00 06/12/2018 00:44

UDIENZA GENERALE


Piazza San Pietro
Mercoledì, 5 dicembre 2018

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Catechesi sul “Padre nostro”: 1. Insegnaci a pregare

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi iniziamo un ciclo di catechesi sul “Padre nostro”.

I Vangeli ci hanno consegnato dei ritratti molto vivi di Gesù come uomo di preghiera: Gesù pregava. Nonostante l’urgenza della sua missione e l’impellenza di tanta gente che lo reclama, Gesù sente il bisogno di appartarsi nella solitudine e di pregare. Il vangelo di Marco ci racconta questo dettaglio fin dalla prima pagina del ministero pubblico di Gesù (cfr 1,35). La giornata inaugurale di Gesù a Cafarnao si era conclusa in maniera trionfale. Calato il sole, moltitudini di ammalati giungono alla porta dove Gesù dimora: il Messia predica e guarisce. Si realizzano le antiche profezie e le attese di tanta gente che soffre: Gesù è il Dio vicino, il Dio che ci libera. Ma quella folla è ancora piccola se paragonata a tante altre folle che si raccoglieranno attorno al profeta di Nazareth; in certi momenti si tratta di assemblee oceaniche, e Gesù è al centro di tutto, l’atteso dalle genti, l’esito della speranza di Israele.

Eppure Lui si svincola; non finisce ostaggio delle attese di chi ormai lo ha eletto come leader. Che è un pericolo dei leader: attaccarsi troppo alla gente, non prendere le distanze. Gesù se ne accorge e non finisce ostaggio della gente. Fin dalla prima notte di Cafarnao, dimostra di essere un Messia originale. Nell’ultima parte della notte, quando ormai l’alba si annuncia, i discepoli lo cercano ancora, ma non riescono a trovarlo. Dov’è? Finché Pietro finalmente lo rintraccia in un luogo isolato, completamente assorto in preghiera. E gli dice: «Tutti ti cercano!» (Mc 1,37). L’esclamazione sembra essere la clausola apposta ad un successo plebiscitario, la prova della buona riuscita di una missione.

Ma Gesù dice ai suoi che deve andare altrove; che non è la gente a cercare Lui, ma è anzitutto Lui a cercare gli altri. Per cui non deve mettere radici, ma rimanere continuamente pellegrino sulle strade di Galilea (vv. 38-39). E anche pellegrino verso il Padre, cioè: pregando. In cammino di preghiera. Gesù prega.

E tutto accade in una notte di preghiera.

In qualche pagina della Scrittura sembra essere anzitutto la preghiera di Gesù, la sua intimità con il Padre, a governare tutto. Lo sarà per esempio soprattutto nella notte del Getsemani. L’ultimo tratto del cammino di Gesù (in assoluto il più difficile tra quelli che fino ad allora ha compiuto) sembra trovare il suo senso nel continuo ascolto che Gesù rende al Padre. Una preghiera sicuramente non facile, anzi, una vera e propria “agonia”, nel senso dell’agonismo degli atleti, eppure una preghiera capace di sostenere il cammino della croce.

Ecco il punto essenziale: lì, Gesù pregava.

Gesù pregava con intensità nei momenti pubblici, condividendo la liturgia del suo popolo, ma cercava anche luoghi raccolti, separati dal turbinio del mondo, luoghi che permettessero di scendere nel segreto della sua anima: è il profeta che conosce le pietre del deserto e sale in alto sui monti. Le ultime parole di Gesù, prima di spirare sulla croce, sono parole dei salmi, cioè della preghiera, della preghiera dei giudei: pregava con le preghiere che la mamma gli aveva insegnato.

Gesù pregava come prega ogni uomo del mondo. Eppure, nel suo modo di pregare, vi era anche racchiuso un mistero, qualcosa che sicuramente non è sfuggito agli occhi dei suoi discepoli, se nei vangeli troviamo quella supplica così semplice e immediata: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1). Loro vedevano Gesù pregare e avevano voglia di imparare a pregare: “Signore, insegnaci a pregare”. E Gesù non si rifiuta, non è geloso della sua intimità con il Padre, ma è venuto proprio per introdurci in questa relazione con il Padre. E così diventa maestro di preghiera dei suoi discepoli, come sicuramente vuole esserlo per tutti noi. Anche noi dovremmo dire: “Signore, insegnami a pregare. Insegnami”.

Anche se forse preghiamo da tanti anni, dobbiamo sempre imparare! L’orazione dell’uomo, questo anelito che nasce in maniera così naturale dalla sua anima, è forse uno dei misteri più fitti dell’universo. E non sappiamo nemmeno se le preghiere che indirizziamo a Dio siano effettivamente quelle che Lui vuole sentirsi rivolgere. La Bibbia ci dà anche testimonianza di preghiere inopportune, che alla fine vengono respinte da Dio: basta ricordare la parabola del fariseo e del pubblicano. Solamente quest’ultimo, il pubblicano, torna a casa dal tempio giustificato, perché il fariseo era orgoglioso e gli piaceva che la gente lo vedesse pregare e faceva finta di pregare: il cuore era freddo. E dice Gesù: questo non è giustificato «perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato» (Lc 18,14). Il primo passo per pregare è essere umile, andare dal Padre e dire: “Guardami, sono peccatore, sono debole, sono cattivo”, ognuno sa cosa dire. Ma sempre si incomincia con l’umiltà, e il Signore ascolta. La preghiera umile è ascoltata dal Signore.

Perciò, iniziando questo ciclo di catechesi sulla preghiera di Gesù, la cosa più bella e più giusta che tutti quanti dobbiamo fare è di ripetere l’invocazione dei discepoli: “Maestro, insegnaci a pregare!”. Sarà bello, in questo tempo di Avvento, ripeterlo: “Signore, insegnami a pregare”. Tutti possiamo andare un po’ oltre e pregare meglio; ma chiederlo al Signore: “Signore, insegnami a pregare”. Facciamo questo, in questo tempo di Avvento, e Lui sicuramente non lascerà cadere nel vuoto la nostra invocazione. 
 

Saluti:

[Con gioia saluto e benedico i pellegrini croati, in modo particolare le coppie di sposi della Diocesi di Dubrovnik, accompagnate dal loro Pastore Mons. Mate Uzinić. Cari coniugi, ieri avete rinnovato le promesse matrimoniali nella Basilica di San Pietro, confessando che il Signore vi ha assistiti nelle vicende liete e tristi della vita. Vi incoraggio a vivere l’amore coniugale, segno dell’amore tra Cristo e la Chiesa, approfondendo quotidianamente la mutua donazione di sé nei piccoli gesti. In questo tempo di Avvento, la Beata Vergine Maria sia per voi esempio di come accogliere il Signore e affidarsi a Lui. Siano lodati Gesù e Maria!]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

Un pensiero particolare rivolgo ai giovani, agli anziani, agli ammalati e agli sposi novelli.

Sabato prossimo celebreremo la solennità dell’Immacolata Concezione della B.V. Maria. Affidiamoci alla Madonna! Ella, come modello di fede e di obbedienza al Signore, ci aiuti a preparare i nostri cuori ad accogliere il Bambino Gesù nel suo Natale. Grazie.

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UDIENZA GENERALE

 

Piazza San Pietro
Mercoledì, 12 dicembre 2018

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Catechesi sul “Padre nostro”: 2. Una preghiera che chiede con fiducia

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

 

Proseguiamo il cammino di catechesi sul “Padre nostro”, iniziato la scorsa settimana. Gesù mette sulle labbra dei suoi discepoli una preghiera breve, audace, fatta di sette domande – un numero che nella Bibbia non è casuale, indica pienezza. Dico audace perché, se non l’avesse suggerita il Cristo, probabilmente nessuno di noi – anzi, nessuno dei teologi più famosi - oserebbe pregare Dio in questa maniera.

 

Gesù infatti invita i suoi discepoli ad avvicinarsi a Dio e a rivolgergli con confidenza alcune richieste: anzitutto riguardo a Lui e poi riguardo a noi. Non ci sono preamboli nel “Padre nostro”. Gesù non insegna formule per “ingraziarsi” il Signore, anzi, invita a pregarlo facendo cadere le barriere della soggezione e della paura. Non dice di rivolgersi a Dio chiamandolo “Onnipotente”, “Altissimo”, “Tu, che sei tanto distante da noi, io sono un misero”: no, non dice così, ma semplicemente «Padre», con tutta semplicità, come i bambini si rivolgono al papà. E questa parola “Padre”, esprime la confidenza e la fiducia filiale.

 

La preghiera del “Padre nostro” affonda le sue radici nella realtà concreta dell’uomo. Ad esempio, ci fa chiedere il pane, il pane quotidiano: richiesta semplice ma essenziale, che dice che la fede non è una questione “decorativa”, staccata dalla vita, che interviene quando sono stati soddisfatti tutti gli altri bisogni. Semmai la preghiera comincia con la vita stessa. La preghiera – ci insegna Gesù – non inizia nell’esistenza umana dopo che lo stomaco è pieno: piuttosto si annida dovunque c’è un uomo, un qualsiasi uomo che ha fame, che piange, che lotta, che soffre e si domanda “perché”. La nostra prima preghiera, in un certo senso, è stato il vagito che ha accompagnato il primo respiro. In quel pianto di neonato si annunciava il destino di tutta la nostra vita: la nostra continua fame, la nostra continua sete, la nostra ricerca di felicità.

 

Gesù, nella preghiera, non vuole spegnere l’umano, non lo vuole anestetizzare. Non vuole che smorziamo le domande e le richieste imparando a sopportare tutto. Vuole invece che ogni sofferenza, ogni inquietudine, si slanci verso il cielo e diventi dialogo.

 

Avere fede, diceva una persona, è un’abitudine al grido.

 

Dovremmo essere tutti quanti come il Bartimeo del Vangelo (cfr Mc 10,46-52) – ricordiamo quel passo del Vangelo, Bartimeo, il figlio di Timeo -, quell’uomo cieco che mendicava alle porte di Gerico. Intorno a sé aveva tanta brava gente che gli intimava di tacere: “Ma stai zitto! Passa il Signore. Stati zitto. Non disturbare. Il Maestro ha tanto da fare; non disturbarlo. Tu sei fastidioso con le tue grida. Non disturbare”. Ma lui, non ascoltava quei consigli: con santa insistenza, pretendeva che la sua misera condizione potesse finalmente incontrare Gesù. E gridava più forte! E la gente educata: “Ma no, è il Maestro, per favore! Fai una brutta figura!”. E lui gridava perché voleva vedere, voleva essere guarito: «Gesù, abbi pietà di me!» (v. 47). Gesù gli ridona la vista, e gli dice: «La tua fede ti ha salvato» (v. 52), quasi a spiegare che la cosa decisiva per la sua guarigione è stata quella preghiera, quella invocazione gridata con fede, più forte del “buonsenso” di tanta gente che voleva farlo tacere. La preghiera non solo precede la salvezza, ma in qualche modo la contiene già, perché libera dalla disperazione di chi non crede a una via d’uscita da tante situazioni insopportabili.

 

Certo, poi, i credenti sentono anche il bisogno di lodare Dio. I vangeli ci riportano l’esclamazione di giubilo che prorompe dal cuore di Gesù, pieno di stupore riconoscente al Padre (cfr Mt 11,25-27). I primi cristiani hanno perfino sentito l’esigenza di aggiungere al testo del “Padre nostro” una dossologia: «Perché tua è la potenza e la gloria nei secoli» (Didaché, 8, 2).

 

Ma nessuno di noi è tenuto ad abbracciare la teoria che qualcuno in passato ha avanzato, che cioè la preghiera di domanda sia una forma debole della fede, mentre la preghiera più autentica sarebbe la lode pura, quella che cerca Dio senza il peso di alcuna richiesta. No, questo non è vero. La preghiera di domanda è autentica, è spontanea, è un atto di fede in Dio che è il Padre, che è buono, che è onnipotente. È un atto di fede in me, che sono piccolo, peccatore, bisognoso. E per questo la preghiera, per chiedere qualcosa, è molto nobile. Dio è il Padre che ha un’immensa compassione di noi, e vuole che i suoi figli gli parlino senza paura, direttamente chiamandolo “Padre”; o nelle difficoltà dicendo: “Ma Signore, cosa mi hai fatto?”. Per questo gli possiamo raccontare tutto, anche le cose che nella nostra vita rimangono distorte e incomprensibili. E ci ha promesso che sarebbe stato con noi per sempre, fino all’ultimo dei giorni che passeremo su questa terra. Preghiamo il Padre nostro, cominciando così, semplicemente: “Padre” o “Papà”. E Lui ci capisce e ci ama tanto.

 

Un pensiero particolare rivolgo ai giovani, agli anziani, agli ammalati e agli sposi novelli.

 

Oggi nella celebrazione liturgica della Beata Maria Vergine di Guadalupe chiediamo che ci accompagni al Natale e ravvivi in noi il desiderio di accogliere con gioia la luce di suo Figlio Gesù, per farla risplendere sempre di più nella notte del mondo.


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UDIENZA GENERALE

 

Aula Paolo VI
Mercoledì, 19 dicembre 2018

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Catechesi - Natale: le sorprese che piacciono a Dio

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

 

Tra sei giorni sarà Natale. Gli alberi, gli addobbi e le luci ovunque ricordano che anche quest’anno sarà festa. La macchina pubblicitaria invita a scambiarsi regali sempre nuovi per farsi sorprese. Ma mi domando: è questa la festa che piace a Dio? Quale Natale vorrebbe Lui, quali regali, quali sorprese?

 

Guardiamo al primo Natale della storia per scoprire i gusti di Dio. Quel primo Natale della Storia fu pieno di sorprese. Si comincia con Maria, che era promessa sposa di Giuseppe: arriva l’angelo e le cambia la vita. Da vergine sarà madre. Si prosegue con Giuseppe, chiamato a essere padre di un figlio senza generarlo. Un figlio che – colpo di scena – arriva nel momento meno indicato, cioè quando Maria e Giuseppe erano sposi promessi e secondo la Legge non potevano coabitare. Di fronte allo scandalo, il buon senso del tempo invitava Giuseppe a ripudiare Maria e salvare il suo buon nome, ma lui, che pur ne aveva diritto, sorprende: per non danneggiare Maria pensa di congedarla in segreto, a costo di perdere la propria reputazione. Poi un’altra sorpresa: Dio in sogno gli cambia i piani e gli chiede di prendere con sé Maria. Nato Gesù, quando aveva i suoi progetti per la famiglia, ancora in sogno gli vien detto di alzarsi e andare in Egitto. Insomma, il Natale porta cambi di vita inaspettati. E se noi vogliamo vivere il Natale, dobbiamo aprire il cuore ed essere disposti alle sorprese, cioè a un cambio di vita inaspettato.

 

Ma è nella notte di Natale che arriva la sorpresa più grande: l’Altissimo è un piccolo bimbo. La Parola divina è un infante, che letteralmente significa “incapace di parlare”. E la parola divina divenne “incapace di parlare”. Ad accogliere il Salvatore non ci sono le autorità del tempo o del posto o gli ambasciatori: no; sono dei semplici pastori che, sorpresi dagli angeli mentre lavoravano di notte, accorrono senza indugio. Chi se lo sarebbe aspettato? Natale è celebrare l’inedito di Dio, o meglio, è celebrare un Dio inedito, che ribalta le nostre logiche e le nostre attese.

 

Fare Natale, allora, è accogliere in terra le sorprese del Cielo. Non si può vivere “terra terra”, quando il Cielo ha portato le sue novità nel mondo. Natale inaugura un’epoca nuova, dove la vita non si programma, ma si dona; dove non si vive più per sé, in base ai propri gusti, ma per Dio; e con Dio, perché da Natale Dio è il Dio-con-noi, che vive con noi, che cammina con noi. Vivere il Natale è lasciarsi scuotere dalla sua sorprendente novità. Il Natale di Gesù non offre rassicuranti tepori da caminetto, ma il brivido divino che scuote la storia. Natale è la rivincita dell’umiltà sull’arroganza, della semplicità sull’abbondanza, del silenzio sul baccano, della preghiera sul “mio tempo”, di Dio sul mio io.

 

Fare Natale è fare come Gesù, venuto per noi bisognosi, e scendere verso chi ha bisogno di noi. È fare come Maria: fidarsi, docili a Dio, anche senza capire cosa Egli farà. Fare Natale è fare come Giuseppe: alzarsi per realizzare ciò che Dio vuole, anche se non è secondo i nostri piani. San Giuseppe è sorprendente: nel Vangelo non parla mai: non c’è una parola, di Giuseppe, nel Vangelo; e il Signore gli parla nel silenzio, gli parla proprio nel sonno. Natale è preferire la voce silenziosa di Dio ai frastuoni del consumismo. Se sapremo stare in silenzio davanti al presepe, Natale sarà anche per noi una sorpresa, non una cosa già vista. Stare in silenzio davanti al presepe: questo è l’invito, per Natale. Prenditi un po’ di tempo, vai davanti al presepe e stai in silenzio. E sentirai, vedrai la sorpresa.

 

Purtroppo, però, si può sbagliare festa, e preferire alle novità del Cielo le solite cose della terra. Se Natale rimane solo una bella festa tradizionale, dove al centro ci siamo noi e non Lui, sarà un’occasione persa. Per favore, non mondanizziamo il Natale! Non mettiamo da parte il Festeggiato, come allora, quando «venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,11). Fin dal primo Vangelo dell’Avvento il Signore ci ha messo in guardia, chiedendo di non appesantirci in «dissipazioni» e «affanni della vita» (Lc21,34). In questi giorni si corre, forse come mai durante l’anno. Ma così si fa l’opposto di quel che Gesù vuole. Diamo la colpa alle tante cose che riempiono le giornate, al mondo che va veloce. Eppure Gesù non ha incolpato il mondo, ha chiesto a noi di non farci trascinare, di vegliare in ogni momento pregando (cfr v. 36).

 

Ecco, sarà Natale se, come Giuseppe, daremo spazio al silenzio; se, come Maria, diremo “eccomi” a Dio; se, come Gesù, saremo vicini a chi è solo; se, come i pastori, usciremo dai nostri recinti per stare con Gesù. Sarà Natale, se troveremo la luce nella povera grotta di Betlemme. Non sarà Natale se cercheremo i bagliori luccicanti del mondo, se ci riempiremo di regali, pranzi e cene ma non aiuteremo almeno un povero, che assomiglia a Dio, perché a Natale Dio è venuto povero.

 

Cari fratelli e sorelle, vi auguro buon Natale, un Natale ricco delle sorprese di Gesù! Potranno sembrare sorprese scomode, ma sono i gusti di Dio. Se li sposeremo, faremo a noi stessi una splendida sorpresa. Ognuno di noi ha nascosta nel cuore la capacità di sorprendersi. Lasciamoci sorprendere da Gesù in questo Natale.

 

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

 

 

 

Un pensiero particolare rivolgo ai giovani, agli anziani, agli ammalati e agli sposi novelli.

 

È imminente la nascita del Signore Gesù. La festa che celebreremo anche quest’anno, nella Notte santa del suo Natale, risvegli in noi la tenerezza di Dio per tutta l’umanità, quando, in Gesù, non ha disdegnato di assumere, senza alcuna riserva, la nostra natura umana. Affidiamoci a Maria e a Giuseppe, perché ci insegnino ad accogliere un così grande dono: l’Emmanuele, il Dio con noi.


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[Modificato da Caterina63 19/12/2018 16:23]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)