azione dello Spirito nella missione del Figlio [38]. Benedetto XVI lo ha approfondito nella Esortazione apostolica Sacramentum caritatis, ricordando che il Paraclito «operante già nella creazione (cf. Gn 1, 2), è pienamente presente in tutta l'esistenza del Verbo incarnato». Gesù Cristo «è concepito dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo (cf. Mt 1, 18; Lc 1, 35); all'inizio della sua missione pubblica, sulle rive del Giordano, lo vede scendere su di sé in forma di colomba (cf. Mt 3, 16 e par); in questo stesso Spirito, egli agisce, parla ed esulta (cf.Lc 10, 21); ed è in Lui che Egli può offrire se stesso (cf. Eb 9, 14). Nei cosiddetti “discorsi di addio”, riportati da Giovanni, Gesù mette in chiara relazione il dono della sua vita nel mistero pasquale con il dono dello Spirito ai suoi (cf. Gv 16, 7). Una volta risorto, portando nella sua carne i segni della passione, Egli può effondere lo Spirito (cf. Gv 20, 22), rendendo i suoi discepoli partecipi della sua stessa missione (cf. Gv 20, 21). Sarà poi lo Spirito ad insegnare loro ogni cosa e a ricordare tutto ciò che Cristo ha detto (cf. Gv14, 26), perché spetta a Lui, in quanto Spirito di verità (cf. Gv 15, 26), introdurre i discepoli alla verità tutta intera (cf. Gv 16, 13). Nel racconto degli Atti, lo Spirito discende sugli Apostoli radunati in preghiera con Maria nel giorno di Pentecoste (cf. 2, 1-4), e li anima alla missione di annunciare a tutti i popoli la buona novella» [39].

L’azione dello Spirito Santo nei doni gerarchici e carismatici

12. Rilevare l’orizzonte trinitario e cristologico dei doni divini illumina anche la relazione tra doni gerarchici e carismatici. Infatti, nei doni gerarchici, in quanto legati al sacramento dell’Ordine, appare in primo piano la relazione con l’agire salvifico di Cristo, come ad esempio l’istituzione dell’Eucarestia (cf. Lc 22, 19s; 1 Cor 11, 25), il potere di rimettere i peccati (cf. Gv 20, 22s), il mandato apostolico con il compito di evangelizzare e di battezzare (cf. Mc 16, 15s; Mt 28, 18-20); è altrettanto manifesto che nessun sacramento può essere conferito senza l’azione dello Spirito Santo [40]. D’altra parte i doni carismatici elargiti dallo Spirito, «che soffia dove vuole» (Gv 3, 8) e distribuisce i suoi doni «come vuole» (1 Cor 12, 11), sono obiettivamente in rapporto alla vita nuova in Cristo, in quanto «ciascuno per la sua parte» (1 Cor 12, 27) è membro del suo Corpo. Pertanto, la giusta comprensione dei doni carismatici avviene solo in riferimento alla presenza di Cristo ed al suo servizio; come ha affermato Giovanni Paolo II, «i veri carismi non possono che tendere all’incontro con Cristo nei Sacramenti» [41]. I doni gerarchici e quelli carismatici, dunque, appaiono uniti in riferimento all’intrinseco rapporto tra Gesù Cristo e lo Spirito Santo. Il Paraclito è, contemporaneamente, Colui che diffonde efficacemente, attraverso i Sacramenti, la grazia salvifica offerta da Cristo morto e risorto, e Colui che elargisce i carismi. Nella tradizione liturgica dei cristiani d’Oriente, e specialmente in quella siriaca, il ruolo dello Spirito Santo, rappresentato con l’immagine del fuoco, aiuta a rendere tutto questo assai manifesto. Il grande teologo e poeta Efrem il Siro dice infatti «il fuoco di compassione è sceso e ha preso dimora nel pane» [42], indicando la sua azione trasformante relativa non solo ai doni ma anche riguardo ai credenti che mangeranno il pane eucaristico. La prospettiva orientale, con l’efficacia delle sue immagini, ci aiuta a comprendere come, accostandoci all’Eucarestia, Cristo ci dona lo Spirito. Lo stesso Spirito, poi, per mezzo della sua azione nei credenti, alimenta la vita in Cristo, conducendoli di nuovo a una più profonda vita sacramentale, soprattutto nell’Eucarestia. In tal modo, l’azione libera della Santissima Trinità nella storia raggiunge i credenti con il dono della salvezza ed al contempo li anima perché vi corrispondano liberamente e pienamente con l’impegno della propria vita.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)