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IV. La relazione tra doni gerarchici e carismatici 
nella vita e nella missione della Chiesa

Nella Chiesa come mistero di comunione

13. La Chiesa si presenta come «un popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» [43], nel quale la relazione tra doni gerarchici e carismatici appare finalizzata alla piena partecipazione dei fedeli alla comunione e alla missione evangelizzatrice. A questa vita nuova siamo stati gratuitamente predestinati in Cristo (cf. Rm 8, 29-31; Ef 1, 4-5). Lo Spirito Santo «produce questa meravigliosa comunione dei fedeli e li unisce tutti così intimamente in Cristo, da essere il principio dell'unità della Chiesa» [44]. È nella Chiesa, infatti, che gli uomini vengono convocati per divenire membra di Cristo [45] ed è nella comunione ecclesiale che si uniscono in Cristo, come membra gli uni degli altri. Comunione è sempre «una duplice partecipazione vitale: l'incorporazione dei cristiani nella vita di Cristo, e la circolazione della medesima carità in tutta la compagine dei fedeli, in questo mondo e nell'altro. Unione a Cristo ed in Cristo; e unione fra i cristiani, nella Chiesa» [46]. In questo senso il mistero della Chiesa risplende «in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» [47]. Qui appare la radice sacramentale della Chiesa come mistero di comunione: «Si tratta fondamentalmente della comunione con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nello Spirito Santo. Questa comunione si ha nella parola di Dio e nei Sacramenti. Il Battesimo», in stretta unità con la Confermazione, «è la porta ed il fondamento della comunione nella Chiesa. L'Eucaristia è la fonte ed il culmine di tutta la vita cristiana» [48]. Questi sacramenti dell’iniziazione sono costitutivi della vita cristiana e su di essi poggiano i doni gerarchici e carismatici. La vita della comunione ecclesiale, così internamente ordinata, vive nel continuo ascolto religioso della Parola di Dio ed è nutrita dai Sacramenti. La stessa Parola di Dio si presenta a noi profondamente legata ai Sacramenti, in particolare all’Eucaristia [49], all’interno dell’unico orizzonte sacramentale della Rivelazione. La tradizione orientale, vede la Chiesa, Corpo di Cristo animato dallo Spirito Santo, come unità ordinata, la qual cosa si esprime anche a livello dei suoi doni. La presenza efficace dello Spirito nel cuore dei credenti (cf. Rm 5, 5) è la radice di questa unità anche per le manifestazioni carismatiche [50]. I carismi donati ai singoli, infatti, fanno parte della medesima Chiesa e sono destinati ad una più intensa vita ecclesiale. Tale prospettiva appare anche negli scritti di John Henry Newman: «Così il cuore di ogni cristiano dovrebbe rappresentare in miniatura la Chiesa cattolica, poiché un solo Spirito fa l’intera Chiesa e fa di ogni suo membro il suo Tempio» [51]. Ciò rende ancora più evidente il motivo per cui non sono legittime né contrapposizioni, né giustapposizioni tra doni gerarchici e doni carismatici.

In sintesi, la relazione tra i doni carismatici e la struttura sacramentale ecclesiale conferma la coessenzialità tra doni gerarchici - di per sé stabili, permanenti ed irrevocabili – e doni carismatici. Benché questi ultimi nelle loro forme storiche non siano mai garantiti per sempre [52], la dimensione carismatica non può mai mancare alla vita ed alla missione della Chiesa.

Identità dei doni gerarchici

14. In ordine alla santificazione di ogni membro del Popolo di Dio e alla missione della Chiesa nel mondo, tra i diversi doni, «eccelle la grazia degli Apostoli, alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici» [53]. Gesù Cristo stesso ha voluto che vi fossero doni gerarchici per assicurare la contemporaneità della sua unica mediazione salvifica: «gli Apostoli sono stati riempiti da Cristo con una speciale effusione dello Spirito Santo disceso su di loro (cf. Atti 1, 8; 2, 4; Gv 20, 22-23), ed essi stessi con l’imposizione delle mani diedero questo dono spirituale ai loro collaboratori (cf. 1 Tim 4, 14; 2 Tim 1, 6-7)» [54]. Pertanto, il conferimento dei doni gerarchici deve essere fatto risalire innanzitutto alla pienezza del sacramento dell’Ordine, data con la consacrazione episcopale, che comunica «coll’ufficio di santificare, gli uffici di insegnare e governare, i quali però, per loro natura, non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica col Capo e con le membra del Collegio» [55]. Per questo, «nella persona dei vescovi, assistiti dai sacerdoti, è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo […]; per mezzo dell'eccelso loro ministero, predica la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i Sacramenti della fede; per mezzo del loro ufficio paterno (cf. 1 Cor 4, 15) integra nuove membra al suo corpo con la rigenerazione soprannaturale; e infine, con la loro sapienza e prudenza, dirige e ordina il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l'eterna beatitudine» [56]. La tradizione cristiana orientale, così vivamente legata ai Padri, legge tutto ciò nella sua peculiare concezione della taxis. Secondo Basilio Magno, è evidente che l’ordinamento della Chiesa è opera dello Spirito Santo, e lo stesso ordine (taxis) in cui Paolo elenca i carismi (cf. 1 Cor 12, 28) «è secondo la ripartizione dei doni dello Spirito»[57], indicando come primo quello degli Apostoli. A partire dal riferimento alla consacrazione episcopale, si comprendono anche i doni gerarchici in riferimento agli altri gradi dell’Ordine; innanzitutto quelli dei presbiteri, che sono «consacrati per predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino» e «sotto l’autorità del vescovo, santificano e governano la porzione di gregge del Signore loro affidata» e, diventando a loro volta «modelli del gregge, presiedano e servano alla loro comunità locale» [58]. Per i vescovi e i presbiteri, nel sacramento dell’Ordine, l’unzione sacerdotale «li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in persona di Cristo Capo» [59]. Ad essi si devono aggiungere i doni dati ai diaconi, «ai quali sono state imposte le mani non per il sacerdozio ma per il ministero»; e che «sostenuti dalla grazia sacramentale, nel ministero della liturgia, della predicazione e della carità servono il Popolo di Dio, in comunione con il vescovo e con i suoi sacerdoti» [60]. In sintesi, i doni gerarchici propri del sacramento dell’Ordine, nei suoi diversi gradi, sono dati affinché nella Chiesa come comunione non manchino mai ad ogni fedele l’offerta obiettiva della grazia nei Sacramenti, l’annuncio normativo della Parola di Dio e la cura pastorale.

Identità dei doni carismatici

15. Se dall’esercizio dei doni gerarchici è assicurata, lungo la storia, l’offerta della grazia di Cristo in favore dell’intero Popolo di Dio, tutti i fedeli sono chiamati ad accoglierla e a corrispondervi personalmente nelle circostanze concrete della propria vita. I doni carismatici, pertanto, sono distribuiti liberamente dallo Spirito Santo affinché la grazia sacramentale porti frutto nella vita cristiana in modo diversificato e a tutti i suoi livelli. Essendo questi carismi «soprattutto adatti alle necessità della Chiesa e destinati a rispondervi» [61], attraverso la loro multiforme ricchezza il Popolo di Dio può vivere in pienezza la missione evangelizzatrice, scrutando i segni dei tempi ed interpretandoli alla luce del Vangelo [62]. I doni carismatici, infatti, muovono i fedeli a rispondere, in piena libertà e in modo adeguato ai tempi, al dono della salvezza, facendo di se stessi un dono d’amore per gli altri e una testimonianza autentica del Vangelo di fronte a tutti gli uomini.

I doni carismatici condivisi

16. In questo contesto è utile ricordare quanto diversi possano essere i doni carismatici fra loro, non solo a motivo dei loro caratteri specifici ma anche per la loro estensione nella comunione ecclesiale. I doni carismatici «sono dati alla persona singola, ma possono anche essere condivisi da altri e in tal modo vengono continuati nel tempo come una preziosa e viva eredità, che genera una particolare affinità spirituale tra le persone» [63]. La relazione tra il carattere personale del carisma e la possibilità di parteciparvi esprime un elemento decisivo della sua dinamica, in quanto riguarda il rapporto che nella comunione ecclesiale lega sempre la persona e la comunità [64]. I doni carismatici nella loro pratica possono generare affinità, prossimità e parentele spirituali attraverso le quali il patrimonio carismatico, a partire dalla persona del fondatore, viene partecipato ed approfondito, dando vita a vere e proprie famiglie spirituali. Le aggregazioni ecclesiali, nelle loro diverse forme, si presentano come doni carismatici condivisi. Movimenti ecclesiali e nuove comunità mostrano come un determinato carisma originario possa aggregare dei fedeli ed aiutarli a vivere pienamente la propria vocazione cristiana e il proprio stato di vita al servizio della missione ecclesiale. Le forme concrete e storiche di tale condivisione possono essere in sé differenziate; motivo per cui da un carisma originario, fondazionale, si possono dare, come mostra la storia della spiritualità, diverse fondazioni.

Il riconoscimento da parte dell’autorità ecclesiastica

17. Tra i doni carismatici, liberamente distribuiti dallo Spirito, ve ne sono moltissimi accolti e vissuti dalla persona all’interno della comunità cristiana che non necessitano di particolari regolamentazioni. Quando un dono carismatico, invece, si presenta come «carisma originario» o «fondazionale», allora esso ha bisogno di un riconoscimento specifico, perché tale ricchezza si articoli adeguatamente nella comunione ecclesiale e si trasmetta fedelmente nel tempo. Qui emerge il decisivo compito di discernimento che è di pertinenza dell’autorità ecclesiastica [65]. Riconoscere l’autenticità del carisma non è sempre un compito facile, ma è un servizio doveroso che i Pastori sono tenuti ad effettuare. I fedeli, infatti, hanno il «diritto di essere avvertiti dai Pastori sulla autenticità dei carismi e sulla affidabilità di coloro che si presentano come loro portatori» [66]. L’autorità dovrà, a tale scopo, essere consapevole della effettiva imprevedibilità dei carismi suscitati dallo Spirito Santo, valorizzandoli secondo la regola della fede in vista della edificazione della Chiesa [67]. Si tratta di un processo che si protrae nel tempo e che richiede passaggi adeguati per la loro autenticazione, passando attraverso un serio discernimento fino al riconoscimento ecclesiale della loro genuinità. La realtà aggregativa che sorge da un carisma deve avere opportunamente un tempo di sperimentazione e di sedimentazione, che vada oltre l’entusiasmo degli inizi verso una configurazione stabile. In tutto l’itinerario di verifica, l’autorità della Chiesa deve accompagnare benevolmente la nuova realtà aggregativa. Si tratta di un accompagnamento da parte dei Pastori che non verrà mai meno, poiché non viene mai meno la paternità di coloro che nella Chiesa sono chiamati a essere i vicari di Colui che è il Buon Pastore, il cui amore sollecito non smette mai di accompagnare il suo gregge.

Criteri per il discernimento dei doni carismatici

18. In questo quadro possono essere richiamati alcuni criteri per il discernimento dei doni carismatici in riferimento alle aggregazioni ecclesiali che il Magistero della Chiesa ha messo in evidenza lungo gli ultimi anni. Tali criteri hanno lo scopo di aiutare il riconoscimento di un’autentica ecclesialità dei carismi.

a) Primato della vocazione di ogni cristiano alla santità. Ogni realtà che nasce dalla partecipazione di un carisma autentico deve essere sempre strumento di santità nella Chiesa e, dunque, di incremento della carità e di autentica tensione verso la perfezione dell’amore [68].

b) Impegno alla diffusione missionaria del Vangelo. Le realtà carismatiche autentiche sono «regali dello Spirito integrati nel corpo ecclesiale, attratti verso il centro che è Cristo, da dove si incanalano in una spinta evangelizzatrice» [69]. In tal modo, esse devono realizzare «la conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa», manifestando un chiaro «slancio missionario che rende sempre più soggetti di una nuova evangelizzazione» [70].

c) Confessione della fede cattolica. Ogni realtà carismatica deve essere luogo di educazione alla fede nella sua integralità, «accogliendo e proclamando la verità su Cristo, sulla Chiesa e sull'uomo in obbedienza al Magistero della Chiesa, che autenticamente la interpreta» [71]; pertanto si dovrà evitare di avventurarsi «oltre (proagon) la dottrina e la comunità ecclesiale»; infatti se «non si rimane in esse, non si è uniti al Dio di Gesù Cristo (cf.2 Gv9)» [72].

d) Testimonianza di una comunione fattiva con tutta la Chiesa. Questo comporta una «relazione filiale con il Papa, perpetuo e visibile centro dell'unità della Chiesa universale, e con il vescovo “principio visibile e fondamento dell'unità” della Chiesa particolare» [73]. Ciò implica la «leale disponibilità ad accogliere i loro insegnamenti dottrinali e orientamenti pastorali» [74], come anche «la disponibilità a partecipare ai programmi e alle attività della Chiesa a livello sia locale sia nazionale o internazionale; l'impegno catechetico e la capacità pedagogica nel formare i cristiani» [75].

e) Riconoscimento e stima della reciproca complementarietà di altre componenti carismatiche nella Chiesa. Ne deriva anche una disponibilità alla reciproca collaborazione [76]. Infatti, «un chiaro segno dell’autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, la sua capacità di integrarsi armonicamente nella vita del Popolo santo di Dio per il bene di tutti. Un’autentica novità suscitata dallo Spirito non ha bisogno di gettare ombre sopra altre spiritualità e doni per affermare se stessa» [77].

f) Accettazione dei momenti di prova nel discernimento dei carismi. Poiché il dono carismatico può possedere «una carica di novità di vita spirituale per tutta la Chiesa, che può apparire in un primo tempo anche incomoda», un criterio di autenticità si manifesta nella «umiltà nel sopportare i contrattempi: il giusto rapporto fra carisma genuino, prospettiva di novità e sofferenza interiore comporta una costante storica di connessione tra carisma e croce» [78]. La nascita di eventuali tensioni esige da parte di tutti la prassi di una carità più grande, in vista di una comunione e di un’unità ecclesiali sempre più profonde.

g) Presenza di frutti spirituali quali carità, gioia, pace e umanità (cf. Gal 5, 22);  il «vivere ancora più intensamente la vita della Chiesa» [79], un più intenso zelo per «l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio» [80]; «il gusto rinnovato per la preghiera, la contemplazione, la vita liturgica e sacramentale; l'animazione per il fiorire di vocazioni al matrimonio cristiano, al sacerdozio ministeriale, alla vita consacrata» [81].  

h) Dimensione sociale dell’evangelizzazione. Occorre riconoscere che, grazie all’impulso della carità, «il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri» [82].In questo criterio di discernimento, riferito non esclusivamente alle realtà laicali nella Chiesa, si sottolinea la necessità di essere «correnti vive di partecipazione e di solidarietà per costruire condizioni più giuste e fraterne all’interno della società» [83]. Significativi sono, a tal riguardo, «l'impulso a una presenza cristiana nei diversi ambienti della vita sociale e la creazione e animazione di opere caritative, culturali e spirituali; lo spirito di distacco e di povertà evangelica per una più generosa carità verso tutti» [84]. Decisivo è anche il riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa [85]. In particolare «dalla nostra fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati della società» [86], che non può mancare in una autentica realtà ecclesiale.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)