00 13/06/2018 13:27

UDIENZA GENERALE


Piazza San Pietro
Mercoledì, 13 giugno 2018

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Catechesi sui Comandamenti. 1. Introduzione: Il desiderio di una vita piena

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi è la festa di Sant’Antonio di Padova. Chi di voi si chiama Antonio? Un applauso a tutti gli “Antoni”. Iniziamo oggi un nuovo itinerario di catechesi sul tema dei comandamenti. I comandamenti della legge di Dio. Per introdurlo prendiamo spunto dal brano appena ascoltato: l’incontro fra Gesù e un uomo - è un giovane - che, in ginocchio, gli chiede come poter ereditare la vita eterna (cfr Mc 10,17-21). E in quella domanda c’è la sfida di ogni esistenza, anche la nostra: il desiderio di una vita piena, infinita. Ma come fare per arrivarci? Quale sentiero percorrere? Vivere per davvero, vivere un’esistenza nobile… Quanti giovani cercano di “vivere” e poi si distruggono andando dietro a cose effimere.

Alcuni pensano che sia meglio spegnere questo impulso - l’impulso di vivere - perché pericoloso. Vorrei dire, specialmente ai giovani: il nostro peggior nemico non sono i problemi concreti, per quanto seri e drammatici: il pericolo più grande della vita è un cattivo spirito di adattamento che non è mitezza o umiltà, ma mediocritàpusillanimità.[1] Un giovane mediocre è un giovane con futuro o no? No! Rimane lì, non cresce, non avrà successo. La mediocrità o la pusillanimità. Quei giovani che hanno paura di tutto: “No, io sono così …”. Questi giovani non andranno avanti. Mitezza, forza e niente pusillanimità, niente mediocrità. Il Beato Pier Giorgio Frassati – che era un giovane - diceva che bisogna vivere, non vivacchiare.[2] I mediocri vivacchiano. Vivere con la forza della vita. Bisogna chiedere al Padre celeste per i giovani di oggi il dono della sana inquietudine. Ma, a casa, nelle vostre case, in ogni famiglia, quando si vede un giovane che è seduto tutta la giornata, a volte mamma e papà pensano: “Ma questo è malato, ha qualcosa”, e lo portano dal medico. La vita del giovane è andare avanti, essere inquieto, la sana inquietudine, la capacità di non accontentarsi di una vita senza bellezza, senza colore. Se i giovani non saranno affamati di vita autentica, mi domando, dove andrà l’umanità? Dove andrà l’umanità con giovani quieti e non inquieti?

La domanda di quell’uomo del Vangelo che abbiamo sentito è dentro ognuno di noi: come si trova la vita, la vita in abbondanza, la felicità? Gesù risponde: «Tu conosci i comandamenti» (v. 19), e cita una parte del Decalogo. È un processo pedagogico, con cui Gesù vuole guidare ad un luogo preciso; infatti è già chiaro, dalla sua domanda, che quell’uomo non ha la vita piena, cerca di più è inquieto. Che cosa deve dunque capire? Dice: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza» (v. 20).

Come si passa dalla giovinezza alla maturità? Quando si inizia ad accettare i propri limiti. Si diventa adulti quando ci si relativizza e si prende coscienza di “quello che manca” (cfr v. 21). Quest’uomo è costretto a riconoscere che tutto quello che può “fare” non supera un “tetto”, non va oltre un margine.

Com’è bello essere uomini e donne! Com’è preziosa la nostra esistenza! Eppure c’è una verità che nella storia degli ultimi secoli l’uomo ha spesso rifiutato, con tragiche conseguenze: la verità dei suoi limiti.

Gesù, nel Vangelo, dice qualcosa che ci può aiutare: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento» (Mt 5,17). Il Signore Gesù regala il compimento, è venuto per questo. Quell’uomo doveva arrivare sulla soglia di un salto, dove si apre la possibilità di smettere di vivere di sé stessi, delle proprie opere, dei propri beni e – proprio perché manca la vita piena – lasciare tutto per seguire il Signore.[3] A ben vedere, nell’invito finale di Gesù – immenso, meraviglioso – non c’è la proposta della povertà, ma della ricchezza, quella vera: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (v. 21).

Chi, potendo scegliere fra un originale e una copia, sceglierebbe la copia? Ecco la sfida: trovare l’originale della vita, non la copia. Gesù non offre surrogati, ma vita vera, amore vero, ricchezza vera! Come potranno i giovani seguirci nella fede se non ci vedono scegliere l’originale, se ci vedono assuefatti alle mezze misure? È brutto trovare cristiani di mezza misura, cristiani – mi permetto la parola – “nani”; crescono fino ad una certa statura e poi no; cristiani con il cuore rimpicciolito, chiuso. È brutto trovare questo. Ci vuole l’esempio di qualcuno che mi invita a un “oltre”, a un “di più”, a crescere un po’. Sant’Ignazio lo chiamava il “magis”, «il fuoco, il fervore dell’azione, che scuote gli assonnati».[4]

La strada di quel che manca passa per quel che c’è. Gesù non è venuto per abolire la Legge o i Profeti ma per dare compimento. Dobbiamo partire dalla realtà per fare il salto in “quel che manca”. Dobbiamo scrutare l’ordinario per aprirci allo straordinario.

In queste catechesi prenderemo le due tavole di Mosè da cristiani, tenendoci per mano a Gesù, per passare dalle illusioni della giovinezza al tesoro che è nel cielo, camminando dietro di Lui. Scopriremo, in ognuna di quelle leggi, antiche e sapienti, la porta aperta dal Padre che è nei cieli perché il Signore Gesù, che l’ha varcata, ci conduca nella vita vera. La sua vita. La vita dei figli di Dio.


Saluti:

Un pensiero speciale porgo ai giovani, agli anziani, agli ammalati e agli sposi novelli. Oggi ricorre la memoria di Sant’Antonio di Padova, Dottore della Chiesa e Patrono dei poveri. Egli vi insegni la bellezza dell’amore sincero e gratuito; solo amando come Lui amò, nessuno intorno a voi si sentirà emarginato e, allo stesso tempo, voi stessi sarete sempre più forti nelle prove della vita.


 
[1] I Padri parlano di pusillanimità ( oligopsychìa). S. Giovanni Damasceno la definisce come «il timore di compiere un’azione» ( Esposizione esatta della fede ortodossa, II,15) e S. Giovanni Climaco aggiunge che «la pusillanimità è una disposizione puerile, in un’anima che non è più giovane» ( La Scala, XX, 1, 2).

[2] Cfr Lettera a Isidoro Bonini, 27 febbraio 1925.

[3] «L’occhio è stato creato per la luce, l’orecchio per i suoni, ogni cosa per il suo fine, e il desiderio dell’anima per slanciarsi verso il Cristo» (Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, II, 90).

[4] Discorso alla XXXVI Congregazione Generale della Compagnia di Gesù, 24 ottobre 2016: «Si tratta di magis, di quel plusche porta Ignazio ad iniziare processi, ad accompagnarli e a valutare la loro reale incidenza nella vita delle persone, in materia di fede, o di giustizia, o di misericordia e carità».




UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 20 giugno 2018

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CATECHESI DEL SANTO PADRE

 

Catechesi sui Comandamenti. 2: "Dieci Parole" per vivere l'Alleanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Mercoledì scorso abbiamo iniziato un nuovo ciclo di catechesi sui comandamenti. Abbiamo visto che il Signore Gesù non è venuto ad abolire la Legge ma a dare il compimento. Ma dovremo capire meglio questa prospettiva.

Nella Bibbia i comandamenti non vivono per sé stessi, ma sono parte di un rapporto, una relazione. Il Signore Gesù non è venuto ad abolire la Legge, ma a dare il compimento. E c’è quella relazione dell’Alleanza [1] fra Dio e il suo Popolo. All’inizio del capitolo 20 del libro dell’Esodo leggiamo – e questo è importante – : «Dio pronunciò tutte queste parole» (v. 1).

Sembra un’apertura come un’altra, ma niente nella Bibbia è banale. Il testo non dice: “Dio pronunciò questi comandamenti”, ma «queste parole». La tradizione ebraica chiamerà sempre il Decalogo “le dieci Parole”. E il termine “decalogo” vuol dire proprio questo. [2] Eppure hanno forma di leggi, sono oggettivamente dei comandamenti. Perché, dunque, l’Autore sacro usa, proprio qui, il termine “dieci parole”? Perché? E non dice “dieci comandamenti”?

Che differenza c’è fra un comando e una parola? Il comando è una comunicazione che non richiede il dialogo. La parola, invece, è il mezzo essenziale della relazione come dialogo. Dio Padre crea per mezzo della sua parola, e il Figlio suo è la Parola fatta carne. L’amore si nutre di parole, e così l’educazione o la collaborazione. Due persone che non si amano, non riescono a comunicare. Quando qualcuno parla al nostro cuore, la nostra solitudine finisce. Riceve una parola, si dà la comunicazione e i comandamenti sono parole di Dio: Dio si comunica in queste dieci Parole, e aspetta la nostra risposta.

Altro è ricevere un ordine, altro è percepire che qualcuno cerca di parlare con noi. Un dialogo è molto di più che la comunicazione di una verità. Io posso dirvi: “Oggi è l’ultimo giorno di primavera, calda primavera, ma oggi è l’ultimo giorno”. Questa è una verità, non è un dialogo. Ma se io vi dico: “Cosa pensate di questa primavera?”, incomincio un dialogo. I comandamenti sono un dialogo. La comunicazione si realizza per il piacere di parlare e per il bene concreto che si comunica tra coloro che si vogliono bene per mezzo delle parole. È un bene che non consiste in cose, ma nelle stesse persone che scambievolmente si donano nel dialogo» (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 142).

Ma questa differenza non è una cosa artificiale. Guardiamo cosa è successo all’inizio. Il Tentatore, il diavolo, vuole ingannare l’uomo e la donna su questo punto: vuole convincerli che Dio ha vietato loro di mangiare il frutto dell’albero del bene e del male per tenerli sottomessi. La sfida è proprio questa: la prima norma che Dio ha dato all’uomo, è l’imposizione di un despota che vieta e costringe, o è la premura di un papà che sta curando i suoi piccoli e li protegge dall’autodistruzione? E’ una parola o è un comando? La più tragica, fra le varie menzogne che il serpente dice a Eva, è la suggestione di una divinità invidiosa – “Ma no, Dio è invidioso di voi” – di una divinità possessiva – “Dio non vuole che voi abbiate libertà”. I fatti dimostrano drammaticamente che il serpente ha mentito (cfr Gen 2,16-17; 3,4-5), ha fatto credere che una parola d’amore fosse un comando.

L’uomo è di fronte a questo bivio: Dio mi impone le cose o si prende cura di me? I suoi comandamenti sono solo una legge o contengono una parola, per curarsi di me? Dio è padrone o Padre? Dio è Padre: non dimenticatevi mai questo. Anche nelle situazioni più brutte, pensate che abbiamo un Padre che ci ama tutti. Siamo sudditi o figli? Questo combattimento, dentro e fuori di noi, si presenta continuamente: mille volte dobbiamo scegliere tra una mentalità da schiavi e una mentalità da figli. Il comandamento è dal padrone, la parola è dal Padre.

Lo Spirito Santo è uno Spirito di figli, è lo Spirito di Gesù. Uno spirito da schiavi non può che accogliere la Legge in modo oppressivo, e può produrre due risultati opposti: o una vita fatta di doveri e di obblighi, oppure una reazione violenta di rifiuto. Tutto il Cristianesimo è il passaggio dalla lettera della Legge allo Spirito che dà la vita (cfr 2 Cor 3,6-17). Gesù è la Parola del Padre, non è la condanna del Padre. Gesù è venuto a salvare, con la sua Parola, non a condannarci.

Si vede quando un uomo o una donna hanno vissuto questo passaggio oppure no. La gente si rende conto se un cristiano ragiona da figlio o da schiavo. E noi stessi ricordiamo se i nostri educatori si sono presi cura di noi come padri e madri, oppure se ci hanno solo imposto delle regole. I comandamenti sono il cammino verso la libertà, perché sono la parola del Padre che ci fa liberi in questo cammino.

Il mondo non ha bisogno di legalismo, ma di cura. Ha bisogno di cristiani con il cuore di figli. [3] Ha bisogno di cristiani con il cuore di figli: non dimenticatevi questo.

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Saluti

Un pensiero speciale porgo ai giovani, agli anziani, agli ammalati e agli sposi novelli.

Nel mese di giugno la pietà popolare ci fa pregare con più fervore il Sacro Cuore di Gesù. Quel Cuore Misericordioso vi insegni ad amare senza chiedere alcun contraccambio e vi sostenga nelle scelte più difficili della vita. Pregatelo anche per me e per il mio ministero, ma anche per tutti i sacerdoti, affinché rafforzi la fedeltà alla chiamata del Signore.


[1] Il cap. 20 del libro dell’Esodo è preceduto dall’offerta dell’Alleanza al cap. 19, in cui è centrale il pronunciamento: «Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19,5-6). Questa terminologia trova sintesi emblematica in Lv 26,12: «Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete mio popolo» e giungerà fino al nome preannunciato del Messia, in Isaia 7,14 ossia Emmanuele, che approda in Matteo: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi» (Mt 1,23). Tutto questo indica la natura essenzialmente relazionale della fede ebraica e, al massimo grado, di quella cristiana.

[2] Cfr anche Es 34,28b: «Egli scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole».

[3] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis splendor, 12: «Il dono del Decalogo è promessa e segno dell’Alleanza Nuova, quando la legge sarà nuovamente e definitivamente scritta nel cuore dell’uomo (cfr Ger 31,31-34), sostituendosi alla legge del peccato, che quel cuore aveva deturpato (cfr Ger 17,1). Allora verrà donato “un cuore nuovo” perché in esso abiterà “uno spirito nuovo”, lo Spirito di Dio (cfr Ez 36,24-28)».




[Modificato da Caterina63 21/06/2018 11:09]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)