00 29/10/2016 15:00

CONCISTORO ORDINARIO PUBBLICO
PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA CON I NUOVI CARDINALI E
CONSEGNA DELL'ANELLO CARDINALIZIO

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo
Domenica, 25 novembre 2007


 

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
illustri Signori e Signore,
cari fratelli e sorelle!

Quest’anno la solennità di Cristo Re dell’universo, coronamento dell’anno liturgico, è arricchita dall’accoglienza nel Collegio Cardinalizio di 23 nuovi membri, che, secondo la tradizione, ho invitato quest’oggi a concelebrare con me l’Eucaristia. A ciascuno di essi rivolgo il mio saluto cordiale, estendendolo con fraterno affetto a tutti i Cardinali presenti. Sono lieto, poi, di salutare le Delegazioni convenute da diversi Paesi e il Corpo Diplomatico presso la Santa Sede; i numerosi Vescovi e sacerdoti, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli, specialmente quelli provenienti dalle Diocesi affidate alla guida pastorale di alcuni dei nuovi Cardinali.

La ricorrenza liturgica di Cristo Re offre alla nostra celebrazione uno sfondo quanto mai significativo, tratteggiato e illuminato dalle Letture bibliche. Ci troviamo come al cospetto di un imponente affresco con tre grandi scene: al centro, la Crocifissione, secondo il racconto dell’evangelista Luca; in un lato l’unzione regale di Davide da parte degli anziani d’Israele; nell’altro, l’inno cristologico con cui san Paolo introduce la Lettera ai Colossesi. Domina l’insieme la figura di Cristo, l’unico Signore, di fronte al quale siamo tutti fratelli. L’intera gerarchia della Chiesa, ogni carisma e ministero, tutto e tutti siamo al servizio della sua signoria.

Dobbiamo partire dall’avvenimento centrale: la Croce. Qui Cristo manifesta la sua singolare regalità. Sul Calvario si confrontano due atteggiamenti opposti. Alcuni personaggi ai piedi della croce, e anche uno dei due ladroni, si rivolgono con disprezzo al Crocifisso: Se tu sei il Cristo, il Re Messia – essi dicono –, salva te stesso scendendo dal patibolo. Gesù, invece, rivela la propria gloria rimanendo lì, sulla croce, come Agnello immolato. Con Lui si schiera inaspettatamente l’altro ladrone, che implicitamente confessa la regalità del giusto innocente ed implora: "Ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno" (Lc 23,42). Commenta san Cirillo di Alessandria: "Lo vedi crocifisso e lo chiami re. Credi che colui che sopporta scherno e sofferenza giungerà alla gloria divina"  (Commento a Luca, omelia 153). Secondo l’evangelista Giovanni la gloria divina è già presente, seppure nascosta dallo sfiguramento della croce. Ma anche nel linguaggio di Luca il futuro viene anticipato al presente quando Gesù promette al buon ladrone: "Oggi sarai con me nel paradiso" (Lc 23,43). Osserva sant’Ambrogio: "Costui pregava che il Signore si ricordasse di lui, quando fosse giunto nel suo Regno, ma il Signore gli rispose: In verità, in verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso. La vita è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo là c’è il Regno" (Esposizione del Vangelo secondo Luca, 10,121). L’accusa: "Questi è il re dei Giudei", scritta su una tavola inchiodata sopra il capo di Gesù, diventa così la proclamazione della verità. Nota ancora sant’Ambrogio: "Giustamente la scritta sta sopra la croce, perché sebbene il Signore Gesù fosse in croce, tuttavia splendeva dall’alto della croce con una maestà regale" (ivi, 10,113).

La scena della crocifissione, nei quattro Vangeli, costituisce il momento della verità, in cui si squarcia il "velo del tempio" e appare il Santo dei Santi. In Gesù crocifisso avviene la massima rivelazione di Dio possibile in questo mondo, perché Dio è amore, e la morte in croce di Gesù è il più grande atto d’amore di tutta la storia. Ebbene, sull’anello cardinalizio, che tra poco consegnerò ai nuovi membri del sacro Collegio, è raffigurata proprio la crocifissione. Questo, cari Fratelli neo-Cardinali, sarà sempre per voi un invito a ricordare di quale Re siete servitori, su quale trono Egli è stato innalzato e come è stato fedele fino alla fine per vincere il peccato e la morte con la forza della divina misericordia. La madre Chiesa, sposa di Cristo, vi dona questa insegna come memoria del suo Sposo, che l’ha amata e ha consegnato se stesso per lei (cfr Ef 5,25). Così, portando l’anello cardinalizio, voi siete costantemente richiamati a dare la vita per la Chiesa.

Se volgiamo lo sguardo alla scena dell’unzione regale di Davide, presentata dalla prima Lettura, ci colpisce un aspetto importante della regalità, cioè la sua dimensione "corporativa". Gli anziani d’Israele vanno ad Ebron, stringono un patto di alleanza con Davide, dichiarando di considerarsi uniti a lui e di voler formare con lui una cosa sola. Se riferiamo questa figura a Cristo, mi sembra che questa stessa professione di alleanza si presti molto bene ad esser fatta propria da voi, cari Fratelli Cardinali. Anche voi, che formate il "senato" della Chiesa, potete dire a Gesù: "Noi ci consideriamo come tue ossa e tua carne" (2 Sam 5,1). Apparteniamo a Te, e con Te vogliamo formare una cosa sola. Sei Tu il pastore del Popolo di Dio, Tu sei il capo della Chiesa (cfr 2 Sam 5,2). In questa solenne Celebrazione eucaristica vogliamo rinnovare il nostro patto con Te, la nostra amicizia, perché solo in questa relazione intima e profonda con Te, Gesù nostro Re e Signore, assumono senso e valore la dignità che ci è stata conferita e la responsabilità che essa comporta.

Ci resta ora da ammirare la terza parte del "trittico" che la Parola di Dio ci pone dinanzi: l’inno cristologico della Lettera ai Colossesi. Anzitutto, facciamo nostro il sentimento di gioia e di gratitudine da cui esso scaturisce, per il fatto che il regno di Cristo, la "sorte dei santi nella luce", non è qualcosa di solo intravisto da lontano, ma è realtà di cui siamo stati chiamati a far parte, nella quale siamo stati "trasferiti", grazie all’opera redentrice del Figlio di Dio (cfr Col 1,12-14). Quest’azione di grazie apre l’animo di san Paolo alla contemplazione di Cristo e del suo mistero nelle sue due dimensioni principali: la creazione di tutte le cose e la loro riconciliazione. Per il primo aspetto la signoria di Cristo consiste nel fatto che "tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui … e tutte in lui sussistono" (Col 1,16). La seconda dimensione s’incentra sul mistero pasquale: mediante la morte in croce del Figlio, Dio ha riconciliato a sé ogni creatura, ha fatto pace tra cielo e terra; risuscitandolo dai morti lo ha reso primizia della nuova creazione, "pienezza" di ogni realtà e "capo del corpo" mistico che è la Chiesa (cfr Col 1,18-20). Siamo nuovamente dinanzi alla croce, evento centrale del mistero di Cristo. Nella visione paolina la croce è inquadrata all’interno dell’intera economia della salvezza, dove la regalità di Gesù si dispiega in tutta la sua ampiezza cosmica.

Questo testo dell’Apostolo esprime una sintesi di verità e di fede così potente che non possiamo non restarne profondamente ammirati. La Chiesa è depositaria del mistero di Cristo: lo è in tutta umiltà e senza ombra di orgoglio o arroganza, perché si tratta del dono massimo che ha ricevuto senza alcun merito e che è chiamata ad offrire gratuitamente all’umanità di ogni epoca, come orizzonte di significato e di salvezza. Non è una filosofia, non è una gnosi, sebbene comprenda anche la sapienza e la conoscenza. È il mistero di Cristo; è Cristo stesso, Logos incarnato, morto e risorto, costituito Re dell’universo. Come non provare un empito di entusiasmo colmo di gratitudine per essere stati ammessi a contemplare lo splendore di questa rivelazione? Come non sentire al tempo stesso la gioia e la responsabilità di servire questo Re, di testimoniare con la vita e con la parola la sua signoria? Questo è, in modo particolare, il nostro compito, venerati Fratelli Cardinali: annunciare al mondo la verità di Cristo, speranza per ogni uomo e per l’intera famiglia umana. Sulla scia del Concilio Ecumenico Vaticano II, i miei venerati Predecessori, i Servi di Dio Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, sono stati autentici araldi della regalità di Cristo nel mondo contemporaneo. Ed è per me motivo di consolazione poter contare sempre su di voi, sia collegialmente che singolarmente, per portare a compimento anch’io tale compito fondamentale del ministero petrino.

Strettamente unito a questa missione è un aspetto che vorrei, in conclusione, toccare e affidare alla vostra preghiera: la pace tra tutti i discepoli di Cristo, come segno della pace che Gesù è venuto a instaurare nel mondo. Abbiamo ascoltato nell’inno cristologico la grande notizia: a Dio è piaciuto "rappacificare" l’universo mediante la croce di Cristo (cfr Col 1,20)! Ebbene, la Chiesa è quella porzione di umanità in cui si manifesta già la regalità di Cristo, che ha come manifestazione privilegiata la pace. È la nuova Gerusalemme, ancora imperfetta perché pellegrina nella storia, ma in grado di anticipare, in qualche modo, la Gerusalemme celeste. Qui possiamo, infine, riferirci al testo del Salmo responsoriale, il 121: appartiene ai cosiddetti "canti delle ascensioni" ed è l’inno di gioia dei pellegrini che, giunti alle porte della città santa, le rivolgono il saluto di pace: shalom! Secondo un’etimologia popolare Gerusalemme veniva interpretata proprio come "città della pace", quella pace che il Messia, figlio di Davide, avrebbe instaurato nella pienezza dei tempi. In Gerusalemme noi riconosciamo la figura della Chiesa, sacramento di Cristo e del suo Regno.

Cari Fratelli Cardinali, questo Salmo esprime bene l’ardente canto d’amore per la Chiesa che voi certamente portate nel cuore. Avete dedicato la vostra vita al servizio della Chiesa, ed ora siete chiamati ad assumere in essa un compito di più alta responsabilità. Trovino in voi piena adesione le parole del Salmo: "Domandate pace per Gerusalemme"! (v. 6). La preghiera per la pace e l’unità costituisca la vostra prima e principale missione, affinché la Chiesa sia "salda e compatta" (v. 3), segno e strumento di unità per tutto il genere umano (cfr Lumen gentium, 1). Pongo, anzi, tutti insieme poniamo questa vostra missione sotto la vigile protezione della Madre della Chiesa, Maria Santissima. A Lei, unita al Figlio sul Calvario e assunta come Regina alla sua destra nella gloria, affidiamo i nuovi Porporati, il Collegio Cardinalizio e l’intera Comunità cattolica, impegnata a seminare nei solchi della storia il Regno di Cristo, Signore della vita e Principe della pace.

         

CONCISTORO ORDINARIO PUBBLICO
PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA CON I NUOVI CARDINALI 
E CONSEGNA DELL'ANELLO CARDINALIZIO

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo
Domenica, 21 novembre 2010

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, 
cari fratelli e sorelle!

Nella solennità di Cristo Re dell’universo, abbiamo la gioia di radunarci intorno all’Altare del Signore insieme con i 24 nuovi Cardinali, che ieri ho aggregato al Collegio Cardinalizio. Ad essi, innanzitutto, rivolgo il mio cordiale saluto, che estendo agli altri Porporati e a tutti i Presuli presenti; come pure alle distinte Autorità, ai Signori Ambasciatori, ai sacerdoti, ai religiosi e a tutti i fedeli, venuti da varie parti del mondo per questa lieta circostanza, che riveste uno spiccato carattere di universalità.

Molti di voi avranno notato che anche il precedente Concistoro Pubblico per la creazione dei Cardinali, tenutosi nel novembre 2007, fu celebrato alla vigilia della solennità di Cristo Re. Sono passati tre anni e, quindi, secondo il ciclo liturgico domenicale, la Parola di Dio ci viene incontro attraverso le medesime Letture bibliche, proprie di questa importante festività. Essa si colloca nell’ultima domenica dell’anno liturgico e ci presenta, al termine dell’itinerario della fede, il volto regale di Cristo, come il Pantocrator nell’abside di un’antica basilica. Questa coincidenza ci invita a meditare profondamente sul ministero del Vescovo di Roma e su quello, ad esso legato, dei Cardinali, alla luce della singolare Regalità di Gesù, nostro Signore.

Il primo servizio del Successore di Pietro è quello della fede. Nel Nuovo Testamento, Pietro diviene “pietra” della Chiesa in quanto portatore del Credo: il “noi” della Chiesa inizia col nome di colui che ha professato per primo la fede in Cristo, inizia con la suafede; una fede dapprima acerba e ancora “troppo umana”, ma poi, dopo la Pasqua, matura e capace di seguire Cristo fino al dono di sé; matura nel credere che Gesù è veramente il Re; che lo è proprio perché è rimasto sulla Croce, e in quel modo ha dato la vita per i peccatori. Nel Vangelo si vede che tutti chiedono a Gesù di scendere dalla croce. Lo deridono, ma è anche un modo per discolparsi, come dire: non è colpa nostra se tu sei lì sulla croce; è solo colpa tua, perché se tu fossi veramente il Figlio di Dio, il Re dei Giudei, tu non staresti lì, ma ti salveresti scendendo da quel patibolo infame. Dunque, se rimani lì, vuol dire che tu hai torto e noi abbiamo ragione. Il dramma che si svolge sotto la croce di Gesù è un dramma universale; riguarda tutti gli uomini di fronte a Dio che si rivela per quello che è, cioè Amore. In Gesù crocifisso la divinità è sfigurata, spogliata di ogni gloria visibile, ma è presente e reale. Solo la fede sa riconoscerla: la fede di Maria, che unisce nel suo cuore anche questa ultima tessera del mosaico della vita del suo Figlio; Ella non vede ancora il tutto, ma continua a confidare in Dio, ripetendo ancora una volta con lo stesso abbandono “Ecco la serva del Signore” (Lc 1,38). E poi c’è la fede del buon ladrone: una fede appena abbozzata, ma sufficiente ad assicurargli la salvezza: “Oggi con me sarai nel paradiso”. Decisivo è quel “con me”. Sì, è questo che lo salva. Certo, il buon ladrone è sulla croce come Gesù, ma soprattutto è sulla croce con Gesù. E, a differenza dell’altro malfattore, e di tutti gli altri che li scherniscono, non chiede a Gesù di scendere dalla croce né di farlo scendere. Dice invece: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Lo vede in croce, sfigurato, irriconoscibile, eppure si affida a Lui come ad un re, anzi, come al Re. Il buon ladrone crede a ciò che c’è scritto su quella tavola sopra la testa di Gesù: “Il re dei Giudei”: ci crede, e si affida. Per questo è già, subito, nell’“oggi” di Dio, in paradiso, perché il paradiso è questo: essere con Gesù, essere con Dio.

Ecco allora, cari Fratelli, emergere chiaramente il primo e fondamentale messaggio che la Parola di Dio oggi dice a noi: a me, Successore di Pietro, e a voi, Cardinali. Ci chiama a stare con Gesù, come Maria, e non chiedergli di scendere dalla croce, ma rimanere lì con Lui. E questo, a motivo del nostro ministero, dobbiamo farlo non solo per noi stessi, ma per tutta la Chiesa, per tutto il popolo di Dio. Sappiamo dai Vangeli che la croce fu il punto critico della fede di Simon Pietro e degli altri Apostoli. E’ chiaro e non poteva essere diversamente: erano uomini e pensavano “secondo gli uomini”; non potevano tollerare l’idea di un Messia crocifisso. La “conversione” di Pietro si realizza pienamente quando rinuncia a voler “salvare” Gesù e accetta di essere salvato da Lui. Rinuncia a voler salvare Gesù dalla croce e accetta di essere salvato dalla sua croce. “Io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32), dice il Signore. Il ministero di Pietro consiste tutto nella sua fede, una fede che Gesù riconosce subito, fin dall’inizio, come genuina, come dono del Padre celeste; ma una fede che deve passare attraverso lo scandalo della croce, per diventare autentica, davvero “cristiana”, per diventare “roccia” su cui Gesù possa costruire la sua Chiesa. La partecipazione alla signoria di Cristo si verifica in concreto solo nella condivisione con il suo abbassamento, con la Croce. Anche il mio ministero, cari Fratelli, e di conseguenza anche il vostro, consiste tutto nella fede. Gesù può costruire su di noi la sua Chiesa tanto quanto trova in noi di quella fede vera, pasquale, quella fede che non vuole far scendere Gesù dalla Croce, ma si affida a Lui sulla Croce. In questo senso il luogo autentico del Vicario di Cristo è la Croce, persistere nell’obbedienza della Croce.

E’ difficile questo ministero, perché non si allinea al modo di pensare degli uomini – a quella logica naturale che peraltro rimane sempre attiva anche in noi stessi. Ma questo è e rimane sempre il nostro primo servizio, il servizio della fede, che trasforma tutta la vita: credere che Gesù è Dio, che è il Re proprio perché è arrivato fino a quel punto, perché ci ha amati fino all’estremo. E questa regalità paradossale, dobbiamo testimoniarla e annunciarla come ha fatto Lui, il Re, cioè seguendo la sua stessa via e sforzandoci di adottare la sua stessa logica, la logica dell’umiltà e del servizio, del chicco di grano che muore per portare frutto. Il Papa e i Cardinali sono chiamati ad essere profondamente uniti prima di tutto in questo: tutti insieme, sotto la guida del Successore di Pietro, devono rimanere nella signoria di Cristo, pensando e operando secondo la logica della Croce – e ciò non è mai facile né scontato. In questo dobbiamo essere compatti, e lo siamo perché non ci unisce un’idea, una strategia, ma ci uniscono l’amore di Cristo e il suo Santo Spirito. L’efficacia del nostro servizio alla Chiesa, la Sposa di Cristo, dipende essenzialmente da questo, dalla nostra fedeltà alla regalità divina dell’Amore crocifisso. Per questo, sull’anello che oggi vi consegno, sigillo del vostro patto nuziale con la Chiesa, è raffigurata l’immagine della Crocifissione. E per lo stesso motivo il colore del vostro abito allude al sangue, simbolo della vita e dell’amore. Il Sangue di Cristo che, secondo un’antica iconografia, Maria raccoglie dal costato trafitto del Figlio morto sulla croce; e che l’apostolo Giovanni contempla mentre sgorga insieme con l’acqua, secondo le Scritture profetiche.

 

Cari Fratelli, da qui deriva la nostra sapienza: sapientia Crucis. Su questo ha riflettuto a fondo san Paolo, il primo a tracciare un organico pensiero cristiano, centrato proprio sul paradosso della Croce (cfr 1Cor 1,18-25; 2,1-8). Nella Lettera ai Colossesi - di cui la Liturgia odierna propone l’inno cristologico - la riflessione paolina, fecondata dalla grazia dello Spirito, raggiunge già un livello impressionante di sintesi nell’esprimere un’autentica concezione cristiana di Dio e del mondo, della salvezza personale e universale; e tutto è incentrato su Cristo, Signore dei cuori, della storia e del cosmo: “E’ piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli” (Col 1,19-20). Questo, cari Fratelli, siamo sempre chiamati ad annunciare al mondo: Cristo “immagine del Dio invisibile”, Cristo “primogenito di tutta la creazione” e “di quelli che risorgono dai morti”, perché – come scrive l’Apostolo – “sia lui ad avere il primato su tutte le cose” (Col 1,15.18). Il primato di Pietro e dei suoi Successori è totalmente al servizio di questo primato di Gesù Cristo, unico Signore; al servizio del suo Regno, cioè della sua Signoria d’amore, affinché essa venga e si diffonda, rinnovi gli uomini e le cose, trasformi la terra e faccia germogliare in essa la pace e la giustizia.

All’interno di questo disegno, che trascende la storia e, al tempo stesso, si rivela e si realizza in essa, trova posto la Chiesa, “corpo” di cui Cristo è “il capo” (cfr Col 1,18). Nella Lettera agli Efesini, san Paolo parla esplicitamente della signoria di Cristo e la mette in rapporto con la Chiesa. Egli formula una preghiera di lode alla “grandezza della potenza di Dio”, che ha risuscitato Cristo e lo ha costituito Signore universale, e conclude: “Tutto infatti egli [Dio] ha messo sotto i suoi piedi / e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: / essa è il corpo di lui, / la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose” (Ef 1,22-23). La stessa parola “pienezza”, che spetta a Cristo, Paolo la attribuisce qui alla Chiesa, per partecipazione: il corpo, infatti, partecipa della pienezza del Capo. Ecco, venerati Fratelli Cardinali – e mi rivolgo anche a tutti voi, che con noi condividete la grazia di essere cristiani – ecco qual è la nostra gioia: quella di partecipare, nella Chiesa, alla pienezza di Cristo attraverso l’obbedienza della Croce, di “partecipare alla sorte dei santi nella luce”, di essere stati “trasferiti” nel regno del Figlio di Dio (cfr Col 1,12-13). Per questo noi viviamo in perenne rendimento di grazie, e anche attraverso le prove non vengono meno la gioia e la pace che Cristo ci ha lasciato, quale caparra del suo Regno, che è già in mezzo a noi, che attendiamo con fede e speranza, e pregustiamo nella carità. Amen.

   

VIAGGIO APOSTOLICO IN BENIN
18-20 NOVEMBRE 2011

SANTA MESSA E CONSEGNA
DELL'ESORTAZIONE APOSTOLICA POST-SINODALE 
AI VESCOVI DELL'AFRICA

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Stadio dell’Amicizia - Cotonou
Domenica, 20 novembre 2011

[Video]

  

Cari Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Sulla scia del mio beato Predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, è per me una grande gioia visitare per la seconda volta questo caro Continente africano, venendo tra voi, in Benin, e rivolgervi un messaggio di speranza e di pace. Desidero anzitutto ringraziare molto cordialmente Monsignor Antoine Ganyé, Arcivescovo di Cotonou, per le sue parole di benvenuto e salutare i Vescovi del Benin, come pure tutti i Cardinali e i Vescovi giunti da numerosi Paesi dell’Africa e di altri continenti. E a voi tutti, amati fratelli e sorelle, venuti per partecipare a questa Messa celebrata dal Successore di Pietro, rivolgo il mio più caloroso saluto. Penso certo agli abitanti del Benin, ma anche ai fedeli dei Paesi francofoni vicini, il Togo, il Burkina Faso, il Niger ed altri. La nostra celebrazione eucaristica in questa solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo è l’occasione per rendere grazie a Dio per il 150° anniversario degli inizi dell’evangelizzazione del Benin, come pure per la Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, tenutasi a Roma vari mesi fa.

Il Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci dice che Gesù, il Figlio dell’uomo, il giudice ultimo delle nostre vite, ha voluto prendere il volto di quanti hanno fame e sete, degli stranieri, di quanti sono nudi, malati o prigionieri, insomma di tutte le persone che soffrono o sono messe da parte; il comportamento che noi abbiamo nei loro confronti sarà dunque considerato come il comportamento che abbiamo nei confronti di Gesù stesso. Non vediamo in questo una semplice formula letteraria, una semplice immagine! Tutta l’esistenza di Gesù ne è una dimostrazione. Lui, il Figlio di Dio, è diventato uomo, ha condiviso la nostra esistenza, sino nei dettagli più concreti, facendosi il servo del più piccolo dei suoi fratelli. Lui che non aveva dove posare il capo, sarà condannato a morire su una croce. Questo è il Re che celebriamo!

Indubbiamente questo ci può sembrare sconcertante! Ancor oggi, come 2000 anni fa, abituati a vedere i segni della regalità nel successo, nella potenza, nel denaro o nel potere, facciamo fatica ad accettare un simile re, un re che si fa servo dei più piccoli, dei più umili, un re il cui trono è una croce. E tuttavia, ci dicono le Scritture, è così che si manifesta la gloria di Cristo: è nell’umiltà della sua esistenza terrena che Egli trova il potere di giudicare il mondo. Per Lui, regnare è servire! E ciò che ci chiede è di seguirlo su questa via, di servire, di essere attenti al grido del povero, del debole, dell’emarginato. Il battezzato sa che la sua decisione di seguire Cristo può condurlo a grandi sacrifici, talvolta persino a quello della vita. Ma, come ci ha ricordato san Paolo, Cristo ha vinto la morte e ci trascina dietro di Sé nella sua risurrezione. Ci introduce in un mondo nuovo, un mondo di libertà e di felicità. Ancora oggi tanti legami con il mondo vecchio, tante paure ci tengono prigionieri e ci impediscono di vivere liberi e lieti. Lasciamo che Cristo ci liberi da questo mondo vecchio! La nostra fede in Lui, che è vincitore di tutte le nostre paure, di ogni nostra miseria, ci fa entrare in un mondo nuovo, un mondo in cui la giustizia e la verità non sono una parodia, un mondo di libertà interiore e di pace con noi stessi, con gli altri e con Dio. Ecco il dono che Dio ci ha fatto nel Battesimo!

“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo” (Mt 25,34). Accogliamo questa parola di benedizione che il Figlio dell’uomo rivolgerà, nel giorno del Giudizio, agli uomini e alle donne che avranno riconosciuto la sua presenza fra i più umili dei loro fratelli, in un cuore libero e pieno dell’amore del Signore! Fratelli e sorelle, questo passo del Vangelo è veramente una parola di speranza, poiché il Re dell’universo s’è fatto vicinissimo a noi, servo dei più piccoli e dei più umili. E io vorrei rivolgermi con affetto a tutte le persone che soffrono, ai malati, a quanti sono colpiti dall’AIDS o da altre malattie, a tutti i dimenticati della società. Abbiate coraggio! Il Papa vi è vicino con la preghiera e con il ricordo. Abbiate coraggio! Gesù ha voluto identificarsi con i piccoli, con i malati; ha voluto condividere la vostra sofferenza e riconoscere in voi dei fratelli e delle sorelle, per liberarli da ogni male, da ogni sofferenza! Ogni malato, ogni povero merita il nostro rispetto e il nostro amore, perché attraverso di lui Dio ci indica la via verso il cielo.

E quest’oggi vi invito ancora a rallegrarvi con me. In effetti, sono 150 anni che la croce di Cristo è stata piantata sulla vostra terra, che il Vangelo è stato annunciato in essa per la prima volta. In questo giorno rendiamo grazie a Dio per l’opera compiuta dai missionari, dagli “operai apostolici” originari di casa vostra o venuti da altre parti, vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, catechisti, tutti coloro che, ieri come oggi, hanno permesso l’estendersi della fede in Gesù Cristo sul Continente africano! Saluto qui la memoria del venerato Cardinale Bernardin Gantin, esempio di fede e di sapienza per il Benin e per tutto il Continente africano!

Cari fratelli e sorelle, tutti coloro che hanno ricevuto il dono meraviglioso della fede, questo dono dell’incontro con il Signore risorto, sentono anche il bisogno di annunciarlo agli altri. La Chiesa esiste per annunciare questa Buona Novella! E tale compito è sempre urgente! Dopo 150 anni, molti sono coloro che non hanno ancora udito il messaggio della salvezza di Cristo! Molti sono anche quanti fanno resistenza ad aprire il proprio cuore alla Parola di Dio! Molti sono coloro la cui fede è debole, e la cui mentalità, le abitudini, il modo di vivere ignorano la realtà del Vangelo, pensando che la ricerca di un benessere egoista, del guadagno facile o del potere sia lo scopo ultimo della vita umana. Con entusiasmo siate testimoni ardenti della fede che avete ricevuto! Fate risplendere in ogni luogo il volto amorevole del Salvatore, in particolare davanti ai giovani alla ricerca di ragioni di vita e di speranza in un mondo difficile!

La Chiesa in Benin ha ricevuto molto dai missionari: essa deve a sua volta recare questo messaggio di speranza ai popoli che non conoscono o non conoscono più il Signore Gesù. Cari fratelli e sorelle, vi invito ad avere questa preoccupazione per l’evangelizzazione, nel vostro Paese e tra i popoli del vostro Continente e del mondo intero. Il recente Sinodo dei Vescovi per l’Africa lo ricorda insistentemente: uomo di speranza, il cristiano non si può disinteressare dei propri fratelli e sorelle. Questo sarebbe in aperta contraddizione con il comportamento di Gesù. Il cristiano è un costruttore instancabile di comunione, di pace e di solidarietà, doni che Gesù stesso ci ha fatto. Nell’esservi fedeli, noi collaboriamo alla realizzazione del piano di salvezza di Dio per l’umanità.

Cari fratelli e sorelle, vi invito perciò a rafforzare la vostra fede in Gesù Cristo, operando un’autentica conversione alla sua persona. Soltanto Lui ci dà la vera vita e ci può liberare da tutte le nostre paure e lentezze, da ogni nostra angoscia. Ritrovate le radici della vostra esistenza nel Battesimo che avete ricevuto e che fa di voi dei figli di Dio! Che Cristo Gesù dia a tutti voi la forza di vivere da cristiani e di cercare di trasmettere generosamente alle nuove generazioni ciò che avete ricevuto dai vostri Padri nella fede!

In lingua fon: AKLUNƆ NI KƆN FƐNU TƆN LƐ DO MI JI [Che il Signore vi colmi delle sue grazie!].

On this feast day, we rejoice together in the reign of Christ the King over the whole world.  He is the one who removes all that hinders reconciliation, justice and peace.  We are reminded that true royalty does not consist in a show of power, but in the humility of service; not in the oppression of the weak, but in the ability to protect them and to lead them to life in abundance (cf. Jn 10:10).  Christ reigns from the Cross and, with his arms open wide, he embraces all the peoples of the world and draws them into unity.  Through the Cross, he breaks down the walls of division, he reconciles us with each other and with the Father.  We pray today for the people of Africa, that all may be able to live in justice, peace and the joy of the Kingdom of God (cf. Rom14:17).  With these sentiments I affectionately greet all the English-speaking faithful who have come from Ghana and Nigeria and neighbouring countries.  May God bless all of you!

[In questo giorno di festa, ci rallegriamo insieme per il regno di Cristo Re su tutta la terra. E’ Lui che rimuove tutto ciò che ostacola la riconciliazione, la giustizia e la pace. Noi sappiamo che la vera regalità non consiste in una dimostrazione di potenza, ma nell’umiltà del servizio, non consiste nell’oppressione dei deboli, ma nella capacità di proteggerli e condurli alla vita in abbondanza (cfr Gv 10,10). Cristo regna dalla Croce e, con le sue braccia aperte, abbraccia tutti i popoli della terra e li attira verso l’unità. Mediante la Croce, abbatte i muri della divisione, ci riconcilia gli uni con gli altri e con il Padre. Preghiamo oggi per i popoli dell’Africa, affinché tutti possano essere capaci di vivere nella giustizia, nella pace e nella gioia del Regno di Dio (cfr Rm 14,17). Con questi sentimenti saluto affettuosamente tutti i fedeli di lingua inglese venuti dal Ghana, dalla Nigeria, e dai Paesi limitrofi. Dio vi benedica tutti!]

Queridos irmãos e irmãs da África lusófona que me ouvis, a todos dirijo a minha saudação e convido a renovar a vossa decisão de pertencer a Cristo e de servir o seu Reino de reconciliação, de justiça e de paz. O seu Reino pode ser posto em perigo no nosso coração. Aqui Deus cruza-se com a nossa liberdade. Nós – e só nós – podemos impedi-Lo de reinar sobre nós mesmos e, em consequência, tornar difícil a sua realeza sobre a família, a sociedade e a história. Por causa de Cristo, tantos homens e mulheres se opuseram, vitoriosamente, às tentações do mundo para viver fielmente a sua fé, às vezes mesmo até ao martírio. A seu exemplo, amados pastores e fiéis, sede sal e luz de Cristo na terra africana! Amen.

[Cari fratelli e sorelle dell’Africa lusofona che mi ascoltate, rivolgo a tutti il mio saluto e vi invito a rinnovare la vostra decisione di appartenere a Cristo e di servire il suo Regno di riconciliazione, di giustizia e di pace! Il suo Regno può esser messo in pericolo nel nostro cuore. Qui, Dio si incontra con la nostra libertà. Noi – e soltanto noi – possiamo impedirgli di regnare su noi stessi e, di conseguenza, rendere difficile la sua signoria sulla famiglia, sulla società e sulla storia. A causa di Cristo, numerosi uomini e donne si sono vittoriosamente opposti alle tentazioni del mondo per vivere fedelmente la propria fede, talvolta sino al martirio. Cari Pastori e fedeli, siate, sul loro esempio, sale e luce di Cristo nella terra africana! Amen.]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)