00 29/10/2016 15:04
 tanto per.... ricordare e meditare.....

CONCISTORO ORDINARIO PUBBLICO
PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI

CAPPELLA PAPALE

ALLOCUZIONE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Sabato, 24 novembre 2012

[Video]


 

«Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica».

 

Cari fratelli e sorelle!

Queste parole, che tra poco pronunceranno solennemente i nuovi Cardinali emettendo la professione di fede, fanno parte del simbolo niceno-costantinopolitano, la sintesi della fede della Chiesa che ognuno riceve al momento del Battesimo. Solo professando e custodendo intatta questa regola di verità siamo autentici discepoli del Signore. In questo Concistoro, vorrei soffermarmi in particolare sul significato del termine «cattolica», che indica un tratto essenziale della Chiesa e della sua missione. Il discorso sarebbe ampio e potrebbe essere impostato secondo diverse prospettive: oggi mi limito a qualche pensiero.

Le note caratteristiche della Chiesa rispondono al disegno divino, come recita il Catechismo della Chiesa Cattolica: «È Cristo che, per mezzo dello Spirito Santo, concede alla sua Chiesa di essere una, santa, cattolica e apostolica, ed è ancora lui che la chiama a realizzare ciascuna di queste caratteristiche» (n. 811). Nello specifico, la Chiesa è cattolica perché Cristo abbraccia nella sua missione di salvezza tutta l’umanità. Mentre la missione di Gesù nella sua vita terrena era limitata al popolo giudaico, «alle pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 15,24), era tuttavia orientata dall’inizio a portare a tutti i popoli la luce del Vangelo e a far entrare tutte le nazioni nel Regno di Dio. Davanti alla fede del Centurione a Cafarnao, Gesù esclama: «Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli» (Mt 8,11). Questa prospettiva universalistica affiora, tra l’altro, dalla presentazione che Gesù fece di se stesso non solo come «Figlio di Davide», ma come «figlio dell’uomo» (Mc 10,33), come abbiamo sentito anche nel brano evangelico poc’anzi proclamato. Il titolo di «Figlio dell’uomo», nel linguaggio della letteratura apocalittica giudaica ispirata alla visione della storia nel Libro del profeta Daniele (cfr 7,13-14), richiama il personaggio che viene «con le nubi del cielo» (v. 13) ed è un’immagine che preannuncia un regno del tutto nuovo, un regno sorretto non da poteri umani, ma dal vero potere che proviene da Dio. Gesù si serve di questa espressione ricca e complessa e la riferisce a Se stesso per manifestare il vero carattere del suo messianismo, come missione destinata a tutto l’uomo e ad ogni uomo, superando ogni particolarismo etnico, nazionale e religioso. Ed è proprio nella sequela di Gesù, nel lasciarsi attrarre dentro la sua umanità e dunque nella comunione con Dio che si entra in questo nuovo regno, che la Chiesa annuncia e anticipa, e che vince frammentazione e dispersione.

Gesù poi invia la sua Chiesa non ad un gruppo, ma alla totalità del genere umano per radunarlo, nella fede, in un unico popolo al fine di salvarlo, come esprime bene il Concilio Vaticano II nella Costituzione dogmatica Lumen gentium: «Tutti gli uomini sono chiamati a far parte del nuovo Popolo di Dio. Perciò questo Popolo, restando uno e unico, deve estendersi a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si compia il disegno della volontà di Dio» (n. 13). L’universalità della Chiesa attinge quindi all’universalità dell’unico disegno divino di salvezza del mondo. Tale carattere universale emerge con chiarezza il giorno della Pentecoste, quando lo Spirito ricolma della sua presenza la prima comunità cristiana, perché il Vangelo si estenda a tutte le nazioni e faccia crescere in tutti i popoli l’unico Popolo di Dio. Così, la Chiesa, fin dai suoi inizi, è orientata kat’holon, abbraccia tutto l’universo. Gli Apostoli rendono testimonianza a Cristo rivolgendosi a uomini provenienti da tutta la terra e ciascuno li comprende come se parlassero nella sua lingua nativa (cfr At 2,7-8). Da quel giorno la Chiesa con la «forza dello Spirito Santo», secondo la promessa di Gesù, annuncia il Signore morto e risorto «a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). La missione universale della Chiesa, pertanto, non sale dal basso, ma scende dall’alto, dallo Spirito Santo, e fin dal suo primo istante è orientata ad esprimersi in ogni cultura per formare così l’unico Popolo di Dio. Non è tanto una comunità locale che si allarga e si espande lentamente, ma è come un lievito che è orientato all’universale, al tutto, e che porta in se stesso l’universalità.

«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15); «fate discepoli i popoli tutti», dice il Signore (Mt28,19). Con queste parole Gesù invia gli Apostoli a tutte le creature, perché giunga dovunque l’azione salvifica di Dio. Ma se guardiamo al momento dell’ascensione di Gesù al Cielo, narrata negli Atti degli Apostoli, vediamo che i discepoli sono ancora chiusi nella loro visione, pensano alla restaurazione di un nuovo regno davidico, e domandano al Signore: «è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» (At 1,6). E come risponde Gesù? Risponde aprendo i loro orizzonti e donando loro la promessa e un compito: promette che saranno ricolmi della potenza dello Spirito Santo e conferisce loro l’incarico di testimoniarlo in tutto il mondo oltrepassando i confini culturali e religiosi entro cui erano abituati a pensare e a vivere, per aprirsi al Regno universale di Dio. E agli inizi del cammino della Chiesa, gli Apostoli e i discepoli partono senza alcuna sicurezza umana, ma con l’unica forza dello Spirito Santo, del Vangelo e della fede. È il fermento che si sparge nel mondo, entra nelle diverse vicende e nei molteplici contesti culturali e sociali, ma rimane un’unica Chiesa. Intorno agli Apostoli fioriscono le comunità cristiane, ma esse sono «la» Chiesa, che, a Gerusalemme, ad Antiochia o a Roma, è sempre la stessa, una e universale. E quando gli Apostoli parlano di Chiesa, non parlano di una propria comunità, parlano della Chiesa di Cristo, e insistono su questa identità unica, universale e totale della Catholica, che si realizza in ogni Chiesa locale. La Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica, riflette in se stessa la sorgente della sua vita e del suo cammino: l’unità e la comunione della Trinità.

Nel solco e nella prospettiva dell’unità e universalità della Chiesa si colloca anche il Collegio Cardinalizio: esso presenta una varietà di volti, in quanto esprime il volto della Chiesa universale. Attraverso questo Concistoro, in modo particolare,  desidero porre in risalto che la Chiesa è Chiesa di tutti i popoli, e pertanto si esprime nelle varie culture dei diversi Continenti. È la Chiesa di Pentecoste, che nella polifonia delle voci innalza un unico canto armonioso al Dio vivente.

Saluto cordialmente le Delegazioni ufficiali dei vari Paesi, i Vescovi, i sacerdoti, le persone consacrate, i fedeli laici delle diverse Comunità diocesane e tutti coloro che partecipano alla gioia dei nuovi membri del Collegio Cardinalizio, ai quali sono legati per il vincolo della parentela, dell’amicizia, della collaborazione. I nuovi Cardinali, che rappresentano varie Diocesi del mondo, sono da oggi aggregati, a titolo tutto speciale, alla Chiesa di Roma e rafforzano così i legami spirituali che uniscono la Chiesa intera, vivificata da Cristo e stretta attorno al Successore di Pietro. Nello stesso tempo, il rito odierno esprime il supremo valore della fedeltà. Infatti, nel giuramento che tra poco voi farete, venerati Fratelli, stanno scritte parole cariche di profondo significato spirituale ed ecclesiale: «Prometto e giuro di rimanere, da ora e per sempre finché avrò vita, fedele a Cristo e al suo Vangelo, costantemente obbediente alla Santa Apostolica Chiesa Romana». E nel ricevere la berretta rossa sentirete ricordarvi che essa indica «che dovete essere pronti a comportarvi con fortezza, fino all’effusione del sangue, per l’incremento della fede cristiana, per la pace e la tranquillità del popolo di Dio». Mentre la consegna dell’anello sarà  accompagnata dal monito: «Sappi che con l’amore del Principe degli Apostoli si rafforza il tuo amore verso la Chiesa».

Ecco indicata, in questi gesti e nelle espressioni che li accompagnano, la fisionomia che voi oggi assumete nella Chiesa. D’ora in poi voi sarete ancora più strettamente e intimamente uniti alla Sede di Pietro: i titoli o le diaconie delle chiese dell’Urbe vi ricorderanno il legame che vi stringe, come membri a titolo specialissimo, a questa Chiesa di Roma, che presiede alla carità universale. Specialmente mediante la vostra collaborazione con i Dicasteri della Curia Romana, sarete miei preziosi cooperatori, anzitutto nel ministero apostolico per l’intera cattolicità, quale Pastore dell’intero gregge di Cristo e primo garante della dottrina, della disciplina e della morale.

Cari amici, lodiamo il Signore, che «con larghezza di doni non cessa di arricchire la sua Chiesa sparsa nel mondo» (Orazione) e la rinvigorisce nella perenne giovinezza che le ha dato. A Lui affidiamo il nuovo servizio ecclesiale di questi stimati e venerati Fratelli, affinché possano rendere coraggiosa testimonianza a Cristo, nel dinamismo edificante della fede e nel segno di un incessante amore oblativo. Amen.





 

Scrittura e Parola di Dio non sono la stessa cosa. La Scrittura è il testo dei libri ispirati dallo Spirito, la Parola di Dio è la pienezza di significato che assumono quando sono predicati sotto la sua azione. La Scrittura è la stessa, ma la Parola di Dio che ne salta fuori è un’altra e spesso vicendevolmente inaccettabile.

di padre Riccardo Barile O.P.

Nell’intervista del 28 ottobre sulla Civiltà Cattolica in vista del viaggio a Lund per l’inizio del cinquecentesimo anniversario della Riforma, Papa Francesco, alla domanda «Che cosa la Chiesa cattolica potrebbe imparare dalla tradizione luterana?», risponde a tamburo battente: «Mi vengono in mente due parole: “riforma” e “Scrittura”». La Nuova BQ ha già commentato la categoria “riforma”, aggiungendo qualcosa - ma molto poco - su “Scrittura” perché questa categoria sembra più condivisibile. E invece è più insidiosa di “riforma”.

Su “Scrittura” Papa Francesco così si spiega: «La seconda parola è “Scrittura”, la Parola di Dio. Lutero ha fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo».

La frase andrebbe precisata, ma con una premessa di metodo: il Papa non è una “macchina dogmatica”, ma una persona normale e bisogna concedergli di dare risposte a braccio o risposte che tengono conto del tipo di comunicazione nel quale si trova: ora è evidente che una intervista non è né una enciclica né una definizione dogmatica e richiede un linguaggio immediato. Il pericolo viene dopo: costruire delle teorie o delle prassi a partire da questo linguaggio come se non fosse una intervista, ma una enciclica o una disposizione canonica. Proprio per evitare questo, credo siano necessarie alcune precisazioni.

La frase riportata passa immediatamente da “Scrittura” a “Parola di Dio”: non sono la stessa cosa! La Scrittura è il testo dei libri ispirati dallo Spirito Santo; la Parola di Dio è la pienezza di significato che questi vengono ad assumere quando sono letti, predicati, commentati sempre sotto l’azione dello Spirito. Ora la Scrittura è la stessa per protestanti e cattolici, ma la Parola di Dio che ne salta fuori è un’altra e spesso è vicendevolmente inaccettabile.

Infatti l’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini (30.09.2010) di Benedetto XVI ha ricordato la complessità della nozione cattolica della Parola di Dio e, al suo interno, il posto delle Scritture. Al n. 7 è spiegato che “Parola di Dio” è un’espressione “sinfonica”, che indica: a) il Logos fatto carne, cioè la persona di Gesù Cristo; b) la creazione come «libro della natura» in cui l’unico Verbo si esprime; c) l’intera storia della salvezza sino alla pienezza dell’incarnazione e del mistero pasquale; d) la parola predicata dagli Apostoli e «trasmessa nella Tradizione viva della Chiesa»; e) «infine, la Parola di Dio attestata e divinamente ispirata è la Sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento».

È chiaro che la Sacra Scrittura è nella Parola di Dio, ma il testo della Scrittura come tale non è tutta la Parola di Dio, la quale comprende la rivelazione di Dio nel mondo e la tradizione ecclesiale, cioè le definizioni dogmatiche; il patrimonio dei concili anche nel non strettamente definito; le tradizioni di vita discrete ma forti come l’obbedienza, la castità, la devozione mariana ecc. È chiaro che a questo punto la Parola di Dio in Lutero e nella Chiesa Cattolica non possono coincidere ed è chiaro che a questo livello la Chiesa Cattolica ha ben poco da imparare da Lutero.

Veniamo ora al nocciolo del problema partendo da uno scritto/esempio base di Lutero: il De captivitate babylonica ecclesiae praeludium (1520). Qui egli rivede tutto il sistema sacramentale con una sorta di rasoio: “Questo sacramento ha o non ha una esplicita istituzione testuale nella Scrittura del Nuovo Testamento?”. Il risultato è che si salvano solo due sacramenti (Battesimo ed Eucaristia) ed un terzo a metà e poi ripudiato (Penitenza).

Lutero dunque usa la Scrittura facendola diventare Parola di Dio con tre procedimenti molto poco cattolici.

- Il primo è che di fatto considera il cristianesimo una “religione del Libro”, mentre «nella Chiesa veneriamo grandemente le sacre Scritture, pur non essendo la fede cristiana una “religione del Libro”» ma «la “religione della Parola di Dio”, non di una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente» (Verbum Domini 7). Se nel cristianesimo tutto dipendesse solo dalle Scritture, bisognerebbe estromettervi Cristo che non scrisse nulla...

- Il secondo è che, limitandosi alla sola Scriptura, si suppone di arrivare a una primitiva purezza scevra da interpretazioni storiche o attuali, cioè si suppone di agire nel “vuoto ermeneutico”: ora tale vuoto ermeneutico non si dà, perché ogni volta che si cita una Scrittura, che la si accosta ad un’altra, che da qui si passa a come devono essere la Chiesa o la vita cristiana ecc., la si interpreta. E così Lutero, alla interpretazione “papista” dei padri e dei concili spesso da lui sbeffeggiata, sostituisce... la sua!

- Infine le due operazioni di cui sopra generano un uso in cui la Scrittura è come “esterna” alla Chiesa, quasi per costruire e giudicare la Chiesa dal di fuori.

Certo, si può concedere la buona fede o la non piena avvertenza di arrivare a questi risultati, ma se «Lutero ha fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo», è così che l’ha messa, con criteri cattolicamente discutibili per non dire inaccettabili.

Se non possiamo prendere esempio da Lutero quanto alla “Parola di Dio”, possiamo prendere esempio da lui quanto allo zelo verso la “Scrittura” nel tradurre la Bibbia in tedesco e con ciò avviando a un più diretto contatto con il testo biblico. È vero che a quei tempi la Chiesa cattolica sembrò un poco in ritardo, ma va ricordato il ministero ecclesiale che in un mondo di analfabeti aveva formato dei credenti i quali attraverso la parola viva e le immagini avevano acquisito una conoscenza biblica di certo superiore all’attuale. E poi anche Lutero non fu uno stinco di santo, a volte piegando i testi alle sue teorie. Ad esempio, per provare che l’Eucaristia come promessa e testamento del Signore dà tranquillità quale che sia il nostro turbamento interno, citò il Salmo 22,5 così: «Tu hai preparato davanti ai miei occhi una mensa contro tutti i miei tormenti»: ora il testo parla di “nemici” e non di “tormenti”, ma a Lutero facevano comodo i tormenti e non si fece scrupolo di una traduzione irrispettosa (Un sermone sul Nuovo Testamento cioè sulla santa Messa - 1520, n. 37).

Dunque lo zelo verso le Scritture sarebbe di Lutero mentre la Chiesa Cattolica ne sarebbe un poco lontana? Assolutamente no. Però la Chiesa Cattolica si accosta alle Scritture in un modo diverso che mi piace collegare a due citazioni autorevoli.

La prima è di san Bonaventura († 1274): «Tutta la Scrittura è come una cetra; l’ultima corda da sola non fa armonia, ma insieme alle altre. Similmente, un luogo della Scrittura dipende da un altro, anzi mille luoghi si riferiscono ad un luogo solo» (Collationes in Hexaemeron 19,7). Estendendo l’immagine bonaventuriana, la Scrittura deve fare armonia non solo al suo interno, ma anche con questo mondo, con le definizioni conciliari, con quanto nella vita cristiana è saldamente acquisito o maturato (ad esempio i tre gradi dell’ordine sacerdotale che nel NT non sono così chiari) ecc.: «la Scrittura va proclamata, ascoltata, letta, accolta e vissuta come Parola di Dio, nel solco della Tradizione apostolica dalla quale è inseparabile» (Verbum Domini7).

La seconda citazione è di un teologo dei nostri tempi, Yves Congar († 1995): «La Chiesa non riceve il contenuto della sua fede dalla Scrittura: essa ve lo ritrova, il che è ben diverso ... la realtà stessa è molto più profonda di qualunque enunciato» (Vera e falsa riforma nella Chiesa. Jaca Book, Milano 1972, p. 377). È una affermazione ardita, che sembra negare la 1Cor 15,3-4: «(...) Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture (...) fu sepolto (...) è risorto il terzo giorno secondo le Scritture». In realtà non è semplice trovare nell’AT dei testi esatti che parlino della morte, sepoltura e risurrezione non di qualcuno ma di Gesù Cristo: se Paolo ve li trova è perché prima ha trovato il Cristo vivente nella Chiesa. E questo procedimento vale per tanti altri contenuti di ieri e di oggi.

In conclusione, il Concilio Vaticano II ha chiesto di aprire più largamente i tesori della Bibbia perché in questo modo la liturgia, la predicazione e la teologia santamente vigoreggiano (SC 24,51; DV 24). Quando però parla dei rapporti della Chiesa Cattolica con il mondo della Riforma (UR 21), sempre vede l’accordo su la “Sacra Scrittura” e il disaccordo su la “Parola di Dio”, dichiarando che vi sono divergenze sul modo magisteriale e cattolico di «esporre e predicare la parola di Dio scritta». Questa distinzione del Vaticano II, fin qui illustrata, mi pare un saggio criterio interpretativo delle parole di Papa Francesco e di dove possiamo o non possiamo prendere esempio da Lutero riguardo alla Bibbia.

Resta inteso che la convergenza su le «Sacre Parole / Sacra Eloquia» è l’avvio al dialogo «per il raggiungimento di quella unità che il Salvatore offre a tutti gli uomini». Anche se il raggiungimento dell’unità significherà accettare una “Parola di Dio” “cattolica”. Altrimenti è meno peggio restare correttamente (e dolorosamente) separati che scorrettamente uniti.

 





Lutero precursore del nazismo. Parola del cardinale Koch
di Francesco Agnoli
02-11-2016

Il cardinale Kurt Koch

Interrogato sull'antisemitismo di Lutero e sul suo violentissimo opuscolo Degli ebrei e delle loro menzogne (clicca qui), il cardinale è andato giù ancora più pesante: "Queste frasi possono essere lette come un’anticipazione dell’Olocausto".

Lutero come uno dei nonni del nazismo? Un precursore dell'Olocausto? E' vero o si tratta di un giudizio storico infondato?

Si potrebbe anzitutto ricordare che un analogo giudizio lo aveva già espresso il cardinale bavarese Joseph Ratzinger, nel suo celebre "Rapporto sulla fede" (1984), con Vittorio Messori, a proposito del collaborazionismo di molti protestanti nei primi tempi del nazismo: "Il fenomeno dei «Cristiani Tedeschi» (cioè i protestanti che appoggiarono l'ascesa di Adolf Hitler, ndr) mette in luce il tipico pericolo al quale si trovava esposto il protestantesimo nei confronti dei nazisti. La concezione luterana di un cristianesimo nazionale, germanico, anti-latino, offrì a Hitler un buon punto di aggancio, alla pari della tradizione di una Chiesa di Stato e della fortissima sottolineatura dell’obbedienza nei confronti dell’autorità politica, che è di casa presso i seguaci di Lutero".

Torniamo a chiederci: le cose stanno davvero così? La risposta, benchè ignorata spesso dal grande pubblico, è oggi piuttosto chiara agli storici: sì, proprio così.

Il quotidiano cattolico Avvenire, il 13 gennaio 2016 raccontava di un mea culpa pronunciato da alcuni pastori protestanti, memori del fatto che “lo stesso pogrom scatenato in Germania, Austria e Cecoslovacchia durante la cosiddetta «notte dei cristalli» fu voluto proprio nel giorno del compleanno di Lutero. «Il 10 novembre 1938 – scriveva allora il vescovo evangelico-luterano di Eisenach, Martin Sasse – bruciano in Germania le sinagoghe. Dal popolo tedesco viene finalmente distrutto il potere degli ebrei sulla nuova Germania e così viene finalmente incoronata la battaglia del Führer, benedetta da Dio, per la piena liberazione del nostro popolo»”. In quello stesso giorno i nazisti assalivano i palazzi vescovili cattolici di varie città, accomunando ebrei e "papisti" nello stesso odio.

Due celebri storici come Robert Cecil e Michael Burleigh ricordano che mentre già “nel primo periodo in molte diocesi cattoliche la NSDAP (cioè il partito nazista, ndr) è trattata con spiccata ostilità”, molti protestanti sono da tempo contagiati da nazionalismo, statalismo e antisemitismo, per non cedere, almeno in parte, “a un partito politico che sfruttava abilmente questi pregiudizi” (Robert Cecil, "Il mito della razza nella Germania nazista. Vita di Alfred Rosenberg", Feltrinelli, Milano 1973; Mìchael Burleigh, "In nome di Dio", Rizzoli, Milano, 2007).

Così accade che nelle elezioni per il Landtag prussiano del 1924, 8 pastori protestanti si candidino nel NSDAP; nel 1930 sono 120 (su circa 18.000) i pastori protestanti membri del partito nazista, di contro a 0 ecclesiastici cattolici. A Dachau, il primo campo di concentramento, in funzione dal 1933, vengono internati 411 sacerdoti cattolici e 36 pastori protestanti (Steigmann-Gall, "Il santo Reich", Boroli, Milano, 2005; Otto dov Kulka, Paul Mendes-Flohr, "Judaism and Christianity under the impact of National Socialism", Gerusalemme, 1987).

Si aggiunga che sino al 1937, a fronte di nessuna associazione cattolica ufficialmente schieratasi con il regime, sono svariati i gruppi protestanti apertamente filo-nazisti: la Lega protestante (Evangeliascher Bund), i Cristiani Tedeschi (Deutsche Christen), il Gruppo di lavoro dei pastori nazionalsocialisti (Nationalsozialistischer Evangelischer Pfarrerbund), il Soccorso delle donne protestanti (Evangelische Frauenhilfe)…

Vi sono protestanti che aderiscono al nazismo ingenuamente, vedendo in quel partito la speranza per risolvere la questione sociale e lavorativa; altri lo fanno in funzione anti-comunista; altri ancora vedono nel nazismo un bastione anti-cattolico e il realizzarsi del nazionalismo, dell’antisemitismo e dell’idea di Stato propri dell'eroe nazionale Martin Lutero, l'uomo che Johann Gottlieb Fichte, uno dei padri del nazionalismo moderno tedesco, ha definito "il tedesco per eccellenza".

Scrive a tal riguardo lo storico Emilio Gentile: “Più propense a schierarsi con il nazionalsocialismo, con la sua concezione della nazione e dello Stato e con il suo antisemitismo, erano le chiese luterane, vincolate per secolare tradizione all’obbedienza al potere statale quale espressione della volontà divina” (Emilio Gentile, "Contro Cesare. Cristianesimo e totalitarismo nell’epoca dei fascismi", Feltrinelli, Milano, 2010; si veda anche Robert Ericksen, Susannah Heschel, "Theologians under Hitler", New Haven, 1985).

E' assai importante - sia per comprendere l’adesione di molti gruppi protestanti al nazismo, sia per capire come mai il regime nazista cerchi, sino al 1937, un rapporto privilegiato con le chiese protestanti, tentando persino di unificarle in un’unica chiesa del Reich -, tener presente il fatto che nella cultura nazionalista e protestante tedesca, in cui Stato, chiesa e nazione quasi coincidono, i cattolici sono visti da secoli molto negativamente, come una sorta di “religione estranea”, nemica della “causa nazionale”, uno “stato nello Stato”, causa il loro legame con la “Chiesa romana”, il loro universalismo anti-nazionalista, la loro presenza politica.

Va ricordata anche la stima di Hitler, e dei suoi amici Eckart e Rosenberg verso il nazionalismo germanico di Lutero, considerato come colui che avrebbe liberato la Germania dal “giogo papale romano”, dandole un nuovo senso patriottico. Parlando del monaco agostiniano, Hitler dichiara in alcune occasioni: “Ma Lutero ha avuto il merito di insorgere contro il Papato e contro l’organizzazione della Chiesa …”; “Perciò non si rimpiangerà mai abbastanza che a una personalità della potenza di Lutero non siano succeduti che pallidi epigoni. Altrimenti non sarebbe stato possibile, in Germania, ristabilire la Chiesa cattolica su basi così salde da permetterle di sussistere sino ai nostri giorni”... (A. Hitler, "Conversazioni a tavola", Goriziana, Gorizia, 2010 p.47 e 381).

Tornando a Lutero, e al suo ruolo di battistrada del nazismo, lo storico del nazismo, di fede pretestante, William L. Shirer, nel suo "Storia del Terzo Reich" (Einaudi, Torino, 1974, vol. II), definisce l'ex monaco agostiniano “ardente antisemita e antiromano”, lo considera il fondatore del nazionalismo germanico e di una componente ineliminabile della cultura nazista: “E’ difficile comprendere la condotta della maggioranza dei protestanti tedeschi nei primi anni del nazismo, se non si tiene conto di due cose: la loro storia e l’influsso di Martin Lutero. Il grande fondatore del protestantesimo fu tanto un appassionato antisemita quanto un feroce sostenitore dell’obbedienza assoluta all’autorità politica. Egli voleva che la Germania venisse liberata dagli ebrei…”.

Anche in Austria, accade con il nazismo quello che è successo in Germania: mentre due cancellieri cattolici ed anti-nazisti, Engelbert Dollfuss e Kurt Alois von Schuschnigg, finiscono uno ucciso e l'altro internato in un campo di concentramento, all'entrata di Hitler nel paese, nel 1938, "uno dei primi a salutare il ritorno a casa di Hitler fu il principale portavoce della minoranza protestante austriaca, che il 13 marzo dichiarò, 'in nome dei più di 333.000 tedeschi protestanti dell'Austria': 'Dopo un periodo di repressione che ha riportato in vita i tempi più terribili della Controriforma, dopo cinque secoli delle più profonde sofferenze, tu sei venuto come il liberatore di tutti i tedeschi...'" (Michael Burleigh, nel suo In nome di Dio, Rizzoli, 2007).


[Modificato da Caterina63 02/11/2016 23:55]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)