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Paolo VI in Terra Santa: 50 anni fa l'inizio dei viaggi papali



Nel gennaio 1964 papa Montini visita la terra di Gesù e abbraccia il patriarca di Costantinopoli Athenagoras. Ecco una cronaca dettagliata di quelle storiche giornate

 

È stato il primo dei nove viaggi fuori Italia compiuti da Paolo VI (dal 1812, anno in cui Pio VII era stato portato da Napoleone all'esilio coatto di Fontainebleau, nessun Pontefice aveva lasciato l'Italia). Papa Montini, nel gennaio 1964, con il Concilio aperto, compie un breve ma intenso pellegrinaggio di tre giorni in Terra Santa toccando ben quindici località in due diversi Paesi. Nel maggio 2014, per commemorare il cinquantesimo anniversario di quella visita, papa Francesco si recherà in Terra Santa dove abbraccerà il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo.

Concludendo i lavori della seconda sessione del Vaticano II, il 4 dicembre 1963 papa Montini a sorpresa annunciava ai padri conciliari: «Piace adesso aggiungere qualcosa per comunicarvi un proposito che già da tempo abbiamo in animo... Siamo così convinti che per ottenere un buon esito del Concilio si devono elevare pie suppliche, moltiplicare le opere, che, dopo matura riflessione e molte preghiere rivolte a Dio, abbiamo deliberato di recarci come pellegrino in quella terra, patria del Signore nostro Gesù Cristo... con l’intenzione di rievocare di persona i principali misteri della nostra salvezza, cioè l’incarnazione e la redenzione». 

«Vedremo quella terra veneranda», aveva detto ancora Paolo VI, «di dove San Pietro è partito e nella quale nessun suo successore è mai tornato. Ma noi umilissimamente e per brevissimo tempo vi ritorneremo in spirito di devota preghiera, di rinnovamento spirituale, per offrire a Cristo la sua Chiesa; per richiamare ad essa, una e santa, i Fratelli separati; per implorare la divina misericordia in favore della pace».

L’idea della visita nella terra di Gesù è fissato in un appunto manoscritto del pontefice, datato 21 settembre 1963. «Dopo lunga riflessione, e dopo aver invocato il lume divino... sembra doversi studiare positivamente se e come possibile una visita del Papa ai Luoghi Santi nella Palestina... Questo pellegrinaggio sia rapidissimo, abbia carattere di semplicità, di pietà, di penitenza e di carità». È l’unico dei viaggi di Paolo VI che non ha alla sua origine una circostanza particolare o un evento da celebrare, né un invito.

Per preparare la visita, il papa invia in Terra Santa, in tutta segretezza, monsignor Jacques Martin, prelato francese della Segreteria di Stato, e il suo segretario particolare, don Pasquale Macchi. Paolo VI avrebbe voluto che il pellegrinaggio comprendesse anche una sosta a Damasco, sulle orme dell’apostolo delle genti, il cui nome il papa aveva scelto, ma il progetto si rivelò inattuabile. Prima della partenza Montini vuole che padre Giulio Bevilacqua predichi un ritiro spirituale per tutti coloro che partecipano al pellegrinaggio. Alla Custodia dei francescani di Terra Santa viene affidato il compito di organizzare le varie funzioni religiose e anche un ufficio informazioni per aiutare le migliaia di giornalisti che seguiranno l’evento.

La mattina del 4 gennaio 1964 a Roma fa freddo, un gelido vento di tramontana sferza la città. La finestra della camera da letto del papa s’illumina alle cinque e un quarto. Ci sono già un migliaio di persone che attendono sulla piazza l’uscita dell’auto di Paolo VI. Alle sette e un quarto, a bordo di una Mercedes scoperta, il pontefice esce dal Vaticano. All’aeroporto di Fiumicino lo attende un Dc8 dell’Alitalia, che per l’occasione ha la coda dipinta con i colori della bandiera pontificia. Ci sono il presidente della Repubblica Antonio Segni e il nuovo presidente del Consiglio, Aldo Moro. Dopo aver sorvolato la Grecia, Rodi, Cipro e Beirut, il Dc8 papale entra nello spazio aereo della Giordania e viene preso in consegna da una squadra di otto caccia che lo affiancano e lo scortano.

Ad accogliere il papa al su arrivo ad Amman c’è re Hussein di Giordania, che offre una targa fatta con il legno degli ulivi del Getzemani. Fa freddo e il volo è durato più del previsto. La cerimonia di benvenuto, che si svolge nel padiglione del cerimoniale, dura pochi minuti. Il re, in uniforme militare, è commosso e ringrazia per l’onore della visita. Papa Montini dice: «Chi vuole amare la vita e vedere lieti i giorni, schivi il male e faccia il bene, cerchi la pace e la segua». Poi parte il corteo che percorrerà i cento chilometri che separano Amman da Gerusalemme. Il re, a bordo di un piccolo aereo personale, segue il tragitto dall’alto. 

La gente attende il papa ai bordi delle strade, spesso l’auto del pontefice è sfiorata dalle tante mani che si protendono. Alle 15.20, la prima sosta. L’auto si avvicina alle rive del Giordano, nel luogo dove secondo la tradizione Gesù ricevette il battesimo dal Battista. Il papa, che indossa il cappotto bianco e il capello «saturno» rosso, scende verso il fiume. Il terreno è scivoloso, Paolo VI vuole avvicinarsi più di quanto era previsto, fino quasi a toccare l’acqua. Vacilla, ma viene sostenuto da due guardie con la kefiah a scacchi bianchi e rossi. L’acqua è fangosa, la corrente crea un piccolo vortice proprio davanti alla roccia dalla quale il pellegrino di Roma intona il «Pater Noster» e benedice la piccola folla raccolta attorno a lui.

Prima di arrivare a Gerusalemme, un’altra tappa a Betania, nel piccolo villaggio sul monte degli ulivi. Paolo VI, accompagnato dai francescani della Custodia entra a visitare i resti della casa di Lazzaro, si ferma a pregare nella chiesetta di pietra gialla, poi all’uscita libera una colomba. 

Il viaggio attraverso il deserto è ormai finito. Papa Montini intravede già dall’auto le possenti mura del Solimano che circondano la città santa. L’auto con la bandierina vaticana, accolta da due ali di folla, si avvicina mentre su Gerusalemme sta ormai calando il tramonto. La porta di Damasco è illuminata a giorno, e imbandierata con i vessilli della Giordania e della Santa Sede. Due grandi fotografie in bianco e nero campeggiano sopra lo storico ingresso che introduce nei vicoli della città vecchia: quella di Paolo VI e quella di re Hussein. Papa Montini viene circondato dalla gente. A nulla valgono gli sforzi delle guardie che devono garantire l’incolumità dell’ospite.

Così descrive la scena uno degli inviati del settimanale «Epoca», Domenico Agasso: «Nella mischia terribile scatenata dall’apparizione del Papa, accadde di tutto. Disperse le due siepi di “angeli” con l’incenso che non fecero in tempo ad accendere; patriarchi, vescovi, ministri e generali sballottati contro le mura; un monsignore della Segreteria di Stato abbattuto da una randellata della Legione Araba, che con alcune jeep traboccanti di mitragliatrici cercava di raggiungere il Papa, con i soldati che agitavano sulle teste rami di palma, bastoni e fucili. E lui, Paolo VI, galleggiava in quel mare, circondato da un anello di quattro o cinque militari che si tenevano per mano e lo proteggevano con una terribile stretta, trascinandolo e spingendolo a piccoli balzi di pochi centimetri di qua e di là, su e giù».

Le immagini mostrano il Pontefice bresciano attorniato dai soldati giordani, mentre viene trascinato da una parte e dall'altra per i vicoli della Città Santa. Pallido, ma sorridente, Paolo VI riuscì ad arrivare incolume alla meta, il Santo Sepolcro, dove avrebbe celebrato la messa. Quella sera padre Giulio Bevilacqua, amico del Papa, rivelò a un gruppo di giornalisti radunati fuori della Delegazione apostolica di Gerusalemme che molti anni prima Montini gli aveva confidato: «Sogno un Papa che viva libero dalla pompa della corte e dalle prigionie protocollari. Finalmente solo in mezzo ai suoi diaconi». Ecco perché, aveva concluso Bevilacqua, «sono convinto che oggi, sebbene travolto dalla folla, egli sia più contento di quando scende in San Pietro sulla sedia gestatoria tra le alabarde delle guardie e le porpore dei cardinali».

Il segretario del papa, don Macchi, viene violentemente allontanato e riesce a raggiungerlo soltanto al Santo Sepolcro grazie a un passaggio in motocicletta.
Nel tragitto della «Via dolorosa», il papa procede tra la calca della folla stipata fino all’inverosimile negli antichi vicoli di Gerusalemme dalle cui botteghe e friggitorie si alza un acre odore di spezie. A volte il pellegrino di Roma sembra finire inghiottito. Ma il suo volto è sereno. Solleva le mani benedicenti, mentre viene sorretto dalle guardie reali. Solo l’aiutante di camera Franco Ghezzi è riuscito a inserirsi nel corteo seguendo a poca distanza il pontefice. Alla quinta stazione della «Via Crucis», qualcuno urla: «Il papa sta male!». Ma non appena il capo di Montini riemerge dalla marea umana che lo circonda, si vede che non è vero. Si decide comunque di fare una sosta non prevista nella cappella delle Piccole sorelle di Gesù, presso la sesta stazione della «Via Crucis», per far riprendere fiato all’ospite.

Finalmente, dopo aver percorso l’ultimo tratto, il papa si trova di fronte la basilica che racchiude il Golgota e la tomba di Gesù rimasta vuota. La chiesa è illuminata a giorno da potenti riflettori, anche all’interno è tutta una calca, il papa quasi non ha spazio per celebrare la messa. Durante la celebrazione, salta l’impianto elettrico e la basilica piomba nell’oscurità, rischiarata soltanto dalla luce fioca delle candele.
Accompagnato da due cerimonieri, Paolo VI entra nel sepolcro, depone un ramo d’ulivo in oro sul marmo che ricopre la pietra dov’era stato deposto il corpo di Cristo morto in croce. Il papa si accascia, in ginocchio.
Alla fine, commosso, recita la sua personale preghiera:

«Siamo qui, Signore Gesù.
Siamo venuti come colpevoli che ritornano
al luogo del loro delitto.
Siamo venuti come colui che Ti ha seguito,
ma Ti ha anche tradito,
tante volte fedeli e tante volte infedeli.
Siamo venuti per riconoscere il misterioso rapporto
tra i nostri peccati e la tua Passione,
l’opera nostra e l’opera tua.
Siamo venuti per batterci il petto e domandarTi perdono,
per implorare la tua misericordia.
Siamo venuti perché sappiamo che Tu puoi
che tu vuoi perdonarci
perché hai espiato per noi:
Tu sei la nostra redenzione e la nostra speranza».

La celebrazione di fronte all’ingresso del Santo Sepolcro è per Montini il momento più emozionante e commovente della giornata, come lui stesso rivelerà ai cardinali che lo accolgono il giorno del suo rientro a Roma.

Dopo la messa, il papa riceve nella delegazione apostolica di Gerusalemme le visite del patriarca greco ortodosso Benedictos e del patriarca armeno Yeghische Derderian. Poco dopo, Paolo VI restituisce la visita a Benedictos, quindi incontra la comunità cattolica di rito orientale nella chiesa di sant’Anna e conclude la sua giornata al Getzemani, per partecipare alla preghiera dell’«ora santa» nella chiesa dedicata all’agonia di Gesù. Anche qui, il papa è accolto da una grande folla, che lo attornia e quasi gli impedisce di entrare. Sono le undici e mezzo di sera di una giornata straordinaria, che per Montini è iniziata prima dell’alba. 

La mattina di domenica 5 gennaio, alle nove del mattino, il papa entra nello stato d’Israele. Lo accolgono il presidente Salman Shazar e il rabbino capo Nissim. L’incontro avviene sul colle di Meghiddo, un luogo carico di storia e di significati, citato nell’Apocalisse. Il papa saluta ripetendo la parola «shalom», pace, mentre passa in rassegna il picchetto d’onore e arriva sul palco imbandierato di vessilli con la stella di David. Il presidente dice: «Con profondo rispetto e nella piena coscienza della portata storica di un evento senza precedenti nelle generazioni passate, a nome mio e dello Stato d’Israele accolgo il Sommo Pontefice...». Paolo VI, che nel suo discorso non pronuncia mai le parole «stato di Israele», risponde: «Volentieri ricordiamo i figli del “Popolo dell’Alleanza” il cui compito nella storia religiosa dell’umanità non possiamo dimenticare».

Dopo la sosta a Meghiddo, il papa riprende il suo serrato cammino verso la Galilea in direzione di Nazaret. È commosso e tremante mentre entra nella piccola grotta scavata nella roccia, quel che resta della casa di Maria. Il papa celebra la messa e parla di Nazaret come di una «scuola del Vangelo». E pronuncia una rivisitazione moderna delle beatitudini evangeliche. «Beati noi, se, poveri nello spirito, sappiamo liberarci dalla fallace fiducia nei beni economici e collocare i nostri primi desideri nei beni spirituali e religiosi; e abbiamo per i poveri riverenza ed amore, come fratelli e immagini viventi del Cristo. Beati noi se, formati alla dolcezza dei forti, sappiamo rinunciare alla potenza funesta dell’odio e della vendetta e abbiamo la sapienza di preferire al timore che incutono le armi la generosità e il perdono, l’accordo nella libertà e nel lavoro, la conquista della bontà e della pace».

Il pellegrinaggio prosegue. È ormai uno splendido mezzogiorno di sole quando Paolo VI, sorridente, percorre la ripida scala intagliata nella roccia a Tabga sostenuto dal sostituto Angelo Dell’Acqua, per raggiungere la riva del «mar di Galilea», il lago di Tiberiade, sulle cui acque navigava la barca di Pietro. All’orizzonte si profilano le colline della Siria. Il papa si ferma a pregare in ginocchio sulla roccia che sorge nel luogo in cui, secondo la tradizione, Gesù affidò il primato a Simon Pietro. Poi una breve sosta a Cafarnao, dove Montini visita gli scavi archeologici che hanno messo in luce i resti del villaggio dove vivevano Pietro e il fratello Andrea, e dove sorgeva la sinagoga nella quale Gesù prese la parola.

La tappa successiva è il Monte delle Beatitudini. Qui Paolo VI comunica la nomina episcopale di monsignor Giovanni Kaldany, vicario generale del patriarcato latino, e di monsignor Martin, che aveva preparato lo storico pellegrinaggio. Nel pomeriggio il papa sale sul monte Tabor e, scrive Macchi «vive un momento di grande emozione e spiritualità evangelica: il sole al tramonto si riverberava nell’abside della Basilica, con tali effetti di luce da evocare quasi l’immagine della Trasfigurazione». 

Si torna quindi a Gerusalemme, nella parte ebraica. Ad accogliere Paolo VI ci sono il primo ministro Abba Eban e il sindaco della città. Il papa conclude la sua giornata con una preghiera nel Cenacolo. S’inginocchia sul pavimento, quindi scende nella chiesa della Dormizione. 

Prima di far rientro nella parte araba della città, il pellegrino di Roma è salutato nuovamente dal presidente israeliano Shazar. Il papa risponde ringraziando per «questa giornata indimenticabile», e aggiunge delle parole in difesa della memoria di papa Pacelli. È un intervento non previsto, deciso dal pontefice la sera precedente. 

«Contro la memoria di questo grande Pontefice si sono voluti gettare sospetti e perfino accuse.... Chi come noi, ha conosciuto da vicino quest’anima degna di ammirazione, sa fin dove fosse capace di giungere la sua sensibilità, la sua compassione per le sofferenze umane, il suo coraggio, la delicatezza del suo cuore. Lo sanno bene anche coloro che, alla fine della guerra, vennero con le lacrime agli occhi, a ringraziarlo di aver salvato loro la vita».

La sera del 5 gennaio, nella sede della delegazione, avviene il primo incontro e il primo abbraccio con il patriarca di Costantinopoli, Athenagoras I, giunto a Gerusalemme per salutarlo. Pietro e Andrea si ritrovano insieme dopo secoli di divisione. Il papa e il patriarca recitano il «Pater Noster», insieme alle rispettive delegazioni nelle due lingue, latina e greca. Athenagoras auspica che quell’incontro «sia l’alba di un giorno luminoso e benedetto, quando le generazioni future comunicheranno al medesimo calice del Santo Corpo e del Prezioso Sangue del Signore». Montini offre ad Athenagoras un calice d’oro. 

La mattina dopo, 6 gennaio, festa dell’Epifania, Paolo VI si reca a Betlemme. Vi arriva scortato dai cavalieri della Legione Araba, accolto anche qui da una grande folla. Lo attendono i francescani della Custodia e il patriarca latino di Gerusalemme, che porgono al papa una statua raffigurante Gesù Bambino deposto nella mangiatoia. Qui il papa tocca con mano le dolorose divisioni in seno al mondo cristiano e i rigidi orari stabiliti dallo «status quo» nei luoghi santi. È costretto a terminare la messa alle 8.30 e durante la funzione vengono celebrati altri due culti non cattolici. Inoltre, al pontefice rivestito dei paramenti liturgici è vietato l’attraversamento della navata centrale della basilica, affidata alla custodia dei greco-ortodossi. 

Nell'omelia Il papa parla di ecumenismo spiegando che l’unità «non può essere ottenuta a scapito delle verità di fede» ma ripete: «Noi siamo disposti a prendere in considerazione tutti i mezzi ragionevoli in grado di appianare le vie del dialogo». Paolo VI rinnova anche il suo appello per la pace: «I Governanti ascoltino questo grido del nostro cuore e proseguano generosamente i loro sforzi per assicurare all’umanità quella pace alla quale essa aspira con tanto ardore» e «per evitare a ogni costo le angosce e il terrore di una nuova guerra mondiale, le cui conseguenze sarebbero incalcolabili».

Il papa fa quindi ritorno a Gerusalemme e restituisce la visita della sera precedente ad Athenagoras. Nel discorso che consegna di legge: «Da una parte e dall’altra le vie che conducono all’unione sono lunghe e disseminate di difficoltà. Ma le due strade convergono l’una verso l’altra e approdano alle sorgenti del Vangelo. Non è di buon auspicio che questo incontro di oggi avvenga proprio su questa Terra dove il Cristo ha fondato la sua Chiesa e ha versato il suo Sangue per lei?».

Athenagoras regala al pontefice una croce d’oro del millenario del Monte Athos e un engolpion, il medaglione di forma ovale raffigurante Cristo, insegna episcopale della tradizione bizantina, aiutando personalmente il pontefice a indossarlo. L’incontro si conclude con la lettura del capitolo 17 del vangelo di Giovanni, da parte del papa e del patriarca, in greco e in latino, alternativamente, da una stessa copia del vangelo. Quindi viene recitato, questa volta insieme, in greco e latino, il «Padre nostro». Infine il papa e il patriarca benedicono congiuntamente i presenti. Qualche tempo dopo, il papa confiderà a monsignor Johannes Willebrands: «Non ho mai saputo che in un incontro così breve potesse nascere un’amicizia così profonda».

Alla fine della mattinata, il papa incontra la comunità cattolica di rito latino, con il patriarca Alberto Gori, e fa visita a un paralitico da molto tempo immobilizzato a letto. Quindi rientra nella delegazione apostolica, per salutare il gruppo di pellegrini milanesi. Il viaggio è ormai alle ultime battute. Il papa riprende la strada verso Amman, dove ritrova re Hussein, che all’aeroporto lo saluta riprendendo le parole sulla pace pronunciate a Betlemme. Paolo VI inizia il suo ultimo saluto pronunciando alcune parole in arabo, applauditissime dalla folla che assiste al commiato.

L’aereo con a bordo il pontefice atterra a Ciampino alle 18.30 del 6 gennaio. La sorpresa forse più entusiasmante è l’accoglienza che i romani riservano al loro vescovo pellegrino in Terra Santa. Migliaia di persone lo aspettano il passaggio lungo le strade da Ciampino al Colosseo, dove Paolo VI è atteso dalla giunta comunale e dal sindaco di Roma. L’auto fino a san Pietro procede quasi a passo d’uomo. Paolo VI si affaccia dalla finestra del suo studio, per un ultimo saluto alla folla. Dice che l’accoglienza «Avete compreso che il mio viaggio non è stato soltanto un fatto singolare e spirituale: è diventato un avvenimento che può avere una grande importanza storica». Come segno tangibile e ricordo del suo passaggio, il papa vuole che si costruisca nei dintorni di Gerusalemme un centro di studi ecumenici e a Betlemme un istituto per la rieducazione dei non udenti.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)