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  ECCO LA PROVA CHE I 4 CARDINALI HANNO RAGIONE E CHE PAPA FRANCESCO DEVE RISPONDERE PER CORREGGERE GLI ERRORI  Giovanni Paolo II e Benedetto XVI riportano, magistralmente I LIMITI DELL'AUTORITA' DEL PAPA 

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Non lo inventiamo noi, è tutto sancito, definito categoricamente dal magistero petrino nel solco della tradizione della Chiesa e di tutti i Pontefici, nel corso dei duemila anni di autentica pastorale per il bene degli uomini.

“Dio e il mondo” è il titolo del libro che l’allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha scritto con il giornalista Peter Seewald. Del volume, frutto di un lungo colloquio tenuto nel febbraio 2000 nell’abbazia benedettina di Montecassino, portiamo questo imponente passaggio sul compito specifico del Pontefice:

PS – Molti considerano la Chiesa un apparato di potere.

JR – «Sì, ma si dovrebbe innanzitutto tenere conto che queste strutture devono esistere in funzione del servizio. Il papa non è il signore supremo – dall’epoca di Gregorio Magno ha assunto il titolo di “servo dei servi di Dio” – ma dovrebbe essere – amo dire – il garante dell’obbedienza, della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, escludendo ogni arbitrio da parte sua. Il papa non può dire: La Chiesa sono io, oppure: La tradizione sono io, ma al contrario ha precisi vincoli, incarna l’obbligo della Chiesa a conformarsi alla parola di Dio. Se nella Chiesa sorgono tentazioni a fare diversamente, a scegliere la via più comoda, deve chiedersi se ciò è lecito. Il papa non è dunque un organo che possa dare vita a un’altra Chiesa, ma è un argine contro l’arbitrio. Faccio un esempio: dal Nuovo Testamento sappiamo che il matrimonio sacramentale è indissolubile. Ci sono correnti d’opinione che sostengono che il papa potrebbe abrogare quest’obbligo. Ma non è così. E nel gennaio del 2000, rivolgendosi ai giudici romani, il papa ha detto che, rispetto alla tendenza a voler vedere revocato il vincolo dell’indissolubilità del matrimonio, egli non può fare tutto ciò che vuole, ma deve anzi accentuare l’obbedienza, deve proseguire anche in questo senso il gesto della lavanda dei piedi».

Provvidenziale e diremo anche profetico che l’allora cardinale Prefetto della difesa della vera Fede abbia usato, proprio come esempio, la difesa del vincolo del Matrimonio cristiano, il Sacramento del Matrimonio che – è evidente – era già minacciato da queste innovazioni che oggi, purtroppo, vengono invece imposte nella Chiesa sotto la falsa dottrina della prassi.

_07-papa-deve-rispondere-ai-dubia-2Che cosa diceva Giovanni Paolo II in difesa della stessa Familiaris consortio, oggi volutamente abusata?

“Per questo sottolineavo il “dovere fondamentale” della Chiesa di “riaffermare con forza, ­ come hanno fatto i Padri del Sinodo, la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio”(n.20), anche al fine di dissipare l’ombra che, sul valore dell’indissolubilità del vincolo coniugale, sembrano gettare alcune opinioni scaturite nell’ambito della ricerca teologico – canonistica. Si tratta di tesi favorevoli al superamento dell’incompatibilità assoluta tra un matrimonio rato e consumato (cfr.CIC,can. 1061) e un nuovo matrimonio di uno dei coniugi, durante la vita dell’altro…”

E’ chiaro? E’ evidente allora che quanto espresso dai cardinali nei Dubia e soprattutto nell’ultima intervista del cardinale Caffarranon soltanto è loro lecito chiedere, ma dovere del Papa è dare una risposta chiara ed univoca.

Il Papa è infatti: “il garante dell’obbedienza, della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, escludendo ogni arbitrio da parte sua..” Il servizio di cui tanto si parla e che a Papa Francesco piace tanto nella pratica simbolica della lavanda dei piedi, non è servire l’uomo per compiere la sua volontà, ma servire l’uomo per compiere la volontà di Dio che si esprime nei Suoi Decreti, Sacramenti e Comandamenti. E non ce lo inventiamo noi. Leggiamo quest’altro passaggio dal Discorso di Giovanni Paolo II sopra citato:

“Gli sposi cristiani, che hanno ricevuto “il dono del sacramento”, sono chiamati con la grazia di Dio a dare testimonianza “alla santa volontà del Signore: “Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”(Mt.19,6),ossia all’inestimabile valore dell’indissolubilità … matrimoniale” (FC,n.20). Per  questi  motivi – afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica – “la Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (Mc.10,11-12…), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio” (n. 1650).”

Abbiamo letto bene? Giovanni Paolo II cita il Catechismo della Chiesa Cattolica – e non poteva essere diversamente – per frenare l’avanzata dei modernisti che pretendevano, e pretendono, di SANTIFICARE GLI ADULTERI, i matrimoni civili: “ la Chiesa… non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio”.

Ma da quella intervista con il cardinale Ratzinger, c’è un’altro passaggio interessante. Peter Seewald chiede al futuro Pontefice, Benedetto XVI, se nei Vangeli ci sono dei passi o episodi da cui ci si potrebbe congedare, in futuro, perché confutati da nuove teorie e nuove acquisizioni, perché magari reinterpretati dalle nuove teologie moderne… bella domanda! Ecco la risposta di Ratzinger:

 «NO! Forse emergeranno nuovi accenti nell’interpretazione dei testi. Ma ciò che dicono i Vangeli è stato fissato per iscritto a ridosso dello svolgimento dei fatti narrati e non può perciò essere rimesso in discussione da nuove acquisizioni contemporanee. La testimonianza che i Vangeli ci danno di Gesù Cristo (e di tutto il Suo insegnamento), rimane e conserva per sempre tutta la sua validità».

Ancora non basta? Leggiamo allora il monito di Giovanni Paolo II che descrive IL LIMITE DEL PONTEFICE. Con molta e vera umiltà il papa diceva “non possumus”, a riguardo proprio della superba presunzione di voler modificare la prassi dei Sacramenti:

L’odierno incontro con voi, membri del Tribunale della Rota Romana, è  un  contesto adeguato per parlare anche a tutta la Chiesa sul limite della potestà del Sommo Pontefice nei confronti del matrimonio rato e consumato, che “non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte”. Questa formulazione del diritto canonico non è di natura  soltanto  disciplinare  o  prudenziale, ma corrisponde ad una verità dottrinale da sempre mantenuta nella Chiesa.

Tuttavia, va diffondendosi l’idea secondo cui la potestà del Romano Pontefice, essendo vicaria della potestà divina di Cristo, non sarebbe una di quelle potestà umane alle quali si riferiscono i citati canoni, e quindi potrebbe forse estendersi in alcuni casi anche allo scioglimento dei matrimoni rati e consumati. Di fronte ai dubbi e turbamenti d’animo che ne potrebbero emergere, è necessario riaffermare che il matrimonio sacramentale rato e consumato non può mai essere sciolto, neppure dalla potestà del Romano Pontefice. L’affermazione opposta implicherebbe la tesi che non esiste alcun matrimonio assolutamente indissolubile, il che sarebbe contrario al senso in cui la Chiesa ha insegnato ed insegna l’indissolubilità del vincolo matrimoniale.”

“di fronte ai dubia”…. come direbbe ancora oggi Giovanni Paolo II, e come hanno chiesto i cardinali onesti, anche il suo Successore, Papa Francesco, ha L’OBBLIGO E IL DOVERE di rispondere che neppure lui ha il potere di trattare i Sacramenti con suo libero arbitrio! Giovanni Paolo II aveva già chiarito quali fossero le risposte da dare:

“Il  Romano  Pontefice, infatti, ha  la  “sacra potestas”  di insegnare  la  verità  del  Vangelo, amministrare i sacramenti e governare pastoralmente  la  Chiesa  in  nome  e  con  l’autorità  di Cristo, ma tale potestà non include in sé alcun potere sulla Legge divina naturale o positiva. Né la Scrittura né la Tradizione conoscono una facoltà del Romano Pontefice per lo scioglimento del matrimonio rato e consumato; anzi, la prassi costante della Chiesa dimostra la consapevolezza sicura della Tradizione che una tale potestà non esiste. Le forti espressioni dei Romani Pontefici sono soltanto l’eco fedele e l’interpretazione autentica della convinzione permanente della Chiesa.

_07-papa-deve-rispondere-ai-dubia-3Emerge quindi con chiarezza che la non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni sacramentali rati e consumati è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente, anche  se  essa  non  è  stata dichiarata  in  forma solenne mediante  un  atto  definitorio. Tale dottrina infatti è stata esplicitamente proposta dai Romani Pontefici in termini categorici…”

Possiamo concludere che comprendiamo perfettamente come Papa Francesco sia stato messo “con le spalle al muro” dalla Lettera dei cardinali sui Dubia, ma come giustamente spiega Caffarra nell’intervista: “La divisione tra pastori è la causa della lettera che abbiamo spedito a Francesco. Non il suo effetto. Insulti e minacce di sanzioni canoniche sono cose indegne.. (..) Una Chiesa con poca attenzione alla dottrina non è più pastorale, è solo più ignorante”.

Il problema l’hanno creato coloro che hanno scritto il testo Amoris laetitia, e colui che l’ha firmato – il Papa – il quale firmando, ha approvato le loro aberrazioni. Un Papa come Francesco che continua a ripetere “anche io sono peccatore, tutti siamo peccatori… pregate per me, pregate per me…”, dovrebbe ora mettere in pratica ciò che dice a parole e fare un atto di grande umiltà riconoscendosi non peccatore astratto, ma di aver commesso uno sbaglio per essersi fidato di quelle persone alle quali ha dato mano libera per la composizione del testo post-sinodale.

O se proprio non arrivare a questo per proteggere la Sede Petrina da chi ne approfitterebbe per attaccarla, potrebbe semplicemente far proprie le parole di Giovanni Paolo II che dicono chiaramente: “è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente, anche  se  essa  non  è  stata dichiarata  in  forma solenne mediante  un  atto  definitorio. Tale dottrina infatti è stata esplicitamente proposta dai Romani Pontefici in termini categorici…”

I termini SONO CATEGORICI a tal punto che la parola FINE la espresse Benedetto XVI nella Sacramentim Caritatis al n.29, mai citato da Papa Francesco, e dove dice:

Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr.Mc.10,2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucaristia.(…) È necessario, evitare di intendere la preoccupazione pastorale come se fosse in contrapposizione col diritto. Si deve piuttosto partire dal presupposto che fondamentale punto d’incontro tra diritto e pastorale è l’amore per la verità..”

Di tutti i mali che, per così dire, avvelenano gli individui, i popoli, le nazioni, e così spesso turbano l’animo di molti, causa e radice è l’ignoranza della verità. E non l’ignoranza soltanto, ma talvolta anche il disprezzo e uno sconsiderato disconoscimento del vero…” (San Giovanni XXIII – Ad Petri Cathedram – 29.6.1959)

Laudetur Jesus Christus

QUI LA FONTE DELL'ARTICOLO

AMORIS LAETITIA ERA GIÀ STATA «SCRITTA» PARI PARI DA BERNHARD HÄRING. ECCO COSA NE PENSAVA LA CHIESA

Amoris Laetitia era già stata «scritta» pari pari da Bernhard Häring. Ecco cosa ne pensava la Chiesa

Su L'’Osservatore Romano del 6 marzo 1991 comparve, “su autorevole richiesta”, una traduzione di un articolo del professor William E. May, docente di teologia morale alla Catholic University of America di Washington e unico membro laico della Commissione Teologica Internazionale, già pubblicato nel periodico Fellowship of Catholic Scholars Newsletter, vol. 14, n. 1, dicembre 1990.

 

di William E. May

Nel 1989 P. Bernhard Häring, CSSR, ha pubblicato il libro Ausweglos? Zur Pastoral bei Scheidung und Wiederverheiratung: Ein Plädoyer, Freiburg, Herder 1989 (trad. it.: Pastorale dei divorziati. Una strada senza uscita?, Bologna, Ed. Dehoniane 1990). (I riferimenti delle citazioni saranno fatti seguendo l’edizione italiana). Häring, che evidentemente considera la pratica delle Chiese Ortodosse Orientali, fondata sulla loro spiritualità della oikonomia, come superiore alla pratica della Chiesa Cattolica Romana, sostiene alcune posizioni che non sono compatibili con l’'insegnamento cattolico. La nostra attenzione si concentrerà qui sugli aspetti più pericolosi della sua opera.

Il primo di essi riguarda l'’interpretazione che egli dà dell'’insegnamento del Signore sull'’indissolubilità del matrimonio (Mc 10, 2-12; Mt 5, 31-32; 19, 3-12; Lc 16-18). Giustamente Häring respinge l'’idea che questo insegnamento ci presenti solamente un ideale o un “semplice” ideale. Tuttavia egli sostiene che l'’insegnamento di Gesù è un “obiettivo” (Zielgebot) o un “ideale normativo”, cioè un ideale obiettivo per il cui raggiungimento uno è obbligato ad impegnarsi con tutte le sue energie (p. 34).

Ora però questa interpretazione non è in conformità con la comprensione che di questo insegnamento del Signore ha la Chiesa. Gesù, presentando il suo insegnamento sul matrimonio, contrappone all’'insegnamento mosaico, che permetteva il divorzio e le nuove nozze a motivo della “durezza del cuore”, il progetto originario del Padre nella creazione, circa il matrimonio. Inoltre, il Regno di Dio è venuto nella persona di Gesù, così che a quelli che sono uniti con lui è donato un “cuore nuovo” e la grazia di vivere in conformità col disegno di suo Padre.
È questo il modo in cui la Chiesa intende l’'insegnamento del Signore: come una verità; ritiene cioè che il matrimonio, per volontà del Creatore, è per sua stessa natura intrinsecamente indissolubile, e quindi che nessuna autorità umana ha il potere di scioglierlo e che ogni tentativo di farlo non è efficace. Di conseguenza, i tentativi di “nuove nozze” non sono validi e le relazioni sessuali di persone divorziate, che hanno cercato nuove nozze, non sono relazioni coniugali, ma piuttosto un adulterio
(cf. Mc 10, 11-12; Mt 5, 32; 19, 9; Lc 16, 18; cf. Concilio di Trento, Sessione XXIV, 11 nov. 1563, can. 7; Pio XI, Enc. Casti Connubii, 31 dic. 1930: AAS 11/1930, 574).
La Chiesa, pur avendo il potere, per sua natura divino in quanto conferitole da Dio, di sciogliere matrimoni non sacramentali e matrimoni sacramentali non consumati, non ha l'autorità di sciogliere i matrimoni sacramentali consumati di fedeli cristiani: “Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito — e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili col marito — e il marito non ripudi la moglie” (1 Cor 7, 11; sott. aggiunta).

La seconda posizione pericolosa assunta da P. Häring è il suo tentativo di applicare l'’oikonomia delle Chiese Orientali alla prassi della Chiesa Cattolica. (Secondo Häring la oikonomia consiste in una spiritualità e in una prassi di amministrazione misericordiosa e graduata del disegno di Dio, in riferimento alla singolarità di ogni caso e persona [pp. 44-45]). Egli sostiene che quando una persona divorziata, dopo un periodo di accompagnamento pastorale, giunge al giudizio di coscienza che sarebbe meglio per lei, per i suoi figli e per gli altri di “risposarsi”, “noi, in qualità di rappresentanti della chiesa, non possiamo dare una convalida diretta” di questa decisione (p. 61; sott. aggiunta). Ma, continua, “comunque possiamo rimandare alla soluzione che adottano le chiese orientali secondo lo spirito della oikonomia ed esprimere il nostro modesto parere e invito a considerare se la decisione del nostro interlocutore sia conforme a tale spirito” (p. 61). Certamente un consigliere spirituale, che seguisse in questo punto la proposta di Häring, offrirebbe di fatto il suo appoggio e la sua conferma alla decisione di risposarsi di una persona divorziata. Ma un consigliere spirituale cattolico non può dare un tale consiglio! Farlo sarebbe abdicare alla sua responsabilità, dal momento che non può dare a nessuno il permesso di commettere un adulterio, così come, malgrado tutto, è il significato di quanto viene proposto, se si considera oggettivamente e correttamente il caso.

Una terza posizione pastoralmente pericolosa avanzata da P. Häring riguarda la virtù dell'’epikeia (Secondo la tradizione morale cattolica l’'epikeia consiste nell’“eccezione fatta di un caso, quando nella situazione si può giudicare con certezza, o per lo meno con grande probabilità, che il legislatore non aveva intenzione di far rientrare tale caso sotto la legge” [S. Alfonso M. de’ Liguori]), circa la cui natura e sul cui ricorso egli propone gravi fraintendimenti. Häring comincia coll'’asserire che le procedure di annullamento in atto all'’interno della Chiesa sono fondate su una mentalità legalistica, che subordina le esigenze reali di una persona umana alla legge e manca così totalmente di manifestare l’'amore e la misericordia di Cristo.

Sostiene che i tribunali ecclesiastici sono viziati da un cattivo “tuziorismo”, che impone alle parti l’'onere di provare che il loro primo matrimonio era invalido. Häring replica che l’'onere della prova dovrebbe ricadere non sugli individui che sostengono che il loro matrimonio era invalido, ma piuttosto su coloro che asseriscono che era valido. Egli afferma che tutte le volte che c'’è un dubbio ragionevole sulla validità del primo matrimonio e tutte le volte che la parte che chiede l’'annullamento è convinta in coscienza che il matrimonio sia effettivamente invalido, il matrimonio dovrebbe essere annullato (pp. 66-68). Qualora il primo matrimonio non sia stato annullato a motivo di una “tuzioristica” richiesta di prove e qualora tanto la parte coinvolta quanto il consigliere spirituale siano entrambi convinti che il primo matrimonio era invalido, allora — sostiene Häring — può essere applicata l’'epikeia e il pastore di anime può “con grande discrezione (in aller Stille), procedere alla celebrazione delle nozze” (p. 79).

Su questo punto la proposta di P. Häring è incompatibile non solo con la concezione che la Chiesa ha del matrimonio, ma anche con la realtà. La ragione per cui si presume che il primo matrimonio sia valido finché non sia dimostrato chiaramente il contrario è che la Chiesa rispetta la dignità delle persone umane e presume che esse dicano la verità quando, con “un atto di consenso personale irrevocabile” (cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 48), un uomo e una donna mutuamente si danno e si ricevono nel matrimonio, realtà il cui “vincolo sacro (sacrum vinculum) non dipende dall’arbitrio dell’uomo” (ibidem). Anche se una persona può essere sinceramente convinta nella sua coscienza individuale che un matrimonio era invalido, essa può sbagliare in buona fede, dal momento che la realtà non dipende dalla sincerità delle convinzioni.

Inoltre, l'epikeia è una virtù mediante la quale si è in grado di determinare se, in particolari circostanze, l’'intenzione del legislatore è rispettata o meno nel caso che si segua una norma specifica. Il giudizio sulla validità del matrimonio, tuttavia, non è affatto un caso in cui si tratti di determinare se una legge sia applicabile o meno. È piuttosto l'’accertamento di un fatto, cioè se veramente l'’unione tra quest'’uomo e questa donna è un matrimonio o invece solo l’apparenza di un matrimonio. D'’altra parte l'’epikeia non può essere applicata neppure quando la “legge” in questione è tale da non ammettere eccezioni, com’'è il caso della norma che proibisce l’'adulterio.

Nel presente volume Häring, facendo ricorso alla sua consueta retorica, distingue tra una concezione legalistica della moralità (la quale, come egli apertamente denuncia, starebbe al cuore della pratica della Chiesa) e una concezione della moralità più evangelicamente ispirata, che mette in rilievo l’'amore e la misericordia di Dio. Egli sembra ritenere che tutte le norme morali specifiche o “leggi” (per usare l'’espressione da lui preferita), eccezion fatta per quelle che proscrivono la tortura e la violenza sessuale, sono suscettibili di eccezioni. Egli sembra pensare che le norme morali o “leggi” siano limitazioni estrinseche della libertà umana — utili, per la maggior parte, a proteggere i valori umani basilari, ma da mettere da parte tutte le volte che diminuiscono senza necessità le possibilità di scelta dell’'uomo. Non sembra affatto che egli pensi alle norme morali come a verità, alla luce delle quali le persone possono compiere scelte buone e così diventare esse stesse, attraverso le azioni da loro scelte liberamente, gli esseri che Dio vuole che esse siano. Egli non riconosce che alcune norme sono assolute, cioè, senza eccezioni.
Tra queste vi è anche la norma che proscrive l’'adulterio. L'’adulterio è moralmente cattivo poiché un uomo o una donna devono essere fedeli alla parola data e non possono sostituire nel rapporto coniugale con qualche altra persona quella che hanno reso non sostituibile, attraverso la loro scelta irrevocabile di donarlesi come marito o come moglie. L'’adulterio non è compatibile con un cuore aperto a ciò che è buono e degno di amore, con il “cuore nuovo” donatoci quando, nel battesimo, siamo diventati nuove creature in Cristo. Questo è l'’insegnamento di Cristo e della Chiesa e questa è la ragione per cui le “nuove nozze” dopo il divorzio non sono permesse; questa è la ragione per cui la Chiesa non può permettere l'’adulterio.

Inoltre, Häring insinua anche che la Congregazione per la Dottrina della Fede, in una lettera al Cardinal Bernardin (21 marzo 1975), ritiene che quei cattolici che vivono per disgrazia in un irregolare “secondo matrimonio” possono essere ammessi ai sacramenti senza la risoluzione di astenersi dagli atti sessuali genitali (cioè di vivere come “fratello e sorella”) (cf. pp. 84-85). Quest’insinuazione è del tutto fuorviante.

P. Häring osserva tendenziosamente (p. 81, nota 4) che egli aveva già avanzato alcune delle sue idee sul divorzio e le “nuove nozze” in scritti precedenti, in particolare nel suo saggio Internal Forum Solutions to Insoluble Marriage Cases in The Jurist, 30 (1970) 21-30, senza aver ricevuto rimproveri da parte delle autorità della Chiesa. Ne conclude che questo silenzio da parte delle autorità ecclesiastiche signi fica una accettazione o almeno una tolleranza delle sue tesi.

Per finire, nel presentare la “spiritualità dell'’oikonomia” delle Chiese Orientali, Häring mostra chiaramente di ritenere che i matrimoni possono “morire” non solo per una morte fisica (quando uno degli sposi muore), ma anche di una morte “morale”, “psichica” e “civile” (cf. pp. 48-53). Questo modo di concepire la “morte” del matrimonio viene asserito sulla scorta di una filosofia che considera come reale ed importante ciò che appare nella coscienza e ignora altri aspetti della realtà. Ora ciò trasforma in una beffa quella promessa reciproca, che l'’uomo e la donna si scambiano quando si sposano, promessa secondo cui essi rinunceranno a tutti gli altri e saranno fedeli l’uno all'’altro fino alla morte, cioè fino alla fine della vita di uno di essi.

In breve, il libro in questione è fuorviante e pericoloso, dal momento che sostiene posizioni incompatibili con la verità cattolica. È deplorevole il frequente appello alla dottrina di Sant’'Alfonso Maria de’ Liguori, volendo applicare l'’insegnamento di questo grande Dottore in modalità che sono del tutto estranee al suo pensiero. È retorico dipingere la pratica attuale della Chiesa come priva di cuore e crudele. L'’Autore si presenta come uno che vorrebbe solo rendere evidente la misericordia e l’'amore di Cristo; di fatto però finisce col presentare l’'insegnamento e la prassi della Chiesa come un tradimento legalistico e farisaico del Vangelo di amore e di misericordia del Signore. Ma in realtà sono proprio tesi simili che distorcono e travisano l’insegnamento di Cristo e così danneggiano gravemente la vita dei fedeli.

 


[Modificato da Caterina63 27/01/2017 18:50]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)