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da Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 1969, pp. 40-41

Cos'è questa fede? Ora possiamo rispondere così: è la forma, non riducibile a scienza e incommensurabile ai suoi parametri, assunta dalla posizione dell'uomo nel complesso della realtà; è l'interpretazione senza la quale l'intero uomo rimarrebbe campato in aria; è l'atteggiamento che precede il calcolo e l'azione dell'uomo, senza il quale egli in definitiva non potrebbe né calcolare né agire, perché tutto ciò egli è in grado di farlo unicamente nell'ambito d'un senso capace di sostentarlo.

L'uomo in effetti non vive del solo pane del fattibile, ma vive invece da uomo, e, proprio nella configurazione più tipica della sua umanità, vive di parola, di amore, di senso della realtà. Il senso delle cose è davvero il pane di cui l'uomo si sostenta, di cui alimenta il nucleo più centrale della sua umanità. Senza la parola, senza il senso, senza l'amore, egli vien messo in condizione di non poter più nemmeno vivere, quand'anche fosse circondato in sovrabbondanza di tutti i conforts terreni immaginabili.

Chi non sa con quanta frequenza, pur in mezzo alla più sfondata abbondanza, può insorgere la situazione del 'non ne posso proprio più'? Il senso della realtà però non si può dedurre dalla mera scienza. Il voler procacciarselo in questa maniera, cioè basandosi sul fatto che si è capaci di provare la fattibilità, finirebbe per assomigliare all'assurdo e ridicolo tentativo intrapreso dal barone di Münchhausen, quando si mise in testa di strapparsi fuori dalla palude tirandosi per i capelli.

Propendo a credere che nella comica assurdità di quella storia venga messa in luce, in maniera azzeccatissima, la situazione di fondo in cui versa l'uomo. Dal pantano dell'incertezza, dell'incapacità di vivere, nessuno è in grado di tirarsi fuori da sé; e non ce ne tiriamo fuori nemmeno con un «cogito ergo sum», come pensava ancora Descartes, ossia appigliandoci ad una catena di conclusioni imbastita col raziocinio. Un senso fasullo della realtà, in ultima analisi, non è nemmeno un senso. Il senso vero, ossia il terreno su cui la nostra esistenza possa realmente reggersi e vivere, non può venir fabbricato empiricamente, ma solo venir ricevuto dal di fuori.




Le conferenze sulla crisi della catechesi tenute a Lione ed a Parigi nel 1983 dall’allora cardinal Joseph Ratzinger: la trasmissione della fede ed il problema delle fonti

Indice
Parte prima. La crisi della catechesi e il problema delle fonti

1. Caratteristiche generali della crisi
2. Catechesi, Bibbia e dogma

Parte seconda. Per superare la crisi

1. Cosa è la fede?
2. Che cosa sono le "fonti"?
3. La struttura della catechesi

Note

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Con le ultime parole rivolte ai suoi apostoli, il Signore diede loro l'incarico di andare in tutto il mondo per farvi dei discepoli (Mt 28,19 ss.; Lc 16,15; At 1,7). Fa parte della essenza della fede il richiedere di essere trasmessa: si tratta dell’interiorizzazione di un messaggio, che si rivolge a tutti perché é la verità, e l'uomo non può essere salvato senza la verità (1 Tim 2,4). Per questo la catechesi e la trasmissione della fede sono state, fino dalle origini, una funzione vitale per la Chiesa, e tali devono restare fin tanto che la Chiesa durerà.

Parte prima.
La crisi della catechesi e il problema delle fonti

1. Caratteristiche generali della crisi

Le difficoltà attuali della catechesi sono un dato generalmente accettato che non è necessario provare nei particolari. Le cause della crisi e le sue conseguenze sono state descritte spesso e abbondantemente[1].

Nel mondo della tecnica, che é una creazione dell'uomo stesso, non si incontra anzitutto il Creatore, ma l'uomo incontra sempre se stesso. La sua struttura fondamentale è quella di essere "fattibile", il modo delle sue certezze è il calcolabile. Per questo motivo il problema della salvezza non viene posto in relazione a Dio, che non compare in alcun modo, ma in funzione del potere dell'uomo, che vuole diventare costruttore di se stesso e della sua storia.

L'uomo non cerca più, dunque, i criteri della sua morale in un discorso sulla creazione o sul Creatore, che gli sono diventati sconosciuti. La creazione non ha più, per lui, risonanze morali; essa gli parla solamente il linguaggio matematico della sua utilità tecnica, a meno che ella non protesti contro le violenze che lui le fa subire. Anche allora l'appello morale che la creazione così gli rivolge, resta indeterminato: in definitiva, la morale si identifica, in un modo o nell'altro, con la dimensione sociale, quella dell'uomo verso se stesso e quella dell'uomo nei confronti del suo contesto. Da questo punta di vista, anche la morale è diventata una questione di calcolo delle migliori condizioni per uno sviluppo nel futuro.

La società ne è stata mutata profondamente: la famiglia, che è la cellula portante della cultura cristiana, sembra essere, il più delle volte, in via di dissoluzione. Quando i legami metafisici non contano più, essa non può essere conservata, per lungo tempo, da altre specie di legami.

Questa nuova visione del mondo, da una parte si riflette nei mass-media, dall'altra si nutre di essi. La rappresentazione del mondo e degli avvenimenti da parte dei mass-media oggi segna la coscienza, più di quanto non lo faccia l'esperienza personale della realtà. Tutto ciò influisce sulla catechesi, che vede spezzati i classici sostegni della società cristiana, senza, peraltro, potersi appoggiare sull'esperienza vissuta della fede in una Chiesa vivente: in un tempo in cui il linguaggio e la coscienza si nutrono solo con l’esperienza di un mondo che si vuole creatore di se stesso, la fede sembra condannata al mutismo.

Negli ultimi decenni la teologia pratica si è consacrata con energia a questi problemi per tracciare alla trasmissione della fede vie nuove e più adatte a questa situazione. Certo molti, nel frattempo, sono arrivati a convincersi che questi sforzi hanno contribuito più ad aggravare che a risolvere la crisi. Sarebbe ingiusto generalizzare questa affermazione, ma sarebbe anche falso negarla puramente e semplicemente.

Un primo grave errore fu quello di sopprimere il catechismo e di dichiarare "sorpassato" il genere stesso del catechismo. Certo, il catechismo come libro è divenuto comune soltanto al tempo della Riforma; ma la trasmissione della fede, come struttura fondamentale nata dalla logica della fede, è vecchia quanto il catecumenato, cioè quanto la Chiesa stessa. Essa scaturisce dalla natura stessa della sua missione e, dunque, non si può rinunciarvi. La rottura con una trasmissione della fede attinta nella sua strutturazione fondamentale alle fonti di una tradizione presa nella sua globalità, ha avuto come conseguenza la frammentazione della proclamazione della fede. Essa fu non solo arbitrariamente accolta nella sua esposizione, ma anche messa in discussione in alcune sue parti, che appartengono a un tutto e che, staccate da esso, appaiono sconnesse.

Cosa vi era dietro questa decisione errata, affrettata e universale? Le ragioni sono molteplici e fino a ora poco esaminate. Sicuramente questa decisione è da mettere in rapporto con la evoluzione generale dell'insegnamento e della pedagogia, caratterizzata da una ipertrofia del metodo rispetto al contenuto delle diverse discipline. I metodi diventano i criteri del contenuto e non più i veicoli di esso. L'offerta si regola sulla domanda: è così che sono state tracciate le vie della nuova catechesi nella disputa sul catechismo olandese[2].

Ne conseguì che ci si limitò alle questioni per principianti, invece di cercare le vie che avrebbero permesso di superarle e di arrivare a ciò che inizialmente non si comprendeva, unico metodo che modifica positivamente l'uomo e il mondo. Così, il potenziale di cambiamento proprio della fede fu paralizzato. Infatti la teologia pratica non era più intesa come uno sviluppo concreto della teologia dogmatica o sistematica, ma come un valore in sé. Ciò corrispondeva, di nuovo, alla tendenza attuale a subordinare la verità alla prassi, che, nel contesto delle filosofie neo-marxistiche e positivistiche, ha fatto breccia anche in teologia[3].

Tutti questi fatti contribuirono a impoverire considerevolmente l’antropologia: precedenza del metodo sul contenuto significa predominanza dell'antropologia sulla teologia, di modo che questa dovette trovarsi un posto nel contesto di un antropocentrismo radicale. Il declino dell'antropologia fece apparire, a sua volta, nuovi centri di gravità: supremazia della sociologia, o, ancora, primato della esperienza, come nuovi criteri di comprensione della fede tradizionale.

Dietro a queste cause e ad altre ancora, che si possono trovare nel rifiuto del catechismo e nel crollo della catechesi classica, vi è tuttavia un processo più profondo. Il fatto di non avere più il coraggio di presentare la fede come un tutto organico in se stesso, ma solamente come una serie di riflessi scelti di esperienze antropologiche parziali, si fondava, in ultima analisi, su di una certa diffidenza nei riguardi della totalità.

Esso si spiega con una crisi della fede, meglio: della fede comune alla Chiesa di tutti tempi. Ne risultava che la catechesi ometteva generalmente il dogma e tentava di ricostruire la fede direttamente a partire dalla Bibbia. Ora, il dogma non è niente altro, per definizione, che interpretazione della Scrittura, ma questa interpretazione, nata dalla fede dei secoli, non sembrava più potersi accordare con la comprensione dei testi, a cui il metodo storico aveva nel frattempo condotto. In questo modo, coesistevano due forme di interpretazione apparentemente irriducibili: la interpretazione storica e quella dogmatica.

Ma quest'ultima, secondo le concezioni contemporanee, poteva essere considerata solo come una tappa pre-scientifica della nuova interpretazione. Così, sembrava difficile riconoscere a essa un posto proprio. Laddove la certezza scientifica è considerata la sola forma valida, perfino la sola possibile, della certezza, quella del dogma doveva sembrare o come una tappa sorpassata di un pensiero arcaico, oppure come la espressione della volontà di potenza di istituzioni passate che ancora sopravvivevano. La verità del dogma deve allora essere valutata secondo la misura dell'esegesi scientifica e può, al massimo, confermare le dichiarazioni di quest’ultima; essa non può più pretendere di giudicarla in ultima istanza.

2. Catechesi, Bibbia e dogma

Eccoci arrivati al punto centrale del nostro tema, al problema del posto occupato dalle "fonti" nel processo di trasmissione della fede. Una catechesi che sviluppava, per così dire, la fede direttamente a partire dalla Bibbia, senza passare attraverso il dogma, poteva pretendere di essere una catechesi dedotta specificamente dalle fonti. Ma allora emerse un fenomeno curioso. L'effetto di freschezza, all'inizio provocato dal contatto diretto con la Bibbia, non fu durevole. Certo, all'inizio ne risultò molta fecondità, bellezza e ricchezza nella trasmissione della fede. Si sentiva "l'odore della terra di Palestina", si riviveva il dramma umano nel quale la Bibbia è nata. Vi fu così, più verità umana e concreta.

Ben presto, però, apparve l’ambiguità del progetto, che J. A. Möhler aveva descritto in modo classico centocinquanta anni fa. Ciò che la Bibbia apporta in fatto di bellezza, di immediatezza, a cui non si può rinunciare, e così descritto: "Senza la Scrittura, la forma propria delle parole di Gesù ci resterebbe nascosta, noi non sapremmo come parlava il Figlio dell'uomo e credo che non mi piacerebbe più continuare a vivere se non la sentissi più".

Ma Möhler sottolinea subito il motivo per cui la Scrittura non può essere separata dalla comunità vivente, nella quale soltanto può essere "la Scrittura", quando continua dicendo: "Solo che, senza la tradizione, noi non sapremmo chi parlava allora, ne ciò che annunciava, e anche la gioia che proviene dal suo modo di parlare svanirebbe"[4].

Nel libro che Albert Schweitzer consacrò alla storiografia delle ricerche sulla vita di Gesù, si trova descritta, da tutt'altro punto di vista, la stessa evoluzione di una catechesi legata unicamente allo studio letterario delle fonti: "Ciò che è capitato alla ricerca sulla vita di Gesù è singolare. Essa è partita alla ricerca del Gesù della storia ed ha creduto di poterlo ricollocare nel nostro tempo così come era, come Maestro e Salvatore. Essa disfece i legami che, da secoli, la univano alla roccia dell'insegnamento della Chiesa, e si rallegrava vedendo la sua figura riprendere vita e movimento, e il Gesù storico venire incontro. Ma ecco, esso non si arrestò, passò di fianco al nostro tempo e ritornò verso il suo"[5].

In realtà questo processo, di cui, circa un secolo fa, Schweitzer aveva creduto di avere arrestato l'evoluzione teologica, si ripete sempre in un modo nuovo e con svariati cambiamenti nella moderna catechesi. Infatti, i documenti che si sono voluti leggere senza alcun altro intermediario oltre al metodo storico, per ciò stesso si allontanarono alla distanza che li separa storicamente. Una esegesi che non vive e non comprende più la Bibbia insieme all'organismo vivente della Chiesa diventa archeologia: un museo di cose passate.

Concretamente, ciò si verifica anzitutto nel fatto che la Bibbia si disgrega come Bibbia, per non essere niente altro che una collezione di libri eterogenei. Di qui la domanda: come assimilare questa letteratura, e secondo quali criteri scegliere i testi con i quali bisogna costruire la catechesi? La rapidità con cui si è realizzata questa evoluzione si vede, per esempio, in una proposta fatta recentemente in Germania in una lettera di un lettore a una rivista: stampare, nelle nuove edizioni della Bibbia, in caratteri piccoli ciò che è superato, e mettere invece in evidenza ciò che resta valido. Ma che cosa è valido? Che cosa è superato? In fin dei conti, è il gusto a decidere, e la Bibbia potrà tutt'al più servire ad assecondare la nostra decisione.

Ma la Bibbia si disgrega anche in un altro modo. Cercando l'elemento primitivo, giudicato sicuro e affidabile, ci si scontra con le fonti più antiche ricostruite a partire dalla Bibbia, che si pensa in definitiva essere più importanti de "la Fonte". Una madre tedesca mi raccontò, un giorno, che suo figlio, che frequentava la scuola media, era in procinto di essere iniziato alla cristologia della presunta fonte dei "loghia del Signore"; ma dei sette sacramenti, degli articoli del Credo, egli non sospettava ancora neppure la esistenza. L'aneddoto vuole dire questo: con il criterio dello strato letterario più antico come testimonianza storica più sicura, la vera Bibbia spariva a vantaggio di una Bibbia ricostruita, a vantaggio di una Bibbia come avrebbe dovuto essere.

Lo stesso succede di Gesù. Quello dei Vangeli è considerato come un Cristo notevolmente rimaneggiato dal dogma, dietro il quale bisognerebbe ritornare al Gesù dei loghia oppure di un'altra fonte presunta, per trovare il Gesù reale. Questo Gesù "reale", a questo punto, non dice e non fa niente di più di quello che ci piace. Ci risparmia, per esempio, la croce come sacrificio espiatorio; la croce è ricondotta alle dimensioni di uno scandaloso incidente, al quale non conviene prestare troppa attenzione. Anche la Resurrezione diventa una esperienza dei discepoli secondo la quale Gesù, o almeno la sua "realtà", continua. Non ci si sofferma più sugli avvenimenti, ma sulla coscienza che ne hanno avuto i discepoli e la "comunità". La certezza della fede è sostituita dalla fiducia nell'ipotesi storica. Ora, questo modo di procedere mi sembra irritante.

La garanzia dell’ipotesi storica, in un grande numero di testi di catechismo, diventa assolutamente più importante della certezza della fede. Questa è scaduta al livello di una vaga fiducia senza contorni precisi. Ma la vita non è una ipotesi, e la morte neppure; ci si rinchiude nello scrigno vitreo di un mondo intellettuale, che ci si è fatti da soli e che, allo stesso modo, può dissolversi.

Ma ritorniamo al nostro tema. Se ricapitoliamo le riflessioni fatte finora, possiamo anzitutto constatare che lo sconvolgimento della catechesi negli ultimi venti o trenta anni è caratterizzato da una nuova immediatezza nel contatto con le fonti scritte della fede, con la Bibbia. Se prima la Bibbia entrava nell'insegnamento della fede solo nella forma di dottrina della Chiesa, ora si tenta di penetrare nel cristianesimo attraverso un dialogo diretto tra l’esperienza attuale e la parola biblica. L'utilità di questo sforzo consiste in un accrescimento di umanità concreta nella esposizione dei fondamenti del fatto cristiano. Ma così facendo, il dogma non era generalmente negato, ma scadeva al rango di una specie di quadro orientativo di poca importanza per il contenuto e per la struttura della catechesi.

Dietro a ciò stava una certa perplessità nei confronti del dogma, che proveniva dal fatto di non avere chiarito i rapporti tra lettura dogmatica e lettura storico-critica della Scrittura. Nella misura in cui questa evoluzione progrediva, apparve manifesto che la Scrittura, lasciata a se stessa, cominciava a dissolversi: la si sottometteva sempre a nuove "riletture". Nel tentativo di attualizzare il passato, l'esperienza personale o comunitaria diveniva, a vista d'occhio, il criterio decisivo di ciò che rimaneva attuale. Così nasceva una specie di empirismo teologico, in cui l’esperienza del gruppo, della comunità oppure degli "esperti", diventa la fonte ultima.

Le fonti comuni sono allora canalizzate in modo tale che non si riconosce più granché del loro dinamismo originario. Se un tempo è stato rimproverato alla catechesi tradizionale di non condurre alle fonti, ma di farle arrivare agli uomini dopo averle filtrate, oggi queste canalizzazioni del passato dovrebbero piuttosto essere paragonate a dei torrenti in rapporto ai nuovi metodi di analizzare delle fonti. Infatti, oggi, si pone una domanda centrale, ed è questo propriamente il nostro tema: come può essere conservata pura l'acqua delle fonti nella trasmissione della fede? Con questa domanda sono messi in luce due problemi essenziali per la situazione attuale.

a. I rapporti tra esegesi dogmatica ed esegesi storico-critica

La questione che deve essere esaminata in primo luogo è quella dei rapporti tra esegesi dogmatica ed esegesi storico-critica. Questa è anche la questione dei rapporti da stabilire tra il tessuto vivente della tradizione, da una parte, e i metodi razionali di ricostruzione del passato, dall'altra. Ma è anche la questione dei due livelli del pensiero e della vita: qual è, dunque, il posto dell'articolazione razionale della scienza nel tutto dell'esistenza umana e del suo incontro con il reale?

b. I rapporti tra metodo e contenuto e tra esperienza e fede

La seconda questione ci sembra consistere nella determinazione dei rapporti tra metodo e contenuto, tra esperienza e fede. È chiaro che la fede senza esperienza può essere soltanto chiacchiericcio di formule vuote. Per contro, è ugualmente evidente che ridurre la fede alla esperienza significa privarla del suo contenuto. Ci smarriremmo nel campo del non sperimentato e non potremmo dire con il salmo: "Hai guidato al largo i miei passi" (Sal 31[30],9), prigionieri della ristrettezza delle nostre esperienze.


   continua.................
 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)