00 14/11/2017 20:33

Raymond Leo card. Burke:
Amoris Laetitia, fare chiarezza per salvare la fede

 
A un anno dalla pubblicazione dei Dubia sull'esortazione apostolica "Amoris Laetitia", viene diffusa la seguente intervista al cardinale Raymond Leo Burke, che fa il punto su quanto accaduto da allora. Così come i "Dubia" questa intervista esce contemporaneamente su La Nuova Bussola QuotidianaSettimo Cielo e il National Catholic Register. E noi contestualmente la riprendiamo. 
La ritengo importante sia perché avalla pubblicamente la Correctio filialis che perché attendibilmente prelude, nel caso di mancata risposta a questo che viene chiamato 'ultimo appello', alla correctio canonica.




Eminenza, è passato un anno da quando lei, il cardinale Walter Brandmüller e i due cardinali recentemente scomparsi, Carlo Caffarra e Joachim Meisner, avete pubblicato i "dubia". A che punto siamo?
 
A un anno dalla pubblicazione dei "dubia" su "Amoris laetitia", che non hanno ottenuto alcuna risposta dal Santo Padre, constatiamo che la confusione sull’interpretazione dell’esortazione apostolica è sempre maggiore. Per questo motivo si fa ancora più urgente la nostra preoccupazione per la situazione della Chiesa e per la sua missione nel mondo. Io, naturalmente, continuo ad essere in regolare contatto con il cardinale Walter Brandmüller per quanto riguarda questi gravissimi problemi. E tutti e due rimaniamo in profonda unione con i due cardinali defunti Joachim Meisner e Carlo Caffarra, che ci hanno lasciati nel corso degli ultimi mesi. Così, ancora una volta faccio presente la gravità della situazione, che continua a peggiorare.
 
Si è molto parlato dei pericoli della natura ambigua del capitolo 8 di "Amoris laetitia", sottolineando che è aperto a molte interpretazioni. Perché fare chiarezza è così importante?

La chiarezza nell’insegnamento non implica alcuna rigidità che impedisca al popolo di camminare sulla via del Vangelo, ma, al contrario, la chiarezza dona la luce necessaria ad accompagnare le famiglie sulla via della sequela di Cristo. È l’oscurità che ci impedisce di vedere il cammino e ostacola l’azione evangelizzatrice della Chiesa, come dice Gesù: “Arriva la notte, in cui nessuno può lavorare” (Gv 9, 4).

Può spiegare di più la situazione attuale alla luce dei "dubia"?

La presente situazione, lungi dal diminuire l'importanza dei "dubia", li rende ancora più pressanti. Non si tratta affatto, come qualcuno ha detto, di una “ignorantia affectata”, che solleva dubbi solo perché non vuole accettare un determinato insegnamento. Piuttosto, la preoccupazione è stata ed è di determinare con precisione ciò che il papa ha voluto insegnare come successore di Pietro. Le domande nascono, quindi, proprio dal riconoscimento dell’ufficio petrino che papa Francesco ha ricevuto dal Signore al fine di confermare i suoi fratelli nella fede. Il magistero è un dono di Dio alla Chiesa per fare chiarezza sui punti che riguardano il deposito della fede. Affermazioni alle quali mancasse questa chiarezza non potrebbero essere, per loro stessa natura, espressioni qualificate del magistero.

Perché è così pericoloso, secondo lei, che ci siano interpretazioni diverse di "Amoris laetitia", in particolare sull'approccio pastorale di chi vive in unioni irregolari e specificamente sui divorziati risposati civilmente che non vivono in continenza e ricevono la santa comunione?

È palese che alcune indicazioni di "Amoris laetitia" riguardanti aspetti essenziali della fede e della pratica della vita cristiana hanno ricevuto varie interpretazioni, che sono divergenti e a volte incompatibili tra loro. Questo fatto incontestabile conferma che quelle indicazioni sono ambivalenti e permettono un varietà di letture, molte delle quali sono in contrasto con la dottrina cattolica. Perciò le questioni sollevate da noi cardinali riguardano che cosa abbia insegnato esattamente il Santo Padre e come il suo insegnamento si armonizzi con il deposito della fede, dato che il magistero “non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio” (Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica "Dei Verbum", n. 10).

Non ha chiarito il papa su quale posizione egli si pone, tramite la sua lettera ai vescovi argentini, nella quale egli ha affermato che "non vi è altra interpretazione" se non le linee guida che questi vescovi hanno indicato, linee guida che hanno lasciata aperta per delle coppie non sposate ma in intimità sessuale la possibilità di ricevere la santa eucaristia?

Al contrario di quanto alcuni hanno detto, non possiamo considerare una risposta adeguata alle domande da noi poste la lettera del papa ai vescovi della regione di Buenos Aires [qui], scritta poco prima che egli ricevesse i "dubia" e contenente commenti alle linee guida pastorali dei vescovi. Da una parte, queste linee guida possono essere interpretate in modi differenti; dall’altra, non è chiaro che questa lettera sia un testo magisteriale, nel quale il papa abbia voluto parlare alla Chiesa universale come successore di Pietro. Già il fatto che si sia conosciuta quella lettera perché fatta filtrare alla stampa – e solo dopo sia stata resa nota dalla Santa Sede – solleva un ragionevole dubbio sull'intenzione del Santo Padre di rivolgerla alla Chiesa universale. Inoltre, risulterebbe un po' strano – e contrario al desiderio esplicitamente formulato da papa Francesco di lasciare la concreta applicazione di "Amoris laetitia" ai vescovi di ogni paese (cfr. AL 3) – che ora egli imponga alla Chiesa universale quelle che sono soltanto le concrete direttive di una particolare regione. E non dovrebbero allora essere considerate tutte invalide le differenti disposizioni promulgate da vari vescovi nelle rispettive diocesi, da Philadelphia a Malta? Un insegnamento che non è sufficientemente determinato, tanto nella sua autorità quanto nel suo contenuto effettivo, non può mettere in dubbio la chiarezza del costante insegnamento della Chiesa, che, in ogni caso, rimane sempre normativo.

La preoccupa anche il permesso dato da alcune conferenze episcopali a dei divorziati risposati che vivono “more uxorio" (cioè avendo relazioni sessuali) di ricevere la santa comunione senza un fermo proposito di cambiar vita, contraddicendo così l'insegnamento pontificio precedente, in particolare l’esortazione apostolica di san Giovanni Paolo II "Familiaris consortio"?

Sì, i "dubia" e le domande restano aperti. Quelli che sostengono che la disciplina insegnata da "Familiaris consortio" 84 è cambiata si contraddicono l'un l'altro quando arrivano a spiegarne le ragioni e le conseguenze. Alcuni arrivano fino al punto di sostenere che i divorziati in nuova unione che continuano a vivere "more uxorio", non si troverebbero in uno stato oggettivo di peccato mortale (citando in appoggio AL 303); mentre altri negano questa interpretazione (citando in appoggio AL 305), ma lasciano completamente al giudizio della coscienza di determinare i criteri di accesso ai sacramenti. Sembra che l'obiettivo di tanti interpreti sia di arrivare, in un modo o nell'altro, a un cambiamento di disciplina, mentre le ragioni che essi adducono a questo fine non hanno importanza. Né essi mostrano alcuna preoccupazione su quanto mettono in pericolo materie essenziali del deposito della fede.

Qual è l'effetto tangibile che questa miscela di interpretazioni ha avuto?

Questa confusione ermeneutica ha già prodotto un triste risultato. Infatti, l'ambiguità riguardo a un punto concreto della cura pastorale della famiglia ha portato alcuni a proporre un cambiamento di paradigma dell'intera pratica morale della Chiesa, le cui fondamenta sono state autoritativamente insegnate da san Giovanni Paolo II nella sua enciclica "Veritatis splendor ".
In effetti è stato messo in moto un processo che è eversivo di parti essenziali della tradizione. Per quanto riguarda la morale cristiana, alcuni sostengono che le norme morali assolute devono essere relativizzate e che una coscienza soggettiva e autoreferenziale debba avere un primato – in definitiva equivoco – in materie che toccano la morale. Quello che è in gioco, dunque, non è in alcun modo secondario rispetto al "kerygma”, cioè al messaggio fondamentale del Vangelo. Stiamo parlando della possibilità o no che l’incontro con Cristo, per grazia di Dio, dia forma al cammino della vita cristiana, in modo che possa essere in armonia con il disegno sapiente del Creatore. Per comprendere la portata di tali cambiamenti, basta pensare a cosa succederebbe se questo ragionamento fosse applicato ad altri casi, come quello di un medico che effettua aborti, di un politico che fa parte di un reticolo di corruzione, di una persona sofferente che decide di fare una richiesta di suicidio assistito...

Alcuni hanno detto che l'effetto più rovinoso di tutto ciò è che configura un attacco ai sacramenti, oltre che all'insegnamento morale della Chiesa. È così?

Al di là del dibattito morale, il senso della pratica sacramentale va degradandosi sempre di più nella Chiesa, specialmente quando si tratta dei sacramenti della penitenza e dell'eucaristia. Il criterio decisivo per l'ammissione ai sacramenti è sempre stato la coerenza del modo di vivere di una persona con gli insegnamenti di Gesù. Se invece il criterio decisivo diventasse l'assenza della colpevolezza soggettiva della persona – come hanno suggerito alcuni interpreti di "Amoris laetitia" – ciò non cambierebbe la natura stessa dei sacramenti? Infatti, i sacramenti non sono incontri privati ​​con Dio, né sono mezzi di integrazione sociale in una comunità. Piuttosto, sono segni visibili ed efficaci della nostra incorporazione in Cristo e nella sua Chiesa, in cui e per mezzo di cui la Chiesa pubblicamente professa e mette in pratica la sua fede. Quindi trasformare la diminuita colpevolezza soggettiva o la mancanza di colpevolezza di una persona nel criterio decisivo per l'ammissione ai sacramenti metterebbe a rischio la stessa "regula fidei", la regola della fede, che i sacramenti proclamano e attuano non solo con parole ma anche con gesti visibili. Come potrebbe la Chiesa continuare ad essere sacramento universale di salvezza se il significato dei sacramenti fosse svuotato del suo contenuto?

Nonostante il fatto che lei e tanti altri, tra cui oltre 250 accademici e preti che hanno pubblicato una "correzione filiale" [qui], abbiate già espresso seri dubbi circa gli effetti di questi passaggi di "Amoris laetitia", e poiché finora non avete ricevuto nessuna risposta da parte del Santo Padre, lei intende qui rivolgergli un ultimo appello?

Sì, per queste gravi ragioni, un anno dopo aver resi pubblici i "dubia", mi rivolgo di nuovo al Santo Padre e a tutta la Chiesa, sottolineando quanto sia urgente che, nell'esercitare il ministero che ha ricevuto dal Signore, il papa confermi i suoi fratelli nella fede con una chiara manifestazione dell'insegnamento riguardante sia la morale cristiana che il significato della pratica sacramentale della Chiesa.
 




Un vescovo modernista si confessa

 
[Il seguente dialogo è inventato, i due protagonisti sono personaggi di fantasia, pertanto eventuali riferimenti a persone realmente esistite sono puramente casuali]
 
 
Un vescovo era in fin di vita, ma prima di morire fece chiamare al suo capezzale un sacerdote legato alla Tradizione Cattolica, che in passato aveva ferocemente perseguitato...
 
- Eccellenza, mi ha fatto chiamare?
 
- Sì, avvicinati, devo parlarti.
 
- L'ascolto volentieri.
 
- Voglio chiederti perdono per tutto il male che ti ho fatto e per le enormi sofferenze che hai patito a causa mia. Adesso che mi trovo vicino alla morte, le vicende terrene mi appaiono in maniera diversa...
 
- Eccellenza, io l'ho già perdonata. Anzi, devo dirle che le tante sofferenze che ho patito mi hanno stretto di più al Signore. Ah, quante notti ho trascorso in lacrime dinanzi al tabernacolo! Ad Deum stillat oculus meus. Del resto, se Gesù Cristo ha permesso che io soffrissi, lo ha fatto in vista di un bene maggiore. Se non mi avesse inviato tante croci nella vita, chissà, forse mi sarei allontanato da Lui. È proprio vero che Dio castiga quelli che ama! Ma come mai ha cambiato idea su di me?
 
- Adesso te lo spiego. Da bambino ero molto devoto, avevo un parroco zelante che era un ottimo direttore spirituale tipo Padre Réginald Garrigou-Lagrange e Padre Adolphe Tanquerey, il quale mi diede una buona preparazione dottrinale e spirituale, ma dopo la sua morte arrivò un nuovo parroco che aveva una visione immanentista della vita, non parlava mai della questione della salvezza eterna dell'anima ma solo di “questione operaia” e di altri problemi sociali. Simpatizzava per il comunismo. Io allora ero ancora un ragazzo e mi lasciai un po' sviare da quel prete.

Tuttavia avevo ancora una valida formazione spirituale. Mi sentii attratto al sacerdozio ed entrai in seminario, ma poco tempo dopo scoppiò la “rivoluzione culturale” nel clero della nostra diocesi: tutto ciò che nella Religione aveva un sapore “tradizionale” doveva essere abbattuto. Per me fu un trauma, avrei voluto resistere, ma non volevo essere etichettato “tradizionalista” dai superiori del seminario, e quindi mi adeguai all'andazzo generale. Venni ordinato sacerdote, ma ormai avevo perso il fervore per la vita devota, non mi attraeva più, ero diventato modernista anche io, e conducevo una vita “poco edificante”. Inizialmente sentivo un po' di rimorso nella coscienza, ma cercavo di soffocarlo gettandomi nel sociale, cioè occupandomi dei problemi materiali dei poveri e degli oppressi dalla società capitalista. Intanto mi ero fatto amico il Nunzio Apostolico del mio Paese, il quale era ultramodernista, e mi inserì nella lista dei nominativi da segnalare a Roma per un'eventuale nomina episcopale.

Nella nota informativa che spedì in Vaticano parlò in maniera molto positiva di me, quasi fossi un santo, e poco tempo dopo il Papa mi elevò a vescovo della diocesi di […]. Ero felice di aver fatto carriera, e cominciai a plasmare la diocesi in senso modernista, visto che il mio predecessore era stato uno della “vecchia guardia”, uno di quelli che vestiva sempre in talare, amava il canto gregoriano e la "Somma Teologica", e parlava solo di cose devote. Per prima cosa misi le mani sul seminario, cacciando i professori tomisti e sostituendoli con teologi modernisti. Ma nel giro di pochi anni i seminaristi calarono del 90%. Poi passai a sistemare i conti in sospeso con i parroci filo-tradizionali, perseguitandoli in ogni modo e ostacolando il loro apostolato. Ero accecato dall'odio nei loro confronti. Il fatto è che col loro comportamento pio e zelante mi ricordavano il mio tradimento nei confronti della Tradizione Cattolica, erano una sorta di “grillo parlante” per la mia coscienza.
Non mi confessavo più, celebravo sacrilegamente la Messa in stato di peccato mortale, non credevo più alla Risurrezione di Cristo e a tante altre verità di fede cattolica. Il mio scopo era di costruire un paradiso su questa terra, proprio come pretendono di fare i comunisti. E intanto odiavo e perseguitavo brutalmente tutti i pochi preti come te che non volevano piegarsi di fronte alla nuova religione sincretista che tanto piace ai modernisti. 
 
- Ma come mai adesso ha cambiato idea?
 
- In effetti mi ero ostinato nel male e in questo stato disgraziato mi accingevo a presentarmi dinanzi al tribunale di Gesù Cristo, ove tra poche ore dovrò rendere conto di tutta la mia vita. Ma questa mattina è venuta a trovarmi un'anziana suora infermiera per dirmi alcune parole buone, io però non avevo voglia di ascoltarla e le ho detto di andarsene perché ero stanco. La suora, prima di uscire dalla stanza, mi ha dato un santino del Sacro Cuore di Gesù, quasi identico a quello che quando ero bambino mi regalò il mio zelante parroco e direttore spirituale.
E così mi sono ricordato che da fanciullo feci con grande fervore la pia pratica dei “Primi nove venerdì del mese” in onore del Sacro Cuore di Gesù e quella dei “Primi cinque sabati” per riparare i peccati commessi contro il Cuore Immacolato di Maria... [piange].
 
- Eccellenza, capisco la sua commozione. Ancora una volta, Gesù buono, nell'eccesso della sua infinita misericordia ha mantenuto la promessa... ma non capisco per quale motivo ha chiamato proprio me al suo capezzale, visto che qui in arcivescovado ci sono tanti altri preti.
 
- Volevo chiederti perdono per tutto il male che ti ho fatto, ma soprattutto vorrei che tu mi confessassi. Degli altri preti non mi fido, li conosco bene, li ho formati io: sono modernisti, mi ingannerebbero, mi direbbero che le cose che ho fatto non sono peccati da confessare. Di te invece mi fido, sei come il parroco che avevo da bambino, so che non mi ingannerai. Voglio fare una confessione generale. Subito.
 
- Va bene Eccellenza, cominciamo... In nómine Patris + et Filii et Spíritus Sancti.



[Modificato da Caterina63 15/11/2017 09:37]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)